L'Ecclesiastico, due secoli prima di Gesù, ci offre nel capitolo 35 una catechesi sulla preghiera gradita a Dio, quella che si accompagna all'autenticità della vita e all'attenzione ai deboli: "Chi fa l'elemosina offre sacrifici di lode"; la preghiera di chi aiuta la vedova "sale alle nubi".
Gesù va nella stessa direzione e più in profondità. Luca introduce la parabola che mette a confronto la preghiera del fariseo e dell'esattore delle tasse, dicendo che Gesù l'ha detta per chiunque abbia l'"intima presunzione" di essere giusto e disprezzi gli altri. È quindi una lezione per tutte le persone che credono in Dio e lo pregano, di tutti i tempi e di tutte le culture, perché tutti, in effetti, possono essere soggetti alla tentazione del farisaismo. La postura del fariseo è corretta: è in piedi. Ma il particolare che "pregava interiormente" ci fa sospettare che il suo orizzonte non sia Dio, ma se stesso: infatti, da questo momento in poi l'io è molto presente nella sua preghiera: "Io non sono come gli altri uomini..., io digiuno, io pago, io possiedo". Si ritira in se stesso e si presenta davanti a Dio come se Dio non lo conoscesse. In realtà, sta parlando a se stesso, per convincersi che si sta salvando grazie alle sue buone opere. Le prime parole potevano essere appropriate: "O Dio, ti ringrazio". Ma il motivo del ringraziamento rivela un giudizio negativo su tutti gli altri uomini, ai quali aggiunge anche l'esattore delle tasse, che intravede con la coda dell'occhio. Dice a Dio che digiuna due volte alla settimana, anche se non era obbligato a farlo; che paga le decime su ciò che possiede, anche se erano solo sui raccolti. Fa il passo più lungo della gamba per piacere a Dio. Ben diverso è l'atteggiamento di Paolo, che confida a Timoteo che i fratelli nella fede lo hanno abbandonato, ma non li accusa perché si ritiene migliore di loro: l'incontro con Cristo lo ha guarito dal farisaismo in cui era stato educato. Nella prima lettera a Timoteo gli aveva confidato di considerarsi il capo dei peccatori, e qui attribuisce a Dio tutta la salvezza: "Il Signore mi è stato vicino... il Signore mi libererà da ogni opera malvagia".
Il pubblicano, che ogni giorno si sente individuato e disprezzato come peccatore, rimane in disparte, non osa alzare lo sguardo e nella sua preghiera non fa l'elenco dei suoi peccati per essere più sicuro del perdono (non saprebbe da dove cominciare), ma si abbandona con fiducia alla preghiera più bella: "O Dio, abbi pietà di questo peccatore". La preghiera del cuore. In greco, con l'articolo, suona ancora più forte: abbi pietà di me, "il peccatore". Gesù dice che l'esattore delle tasse "scese a casa sua": da quel momento sarà per lui un luogo ancora più familiare, ricco di relazioni d'amore, dopo che Dio, attraverso la sua preghiera, lo avrà reso giusto. Del fariseo, invece, non menziona la casa, come a sottolineare la sua solitudine.
Omelia sulle letture della domenica XXX
Il sacerdote Luis Herrera Campo offre il suo nanomiliauna breve riflessione di un minuto per queste letture.