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Messaggio per la Giornata Missionaria Mondiale

David Fernández Alonso-31 gennaio 2021-Tempo di lettura: 7 minuti

"Non possiamo smettere di parlare di ciò che abbiamo visto e sentito" (Atti 4,20)

Cari fratelli e sorelle:

Quando sperimentiamo la potenza dell'amore di Dio, quando riconosciamo la sua presenza paterna nella nostra vita personale e comunitaria, non possiamo fare a meno di proclamare e condividere ciò che abbiamo sperimentato nella nostra vita. abbiamo visto e sentito. Il rapporto di Gesù con i suoi discepoli, la sua umanità rivelata nel mistero dell'incarnazione, nel suo Vangelo e nella sua Pasqua ci mostrano quanto Dio ami la nostra umanità e faccia sue le nostre gioie e le nostre sofferenze, i nostri desideri e le nostre angosce (cfr. Conc. Ecum. Ecum. Iva. II, Cost. past. Gaudium et spes, 22). Tutto in Cristo ci ricorda che il mondo in cui viviamo e il suo bisogno di redenzione non gli sono estranei e ci chiama anche a sentirci parte attiva di questa missione: "Andate ai crocicchi delle strade e invitate tutti quelli che incontrate" (Mt 22,9). Nessuno è estraneo, nessuno può essere estraneo o estraneo a questo amore compassionevole.

L'esperienza degli apostoli

La storia dell'evangelizzazione inizia con una ricerca appassionata del Signore che chiama e vuole entrare in un dialogo di amicizia con ogni persona, ovunque si trovi (cfr. Jn 15,12-17). Gli apostoli sono i primi a darne conto, ricordando persino il giorno e l'ora in cui furono trovati: "Erano circa le quattro del pomeriggio" (Jn 1,39). L'amicizia con il Signore, il vederlo guarire i malati, mangiare con i peccatori, dare da mangiare agli affamati, avvicinare gli esclusi, toccare gli impuri, identificarsi con i bisognosi, invitare alle beatitudini, insegnare in modo nuovo e autorevole, lascia un segno indelebile, capace di suscitare stupore, e una gioia espansiva e gratuita che non si può contenere. Come diceva il profeta Geremia, questa esperienza è il fuoco ardente della sua presenza attiva nei nostri cuori che ci spinge alla missione, anche se a volte comporta sacrifici e incomprensioni (cfr. 20,7-9). L'amore è sempre in movimento e ci mette in moto per condividere l'annuncio più bello e pieno di speranza: "Abbiamo trovato il Messia" (Jn 1,41).

Con Gesù abbiamo visto, sentito e percepito che le cose possono essere diverse. Ha inaugurato, già per oggi, i tempi a venire ricordandoci una caratteristica essenziale del nostro essere uomini, così spesso dimenticata: "Siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell'amore" (Lettera enciclica di Gesù). Fratelli tutti, 68). Tempi nuovi che danno vita a una fede capace di incoraggiare le iniziative e di forgiare comunità basate su uomini e donne che imparano a farsi carico della propria fragilità e di quella altrui, promuovendo la fraternità e l'amicizia sociale (cfr. ibid., 67). La comunità ecclesiale mostra la sua bellezza ogni volta che ricorda con gratitudine che il Signore ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4,19). Questa "amorevole predilezione del Signore ci sorprende, e lo stupore - per sua natura - non possiamo possederla per noi stessi né imporla". [...] Solo così può fiorire il miracolo della gratuità, il dono gratuito di sé. Né il fervore missionario può essere ottenuto come risultato di un ragionamento o di un calcolo. Mettersi in uno "stato di missione" è un effetto della gratitudine" (Messaggio alle Pontificie Opere Missionarie21 maggio 2020).

Tuttavia, i tempi non erano facili; i primi cristiani iniziarono la loro vita di fede in un ambiente ostile e complicato. Le storie di procrastinazione e di reclusione si sono incrociate con resistenze interne ed esterne che sembravano contraddire e persino negare ciò che avevano visto e sentito; ma questo, lungi dall'essere una difficoltà o un ostacolo che li portava a ritirarsi o ad autoassolversi, li ha spinti a trasformare tutti i disagi, le contraddizioni e le difficoltà in un'opportunità di missione. Anche i limiti e gli impedimenti sono diventati un luogo privilegiato per ungere tutto e tutti con lo Spirito del Signore. Niente e nessuno poteva essere escluso da questo annuncio liberatorio.

Abbiamo la testimonianza vivente di tutto questo nella Atti degli ApostoliIl libro da letto dei discepoli missionari. È il libro che racconta come il profumo del Vangelo abbia pervaso il loro cammino e suscitato la gioia che solo lo Spirito può darci. Il libro degli Atti degli Apostoli ci insegna a vivere le prove abbracciando Cristo, a maturare la "convinzione che Dio può agire in ogni circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti" e la certezza che "chi si offre e si dona a Dio per amore sarà sicuramente fecondo" (Esortazione apostolica "Lo Spirito di Dio"). Evangelii gaudium, 279). 

Anche noi: il momento attuale della nostra storia non è facile. La situazione pandemica ha evidenziato e amplificato il dolore, la solitudine, la povertà e le ingiustizie già vissute da molti, mettendo a nudo le nostre false sicurezze e le frammentazioni e polarizzazioni che ci feriscono silenziosamente. I più fragili e vulnerabili hanno sperimentato ancora di più la loro vulnerabilità e fragilità. Abbiamo sperimentato lo scoraggiamento, il disincanto, la stanchezza e persino l'amarezza conformista e senza speranza potrebbe impadronirsi del nostro sguardo. Ma noi "non proclamiamo noi stessi, ma Gesù come Cristo e Signore, perché non siamo altro che servi per voi a causa di Gesù" (2 Co 4,5). Per questo sentiamo la Parola di vita risuonare nelle nostre comunità e nelle nostre case, risuonare nei nostri cuori e dirci: "Non è qui, è risorto!Lc 24,6); una Parola di speranza che rompe ogni determinismo e, per chi si lascia toccare, dà la libertà e l'audacia necessarie per alzarsi e cercare creativamente tutti i modi possibili di vivere la compassione, quel "sacramentale" della vicinanza di Dio a noi che non abbandona nessuno sul ciglio della strada. In questo tempo di pandemia, di fronte alla tentazione di mascherare e giustificare l'indifferenza e l'apatia in nome di una sana presa di distanza sociale, è urgente la missione della compassione in grado di trasformare la distanza necessaria in un luogo di incontro, cura e promozione. "Ciò che abbiamo visto e sentito" (Atti 4,20), la misericordia con cui siamo stati trattati diventa il punto di riferimento e di credibilità che ci permette di recuperare la passione comune di creare "una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale dedicare tempo, fatica e beni" (Lettera enciclica, p. 4,20). Fratelli tutti, 36). È la sua Parola che ci redime ogni giorno e ci salva dalle scuse che ci portano a rinchiuderci nel più vile scetticismo: "è tutto uguale, non cambierà nulla". E di fronte alla domanda: "Perché dovrei privarmi delle mie sicurezze, comodità e piaceri se non vedrò alcun risultato significativo?", la risposta rimane sempre la stessa: "Gesù Cristo ha trionfato sul peccato e sulla morte ed è pieno di potere". Gesù Cristo vive veramente" (Esort. ap. Evangelii gaudium275) e ci vuole vivi, fraterni e capaci di accogliere e condividere questa speranza. Nel contesto attuale, è urgente la necessità di missionari della speranza che, unti dal Signore, siano in grado di ricordare profeticamente che nessuno si salva da solo. 

Come gli apostoli e i primi cristiani, anche noi diciamo con tutte le nostre forze: "Non possiamo non parlare di ciò che abbiamo visto e udito" (Atti 4,20). Tutto quello che abbiamo ricevuto, tutto quello che il Signore ci ha dato, ce lo ha regalato perché lo mettessimo in gioco e lo donassimo liberamente agli altri. Come gli apostoli, che hanno visto, ascoltato e toccato con mano la salvezza di Gesù (cfr. 1 Gv 1,1-4), così noi oggi possiamo toccare la carne sofferente e gloriosa di Cristo nella storia di tutti i giorni ed essere incoraggiati a condividere con tutti un destino di speranza, quella nota indiscutibile che deriva dal sapere che siamo accompagnati dal Signore. Noi cristiani non possiamo tenere il Signore per noi: la missione evangelizzatrice della Chiesa esprime il suo coinvolgimento totale e pubblico nella trasformazione del mondo e nella cura del creato.

Un invito a ciascuno di noi

Il motto della Giornata Missionaria Mondiale di quest'anno, "Non possiamo smettere di parlare di ciò che abbiamo visto e sentito" (Atti4,20), è un invito a ciascuno di noi a "farsi carico" e a far conoscere ciò che abbiamo nel cuore. Questa missione è ed è sempre stata l'identità della Chiesa: "Essa esiste per evangelizzare" (San Paolo VI, Esortazione apostolica ad evangelizzare). Evangelii nuntiandi, 14). La nostra vita di fede si indebolisce, perde profezia e capacità di stupore e gratitudine nell'isolamento personale o chiudendosi in piccoli gruppi; per la sua stessa dinamica richiede un'apertura crescente capace di raggiungere e abbracciare tutti. I primi cristiani, lungi dall'essere sedotti dalla clausura in un'élite, furono attratti dal Signore e dalla nuova vita che offriva per andare tra la gente e testimoniare ciò che avevano visto e sentito: il Regno di Dio è vicino. Lo hanno fatto con la generosità, la gratitudine e la nobiltà di chi semina sapendo che altri mangeranno il frutto della sua dedizione e del suo sacrificio. Per questo mi piace pensare che "anche i più deboli, i più limitati e feriti possono essere a loro modo missionari, perché il bene deve sempre poter essere comunicato, anche se vive con molte fragilità" (Esortazione apostolica post-sinodale, p. 4). Cristo vivit, 239).

Nella Giornata Missionaria Mondiale, che si celebra ogni anno la penultima domenica di ottobre, ricordiamo con gratitudine tutte quelle persone che, con la loro testimonianza di vita, ci aiutano a rinnovare il nostro impegno battesimale di essere apostoli generosi e gioiosi del Vangelo. Ricordiamo soprattutto coloro che sono stati in grado di mettersi in cammino, di lasciare la loro terra e le loro case perché il Vangelo potesse raggiungere senza indugio e senza paura quegli angoli di paesi e città dove tante vite hanno sete di benedizione.

La contemplazione della loro testimonianza missionaria ci incoraggia ad essere coraggiosi e a chiedere con insistenza "al padrone di mandare operai per la sua messe" (Lc 10,2), perché siamo consapevoli che la vocazione alla missione non è qualcosa di passato o un ricordo romantico di altri tempi. Oggi Gesù ha bisogno di cuori capaci di vivere la propria vocazione come una vera e propria storia d'amore, che li faccia andare verso le periferie del mondo e diventare messaggeri e strumenti di compassione. Ed è una chiamata che Egli fa a tutti noi, anche se non nello stesso modo. Ricordiamo che ci sono periferie che sono vicine a noi, nel centro di una città o nella propria famiglia. C'è anche un aspetto dell'apertura universale dell'amore che non è geografico ma esistenziale. Sempre, ma soprattutto in questi tempi di pandemia, è importante ampliare la nostra capacità quotidiana di allargare le nostre cerchie, di raggiungere coloro che non sentiremmo spontaneamente parte del "mio mondo di interessi", anche se ci sono vicini (cfr. Lettera enciclica, p. 4). Fratelli tutti, 97). Vivere la missione vuol dire avventurarsi a sviluppare gli stessi sentimenti di Cristo Gesù e credere con Lui che chiunque sia al mio fianco è anche mio fratello e sorella. Che il suo amore compassionevole risvegli i nostri cuori e ci renda tutti discepoli missionari.

Che Maria, la prima discepola missionaria, accresca in tutti i battezzati il desiderio di essere sale e luce nelle nostre terre (cfr. Mt5,13-14).

Roma, San Giovanni in Laterano, 6 gennaio 2021, Solennità dell'Epifania del Signore.

Francisco

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