Un fatto si impone ai nostri occhi per la sua inesorabile evidenza: nella Chiesa la presenza delle donne è di gran lunga superiore a quella degli uomini. Nella Messa domenicale, nella catechesi, nella vita consacrata, i numeri sono prevalentemente femminili. Ma è evidente anche un altro fatto: nella Chiesa cattolica, le più alte cariche di governo e di culto sono occupate esclusivamente da uomini. Potremmo dire, semplificando molto, che abbiamo una Chiesa di donne presieduta da uomini.
In larga misura, la ragione di questo paradosso può risiedere nel fatto che il sacramento dell'Ordine è riservato agli uomini, poiché nella Chiesa cattolica solo chi lo ha ricevuto può presiedere il culto eucaristico, può essere nominato vescovo o papa. Se a ciò si aggiunge la maggiore sensibilità religiosa delle donne, si comprende il motivo di questa situazione, che la si condivida o meno. In effetti, sembrerebbe logico che chi è più sensibile alle questioni religiose debba essere incaricato delle questioni religiose. Non dovremmo cambiare la prassi attuale?
Emerge così un quadro articolato, che cercherò di chiarire inquadrando prima i termini del dibattito, spiegando poi gli argomenti della teologia cattolica e aggiungendo infine alcune considerazioni dettate più dalla razionalità e dal buon senso che dalla dogmatica.
Il contesto del dibattito
La riserva del sacerdozio ministeriale esclusivamente agli uomini ha goduto di una pacifica accettazione durante tutta la vita della Chiesa fino a quando, nel XX secolo, è stata al centro di numerosi attacchi che, ancora oggi, animano il dibattito sull'argomento. Si sostiene che la progressiva parità dei diritti delle donne con gli uomini in politica, nell'economia, nello sport, nell'esercito, nella cultura, ecc. dovrebbe riflettersi anche nella Chiesa.
Non sorprende che la spinta per il sacerdozio femminile provenga in gran parte da esponenti del movimento femminista radicale, che considerano la riserva del sacerdozio agli uomini come una forma di discriminazione nei confronti delle donne, che dovrebbe essere eliminata. Secondo l'interpretazione della corrente di pensiero egualitaria di questo movimento, la pratica attuale sarebbe in contrasto con Gal 3,28 ("Non c'è Giudeo né Greco, non c'è schiavo né libero, non c'è maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù"), e sarebbe quindi il risultato di un'antropologia patriarcale, ormai obsoleta e insostenibile.
L'appello all'abolizione di tutte le forme di discriminazione, proclamato dalla Costituzione, "....".Gaudium et spes"Il Concilio Vaticano II, al n. 29 ("ogni forma di discriminazione nei diritti fondamentali della persona, sia sociale che culturale, per motivi di sesso, razza, colore, condizione sociale, lingua o religione, deve essere superata ed eliminata in quanto contraria al disegno divino") avrebbe inaugurato una nuova era nella Chiesa, in cui uomini e donne avrebbero avuto pari diritti anche per quanto riguarda il ministero ordinato.
Questa riflessione ha anche ragioni ecumeniche, poiché in molte confessioni cristiane (e in alcune religioni non cristiane, come l'ebraismo) questa riserva non esiste più. La situazione è stata ulteriormente complicata negli ultimi anni dalla diffusione dell'ideologia gender. Se si pensa all'identità sessuale come a una questione esclusiva di scelta personale, non necessariamente determinata dalla costituzione biologica con cui si nasce, non si può certo considerarla una conditio sine qua non per l'accesso o l'esclusione dal sacerdozio.
Il sacerdozio nella teologia cattolica
La prima cosa da tenere presente è che i fondamenti del sacerdozio esclusivamente maschile non sono né antropologici (una presunta superiorità dell'uomo) né "strategici" (una presunta maggiore autonomia), ma provengono dalla rivelazione, nel senso forte del concetto: Dio ha rivelato, istituito e donato il sacerdozio ministeriale in forma maschile, non femminile, e quindi la Chiesa non si ritiene autorizzata a cambiare questa disposizione ammettendo le donne all'ordinazione sacerdotale.
Questa rivelazione la troviamo più nei gesti che nelle parole. Infatti, i dodici apostoli, che Gesù scelse per renderli partecipi del suo sacerdozio, erano uomini, non donne. Quando gli apostoli, a loro volta, hanno ordinato sacramentalmente la generazione successiva, si sono sentiti legati a questo modo di procedere del Signore e hanno scelto candidati maschi.
Il carattere irriformabile del legame tra il sacerdozio e la condizione maschile era ben radicato fin dall'inizio nell'autocoscienza della Chiesa; quando, nei primi secoli del cristianesimo, sorsero sette che volevano affidare l'esercizio del ministero sacerdotale alle donne, furono immediatamente rimproverate dai Padri e denunciate come eresia, come dimostrano numerosi testi di Sant'Ireneo, Tertulliano e Sant'Epifanio. Lo stesso accadde nei secoli successivi: la Chiesa la considerò una prassi apostolica vincolante.
Si potrebbe obiettare, naturalmente, che questa prassi era condizionata dalle circostanze dell'epoca, in cui la figura della donna aveva scarsa rilevanza pubblica ed era vista in posizione subordinata. Vale la pena ricordare, tuttavia, che Gesù non si lasciò condizionare dai costumi culturali dell'epoca, ma li sfidò apertamente, anche nei confronti delle donne: parlava liberamente con loro, le prendeva come esempio nelle sue parabole, concedeva loro pari diritti in materia di matrimonio, accoglieva i peccatori e così via.
Gli apostoli, da parte loro, non cedettero su questo punto nemmeno quando l'evangelizzazione si diffuse al di fuori della sfera semitica nel mondo greco e poi romano, dove, data l'esistenza di sacerdotesse pagane, la presenza di "sacerdotesse cristiane" non avrebbe scandalizzato.
L'altro forte argomento della rivelazione, in realtà una premessa del precedente, è che il Figlio di Dio si è incarnato assumendo una natura umana sessuata in modo maschile, non femminile, ed è la virtù di quella natura umana, strumento del divino, che si rende sacramentalmente presente nel candidato quando viene ordinato sacerdote. Questa è una diretta conseguenza della teologia dogmatica della "repraesentatio Christi Capitis" e dell'"in persona Christi" alla base del sacramento dell'Ordine.
In breve, la natura umana maschile di Gesù Cristo è "prolungata" sacramentalmente in un "supporto" che deve necessariamente essere maschile per essere un supporto valido. Non dimentichiamo che l'incarnazione del Figlio di Dio non termina con la sua Ascensione al cielo: Gesù Cristo era maschio e continua ad essere maschio.
È vero che il Nuovo Testamento non affronta esplicitamente la questione della non ammissione delle donne al sacerdozio. Ma i grandi esegeti studiosi dell'argomento, come Albert Vanhoye, considerano un anacronismo pretendere ciò dal solo dato biblico; essi esaminano serenamente l'insieme dei testi neotestamentari e concludono mettendo in luce, da un lato, l'estrema importanza che questi scritti attribuiscono al ministero sacerdotale e, dall'altro, mostrano come l'antica tradizione ecclesiale sulla riserva degli ordini sacri agli uomini sia in rapporto di continuità con il dato biblico. Infatti, è la rivelazione nel suo insieme - i dati del Nuovo Testamento letti alla luce della tradizione viva della Chiesa - che si traduce in fede ecclesiale sul tema valido del sacerdozio ministeriale.
La Chiesa ha affermato ufficialmente questa dottrina in un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede (oggi Dicastero) del 15 ottobre 1976, la Dichiarazione "Inter insigniores". Qualche anno dopo, "per chiarire ogni dubbio su una questione di grande importanza, che riguarda la stessa costituzione divina della Chiesa", San Giovanni Paolo II riaffermato nella Lettera apostolica "...".Ordinatio sacerdotalis" (22 maggio 1994) "che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire l'ordinazione sacerdotale alle donne e che questa sentenza deve essere considerata come definitiva da tutti i fedeli". Secondo una dichiarazione della stessa Congregazione per la Dottrina della Fede, pubblicata un anno dopo, questa dottrina "richiede un assenso definitivo", perché "è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale".
Diaconato femminile
Nel poco spazio a disposizione non si può omettere un riferimento al "diaconato femminile". Le ragioni per cui la Chiesa riserva il sacerdozio ministeriale (episcopato e presbiterato) agli uomini non sono immediatamente applicabili al diaconato, poiché i diaconi non agiscono "in persona Christi".
Se a questo si aggiunge il fatto storico dell'esistenza delle diaconesse nella Chiesa del primo millennio, soprattutto in ambito orientale, sorge spontanea la domanda sul perché non possiamo averle ora.
Molto brevemente, si possono fare tre considerazioni. Da un lato, non è chiaro se le "diaconesse" del primo millennio siano paragonabili a quello che oggi chiamiamo diaconato: il fatto che fossero chiamate diaconesse non indica necessariamente un ministero identico a quello che oggi chiamiamo diaconato in senso strettamente teologico.
Inoltre, le fonti storico-liturgiche testimoniano che le funzioni delle diaconesse non erano le stesse dei loro omologhi diaconi: predicano, battezzano, benedicono, distribuiscono la comunione, cose vietate ai diaconi, le cui funzioni si limitano ad assistere i sacerdoti e i vescovi in quelle cose che, per ragioni di pudore, sarebbe sconveniente per gli uomini compiere, come, ad esempio, il battesimo per immersione delle donne adulte o le unzioni proprie dei riti di iniziazione cristiana, tanto più in un contesto sociale in cui la separazione tra uomini e donne era più rigida di oggi.
Un documento della Commissione Teologica Internazionale del 2003, intitolato "Il Diaconato: evoluzione e prospettive", va in questa direzione. Infine, non dimentichiamo che l'identificazione dell'identità teologica del diaconato è ancora agli inizi, perché per molti secoli è stato considerato solo come un "trampolino di lancio" verso il sacerdozio.
Non è quindi prudente prendere decisioni definitive ora, ed è per questo che la Chiesa si limita, per il momento, a mantenere la prassi attuale come qualcosa di disciplinare, in attesa del momento in cui la teologia dogmatica e poi il magistero si pronunceranno definitivamente.
Una commissione istituita "ad hoc" da Papa Francesco per lo studio specifico di questo tema ha concluso le sue sessioni nel 2018 senza raggiungere risultati soddisfacenti. Due anni dopo è stata istituita una nuova commissione con lo stesso obiettivo, che sta ancora lavorando. Il tema è presente, anche se senza convergenze, anche nella relazione di sintesi della prima sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, ancora in corso (n. 9).
Attualmente è in vigore il can. 1024 del Codice di Diritto Canonico, che afferma: "Solo un battezzato riceve validamente la sacra ordinazione", e questo vale per i tre gradi dell'Ordine Sacro: episcopato, presbiterato e diaconato. La stessa indicazione si trova nel can. 754 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
Atteggiamento verso il sacerdozio e il diaconato
È bene tenere presente che, in larghissima misura, la discussione su questo tema non si svolge nell'ambito della dogmatica cattolica, ma in ambiti di natura più esistenziale, o di approccio alla ridefinizione del sacerdozio. Infatti, se sposto l'epicentro del sacerdozio ministeriale dal culto sacramentale al ministero della predicazione (come avviene nel mondo protestante), è più difficile spiegare perché non potrebbe essere svolto da una donna, dal momento che, a rigore, la predicazione non si esercita "in persona Christi".
Purtroppo, l'aria che si respira nei dibattiti sul nostro tema sa spesso di ottica di potere: si vuole comandare, e siccome sono stati gli apostoli a cui Gesù ha detto: "voi che mi avete seguito siederete su dodici troni per giudicare le dodici tribù di Israele" (Mt 19,28), si aspira all'ordinazione sacramentale per "ereditare" questa attribuzione. Si dimentica - questo vale sia per gli uomini che per le donne, forse più per i sacerdoti ordinati - che il sacerdozio è un sacerdozio "ministeriale", cioè un sacerdozio per servire.
La vocazione sacerdotale è una vocazione al servizio, anche se questo servizio viene talvolta svolto da posizioni di governo, e anche se l'ordinazione comporta sempre l'appartenenza alla gerarchia. Coloro che vengono ordinati non dovrebbero in realtà essere ordinati solo per il potere. Anche in questo caso troviamo una patologia endemica difficile da sradicare: il clericalismo, che colpisce i chierici con una "mentalità di casta" e un'avidità "carrierista", ma anche, paradossalmente, coloro che vorrebbero essere chierici per partecipare al potere.
Infine, sulla questione dei diritti (perché un uomo può essere ordinato e una donna no?) dobbiamo ricordare una cosa molto elementare e allo stesso tempo molto importante: una donna non ha il diritto di ricevere gli ordini sacri per le stesse ragioni per cui un uomo non ha il diritto di ricevere gli ordini sacri. Questo diritto non esiste: né per gli uomini né per le donne. È un dono puramente gratuito, non deriva dalla condizione battesimale, anche se la presuppone.
Queste considerazioni non possono essere chiuse senza menzionare la necessità imperativa di eliminare dalla Chiesa pratiche e atteggiamenti "maschilisti", scusate l'espressione. Le donne possono e devono occupare molti più spazi nella Chiesa: nell'insegnamento a tutti i livelli, nell'amministrazione dei beni, nella giustizia, nelle opere di carità, nei consigli pastorali, nell'organizzazione e in tanti altri; ma l'accesso al sacramento dell'Ordine non è la strada indicata, né quella valida, né quella opportuna. Che Dio conceda che l'argomento possa trovare una riflessione razionale e serena, lasciando da parte approcci viziati da ideologia e posizioni preconcette.
Professore di ecclesiologia presso l'Università della Santa Croce.