Il lettera ai sacerdoti di Roma (31 maggio 2020) è ricco di insegnamenti sul ministero sacerdotale, in gran parte tratti dall'esperienza della pandemia e in vista della nuova era post-pandemica.
Per "amare e servire di più".
Si possono articolare in quattro fasi, tutte introdotte da un messaggio centrale: "La nuova fase richiede saggezza, lungimiranza e attenzione comune, affinché tutti gli sforzi e i sacrifici fatti finora non siano vani".
1) Mantenere viva e operativa la speranza. La speranza è un dono e un compito, e quindi richiede una sostanziale collaborazione da parte nostra. Anche la prima comunità apostolica viveva "momenti di reclusione, isolamento, paura e incertezza". tra la morte di Gesù e la sua apparizione come Risorto (cfr. Gv 20,19). Nel nostro caso, osserva Francesco, "viviamo nella comunità l'ora del pianto del Signore". quando era il nostro turno "l'ora anche del pianto del discepolo". davanti al mistero della Croce e del male.
Nella nostra cultura intorpidita dallo stato sociale, sottolinea il Santo Padre, è diventato evidente che "la mancanza di immunità culturale e spirituale dal conflitto".. Ora dobbiamo anche superare le tentazioni che vanno dall'accontentarsi di attività palliative di fronte alle necessità dei nostri fratelli e sorelle, al rifugiarsi nella nostalgia dei tempi passati, pensando di poter superare le tentazioni del passato, e di poter superare le tentazioni del passato. "Niente sarà più come prima"..
Ma il Risorto non ha aspettato le situazioni ideali. Gesù ha offerto le sue mani e il suo fianco ferito come via di risurrezione. Per questo il Papa ci incoraggia a vedere le cose come sono, a lasciarci consolare da Gesù, a condividere la sofferenza degli altri, a sentire gli altri come carne della nostra carne, a non avere paura di toccare le loro ferite, a solidarizzare con loro e a sperimentare così che le distanze si cancellano. In breve: "Saper piangere con gli altri, questa è la santità". (esortazione apostolica Gaudete et exsultate76) e per questo abbiamo ricevuto lo Spirito Santo (cfr. Gv 20,22).
3) Inoltre, la fede ci permette un'immaginazione realistica e creativa. Se la situazione che abbiamo appena vissuto ci ha messo di fronte alla realtà, non abbiamo paura di continuare a farlo di fronte alle necessità dei nostri fratelli e sorelle: "La forza della testimonianza dei santi sta nel vivere le beatitudini e il protocollo del giudizio finale". (Gaudete et exsultate, 109).
4) Assumere la responsabilità con generosità è ciò che il Risorto ci chiede ora: non voltare le spalle al nostro popolo, ma accompagnarlo e curarlo, con coraggio e compassione, evitando ogni scetticismo e fatalismo.
"Mettiamo nelle mani ferite del Signore". -Il Papa ci consiglia, "come offerta sacra, la nostra fragilità, la fragilità del nostro popolo, la fragilità dell'intera umanità"..
E così il Signore ci trasformerà come pane nelle sue mani, ci benedirà e ci donerà al suo popolo per riempire il mondo di speranza. Spetta anche a noi "amare e servire di più".
Superare narcisismo, vittimismo e pessimismo
Nella sua Omelia di Pentecoste (31 maggio 2020), Francesco ci ha invitato a saper ricevere il dono dello Spirito Santo: il dono dell'unità che unisce le diversità.
Scegliendo gli apostoli, Gesù non ne ha fatto degli esemplari uniformi o prodotti in serie. Poi, con la venuta dello Spirito Santo, la sua unzione realizza il dono dell'unione nella diversità. Ciò che ci unisce è la realtà e la consapevolezza di essere figli amati di Dio, non la pretesa che gli altri abbiano le nostre stesse idee.
Per questo non dobbiamo lasciarci fuorviare da chi classifica sociologicamente noi cristiani in gruppi e tendenze, magari per bloccarci. "Lo Spirito -dice il successore di Pietro. "Egli apre, ravviva, spinge oltre ciò che è già stato detto e fatto, conduce oltre i confini di una fede timida e diffidente".. In questo modo siamo in grado di crescere donando noi stessi: "non conservando noi stessi, ma donandoci senza riserve"..
Cosa ci impedisce di donarci, si chiede il Papa. E risponde che "Tre sono i principali nemici del dono [...], sempre accovacciati alla porta del cuore: narcisismo, vittimismo e pessimismo".. Il narcisismo porta a pensare solo a se stessi, senza vedere le proprie fragilità e i propri errori. Il vittimismo porta a lamentarsi sempre, ma soprattutto a lamentarsi degli altri, perché non ci capiscono e ci inimicano. Il pessimismo porta a pensare che tutto sia sbagliato e che sia inutile rinunciare a se stessi..
Sono tre divinità, o meglio tre idoli, che Francesco caratterizza con rapidi tratti: "In questi tre - l'idolo narcisistico dello specchio, il dio specchio; il dio lamento: 'mi sento una persona quando mi lamento'; il dio negatività: 'tutto è nero, tutto è tenebra' - ci troviamo di fronte a una mancanza di speranza e dobbiamo valorizzare il dono della vita, il dono che è ognuno di noi"..
E ci invita a pregare per guarire da questi tre nemici: "Spirito Santo, memoria di Dio, ravviva in noi il ricordo del dono che abbiamo ricevuto. Liberaci dalla paralisi dell'egoismo e accendi in noi il desiderio di servire, di fare del bene. Perché peggio di questa crisi c'è solo il dramma di sprecarla, chiudendosi in se stessi. Vieni, Spirito Santo, Tu che sei armonia, rendici costruttori di unità; Tu che ti doni sempre, concedici il coraggio di uscire da noi stessi, di amarci e aiutarci a vicenda, di diventare una sola famiglia. Amen.
L'Eucaristia: "memoriale" di Dio che ci guarisce
Il omelia al Corpus Domini (14-VI-2020) contiene un profondo insegnamento sull'Eucaristia come "memoriale": memoriale della Pasqua del Signore, ma anche memoriale della nostra fede, della nostra speranza e del nostro amore. "Memoriale di Dio che ci guarisce, dice il Papa. Ed è per questo che potremmo dire memoriale del cuore, dando al termine cuore il suo pieno significato biblico, perché "Un uomo vale quanto vale il suo cuore". (San Josemaría Ecrivá).
In primo luogo, l'Eucaristia "guarisce la memoria orfana". Vale a dire, "la memoria ferita dalla mancanza di affetto e dalle amare delusioni ricevute da chi avrebbe dovuto dare amore e invece ha lasciato il cuore desolato".. L'Eucaristia ci infonde un amore più grande, quello stesso di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.
In secondo luogo, l'Eucaristia guarisce la nostra memoria negativa. Questa "memoria" che "Fa sempre emergere le cose che non vanno e ci lascia con la triste idea che non siamo buoni a nulla, che facciamo solo errori, che siamo sbagliati"..
Gesù viene a dirci che non è così. Che siamo preziosi per lui, che vede sempre il bene e il bello in noi, che desidera la nostra compagnia e il nostro amore. "Il Signore sa che il male e i peccati non sono la nostra identità; sono malattie, infezioni". E - con buoni esempi in questo tempo di pandemia - il Papa spiega come l'Eucaristia "guarisce": "contiene gli anticorpi della nostra memoria malata di negatività. Con Gesù possiamo immunizzarci dalla tristezza".
In terzo luogo, l'Eucaristia guarisce la nostra memoria chiusa, che ci rende timorosi e sospettosi, cinici o indifferenti, arroganti... ed egoisti. Tutto questo, nota il successore di Pietro, "È un inganno, perché solo l'amore cura la paura alla radice e ci libera dagli ostacoli che ci imprigionano".. Gesù viene a liberarci da queste armature, dai blocchi interiori e dalla paralisi del cuore.
L'Eucaristia ci aiuta ad alzarci per aiutare gli altri che hanno fame di cibo, dignità e lavoro. Ci invita a stabilire autentiche catene di solidarietà. Oltre a unirci personalmente a Cristo, ci permette di costruire il mistero di comunione che è la Chiesa e di partecipare alla sua missione (cfr. anche la Angelus dello stesso giorno, 14 giugno).