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Gesù nel Nuovo Testamento alla luce dell'Antico Testamento

Tutta la Sacra Scrittura guarda a Cristo e prepara il popolo alla sua venuta e al suo riconoscimento. Per questo, per ogni cristiano, conoscere i libri dell'Antico Testamento è un esercizio fondamentale per comprendere appieno la vita e il messaggio di Gesù.

Francisco Varo-27 giugno 2024-Tempo di lettura: 8 minuti

L'Antico e il Nuovo Testamento si completano a vicenda. Non sono due blocchi di libri in conflitto tra loro, ma una testimonianza comune di un unico piano salvifico che Dio ha progressivamente svelato.

Non si tratta di due tappe successive ed esclusive in cui, una volta raggiunto l'obiettivo, i primi passi perderebbero il loro interesse. Sono invece due momenti di uno stesso piano, dove il primo prepara la strada al secondo e definitivo. 

Anche dopo aver raggiunto l'obiettivo, la preparazione è essenziale perché il risultato finale funzioni correttamente. I libri del Antico Testamento non sono come le gru e le impalcature, che sono necessarie per costruire un edificio ma vengono rimosse una volta terminati i lavori.

È un po' come gli studi di medicina per un medico: un momento prima di esercitare la professione, ma una volta qualificati, la pratica medica si basa sulle conoscenze acquisite. È sempre necessaria una formazione continua, un ritorno allo studio. Qualcosa di simile avviene nel rapporto tra Antico e Nuovo Testamento.

L'Antico Testamento è una preparazione al Nuovo, ma una volta raggiunta la pienezza della rivelazione nel Nuovo, la sua comprensione accurata richiederà una conoscenza approfondita dell'Antico. Allo stesso tempo, l'Antico Testamento continuerà a offrire riferimenti permanenti ai quali sarà conveniente tornare più volte, soprattutto quando sarà necessario affrontare nuove sfide nell'interpretazione del Nuovo Testamento.

Agostino, nel suo commento a Esodo 20, 19 (PL 34, 623), ha espresso la relazione tra i due in una frase concisa: "Il Nuovo Testamento è latente nell'Antico e l'Antico è brevettato nel Nuovo".

Con la consueta brillantezza retorica, esprime la convinzione che la lettura dei libri dell'Antico Testamento da sola, per quanto comprensibile, non ci permette di coglierne il pieno significato. Questo si raggiunge pienamente solo quando viene integrato con la lettura del Nuovo Testamento. 

Allo stesso tempo, indica che il Nuovo Testamento non è estraneo all'Antico Testamento, perché è latente in esso, all'interno del saggio piano di rivelazione di Dio.

Spiegare nel dettaglio le citazioni, le allusioni o gli echi dell'Antico Testamento che permeano i passi del Nuovo Testamento richiederebbe molte pagine, che supererebbero la portata limitata di questo saggio. Pertanto, ci limiteremo a segnalare alcuni semplici esempi tratti dal Vangelo secondo Matteo per aiutarci a comprendere l'importanza di conoscere a fondo le storie e le espressioni dell'Antico Testamento. Essi ci indicano la strada per riconoscere Cristo nella lettura dei Vangeli.

La genealogia di Gesù

Il Vangelo secondo Matteo inizia mostrando che Gesù è pienamente integrato nella storia del suo popolo: "Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo". (Mt 1,1). Da qui, vengono elencati tre gruppi di quattordici generazioni, in cui ci sono numerosi punti di contatto con personaggi e testi della storia di Israele. 

Particolarmente significativi sono i suoi rapporti con i due personaggi citati nel titolo: Davide e Abramo. Il fatto che siano elencati quattordici generazioni tre volte è significativo perché, in ebraico, quattordici è il valore numerico delle consonanti della parola Davide (DaWiD: D è 4, W è 6 e l'altra D è ancora 4). Questo indica che Gesù è il Messia, l'atteso discendente di Davide.

L'annuncio a Giuseppe

Alla fine della genealogia, un angelo del Signore spiega a Giuseppe il concepimento verginale di Gesù e gli dà istruzioni precise: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere Maria come tua sposa, perché ciò che è stato concepito in lei è opera dello Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e lo chiamerai Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai suoi peccati". (Mt 1, 20-21). 

L'angelo usa le stesse parole che furono usate per annunciare ad Abramo che Sarah "partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco". (Gen 17,19). In questo modo, l'evangelista delinea la figura di Gesù con allusioni a tratti letterari tipici della letteratura biblica su Isacco.

Betlemme, i Magi, Erode, Egitto

Per quanto riguarda Davide, è importante notare che Gesù è nato a Betlemme, la città di Davide: Dopo la nascita di Gesù a Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, i Magi vennero dall'Oriente a Gerusalemme, chiedendo: "Dov'è il Re dei Giudei che è nato? -Dov'è il Re dei Giudei che è nato? Perché abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo". All'udire ciò, il re Erode si turbò e con lui tutta Gerusalemme. Chiamò a raccolta tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo e chiese loro dove sarebbe nato il Messia. -A Betlemme di Giuda", gli dissero, "perché così è scritto nel profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei certo l'ultima tra i capoluoghi di Giuda, perché da te uscirà un capo che pascerà il mio popolo Israele. Allora Erode convocò segretamente i Magi e si informò accuratamente sull'ora in cui era apparsa la stella; poi li mandò a Betlemme dicendo loro: "Andate e informatevi sul bambino; e quando l'avrete trovato, fatemelo sapere perché anch'io possa venire ad adorarlo". (Mt 2,1-8). 

Il testo è molto espressivo, poiché, in occasione della domanda dei Magi, viene utilizzata una citazione della Scrittura per mostrare che Gesù è il Messia atteso, il discendente che il Signore aveva promesso a Davide, e a questo scopo viene citata la profezia di Michea (Michea 5, 1). 

Poco dopo che i magi avevano adorato il bambino, si dice che Giuseppe sia stato avvertito in sogno dei piani di Erode per ucciderlo. Giuseppe obbedì immediatamenteSi alzò, prese il bambino e sua madre di notte e fuggì in Egitto. Lì rimase fino alla morte di Erode, affinché si adempisse ciò che il Signore aveva detto per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato mio figlio" (Mt 2, 14-15).

Anche in questo caso, si nota che ciò che è accaduto era già stato anticipato nell'Antico Testamento, anche se i lettori non se ne erano accorti prima. Infatti, la frase "Dall'Egitto ho chiamato mio figlio". è in Osea 11, 1, anche se nel libro del profeta questo "figlio" è il popolo d'Israele che Dio ha portato fuori dall'Egitto verso la terra promessa.

Questo gioco di citazioni e allusioni, che può essere percepito solo da chi conosce a fondo l'Antico Testamento, è ricco di significato. 

È significativo che Matteo presenti Gesù come perseguitato alla sua nascita da un re, Erode, che vuole metterlo a morte e che, una volta salvato da quella persecuzione dopo la morte di Erode, dall'Egitto si rechi nella terra d'Israele. 

In questo modo Gesù si presenta come un nuovo Mosè. Nell'ordine di Erode di mettere a morte tutti i bambini al di sotto dei due anni (Mt 2,16) si concretizza nuovamente la persecuzione che il faraone aveva dettato contro tutti i bambini israeliti (Es 1,16) e, come Mosè sfuggì prodigiosamente a morte certa, anche Gesù riuscì a sfuggire alla spada di Erode. 

Poi si sarebbe incamminato dall'Egitto verso la Terra Promessa.

Il battesimo di Gesù nel Giordano

L'idea di Gesù come nuovo Mosè risuona in diversi modi all'inizio della sua vita pubblica. Gesù si reca al Giordano vicino a Gerico, dove si trova Giovanni Battista, per farsi battezzare da lui. Inizia la sua vita pubblica dopo essere uscito dalle acque del fiume (Mt 3,13-17). 

Secondo il libro del Deuteronomio, Mosè condusse il popolo d'Israele dall'Egitto al Giordano passando per Gerico (Dt 34,3) e, prima di attraversare il fiume, morì dopo aver ammirato la terra promessa dal monte Nebo.

Gesù, come nuovo Giosuè, successore di Mosè, inizia la sua predicazione dalle rive del Giordano nello stesso luogo in cui era arrivato Mosè, di fronte a Gerico. È Gesù che porta veramente a compimento ciò che Mosè aveva iniziato.

Raccontando il battesimo di Gesù, si dice che "E quando Gesù fu battezzato, uscì dall'acqua; poi i cieli gli si aprirono ed egli vide lo Spirito di Dio scendere in forma di colomba e posarsi su di lui. E una voce dal cielo disse: "Gesù uscì dall'acqua". Questo è il mio Figlio, l'Amato, nel quale mi sono compiaciuto." (Mt 3, 16-17). Questa frase "mio figlio, l'amato", che si sente anche nella trasfigurazione di Gesù (Mt 17,5), è un'eco di quella in cui Dio si rivolge ad Abramo per chiedergli di sacrificargli il figlio Isacco: prendi "tuo figlio, l'amato" (Gen 22:2).

Il parallelo tra Gesù e Isacco, già delineato nell'annuncio dell'angelo a Giuseppe (Mt 1,20-21; Gen 17,19), assume di nuovo un rilievo molto espressivo. Questo modo di presentare Gesù indica il parallelo tra la drammatica scena della Genesi in cui Abramo è pronto a sacrificare Isacco, che lo accompagna senza opporre resistenza, e il dramma che si è consumato sul Calvario, dove Dio Padre ha offerto suo Figlio come sacrificio volontario per la redenzione del genere umano.

La predicazione di Gesù

Anche Matteo parla della predicazione di Gesù, presentandolo come il nuovo Mosè, che continua a dettagliare i precetti della Legge in un lungo discorso da un monte (Mt 5,1), alludendo al Sinai.

Lì cita alcuni dei comandamenti tramandati da Mosè e fornisce alcuni dettagli sul loro adempimento, assumendo un'autorità che non lasciava indifferenti coloro che lo ascoltavano. 

Gesù non solleva un conflitto riguardo all'accettazione della Legge di Moi.Al contrario, ne conferma il valore: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolirli, ma a dare loro pienezza. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà la più piccola lettera o tratto della Legge, finché non sia tutto compiuto". (Mt 5, 17-18). Ma spiega in dettaglio il significato e i modi di mettere in pratica i principali comandamenti della Torah. 

La "pienezza" di cui si parla non è quella di un semplice adempimento di ciò che viene comandato, ma un approfondimento dell'insegnamento della Legge che va ben oltre la rigorosa osservanza di ciò che essa esprime nella sua più pura letteralità.

Lo schema delle parole di Gesù (Mt 5,43-45) corrisponde a una spiegazione dei comandamenti secondo le procedure ordinarie dei maestri d'Israele di quel tempo. Prima viene citato il testo della Legge da commentare, poi viene indicato il modo di adempiere secondo lo spirito di questi comandi divini. Gli ascoltatori di Gesù avrebbero così ascoltato un discorso strutturato in modo a loro familiare.

In questo caso, le spiegazioni sono introdotte in modo particolare, quasi provocatorio, dal maestro di Nazareth. Non si tratta di un normale contrasto di vedute. Egli inizia dicendo: "Avete sentito che è stato detto...."e cita parole della Legge a cui tutti riconoscono un'origine e un'autorità divine, per aggiungere: "ma io vi dico...".Chi è questo insegnante che osa correggere con la sua interpretazione ciò che dice la Legge di Mosè?

Questo modo di presentare la spiegazione dei comandamenti è tipico dello stile di Gesù. Egli rivendica per sé un'autorità con la quale si pone accanto a Mosè, e addirittura si eleva al di sopra di lui.

Da un lato, Gesù accetta la Legge di Israele, ne riconosce l'autorità e insegna che ha un valore perenne. Ma allo stesso tempo, questa perennità va di pari passo con il raggiungimento di una pienezza che egli stesso è venuto a darle, non abrogandola per sostituirla con un'altra, ma portando al suo culmine l'insegnamento su Dio e sull'uomo che essa contiene. Non vi ha aggiunto nuovi precetti, né ha svalutato le sue esigenze morali, ma ne ha estratto tutte le potenzialità nascoste e ha portato alla luce nuove esigenze di verità divina e umana che erano latenti in essa.

Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo.

Ripercorrere con attenzione le pagine del Vangelo, prestando attenzione ai dettagli che una buona conoscenza dell'Antico Testamento apporta alla sua comprensione, è un esercizio affascinante, ma che richiederebbe tempo e spazio oltre i limiti di un semplice saggio come questo. Tuttavia, gli esempi sopra riportati possono servire a scoprire quale contributo può dare alla conoscenza di Gesù Cristo una lettura del Nuovo Testamento alla luce della Bibbia ebraica.

La convinzione espressa nella predicazione apostolica che l'Antico Testamento si comprende pienamente solo alla luce del mistero di Cristo e, a sua volta, che la luce dell'Antico Testamento fa risplendere le parole del Nuovo Testamento in tutto il loro splendore, è rimasta immutata nella teologia patristica.

È nota l'annotazione di San Girolamo nel prologo del suo Commento a Isaia: "Se, come dice l'apostolo Paolo, Cristo è la potenza di Dio e la sapienza di Dio, e chi non conosce le Scritture non conosce la potenza di Dio né la sua sapienza, ne consegue che ignorare le Scritture significa ignorare Cristo".

Una buona conoscenza dell'Antico Testamento è necessaria per conoscere a fondo Cristo, poiché è indispensabile per cogliere tutti i dettagli che il Nuovo Testamento evidenzia sulla persona e sulla missione del Figlio di Dio fatto uomo.

L'autoreFrancisco Varo

Professore di Sacra Scrittura, Università di Navarra

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