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Prefazio della preghiera eucaristica: Pasqua. Significato (I)

Il Prefazio è la prima parte della preghiera eucaristica. In occasione della Pasqua, l'autore spiega in tre articoli la storia e il ricco significato dei cinque prefazi pasquali, con un'introduzione.

Giovanni Zaccaria-6 aprile 2023-Tempo di lettura: 6 minuti
Messale di Pasqua

Un messale aperto (Unsplash / Grant Whitty)

Il Institutio generalis Missalis Romani elenca gli otto elementi principali della Preghiera eucaristica e sottolinea che il prefazio ha il compito di esprimere il contenuto del ringraziamento: "Il sacerdote, a nome di tutto il popolo santo, glorifica Dio Padre e lo ringrazia per tutta l'opera della salvezza o per qualche aspetto particolare di essa, secondo la diversità del giorno, della festa o della Stagione". 

Per molti secoli, la preghiera eucaristica è stata una sola, quella che oggi chiamiamo Canone Romano o Preghiera Eucaristica I, e il prefazio - insieme al Comunicatori e il Hanc igitur Lo scopo era quello di adattare l'unica preghiera eucaristica al particolare aspetto del mistero celebrato in un determinato giorno.

Per questo motivo, il numero di prefazioni presenti in alcune fonti antiche è piuttosto elevato: è il caso del Sacramentario di Veronese (VI sec.), che ne contiene 267, o del Sacramentario di Fulda (X sec.), che ne contiene 320.

Allo stesso tempo, nel corso dei secoli, si è sentita anche l'esigenza di ridurre il numero dei prefazi, anche perché avessero un contenuto teologico fondato e fossero veramente significativi. In questo senso, ad esempio, il Sacramentario Gregoriano-Adriano (VIII sec.) presenta solo 14 prefazi. A seconda della tendenza prevalente, troviamo nelle fonti antiche un numero maggiore o minore di prefazi. 

A quest'ultima tendenza appartiene la Messale Il più recente è stato quello di San Pio V, che ha stabilito un numero di 11 prefazi. Nel corso dei secoli, a questo Messale sono state apportate anche alcune aggiunte, come il prefazio dei defunti (1919), di San Giuseppe (1919), di Cristo Re (1925) e del Sacro Cuore (1928). Inoltre, con la riforma della Settimana Santa, è stato introdotto un apposito prefazio per la Messa crismale (1955).

Il motivo principale dell'ampliamento del corpus dei prefazi è stato l'arricchimento qualitativo della celebrazione eucaristica, con particolare attenzione alla preghiera eucaristica, vero cuore della celebrazione. A tal fine, si è fatto ricorso all'immenso patrimonio eucaristico della tradizione romana, attingendo alle numerose fonti antiche disponibili all'epoca.

La struttura della prefazione, documentata 

La struttura del prefazio è stabile e ben documentata. Ogni prefazio - e, poiché il prefazio è la parte iniziale della preghiera eucaristica, ogni preghiera eucaristica - si apre con un dialogo, che è già attestato in fonti molto antiche, come la Tradizione apostolica, e che compare nella maggior parte delle liturgie occidentali e orientali.

Anche in questo caso, come negli altri momenti particolarmente importanti della Messa, il ministro si rivolge al popolo con un saluto che intende sottolineare la presenza del Signore in mezzo al popolo sacerdotale riunito per la celebrazione (in questo caso il verbo latino implicito sarebbe est: Dominus vobiscum est) e che è allo stesso tempo una preghiera a Dio di essere presente nel cuore di ciascuno dei presenti e di agire così come Chiesa di Cristo (in questo caso un sit: Dominus vobiscum sit). È un saluto di origine biblico (Rt 2,4; 2 Cr 15,2; 2 Tess 3,16), già utilizzato nella liturgia al tempo di Sant'Agostino. 

La risposta del popolo Et cum spiritu tuo si riferisce al dono dello Spirito che il ministro ha ricevuto attraverso il sacramento dell'Ordine e, in un certo senso, ricorda al presbitero che ciò che sta per fare va ben oltre le sue capacità: può farlo solo in virtù del dono dello Spirito Santo. Ecco perché questo dialogo è riservato a vescovi, sacerdoti e diaconi.

Elevare il cuore a Dio

Poi, il sacerdote invita il popolo a elevare il cuore a Dio, e lo fa anche con il gesto di alzare le mani. La radice biblica di queste espressioni si trova in Lam 3, 41 e Col 3, 1. Anche in questo caso, si tratta di uno scambio già attestato da sant'Agostino che, in un discorso rivolto ai neobattezzati, li esortava a far sì che la loro risposta corrispondesse al vero atteggiamento del cuore, dal momento che stanno rispondendo agli atti divini. Innalzare il cuore a Dio significa raccogliersi in modo che l'atteggiamento interiore ed esteriore sia veramente attento e partecipativo.

Il dialogo si conclude con l'invito Gratias agamus Domino Deo nostro e la risposta Dignum et iustum est. Queste espressioni hanno un parallelo biblico in Ap 11,17, ma anche in 1 Tess 1,2 e 2 Tess 1,2. Qui il popolo è invitato a unirsi alla preghiera eucaristica pronunciata dal ministro, cioè a unirsi a Cristo stesso per magnificare le grandi opere di Dio e offrire il sacrificio: il sacerdote agisce infatti in persona Christi e a nome della Chiesa. La risposta dei fedeli manifesta la volontà di unirsi effettivamente alla preghiera eucaristica con la propria fede e devozione e costituisce una sorta di ponte verso il corpo del prefazio che segue immediatamente.

Dal punto di vista della struttura del prefazio, possiamo distinguere tre parti: un'introduzione più o meno fissa, un nucleo centrale chiamato embolismo e una conclusione, che, come l'introduzione, tende a essere espressa in frasi ricorrenti; quest'ultima è destinata a introdurre il Sanctus, la grande acclamazione che segue immediatamente il prefazio.

Per quanto riguarda il contenuto teologico del prefazio, ciò che ci interessa maggiormente è l'embolismo, che è la parte variabile del prefazio e costituisce uno sguardo specifico sul celebre mistero.

Le prefazioni pasquali

Per quanto riguarda i prefazi pasquali, tutti e cinque sono introdotti da una formula sempre identica che costituisce una specificità di questi testi eucaristici. Infatti, sono tutti presentati in questo modo:

È giusto e necessario,
è nostro dovere e nostra salvezza
glorificarti sempre, o Signore,
ma più che mai in questo tempo
in cui Cristo, la nostra Pasqua, è stato sacrificato.

Il testo latino è, in un certo senso, ancora più trasparente; l'espressione contenuta nell'ultima frase, infatti, chiarisce perché è veramente buono e giusto proclamare la gloria di Dio in questo giorno: cum Pascha nostrum immolatus est Christus.

È un'espressione causale/temporale: quando/quando Cristo, la nostra Pasqua, è stato sacrificato. La citazione quasi diretta viene da 1 Cor 5, 7 e apre immediatamente la comprensione del significato del prefazio, sottolineato anche dal titolo: De mysterio paschali.

La morte di Gesù, un vero sacrificio

L'espressione paolina ci introduce al significato di ciò che stiamo celebrando: la morte di Gesù sulla croce non è una semplice esecuzione capitale, ma un vero e proprio sacrificio. Infatti, Dio lo ha "apertamente costituito strumento di espiazione mediante la fede nel suo sangue come manifestazione della sua giustizia per il perdono dei peccati passati" (Rm 3,25). Qui "strumento di espiazione" traduce il greco ἱλαστήριον, che indica il coperchio d'oro dell'arca dell'alleanza che, in occasione dello Yom Kippur, il sommo sacerdote aspergeva con il sangue delle vittime, per ristabilire il rapporto di alleanza con Dio rotto dai peccati (Es 24,1-8; Lev 16,14-17). "Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio per un aroma profumato" (Ef 5,2).

Questo introduce l'embolia, il cuore della prefazione:

Perché Lui è il vero Agnello
che ha tolto il peccato del mondo;
morendo ha distrutto la nostra morte
e risorgendo dai morti ha restituito la vita.

L'Agnello che ha tolto il peccato del mondo

È un testo che si intreccia con la Sacra Scrittura: si notano i richiami a Gv 1,29, quando il Battista "vedendo Gesù venire verso di lui, disse: Ecco l'agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo", e a 1 Pt 1,19, che definisce Cristo "agnello senza difetto e senza macchia", usando un'espressione tipica del linguaggio sacrificale (Lev 14,10; 23,28; ecc.). Di seguito possiamo notare anche il riferimento ad Ap 5,6, che vede l'Agnello in mezzo al trono, "in piedi come ucciso".

Nel contesto dell'antica alleanza, l'agnello veniva ucciso nel tentativo di ottenere la benevolenza divina di fronte alla moltitudine di peccati del popolo eletto. Si trattava però di un tentativo che non raggiungeva mai il suo scopo, poiché tale sangue era incapace di purificare le coscienze; un segno dell'inefficacia di tali sacrifici era proprio il fatto che dovevano essere ripetuti ogni anno.

Ora, invece, Cristo "ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l'incorruzione per mezzo del Vangelo" (2 Tim 1,10). Per questo l'Apocalisse vede l'Agnello ucciso ma allo stesso tempo in piedi: potremmo dire morto e risorto.

Così Cromazio di Aquileia commenta l'evento celebrato nella Veglia pasquale, presente in ogni celebrazione eucaristica: "Anche i popoli della terra celebrano [questa veglia] perché per la salvezza del genere umano Cristo ha sofferto la morte per vincere la morte morendo (...) [7] perché il Figlio ha sofferto la morte secondo la volontà del Padre per darci la vita con la sua morte".

L'autoreGiovanni Zaccaria

Pontificia Università della Santa Croce (Roma)

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