All'inizio di maggio è stata pubblicata la bolla papale "Spes non confundit" ("La speranza non confonde") per annunciare il Giubileo del 2025. Mancano ormai poche settimane all'inizio dell'anno giubilare.
Per questo motivo, presentiamo qui alcuni punti chiave del documento, sottolineando il suo legame con l'enciclica "Spe Salvi" di Benedetto XVI.
Perché "la speranza non delude"? Che cosa intende San Paolo con queste parole scritte ai cristiani di Roma? In che cosa consiste la speranza? Come possiamo, qui e ora, vivere nella speranza e testimoniarla a chi ci circonda?
Il fondamento della nostra speranza
Il sottotitolo della lettera del Papa esprime l'augurio e la supplica che "la speranza riempia i cuori" di coloro che la leggono. Il contesto di questa lettera è che, prima di Cristo, tutta l'umanità era senza speranza, perché era soggetta al peccato. Aveva bisogno di essere riconciliata con Dio. E questo non avviene tramite la vecchia Legge (mosaica), ma tramite la fede come mezzo per ottenere la giustificazione (vv. 1-4) attraverso la donazione di Cristo. La sua risurrezione è il fondamento della nostra speranza di una vita trasformata. È una speranza che non delude, "perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" ("Romani" 5, 1. 2-5).
È così che, nel segno della speranza cristiana, l'Apostolo incoraggiava i convertiti a Roma. Fino ad allora aveva evangelizzato nella parte orientale dell'Impero, ora Roma lo attendeva con tutto ciò che significava, da qui il grande desiderio di raggiungere da lì tutti: una grande sfida da affrontare, in nome dell'annuncio del Vangelo, che non conosce barriere né confini (cfr. n. 2).
Questa speranza è il messaggio centrale del prossimo Giubileo che, secondo un'antica tradizione, il Papa indice ogni venticinque anni come periodo di ringraziamento, rinnovamento spirituale e riconciliazione.
Francesco anticipa l'evento: "Penso a tutti i pellegrini della speranza [motto del Giubileo] che verranno a Roma per vivere l'Anno Santo e a coloro che, non potendo venire nella città degli apostoli Pietro e Paolo, lo celebreranno nelle Chiese particolari".
Chiede e spera che "possa essere per tutti un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, la 'porta' della salvezza" (cfr. Giovanni 10, 7.9). Perciò è anche "la nostra speranza" (1 Timoteo 1, 1). "Nostra" qui non significa solo dei cristiani, ma è offerta a tutti gli uomini di ogni tempo e luogo. Perché "tutti gli uomini sperano" (n. 1) e molti sono scoraggiati.
Il testo di Francesco ci ricorda senza dubbio l'enciclica di Benedetto XVI sulla speranza cristiana (2007). Lì si dice che l'uomo ha molte speranze, più o meno grandi" (in relazione all'amore, alla professione, ecc.), ma non sono sufficienti a colmare l'attesa che può essere soddisfatta solo da una "grande speranza", fondata su Dio (cfr. "Spe salvi", n. 30). Allo stesso tempo, le nostre azioni, le nostre sofferenze e l'orizzonte dell'ultimo giudizio possono essere "luoghi di apprendimento (scuole) di speranza" (ibid., 32-48). Benedetto invita la modernità a fare autocritica di una speranza spesso riposta nel mero progresso. Ma propone un'autocritica anche ai cristiani: chiede loro di "imparare di nuovo in che cosa consiste veramente la loro speranza" (n. 22), soprattutto nella linea di evitare una certa prospettiva individualistica della salvezza; perché la "speranza per me" può essere autentica solo se può essere anche "speranza per tutti", come ci chiede la comunione con Gesù Cristo (cfr. n. 28).
Stiamo vedendo come queste luci riappaiono nell'insegnamento di Francesco con accenti a volte diversi.
Il messaggio cristiano di speranza
"La speranza nasce infatti dall'amore e si fonda sull'amore che sgorga dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce" (n. 3). Un amore che viene a donarci di partecipare alla sua stessa vita (cfr. "Romani" 5, 10), a partire dal battesimo, per grazia e come azione dello Spirito Santo.
La speranza non delude perché è fondata e alimentata da questo amore divino per noi. E non è che San Paolo ignori le difficoltà e le sofferenze di questa vita. Per l'Apostolo, "la tribolazione e la sofferenza sono le condizioni proprie di coloro che annunciano il Vangelo in contesti di incomprensione e di persecuzione" (n. 4; cfr. "Romani" 5, 34; 2 "Corinzi" 6,3-10). Non come qualcosa di semplicemente irrimediabile da sopportare, ma proprio "ciò che sostiene l'evangelizzazione è la forza che scaturisce dalla croce e dalla risurrezione di Cristo" (ibidem), e tutto ciò ci porta a chiedere e a sviluppare la virtù della pazienza (che implica contemplazione, perseveranza e fiducia in Dio, che è paziente anche con noi), anch'essa frutto dello Spirito Santo. "La pazienza (...) è figlia della speranza e allo stesso tempo la sostiene" (ibid.).
Papa Francesco ha talvolta citato Charles Péguy, quando nel "Portico del mistero della seconda virtù" (1911) paragona fede, speranza e amore a tre sorelle che vanno di pari passo. La speranza, la più piccola, è nel mezzo, quasi inosservata - si parla poco di lei - accanto alle sue sorelle, così belle e splendenti. Ma in realtà è la speranza che le sostiene e le spinge in avanti; senza di essa perderebbero il loro slancio e la loro forza. In ogni caso, fede, speranza e carità sono l'una nell'altra, "compenetrate", nella misura in cui condividono le energie - di conoscenza, amore e azione - di Cristo stesso nei cristiani,
Giubilei sulla strada della speranza
I Giubilei vengono celebrati regolarmente dal 1300, con precedenti di indulgenze durante i pellegrinaggi già nel secolo precedente. "I pellegrinaggi a piedi favoriscono molto la riscoperta del valore del silenzio, della fatica, dell'essenziale" (n. 5). Questi itinerari di fede permettono soprattutto di accostarsi "al sacramento della Riconciliazione, punto di partenza insostituibile per un vero cammino di conversione" (Ibidem).
Inoltre, questo Giubileo si pone in continuità con i due immediatamente precedenti: il Giubileo ordinario del 2000° anniversario della nascita di Gesù Cristo all'inizio del nuovo millennio e il Giubileo straordinario durante l'Anno della Misericordia nel 2015. Esso vuole essere anche una preparazione al prossimo Giubileo del 2033, per i duemila anni della redenzione operata dalla morte e risurrezione del Signore. Si inizierà con l'apertura della Porta Santa nella Basilica di San Pietro in Vaticano il 24 dicembre. A questa seguiranno, nel giro di pochi giorni, cerimonie simili nelle altre tre principali basiliche romane. Analoghe celebrazioni si terranno nelle chiese particolari. Il tutto si concluderà il 28 dicembre 2025. Il sacramento della Penitenza è al centro del Giubileo, legato all'indulgenza che si può ottenere anche nelle chiese particolari.
Segni di speranza
A tutto ciò, Francesco aggiunge che non possiamo solo tendere alla speranza offertaci dalla grazia di Dio, ma riscoprirla nei "segni dei tempi" ("Gaudium et spes", 4), che in senso teologico ci permettono di interpretare, alla luce del messaggio evangelico, gli aneliti e le speranze dei nostri contemporanei, per trasformarli in "segni di speranza" (cfr. n. 7). Tra questi segni, propone Francesco, dovrebbero esserci il desiderio di pace nel mondo, il desiderio di trasmettere la vita, i gesti corrispondenti al messaggio di libertà e di vicinanza che il cristianesimo porta con sé (a partire dal livello sociale, con riferimento ai carcerati e ai malati, ai disabili, ecc.)
Particolarmente bisognosi di "segni di speranza" sono coloro che la rappresentano: giovani. Molti sono in grado di reagire prontamente al servizio degli altri in situazioni di catastrofe o di instabilità; altri sono soggetti a circostanze (soprattutto la mancanza di lavoro) che favoriscono il loro assoggettamento alla malinconia, alla droga, alla violenza; i migranti, ad esempio, sono spesso in una situazione di instabilità., gli esuli, gli sfollati e i rifugiati, che vanno alla ricerca di una vita migliore; i più deboli, perché saremo giudicati in base al servizio che renderemo loro (cfr. Mt 25,35 ss.); gli anziani e i poveri, che sono quasi sempre le vittime e non i colpevoli dei problemi sociali.
Due appelli alla speranza
In linea con questi segni o gesti di speranza che sono attesi da tutti, in varie forme e intensità, il Papa ci invita a ripensare a due questioni di ieri e di sempre, non meno urgenti: la destinazione e la distribuzione dei beni della terra ("non sono destinati a pochi privilegiati, ma a tutti", n. 6); la cancellazione dei debiti nei confronti di Paesi che non saranno mai in grado di ripagarli (senza dimenticare il "debito ecologico" (cfr. ibid. 6).
In nessun momento Francesco dimentica il fondamento, suo e dei cristiani, di questi appelli: Gesù Cristo (che ci ha rivelato il mistero del Dio Uno e Trino come mistero d'amore), la cui divinità celebreremo nuovamente in occasione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea, e la cui Pasqua - si spera - noi cristiani potremo celebrare in una data comune.
L'ancora della speranza
Nel dinamismo delle virtù teologali, sottolinea il Vescovo di Roma, "è la speranza che, per così dire, indica la direzione, l'orientamento e la finalità dell'esistenza cristiana" (n. 18). Attraverso di essa aspiriamo alla vita eterna, come destino definitivo e conforme alla dignità umana; perché "abbiamo la certezza che la storia dell'umanità e di ciascuno di noi non si dirige verso un punto cieco o un abisso oscuro, ma è orientata verso l'incontro con il Signore della gloria" (n. 19).
Sul fondamento della fede in Cristo, morto e risorto per la nostra salvezza, noi cristiani speriamo e annunciamo la speranza di una vita nuova, basata sulla comunione piena e definitiva con Dio e il suo amore. Questo è stato testimoniato soprattutto dai martiri cristiani (il Giubileo sarà una buona occasione per una celebrazione ecumenica). E il giudizio finale sarà una testimonianza del predominio di questo amore, che vince il male e il dolore del mondo.
Affinché possiamo partecipare pienamente alla comunione con Dio e con i santi, siamo esortati a pregare per i defunti del purgatorio e ad applicare per loro l'indulgenza giubilare; a confessare i nostri peccati nel sacramento della Penitenza per ottenere l'indulgenza (rimozione degli effetti residui del peccato), anche per noi stessi; promuovere la pratica del perdono (che rende possibile una vita senza rancore, rabbia e vendetta), perché "il futuro illuminato dal perdono permette di leggere il passato con occhi diversi, più sereni, anche se ancora rigati di lacrime" (n. 23). 23). Tutto questo con l'aiuto dei "missionari della misericordia" che Francesco ha istituito nell'Anno della Misericordia. E con la "testimonianza altissima" di Maria, Madre di Dio, madre della speranza, stella del mare: "Non sono forse qui io che sono tua madre", dice la Vergine di Guadalupe a Juan Diego.
E Francesco sottolinea: "Questa speranza che abbiamo è come un'ancora dell'anima, solida e ferma, che penetra oltre il velo, là dove Gesù è entrato per noi, come precursore" (n. 25, cfr. Eb 6, 18-20).
In mezzo alle tempeste della nostra vita, dice l'uomo che succede a Pietro, "l'immagine dell'ancora è suggestiva della stabilità e della sicurezza che possediamo se ci affidiamo al Signore Gesù, anche in mezzo alle acque agitate della vita". E si augura che la nostra speranza, soprattutto nell'Anno giubilare, sia "contagiosa" per tutti coloro che la desiderano.