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Pasqua, una nuova creazione. Prefazioni pasquali (III)

Il quarto prefazio pasquale ci aiuta a vedere la Pasqua come una nuova creazione e nel quinto ritorna l'immagine dell'Agnello sacrificato. In occasione della Pasqua, i cinque prefazi pasquali sono stati spiegati in tre articoli. Oggi pubblichiamo il terzo e ultimo articolo dell'autore, con un commento al quarto e al quinto prefazio pasquale.

Giovanni Zaccaria-21 aprile 2023-Tempo di lettura: 4 minuti
Liturgia

Messale romano (Unsplash / Mateus Campos Felipe)

La quarta prefazione ci aiuta a contemplare la Pasqua come una nuova creazione. In effetti, il mistero pasquale ha inaugurato un tempo nuovo, un mondo nuovo; nella sua seconda lettera ai CorinziPaolo si riferisce proprio alla morte e alla risurrezione di Cristo come principio di novità assoluta innanzitutto per gli esseri umani: "Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto per loro ed è risuscitato". Quindi non guardiamo più nessuno in modo umano; anche se abbiamo conosciuto Cristo in modo umano, non lo conosciamo più in quel modo. Se dunque qualcuno è in Cristo, è una nuova creatura" (2 Cor 5, 15-17).

Lo stesso linguaggio è presente nel Battesimo, che è appunto l'immersione di ogni persona nel mistero pasquale: quando i genitori portano il loro bambino al fonte battesimale, il celebrante si rivolge a loro, annunciando che Dio sta per dare a quel bambino una nuova vita, che rinascerà dall'acqua e dallo Spirito Santo, e che questa vita che riceverà sarà la vita stessa di Dio.

Infatti, seguendo l'insegnamento di San PaoloCon il battesimo siamo stati immersi nella morte di Cristo per camminare in una vita nuova: "il vecchio uomo che era in noi è stato crocifisso con lui" (Rm 6, 6).

Ma, allo stesso tempo, questa novità vale per l'intero universo creato; è ancora San Paolo che, concludendo il ragionamento sopra esposto, afferma: "Le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove" (2 Cor 5,17). Tutto si rinnova: la risurrezione di Cristo ha aperto una nuova fase della storia, che si concluderà solo alla fine dei tempi, quando si completerà il disegno di ricondurre tutte le cose a Cristo, unico Capo. 

Infatti, l'Apocalisse vede Dio seduto sul trono e una voce potente dichiara: "Non ci sarà più la morte, né lutto, né pianto, né dolore, perché le cose di prima sono passate. E colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose"" (Ap 21:4-5). I nuovi cieli e la nuova terra, che caratterizzeranno la nostra condizione finale, iniziano con la risurrezione di Cristo, primogenito di una nuova creazione (cfr. Col 1, 15.18). 

Domenica, foriera di vita senza fine

Per questo la Chiesa, parlando della domenica, la Pasqua della settimana, la definisce anche come l'ottavo giorno, "collocato cioè, rispetto alla settuplice successione dei giorni, in una posizione unica e trascendente, che evoca non solo l'inizio del tempo, ma anche la sua fine alla fine dei tempi". secolo futuro". San Basilio spiega che la domenica significa il giorno veramente unico che seguirà il tempo presente, il giorno senza fine che non conoscerà né sera né mattina, il secolo imperituro che non può invecchiare; la domenica è l'incessante foriera della vita senza fine, che riaccende la speranza dei cristiani e li incoraggia nel loro cammino" (Giovanni Paolo II, Lettera apostolica, "La domenica è il giorno che non finirà mai, che non conoscerà né sera né mattina, il secolo imperituro che non può invecchiare; la domenica è l'incessante foriera della vita senza fine, che riaccende la speranza dei cristiani e li incoraggia nel loro cammino". Feste della domenica, n. 26).

La Pasqua ci apre quindi alla contemplazione della nostra vita assunta da Cristo e totalmente rinnovata grazie alla sua Passione, Morte e Risurrezione: Egli ha preso su di sé le nostre miserie, i nostri limiti, i nostri peccati e ci ha generato a una vita nuova, la vita nuova in Cristo, che ci apre alla speranza, perché tutto ciò che in noi è miseria e morte, in Lui è ricostruito ed è promessa di vita.

La quinta prefazione

Nel quinto prefazio ritorna l'immagine dell'Agnello immolato, ma in questo caso unita a quella del sacerdote e dell'altare. È un'immagine audace, che unisce nella persona di Cristo le tre grandi categorie dei sacrifici dell'Antica Alleanza, gettando così nuova luce sul significato di quei sacrifici e aprendo una novità senza precedenti.

In effetti, l'intera pratica sacrificale dell'Antico Testamento era incentrata sul concetto di santità. (kadosh): la presenza di Dio è qualcosa di supremamente forte e impressionante, che suscita nell'uomo stupore e soggezione. È qualcosa di totalmente diverso, tanto che Dio è chiamato "il tre volte santo": è colui che è totalmente diverso sia dagli altri dei sia dalla sfera umana.

Ciò significa che affinché una supplica o un sacrificio raggiunga l'irraggiungibile, è necessario che quel sacrificio sia separato dall'ordinario. Per questo motivo, il culto dell'Antico Testamento era caratterizzato da una serie di separazioni rituali: il sommo sacerdote era una persona separata dagli altri, sia per nascita (poteva essere scelto solo dalla tribù di Levi e, in questa tribù, solo all'interno della famiglia discendente da Aronne), sia in virtù di particolari riti di consacrazione (bagni rituali, unzioni, vesti, ecc., il tutto accompagnato da numerosi sacrifici animali). 

Allo stesso modo, la vittima sacrificale era separata da tutti gli altri animali: poteva essere scelta solo in base a determinate caratteristiche e doveva essere offerta secondo un rituale molto specifico. Infine, solo un fuoco sceso dal cielo poteva portare in cielo la vittima offerta dal sommo sacerdote (ecco perché il fuoco del Tempio era costantemente sorvegliato e alimentato) e l'offerta poteva avvenire solo nel luogo più sacro, quello più vicino a Dio, il Tempio di Gerusalemme.

Gesù, un nuovo culto

Gesù, invece, inaugura un nuovo culto, caratterizzato dalla solidarietà con i fratelli: Cristo, infatti, "per diventare sommo sacerdote", "doveva diventare in tutto simile ai fratelli" (Eb 2,17); dal contesto è chiaro che "in tutto" non si riferisce solo alla natura umana, cioè al mistero dell'Incarnazione, ma anche e soprattutto alla sofferenza e alla morte.

Egli è quindi la vera vittima, l'unica veramente gradita al Padre, perché non si offre al posto di qualcun altro, ma è caratterizzato dall'offerta di se stesso: l'obbedienza di Gesù cura la disobbedienza di Adamo.

Infine, è il luogo santo per eccellenza, l'altare che rende unica e definitiva l'offerta. Infatti, la purificazione del Tempio operata da Gesù prima della sua Passione e Morte è avvenuta in vista dell'erezione dell'unico e definitivo Tempio, che è il suo Corpo (cfr. Gv 2,21): la sua Risurrezione inaugura il tempo in cui i veri adoratori adoreranno in Spirito e verità (Gv 4,23), cioè appartenendo alla Chiesa, Corpo di Cristo. La distruzione del Tempio, avvenuta nel 70 d.C. e profetizzata da Gesù, non fa che sancire definitivamente questa novità.

A questo si aggiunge il fatto che offriamo la nostra vita sempre "Per Cristo, con Cristo e in Cristo", cioè con la sua mediazione, la nostra offerta poggiando sull'offerta che ha fatto di sé una volta per tutte.

L'autoreGiovanni Zaccaria

Pontificia Università della Santa Croce (Roma)

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