Artículos

La priorità della grazia: il teologo Karl-Heinz Menke, sull’Opus Dei

Il teologo tedesco Karl-Heinz Menke ha sottolineato la precedenza che il fondatore dell'Opus Dei, san Josemaria Escrivà, attribuisce nei suoi insegnamenti all’azione della grazia divina, anche nella vita ordinaria dei comuni fedeli.

Emilio Mur·8 de septiembre de 2022·Tiempo de lectura: 7 minutos
Karl-Heinz Menke

Testo originale del articolo in spagnolo qui

Karl-Heinz Menke è Professore Emerito di Teologia Dogmatica all’Università di Bonn, dal 2014 al 2019, è stato membro della Commissione Teologica Internazionale, e nel 2017 ha ricevuto il Premio «Joseph Ratzinger» per la Teologia.
Il prestigioso professore ha anche confutato le critiche che un altro illustre teologo, il cardinale svizzero Hans Urs von Balthasar, ha fatto a «Cammino», l’opera più conosciuta di Josemaria Escrivà.

Karl-Heinz Menke riconosce di averle condivise per qualche tempo, ma ora vede che von Balthasar ha mancato il punto cruciale: «solo se ho inteso come una grazia i miei genitori, la mia educazione, i colpi del destino e le mie incapacità, i limiti e i talenti della mia vita; solo se ho capito con tutta la mia esistenza che io — proprio io! — posso muovere le montagne ed essere luce e sale della terra, posso e devo permettere che mi dicano, forse ogni giorno: “Tu puoi fare molto di più. Abbandona i sedimenti! Non sei un sacco di sabbia; reagisci! Tempra la tua volontà!”»

Karl-Heinz Menke si è espresso così a Colonia (Germania) il 25 giugno, durante l’omelia di una Messa celebrata in occasione della memoria del fondatore dell’Opus Dei. In più, ha evidenziato l’importanza che san Josemaria attribuisce alla libertà, e l’impegno sociale e caritativo delle persone dell’Opera.
Per vostro interesse, riproduciamo il testo completo, in una traduzione spagnola.

Omelia in occasione della commemorazione di San Josemaria Escrivà, in Sant’Orsola a Colonia

È successo molto tempo fa, ma ci sono cose che non si dimenticano. Ricordo così un incontro a cui avevo invitato i genitori dei ragazzi che stavano per ricevere la prima confessione e la prima comunione. Come accade di solito in questo tipo di incontri, all’inizio tutto ruotava intorno a cose esterne: ordine, distribuzione dei compiti, abbigliamento e simili.

Ma poi una madre, una che conoscevo bene, si alzò e, tutta emozionata e con il volto arrossato, si sfogò dicendo quello che evidentemente aveva represso per molto tempo. Più o meno disse: lei ci conosce, me e mio marito. Andiamo a Messa tutte le domeniche e spesso anche durante la settimana. Andiamo anche a confessarci. Io vado di casa in casa a raccogliere fondi per la Caritas. E mio marito è nel consiglio di amministrazione dell’Opera Kolping Internazionale. Se c’è da aiutare nella festa parrocchiale, per il Corpus Domini o per qualsiasi altra festa, noi ci siamo. Solo che le persone ridono di noi, perfino i nostri stessi parenti, I nostri vicini non devono discutere con i loro ragazzi per convincerli ad andare a Messa la domenica. Danno la pillola alle loro figlie adolescenti e non si fanno scrupoli al momento di compilare le loro dichiarazioni dei redditi. E tanto meno devono spiegare cos’è il peccato a un bambino di otto anni — come ho già fatto io già quattro volte — e che Gesù ci aspetta ogni domenica.

Questa donna ha detto —sono ormai passati decenni! — quello che molti pensavano o sentivano. Se ho ben capito san Josemaria Escrivà, è lui stesso una risposta a questa
domanda.

Ciò che più mi ha affascinato leggendo la biografia di Josemaria Escrivà di Peter Berglar, è il dono del santo di scoprire in ogni essere umano —anche in chi è profondamente ferito dalle deviazioni e dagli inganni del peccato— la grazia [!!!] che scoperta e dispiegata coerentemente, può diventare qualcosa di luminoso (luce del mondo e sale della terra).

San Josemaria ne era profondamente convinto: ogni essere umano, è toccato dalla grazia per quanto la sua vita possa sembrare poco appariscente agli occhi di questo mondo, e per quanto la sua vita sia ostacolata da ogni sorta di avversità e limiti, Si deve solo riconoscere e risvegliare questa grazia, incoraggiarla costantemente e farla fruttificare.

Il sentiero segnato dalla grazia si identifica di rado nello stesso modo. Chi è diventato dentista avrebbe anche potuto diventare un buon insegnante. Praticamente nessuno è naturalmente adatto per natura a una sola professione. Certo, bisogna tener conto della natura; chi non sa parlare non dovrebbe diventare oratore, e chi non ha abilità manuale non dovrebbe diventare orologiaio. Ma è sempre vero che quando uno ha scoperto ciò che è destinato a essere, quando finalmente sai qual è la grazia della tua stessa vita, allora viene avanti il resto.

San Josemaria consiglia di ricevere l’Eucaristia ogni giorno e di riservarsi due mezze ore al giorno per conversare con il Signore, ma non per aggiungere qualcosa di religioso ai tanti impegni della vita quotidiana. In questo caso, il rapporto con Dio o con Cristo sarebbe qualcosa come mettere un secondo piano sopra il piano terra della giornata lavorativa. No! Si tratta di dare il primato alla ricezione della grazia, che deve determinare tutto ciò di cui parliamo, che progettiamo, che pensiamo e che facciamo.

La grazia non supplisce alla natura. Un cattivo dottore non diventa bravo andando a Messa tutti i giorni. Al contrario, coloro che coprono la pigrizia, l’incompetenza o l’incapacità con il manto della pietà, sono come una di quelle figure comiche che Friedrich Nietzsche e Heinrich Heine hanno ferocemente ridicolizzato. La pietà non sostituisce la mancanza di competenza.

Invece, per esempio, un medico che veda il suo lavoro come dono di Cristo ai suoi pazienti, allo stesso tempo farà del suo meglio. Questa è la santità: la santificazione del lavoro.

Senza grazia, tutto è niente. Ma con la grazia posso spostare le montagne. San Paolo lo ha detto con una schiettezza difficile da battere: “Anche se parlassi tutte le lingue degli uomini e degli angeli, anche se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, anche se avessi tutta la fede, una fede capace di smuovere montagne, se non avessi la carità [Josemaria Escrivà direbbe: “grazia”], sarei come una campana che risuona o un cembalo che tintinna, non sarei niente” (1 Cor. 13,1 e s.).
Solo chi ha capito che la sua vita —sia quella della madre citata all’inizio, o quella del suddetto medico, quella di muratore o di infermiera — è grazia (contenitore della carità), comprende gli imperativi che san Josemaria raccoglieva in Cammino”: “La mediocrità? “Tu… del gruppo!?Tu puoi molto di più. Lascia i sedimenti! Non sei un sacco di sabbia; reagisci! Tempra la tua volontà!”

Devo riconoscere che per molto tempo, purtroppo, ho accettato le critiche di Hans Urs von Balthasar. Ha descritto questi imperativi come semplici istruzioni, come se fossero delle pedate nel didietro; ma così facendo — e pur essendo uno dei più grandi teologi — ha mancato il punto cruciale: solo se ho capito i miei genitori, la mia educazione, i colpi del destino e le incapacità, i limiti e i talenti della mia vita di Grazia; Solo se ho capito con tutta la mia esistenza che io — proprio io! — posso muovere le montagne ed essere luce e sale della terra, posso e devo permettere che mi dicano, forse ogni giorno:
“Tu puoi fare molto di più. Butta via i sedimenti! Non sei un sacco di sabbia; reagisci! Tempra la tua volontà!»

Il Vangelo della pesca miracolosa, il Vangelo previsto per la festa di san Josemaria, ci ricorda l’esigenza fondamentale di ogni successo missionario: «Getta le reti per pescare! Non invidiare le reti degli altri! Sappi, dove ti hanno posto, l’amore, la grazia di Cristo». Il successo missionario, per molti contemporanei, è un termine che sa di manipolazione e appropriazione. Ma la carità non prende il sopravvento su nessuno; al contrario, libera.

Sono ancora oggi in corrispondenza con un uomo che — era un addetto alla raccolta dei rifiuti — dopo il divorzio del suo matrimonio è diventato un ubriacone, senzatetto, ecc.; tutti possono immaginare di quale precipitosa caduta sto parlando.

Uno studente ventenne, oggi fedele dell’Opus Dei con tutta la sua famiglia, lo raccolse letteralmente dalla strada e lo accompagnò per due anni con ammirevole fedeltà, passo dopo passo e nonostante tutti i contrattempi.

Oggi quest’uomo, liberato dal suo inferno, assiste alla Santa Messa quasi tutti i pomeriggi; raccoglie dalla spazzatura i giocattoli scartati, li ripara durante le sue molte ore libere e li dona a vari asili nido e case per bambini. Ha anche sviluppato due brevetti e nel maggio dello scorso anno ha ricevuto la Croce al Merito tedesca.

Il cardinale Schönborn ne ‘La gioia di essere sacerdote’ parla di uno dei suoi sacerdoti: «Da decenni si reca nel confessionale tutti i giorni alle quattro e mezza del mattino.
Persone provenienti da tutta la regione sanno che lì possono trovare il “prete». Quando vanno a lavorare a Vienna o nei dintorni, molti fanno una piccola deviazione per andare in quella città e confessarsi.

Lui è sempre lì. Ha anche ampliato un po’ il confessionale per poterci fare la sua ginnastica mattutina. Legge, prega e aspetta; semplicemente sta lì. È uno dei migliori sacerdoti, anche per i giovani, dai quali è molto amato. Un sacerdote che è lui stesso grazia, perché vive di grazia».

Tutto tramite la grazia può essere vissuto in modo da possedere, e tutto in modo di amare. Ad esempio, ci sono scienziati che lavorano giorno e notte per scoprire un vaccino che salvi la vita di centinaia di migliaia di persone, senza pensare nemmeno un attimo ai soldi che guadagneranno.

E ci sono perfino persone che vivono la povertà evangelica con il motto: “Vedi: io possiedo la povertà; tu non ce l’hai!» San Josemaría chiamava il suo sacerdozio “della Santa Croce” perché viveva di Eucaristia. Chi vive di ‘Eucaristia sa che la grazia come perfezione della natura è anche crocifissione. Non si può ricevere il Cristo che letteralmente si dona (si sacrifica) senza la volontà di lasciarsi mettere in questo dono (il sacrificio) di sé: più il sacrificio è concreto, meglio è. Certamente: quello che è decisivo è l’indicativo, non l’imperativo. Ciò che è decisivo viene dato a ciascuno di noi in un modo unico. Ma è anche vero che non siamo semplicemente oggetto di grazia; siamo anche soggetti di grazia.

Suppongo che san Josemaria avrebbe risposto alla madre che si era sfogata in quell’incontro dei genitori alla vigilia della prima confessione e comunione dei suoi figli, che l’essere cristiano non è mai stato comodo. Però, quando si vive di grazia, non si vuole più farne a meno.

Perché chi si dona si rende libero. Quasi nessuno dei tanti critici dell’Opus Dei sa che non c’è un argomento di cui san Josemaria abbia parlato tanto quanto quello della libertà. In una sua omelia del 1963 confessa: «Sono un grande amico della libertà, e proprio per questo amo tanto quella virtù cristiana [l’obbedienza]. Dobbiamo sentirci figli di Dio e vivere con l’illusione di compiere la volontà di nostro Padre. Facciamo le cose secondo la volontà di Dio, perché ne abbiamo voglia e ci conviene, il che è la ragione più soprannaturale. Quando decido di volere ciò che vuole il Signore, allora mi libero da tutte le catene che mi hanno incatenato alle cose e alle preoccupazioni […]. Lo spirito dell’Opus Dei, che da più di trentacinque anni cerco di praticare e insegnare, mi ha fatto capire e amare la libertà personale».

Questo spiega — mi sembra — la scelta della seconda lettura della Messa in sua memoria (Rm 8, 14-17): «Coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio. Non avete ricevuto uno spirito di schiavitù […], ma uno spirito di figli adottivi» (8, 15).

El autorEmilio Mur

Newsletter La Brújula Déjanos tu mail y recibe todas las semanas la actualidad curada con una mirada católica
Banner publicidad
Banner publicidad