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La molteplice influenza di Kierkegaard sulla teologia

La poderosa personalità e il complesso lavoro di Kierkegaard sono stati l’occasione per molti risvegli di autenticità cristiana in grandi autori protestanti e cattolici, e hanno fatto luce su un numero enorme di temi.

Juan Luis Lorda·21 de diciembre de 2021·Tiempo de lectura: 7 minutos
Kierkegaard

Testo originale in spagnolo qui

I pensatori cristiani del diciannovesimo secolo che più affascinano nella teologia del ventesimo secolo sono tre: Newman, Dostoevskij e Kierkegaard. Curiosamente, arrivano  a questo traguardo attraverso canali quasi comuni a quelli della Germania della Francia e all’intero universo cristiano. Tutti e tre hanno biografie, o parti di esse, che possono definirsi «drammatiche». In Newman, la sua conversione. In Dostoevskij, tutta la sua vita. In Kierkegaard (1813-1855), la seconda parte e soprattutto l’ultima parte della sua breve vita (1846-1855), quando il filosofo si è caricato appieno di quella che considerava la sua missione: fare dei cristiani di quelli che non sono veramente cristiani.

Una vita drammatica

Solo la sua (lunga) permanenza all’università ha, il più delle volte, un tono spensierato e giovanile, dove egli si gode la vita, gli amici, la birra e l’opera (e i corsi). Comunque sia rimane sempre sotto la minaccia della «malinconia» (depressione), e con l’impronta della sua seria educazione luterana e della morte di cinque fratelli.

Il periodo dell’infatuazione per Regina Olsen, anch’esso abbastanza drammatico, lascia il posto alla missione. Anche rompere con lei è stato il suo modo di bruciare le navi e iniziare la sua missione, ispirato in parte da Socrate e in parte da Cristo. Come Socrate, egli vi sente chiamato a interrogare i suoi compagni danesi con ironia affinché si rendano conto di non essere cristiani. Lui va avanti, vuole essere “cristiano” e lavorare per Cristo, e sa che questo cammino porta alla croce. E lo sperimenta nelle contraddizioni e nelle difficoltà che sopporta fino a morire esausto fisicamente, mentalmente ed economicamente.

Un conflitto di interpretazioni

È chiaro che tutto questo rendeva la sua vita più intensa e rafforzava sempre più la sua personalità. Era molto consapevole di essere “intenso”. E questo, pur inducendoci ad ammirarlo, è un ostacolo alla sua comprensione, perché la maggior parte di noi non è così.

E per di più l’ha anche resa difficile. Nell’esercizio della sua ironia socratica (motivo della sua tesi di dottorato), egli ha scritto le sue prime opere sotto diversi pseudonimi. Queste non sono un mero esercizio, un gioco, ma vogliono davvero rappresentare posizioni diverse, in cui lui sembra situarsi perfettamente, non così secondo la critica.

Il suo lavoro ha generato un “conflitto tra interpretazioni”. Attratto dalla sua opposizione a Hegel, dalla sua strenua difesa della personalità dell'»individuo» e dal suo concetto di «angoscia» (esistenziale), lo si considera come l’ispiratore dell’esistenzialismo di Heidegger e di Sartre.
Il che però avrebbe sorpreso e deluso Kierkegaard.

Perché, per Heidegger o Sartre, l’esistenzialismo è presupporre che Dio non c’è e, quindi, che bisogna arrabattarsi nell’esistere senza aspettarsi nulla.

 Per Kierkegaard è il contrario: la vera realizzazione dell’esistenza dell’individuo è quando si pone davanti a Dio, quando supera la fase estetica (il vivere alla ricerca del piacere) e la fase etica (il cercare di essere morali o decorosi da soli) per riconoscersi peccatore e bisognoso davanti a Dio (la fase religiosa). È in questo che una persona ritrova sé stessa (risolve la sua angoscia), così si fa individuo e così si fa cristiano.

Influenza nel personalismo 

Invece, Kierkegaard sarebbe stato entusiasta di apprendere che la sua difesa dell’individuo ha avuto un effetto diretto sui «filosofi del dialogo». Per Ebner e poi per Buber fu come un revulsivo spirituale, una conversione intellettuale e personale. Entrambi lo riconoscono esplicitamente. Per Martin Buber fu anche una grande ispirazione per il suo pensiero sociale, per opporsi al totalitarismo fascista e comunista, che in qualche modo consegue a Hegel, dove l’individuo diventa solo un tassello o un momento nella costruzione della società, della quale la politica è il vero fine e soggetto.

Con Ebner, l’influenza di Kierkegaard entra nell’insieme dei fermenti personalistici che rinnovano la morale cattolica e, con Buber, anche nell’antropologia cristiana.

D’altra parte, sarebbe ingiusto non riconoscere qui il ruolo che il convertito e intellettuale Theodor Haecker ha avuto nell’accoglienza di Kierkegaard nell’ambito della lingua tedesca. Immediatamente capì la forza del suo messaggio, lo tradusse e lo promosse. Attraverso di lui, molti pensatori di lingua tedesca hanno incontrato Søren Kierkegaard. E inoltre Haecker scrisse su di lui saggi notevoli, come «La Gobba di Kierkegaard”.

Il rinnovamento del protestantesimo 

Kierkegaard vide che i cristiani di Danimarca vivevano benissimo, che si definivano cristiani perché come tali registravano i loro nomi nel registro civile, perché partecipavano sporadicamente alle cerimonie e perché cercavano di vivere con standard di pubblica decenza. Tutto era cristiano per inerzia, senza alcuna tensione, senza drammi, senza croci. In altri tempi quella società era stata trasformata dal cristianesimo, ma poi tutto andò per il verso opposto: il benessere aveva reso il cristianesimo una innocua apparenza, una decorazione.

È propriamente questa critica che provocò il risveglio della coscienza di molti teologi protestanti, e soprattutto di Karl Barth.

La teologia protestante liberale aveva fatto esattamente ciò che Kierkegaard criticava: aveva appianato tutti gli aspetti scomodi del cristianesimo per renderlo accettabile a una società benestante, trasformarlo in una vaga apertura al «divino» e in una tendenza alla solidarietà (Schleiermacher) con le persone che cercano di essere cittadini onesti.

Leggendo Kierkegaard, Barth si rese conto del dissoluzione del cristianesimo che ciò comportava. Non è la ragione con la cultura di ogni epoca che deve giudicare la fede (perché la dissolve). Al contrario: è la fede, la rivelazione, che deve giudicare tutti i tempi e tutto ciò che è umano, per convertirli in cristiani. È il famoso cambiamento di Barth tra la prima e la seconda edizione del suo commento alla Lettera ai Romani.

Anche se, in seguito, man mano che la sua consapevolezza ecclesiale cresceva, il maturo Barth non si sarebbe sentito più tanto vicino a Kierkegaard.  Kierkegaard, alla fine, è piuttosto individualista, come vedremo più avanti.

Il cristianesimo di Kierkegaard

Tra la difficoltà di interpretazione di Kierkegaard e i tic intellettuali delle storie della filosofia, è possibile trovare presentazioni nelle quali il suo essere cristiano viene omesso, o menzionato come fosse un tratto del tutto secondario; oppure addirittura, data la sua critica alla chiesa così come è costituita, viene raffigurato come anticristiano, più o meno vicino a Nietzsche.

C’è un libriccino edito nel 1988 dalla casa editrice Aguilar, intitolato «Il mio punto di vista», una traduzione del poeta José Miguel Velloso, probabilmente dall’italiano.

Di passaggio, va detto che la storia delle traduzioni spagnole di Kierkegaard è “infinita”. Ed è d’obbligo citare Unamuno, che volle imparare il danese per poterlo leggere direttamente, e lo imitò il più possibile.

La traduzione di Velloso (nonostante la sua non perfetta conoscenza dell’italiano) presenta alcuni vantaggi: primo, che si legge molto bene; secondo, che riunisce tre scritti chiave di Kierkegaard in cui egli dichiara come si sente cristiano e come intende la sua missione.

Un testo più lungo, intitolato «Il mio punto di vista», è del 1846 ed è stato curato postumo da suo fratello, un vescovo della Chiesa di Danimarca. In più c’è il breve testo, dal titolo «Quell’individuo». dove sostiene che diventare pienamente persona è anche diventare cristiano.

Più tardi, pure molto breve, un testo intitolato «Sul mio lavoro come scrittore» (1849) e un altro dal titolo «La mia posizione come scrittore religioso» (1850). Questi scritti, firmati da lui senza pseudonimo, non lasciano dubbi sull’intensità con cui Kierkegaard ha voluto essere e testimoniare di essere cristiano. Questi scritti possono essere considerati come il suo testamento intellettuale.

Kierkegaard e Cristo 

Ovviamente Kierkegaard non è un cristiano convenzionale. La sua missione era proprio quella di opporsi alla trasformazione del cristianesimo in una convenzione di carattere sociale. Aveva ricevuto dal padre un’educazione intensamente cristiana e pia, anche se questo punto è stato talvolta esagerato. Egli la conservò nel cuore per tutta la vita.

La cosa più eccitante è che si può osservare il lui una sorta di identificazione crescente con Cristo, soprattutto nel suo ultimo periodo. In questo ricorda molto Dostoevskij. Non solo ammira la figura di Cristo e promuove la sua devozione, ma si identifica con lui anche quando soffre le incomprensioni a cui la sua missione lo espone.

Consultando a questo proposito José García Martín, specialista spagnolo di Kierkegaard, mi scrisse: “Riguardo alla sua adesione a Cristo, devo dire che essa fu totale ed esistenzialmente impegnata a partire dalla sua conversione spirituale, pur senza giungere ad un ‘martirio di sangue ‘, anche se a Lui ha sacrificato la sua vita e la sua fortuna. Di fatto possiamo infatti considerare Cristo come la figura più significativa e decisiva della sua vita e della sua opera”.

A proposito, questo autore ha un saggio notevole sull’accoglienza che Kierkegaard ebbe nell’America Latina. Molti articoli possono anche essere trovati online, compresa un’eccellente “Introduzione alla lettura di Søren Kierkegaard”.

Cornelio Fabro, i Diari e l’Esercitazione

Per accedere alla comprensione dell’anima di Kierkegaard, ci sono certamente quelle piccole opere che abbiamo menzionato nel “Mio punto di vista”. E ci sono i suoi Diari, dei quali in castigliano abbiamo solo una selezione.

In questo campo e in quello dell’interpretazione cristiana generale di Kierkegaard, il filosofo tomista Cornelius Fabro ha svolto un ruolo molto importante. Ha fatto una traduzione italiana molto meritoria in molti volumi, oltre a molti studi e un’eccellente introduzione ai diari, che occupa un intero volume dell’edizione italiana e offre una visione chiarificatrice della vita e del lavoro di Kierkegaard. Online troviamo registrata anche una interessante intervista

 Fabro ha anche realizzato un’edizione italiana di “Esercizio di cristianesimo”.

“Esercizio di cristianesimo” (1848), in danese Indøvelse i Christendom, è una delle grandi opere cristiane di Kierkegaard. che fu pubblicata con lo pseudonimo di Anticlimacus.

Come abbiamo già detto, gli pseudonimi nelle opere di Kierkegaard spesso introducono difficili cambi di prospettiva. Ma qui usa lo pseudonimo perché, per così dire, egli non si reputa all’altezza di parlare con il proprio nome.

Metto qui appresso la citazione dal primo volume della meritoria traduzione che Guadarrama fece di alcune sue opere (1961), ove nel prologo si chiarisce:

In questo scritto […] l’obbligo: essere cristiano, costretto dallo pseudonimo sino al più alto grado di idealità […]. L’esigenza deve essere sentita; e comprendo ciò che ho detto come detto solo a me stesso – che dovrei imparare non solo a cercare rifugio nella ‘grazia’, ma a fidarmi di essa rispetto all’uso che ne faccio».

Kierkegaard ecumenico 

Osservando queste citazioni relative alla «grazia», così come la sua critica alla chiesa protestante ufficiale, alcuni lo hanno inteso come vicino al cattolicesimo.

La questione è complessa. Forse sarebbe meglio dire che Kierkegaard è un personaggio «ecumenico», non si adatta bene ad alcuno, benché abbia un messaggio per tutti, perché tocca alcuni aspetti autentici e centrali del cristianesimo: appassionato amore per Cristo, consapevolezza del bisogno di Dio nell’essere umano e anelito alla propria salvezza.

Kierkegaard non è giunto fino a percepire la bellezza della liturgia e il suo rapporto profondo con l’essenza della Chiesa. Quell’esperienza non apparteneva al suo mondo. Lui vedeva una chiesa ufficiale confondersi con la società tradizionale danese,  il cui centro più autentico era la predicazione.

Si era formato all’Università per diventare pastore; era il vivo desiderio di suo padre e, in momenti diversi, anch’egli lo aveva fortemente desiderato e vi si era dedicato. Fu anche attratto dalla predicazione e la praticò in vario modo, lasciando una curiosa e complessa eredità di «sermoni edificanti». Presto però capì che la sua missione cristiana era molto più solitaria e socratica. Egli non proveniva dall’interno del sistema, ma piuttosto dal di fuori, da dove avrebbe dovuto battersi e morire per la causa.

Conclusione 

Uno degli aspetti più sorprendenti nella vastissima letteratura che riguarda Kierkegaard è l’opera del filosofo americano John Stewart. Oltre a diverse monografie sue, ha diretto una vasta serie di collaborazioni riguardanti l’influenza di Kierkegaard su tutti gli aspetti del pensiero, compresa la teologia (3 volumi).

Dal punto di vista cattolico abbiamo citato Cornelius Faber, e vanno citati anche i classici saggi di Régis Jolivet.

In filosofia, Mariano Fazio ha una «Guida al pensiero di Kierkegaard», che è possibile consultare online, e la corrispondente voce dell’enciclopedia Philosophica, sempre online. Esiste anche uno studio di Sellés sull’antropologia di Kierkegaard,

Indubbiamente c’è anche molto di più. Kierkegaard è un autore che ha bisogno di presentazioni per non perdersi nei labirinti che lui stesso ha creato e anche in quelli creati dai suoi commentatori.

Senza mai dimenticare che il «Mio punto di Vista», con le sue estensioni, è veramente il suo punto di vista.

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