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Papato, unità e sinodalità

La festa dei Santi Pietro e Paolo mette in evidenza il compito e la missione del successore di Pietro. Il sacerdote e teologo Ramiro Pellitero presenta con chiarezza la figura del Papa nella Chiesa cattolica, il suo compito di unità al servizio della Chiesa universale, senza dimenticare il processo sinodale in cui la Chiesa è attualmente coinvolta.

Ramiro Pellitero-29 giugno 2023-Tempo di lettura: 8 minuti
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Foto: Statua di San Pietro. Piazza San Pietro in Vaticano

La festa annuale dei Santi Pietro e Paolo offre l'opportunità di evidenziare alcune questioni fondamentali riguardanti la figura del Papa e il suo ministero di unità al servizio della Chiesa universale, tenendo conto del contesto attuale, in particolare del processo sinodale in corso. 

Per quanto riguarda le prime domande, queste e altre si possono trovare in modo sintetico in dizionari teologici e altri testi. In questa occasione, abbiamo trovato particolarmente utile il termine "Primato romano", scritto da D. Valentini, nella Dizionario di ecclesiologiadiretto da G. Calabrese e altri, e coordinato nella sua edizione spagnola da J. R. Villar, Madrid 2016.

Il primato di Pietro e la sua trasmissione

Il punto di partenza non può che essere il Nuovo Testamento. Due questioni spiccano: il primato di Pietro nel gruppo degli apostoli - come sottolineano sia i Vangeli sinottici che gli Atti degli Apostoli - e la sua trasmissione nel Vescovo di Roma. 

Pietro (ex Simone) è colui che confessa la divinità di Gesù. A Pietro viene promesso di essere la pietra di fondazione per l'unità e la solidità della Chiesa. A Pietro viene dato il potere di interpretare e trasmettere gli insegnamenti del Maestro, con un'autorità apostolica superiore, ma sempre in comunione con gli altri apostoli. È il primo "pescatore di uomini" e portavoce degli altri discepoli, cui spetta anche il compito di confermarli nella fede, sul fondamento vivo e garantito della preghiera di Gesù. È particolarmente presente nel Vangelo di Giovanni. Riceve il suo primato da Gesù (cfr. Gv 21, 15-17), sotto la categoria del pastore, in riferimento alla sua unione con il Signore, che gli impone di essere pronto al martirio. E tutto questo presuppone la "successione" del ministero primaziale di Pietro nella Chiesa.  

Altri libri del Nuovo Testamento testimoniano l'"esercizio" di questo ministero. Insomma, come scrive il biblista R. Fabris: Pietro "occupa una posizione di rilievo, riconosciuta e attestata da tutta la tradizione neotestamentaria. Pietro è il discepolo storico di Gesù, il testimone autorizzato della sua risurrezione e il garante dell'autenticità della tradizione cristiana". 

Per quanto riguarda la trasmissione Nel caso del primato di Pietro sui suoi successori, una serie di fattori concorrono ad affermarlo: una certa "direzione di senso" nei testi dei Vangeli che si riferiscono a Pietro nel contesto degli atteggiamenti di Gesù; una convinzione di fede, nella tradizione ecclesiale, sulla successione di Pietro, e non solo degli apostoli; la successione stessa come mezzo di tale tradizione; l'interpretazione della funzione di Pietro come rappresentante sia di Gesù che degli apostoli; la successione essenzialmente legata alla trasmissione delle parole di Cristo e quindi della fede, nonché dell'imposizione delle mani.

Il ministero petrino: comunione e giurisdizione

Come è stato interpretato il primato romano nel corso della storia della Chiesa? San Giovanni Paolo II ha scritto: "La Chiesa cattolica è consapevole di aver conservato, nella fedeltà alla tradizione apostolica e alla fede dei Padri, il ministero del successore di Pietro, che Dio ha costituito "principio e fondamento perpetuo e visibile dell'unità" (Lumen gentium, 23)" (Lettera al cardinale Ratzingerin "L'Osservatore Romano", esp., 13-XII-1996).

Nel primo millennio Vanno sottolineati i riferimenti dei Padri (San Clemente di Roma, Sant'Ignazio di Antiochia e Sant'Ireneo) alla confessione di Pietro (cfr. Mt 16,16), anche se è solo a partire dal IV secolo che viene elaborata una dottrina teologica sul ministero del successore di Pietro. A questo si aggiunge il prestigio dell'autorità della "prima sede" e alcuni interventi decisivi dei Papi, in varie forme, in occasione dei concili del tempo o di questioni sollevate dai vescovi o dalle comunità ecclesiali. 

Nel secondo millennio le modalità di intervento dei primati cambiarono. Tra l'XI e il XV secolo, il primato romano fu fortemente enfatizzato. Al Concilio di Costanza (XV secolo), l'enfasi fu posta sulla figura del concilio, con il rischio del conciliarismo. Da allora fino al Concilio Vaticano I (XIX secolo) si è voluta una sintesi armonica tra il ruolo del Papa e quello dei vescovi. Nel Vaticano I le circostanze portarono a definire il potere del Papa in categorie giuridiche. Il Concilio Vaticano II ha fatto un passo avanti in questa sintesi desiderata, approfondendo il rapporto tra il Papa e i vescovi nel quadro della comunione ecclesiale. Il ministero petrino è compreso all'interno e al servizio dell'episcopato e quindi al servizio dell'intera comunità ecclesiale, promuovendo al contempo l'impegno ecumenico.

Da allora è continuato l'approfondimento di quella comprensione sostanziale del primato romano, una comprensione immutabile e permanente, presente fin dai primi secoli. Ciò che è cambiato è la modalità dell'esercizio del primato del successore di Pietro, a seconda di numerosi fattori e circostanze. In ogni caso, l'essenziale rimane lo stesso, per cui tra il secondo e il primo millennio non c'è rottura, ma anzi novità nella continuità.Certamente, nel primo millennio, l'enfasi è stata posta sulla comunione ecclesiale, mentre la seconda enfatizza la giurisdizioneMa entrambe le dimensioni sono sempre presenti. 

L'infallibilità del Papa al servizio dell'unità 

La Costituzione dogmatica Pastor aeternus del Concilio Vaticano I (1869-1870) si concentrò sul ministero del "primato romano" o "primato apostolico". Voleva affrontare soprattutto il rischio del gallicanesimo. Sottolinea che lo scopo del ministero primaziale di Pietro è l'unità tra i vescovi, l'unità della fede e l'unità tra tutti i fedeli. Afferma che Pietro ha ricevuto da Cristo una vera e propria primato della giurisdizione (di obbedienza e non solo di onore) su tutta la Chiesa e che questo primato rimane ai successori di Pietro. Il potere di giurisdizione del primate è qualificato come supremo (non solo come un primum inter pares; e inappellabile), pieno (in tutte le materie), universale (in tutto il mondo), ordinario (non delegato), immediato (non necessita della mediazione di vescovi o governi) e "veramente episcopale" (non soppianta il vescovo locale). Non distingue tra potere di giurisdizione (insegnare e governare) e potere d'ordine (santificare). 

Per quanto riguarda l'infallibilità del Papa, il Concilio Vaticano I ha solennemente definito che il Papa è infallibile nelle sue dichiarazioni ex cathedracioè nelle sue dichiarazioni dogmatiche. L'infallibilità del Papa è qui intesa al servizio del suo ministero petrino, non in modo isolato, ma come capo del collegio episcopale e della comunità ecclesiale.

La fine affrettata del Concilio Vaticano I non ha permesso una configurazione armonica della dottrina dell'episcopato nel suo rapporto con il primato, cosa che avverrà dopo il Concilio Vaticano II nel quadro di un'ecclesiologia di comunione, dichiarando la dottrina della sacramentalità dell'episcopato e della collegialità episcopale.

Nel Concilio Vaticano II la dottrina sul primato romano si colloca in continuità con il Vaticano I, o meglio nella prospettiva di una novità nella continuità. Questa novità è dovuta principalmente al contesto ecclesiologico, più che ai concreti contributi dottrinali. Segnaliamo tre contributi principali relativi al primato del Papa:

Il Consiglio dichiara il sacramentalità dell'episcopato. Vale a dire che con il sacramento dell'Ordine sacro al vescovo viene conferita la triplice funzione di munus insegnare, santificare e governare, in comunione gerarchica con il capo e i membri del collegio episcopale. 

Insegna anche il significato di collegialità episcopaleIl collegio dei vescovi succede al collegio degli apostoli, sotto il capo che oggi è il Papa, successore di Pietro. L'unità tra il Papa e il collegio episcopale si manifesta solennemente nel Concilio Ecumenico.

Oltre al infallibilità delle dichiarazioni dogmatiche del Papa, la Concilio Vaticano II dichiara altri tre modi in cui la Chiesa partecipa alla infallibilità divino (l'unico assoluto). 1) Il Concilio ecumenico, in cui si esercita solennemente il magistero del Papa e dei vescovi. 2) Il magistero ordinario e universaleL'infallibilità, esercitata dal Papa e dai vescovi in comunione con lui, quando propongono una dottrina definitiva in materia di fede e di morale, anche se non sono riuniti in Concilio, ma dispersi nel mondo. 3) L'intero corpo dei fedeli in comunione con il papa e i vescovi in materia di fede e di morale gode dell'infallibilità (infallibilità in credendo) come manifestazione del "senso della fede".

Dopo il Concilio Vaticano IIIl Magistero ha spiegato che il primato del Papa e del collegio episcopale appartengono all'essenza di ogni Chiesa particolare "dall'interno" di se stessa (lettera Communionis notio1992, 14; cfr. Lumen gentium, 8).

Da quanto sopra esposto si evince che è necessario distinguere tra la suprema autorità pastorale, che il Papa ha, e gli aspetti e i modi di esercitarla. Questa autorità non può che essere unica. Vengono escluse due posizioni estreme: quella conciliarista-episcopalista, che definisce l'autorità dei vescovi riuniti in concilio al di sopra del Papa; quella considerata "papalista", secondo la quale solo il Papa (o il solo Papa) avrebbe la suprema autorità nella Chiesa, e i vescovi la riceverebbero da lui. 

Il rapporto tra il Papa e i vescovi oggi tende ad essere considerato nella prospettiva di un unico "soggetto" di suprema autorità nella Chiesa: il collegio dei vescovi con il suo capo; e due modi di esercitarlo: attraverso il Papa, come capo del collegio; attraverso il collegio dei vescovi in comunione con il suo capo. 

Per quanto riguarda la collegialità episcopale, oggi si parla di collegialità episcopale "effettiva" e "affettiva". Entrambe sono necessarie e devono essere realizzate in comunione con il ministero petrino e viceversa. Quella "effettiva" si manifesta nel Concilio ecumenico (in modo solenne e pienamente tecnico-giuridico) e nel magistero ordinario universale dei vescovi in comunione con il Sommo Pontefice. La collegialità "affettiva" si riferisce a realizzazioni parziali della collegialità, come il Sinodo dei Vescovi, il Curia Romani, consigli locali e conferenze episcopali.

Primato, unità e sinodalità

Passando al ministero del Papa nel momento attuale, e in continuità soprattutto con i pontificati a ridosso del Concilio Vaticano II, va notato che il papato si manifesta su un duplice piano che è anche una duplice sfida: da una parte la servizio all'unità della fede e della comunione per i cristiani (con modalità di esercizio e di spiegazione adeguate al contesto ecumenico); e allo stesso tempo, la loro innegabile autorità morale universale (su temi centrali come la dignità della persona e il servizio al bene comune e alla pace, l'attenzione effettiva ai più deboli e bisognosi, la difesa della vita e della famiglia, la cura della Terra come casa comune).   

Il presente Instrumentum laboris fa riferimento al primato del Papa in diverse occasioni, proprio in relazione alla sinodalità. 

In primo luogo, egli cita il Concilio Vaticano II e la sua visione della cattolicità della Chiesa, per esprimere che la sinodalità deve essere attuata "mentre rimane immutato il primato della cattedra di Pietro, che presiede l'assemblea universale della carità, protegge le legittime differenze e allo stesso tempo assicura che le differenze servano all'unità invece di danneggiarla" (Lumen gentium, 13). 

In secondo luogo, il primato compare in tre delle domande formulate come aiuto alla preghiera, alla riflessione e al discernimento sinodale.

Il primo è così formulato: "Come può il processo sinodale in corso contribuire a 'trovare un modo di esercitare il primato che, senza rinunciare in alcun modo all'essenziale della sua missione, sia aperto a una nuova situazione'" (la citazione è di San Giovanni Paolo II, Enc. Ut unum sint, 1995, n. 95, testo citato da Papa Francesco nell'esortazione ap. Evangelii gaudium,32 e in Const. Episcopalis communio, 10). 

Più avanti si chiede ancora: "Come dovrebbe evolvere il ruolo del vescovo di Roma e l'esercizio del primato in una Chiesa sinodale?

Si tratta poi di un'affermazione che deve essere sostanziata e spiegata, oltre che accompagnata, con le risorse adeguate (a livello spirituale, formativo, teologico e canonico), dalle condizioni perché possa contribuire efficacemente al bene di tutti:

"Il Sinodo 2021-2024 sta dimostrando chiaramente che il processo sinodale è il contesto più adatto per l'esercizio integrato del primato, della collegialità e della sinodalità come elementi inalienabili di una Chiesa in cui ogni soggetto svolge il suo ruolo peculiare nel miglior modo possibile e in sinergia con gli altri".

Infine, il primato riappare in una considerazione e in una domanda sul quadro generale della sinodalità: "Alla luce del rapporto dinamico e circolare tra sinodalità della Chiesa, collegialità episcopale e primato petrino, come perfezionare l'istituzione del Sinodo affinché diventi uno spazio certo e garantito per l'esercizio della sinodalità, assicurando la piena partecipazione di tutti - Popolo di Dio, Collegio episcopale e Vescovo di Roma - nel rispetto dei loro ruoli specifici? Come valutare l'esperimento di apertura partecipativa a un gruppo di "non vescovi" nella prima sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (ottobre 2023)"?

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