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Gestis verbisqueuna nota nata dal compito materno del Magistero

Pubblicata dal Dicastero per la Dottrina della Fede all'inizio del mese di febbraio 2024, la Nota Gestis verbisque risponde ai dubbi sulla validità di alcune celebrazioni sacramentali.

Rafael Díaz Dorronsoro-15 febbraio 2024-Tempo di lettura: 7 minuti
SANTA MESSA

Il Dicastero per la Dottrina della Fede pubblicato il 2 febbraio la Nota Gestis verbisque sulla validità dei Sacramenti.

La Nota è stata sollecitata dal crescente numero di domande rivolte al Dicastero sulla validità di alcune celebrazioni sacramentali, alle quali ha dovuto rispondere con rammarico, rilevandone l'invalidità (cfr. Presentazione).

La Nota si propone di "aiutare i Vescovi nel loro compito di promotori e custodi della vita liturgica delle Chiese particolari loro affidate", offrendo "alcuni elementi di natura dottrinale sul discernimento della validità della celebrazione dei Sacramenti, prestando attenzione anche ad alcuni aspetti disciplinari e pastorali" (n. 4).

La parte dottrinale sviluppa tre temi specifici della teologia sacramentale: I. La Chiesa si realizza e si esprime nei Sacramenti; II. La Chiesa si realizza e si esprime nei Sacramenti; II. La Chiesa custodisce ed è custodita dai Sacramenti; e III. La presidenza liturgica e l'arte di celebrare.

Alcune immagini tratte dalla Sacra Scrittura incanalano la riflessione: l'immagine della Chiesa come sposa e corpo di Cristo e di Cristo come capo della Chiesa.

Alla fine di ogni tema, sono indicate alcune conseguenze disciplinari e pastorali in armonia con la dottrina presentata.

Natura sacramentale della Chiesa

Il primo tema mostra la natura sacramentale della Chiesa. La Nota inizia sottolineando che la Chiesa nasce dai Sacramenti. La citazione di sant'Agostino è eloquente: "Adamo dorme perché si formi Eva; Cristo muore perché si formi la Chiesa. Dal fianco di Adamo si forma Eva; dal fianco di Cristo morto in croce, ferito dalla lancia, scaturiscono i Sacramenti con i quali si forma la Chiesa" (n. 6: Sant'Agostino, In Johannis Evangelium tractatus 9, 10).

La Chiesa, dunque, è sacramento universale di salvezza (cfr. n. 7) perché Cristo l'ha fondata attraverso l'istituzione dei sacramenti. Tornando al paragone tra la nascita di Eva e la Chiesa, possiamo aggiungere che, come Dio ha plasmato il primo uomo dalla polvere della terra, che è diventato un essere vivente quando ha ricevuto il soffio della vita (cfr. Gen 2,7), così anche la Chiesa è stata plasmata attraverso l'istituzione di ogni Sacramento da parte di Cristo, e ha iniziato a vivere il giorno di Pentecoste con l'invio dello Spirito Santo.

I Sacramenti, tuttavia, non sono una cosa del passato, ma vengono celebrati dalla Chiesa nel corso della storia fino alla fine dei tempi. E poiché Cristo ha preso la Chiesa come sua sposa, come Adamo prese Eva come sua sposa, i due formano un solo corpo.

In ogni celebrazione sacramentale non solo la Chiesa celebra, ma anche Cristo è presente, "così che quando qualcuno battezza, è Cristo che battezza" (Concilio Ecumenico, Conc. Ecum. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium, n. 22).

Si comprende così che la Chiesa, nella liturgia sacramentale, realizza e manifesta ciò che è: "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano" (n. 7: Conc. Ecumen. Vat. II, Cost. dog. Lumen gentium, n. 1).

Partendo da questa permanente origine divina della Chiesa, la Nota conclude il primo punto osservando che "gli interventi del Magistero in materia sacramentale sono sempre stati motivati da una fondamentale preoccupazione di fedeltà al mistero celebrato. La Chiesa, infatti, ha il dovere di assicurare la priorità dell'azione di Dio e di salvaguardare l'unità del Corpo di Cristo in quelle azioni che non hanno eguali perché sono sacre "per eccellenza" con un'efficacia garantita dall'azione sacerdotale di Cristo" (n. 10).

La Chiesa come custode dei sacramenti

La riflessione dottrinale prosegue con il tema La Chiesa è custode e guardiana dei Sacramenti.. Per comprenderne il contenuto, è opportuno ricordare che la Chiesa ha preso esplicitamente coscienza del settenario sacramentale solo nel XII secolo.

Il Magistero iniziò a insegnarlo a partire dal XIII secolo e il Concilio di Trento, di fronte alla crisi della Riforma protestante che negava l'origine divina dei sette Sacramenti, definì l'istituzione di ciascuno dei sette Sacramenti da parte di Cristo come un dogma di fede. Inoltre, nel corso dei secoli, sono stati modificati alcuni gesti ed elementi materiali ritenuti necessari per la celebrazione valida di alcuni Sacramenti.

Tutto ciò solleva la questione del potere della Chiesa di determinare il numero dei sacramenti e il segno sacramentale di ciascuno di essi. La risposta può essere considerata come la riflessione più originale della Nota.

Il Dicastero chiarisce che il potere della Chiesa non è arbitrario perché deve essere la sposa fedele del suo sposo, Cristo, che li ha istituiti. Per giustificare quanto avvenuto nel corso dei secoli, la Nota sostiene che il potere che la Chiesa può esercitare sui Sacramenti è analogo a quello che possiede nei confronti della Sacra Scrittura. "In quest'ultima, la Chiesa riconosce la Parola di Dio, messa per iscritto sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, stabilendo il canone dei libri sacri. Allo stesso tempo, però, si sottomette a questa Parola, che "ascolta con pietà, custodisce con accuratezza ed espone con fedeltà" (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dog. Dei Verbum, n. 10). Allo stesso modo la Chiesa, assistita dallo Spirito Santo, riconosce i segni sacri attraverso i quali Cristo elargisce la grazia che scaturisce dalla Pasqua, determinandone il numero e indicando, per ciascuno di essi, gli elementi essenziali" (n. 11).

In merito alla determinazione del segno sacramentale, la Nota aggiunge che la Chiesa "sa in particolare che la sua potestas I sacramenti devono essere considerati alla luce della loro sostanza (cfr, Sessione XXI2). Come nella predicazione la Chiesa deve sempre annunciare fedelmente il Vangelo di Cristo morto e risorto, così nei gesti sacramentali deve conservare i gesti salvifici affidatele da Gesù" (n. 11).

Riconosce inoltre che "la Chiesa non ha sempre indicato in modo inequivocabile i gesti e le parole in cui consiste questa sostanza". divinitus instituta. In ogni caso, per tutti i Sacramenti appaiono fondamentali quegli elementi che il Magistero della Chiesa, in ascolto della sensus fidei del Popolo di Dio e in dialogo con la teologia, ha chiamato materia e forma, a cui si aggiunge l'intenzione del ministro" (n. 12).

Condizioni per la validità della celebrazione sacramentale

Le condizioni per la validità della celebrazione sacramentale sono le seguenti.

In primo luogo, deve essere rispettato ciò che la Chiesa ha stabilito circa la materia (gesti e uso di elementi materiali) e la forma (parole) di ogni Sacramento. Si precisa che la Chiesa non li ha determinati per puro capriccio o arbitrariamente ma, salvaguardando la sostanza dei Sacramenti, li ha indicati con autorità, radicati nella Tradizione e nella docilità all'azione dello Spirito Santo per meglio esprimere la grazia conferita dal Sacramento (nn. 12-16).

In secondo luogo, è necessario che il ministro abbia "l'intenzione di fare almeno ciò che fa la Chiesa" (n. 17: Conc. di Trento, Decretum di Sacramentiscan. 11).

Sottolinea inoltre l'unità intrinseca tra i tre elementi, che "si integrano nell'azione sacramentale in modo tale che l'intenzione diventi il principio unificante della materia e della forma, rendendole un segno sacro con cui viene conferita la grazia". ex opere operato" (n. 18).

Perciò il segno sacramentale manifesta l'intenzione del ministro, e "la grave modificazione degli elementi essenziali mette in dubbio anche la reale intenzione del ministro, inficiando così la validità del sacramento celebrato" (n. 19).

Il tema si conclude con un breve accenno all'integrazione del segno sacramentale nella celebrazione dell'intera liturgia sacramentale, rilevando che non si tratta di "una ornato Non è l'aspetto cerimoniale dei Sacramenti, né un'introduzione didattica alla realtà che si compie, ma è nella sua interezza l'evento in cui avviene l'incontro personale e comunitario tra Dio e noi, in Cristo e nello Spirito Santo" (n. 20).

Varietà di riti liturgici sacramentali

La liturgia "permette la varietà che preserva la Chiesa da una 'rigida uniformità'" (n. 21). Per questo motivo, la Chiesa accoglie nel suo seno una grande varietà di riti liturgici sacramentali, e i riti stessi prevedono possibili adattamenti della celebrazione a seconda delle circostanze.

La liturgia è l'azione della Chiesa, e affinché questa varietà non danneggi l'unità, la Nota ricorda "che, salvo i casi espressamente indicati nei libri liturgici, "la regolamentazione della sacra Liturgia è di esclusiva competenza dell'autorità della Chiesa" (Conc. Ecumen. Vat. II, Cost. lit. Sacrosanctum Concilium(n. 22), che risiede, a seconda dei casi, nel vescovo, nell'assemblea episcopale territoriale, nella Sede Apostolica" (n. 22).

La conclusione finale di questo secondo tema è che "cambiare di propria iniziativa la forma celebrativa di un Sacramento non costituisce un semplice abuso liturgico, come trasgressione di una norma positiva, ma una ferita inferta al tempo stesso alla comunione ecclesiale e al riconoscimento dell'azione di Cristo, che nei casi più gravi rende invalido il Sacramento stesso, perché la natura dell'azione ministeriale esige che si trasmetta fedelmente ciò che si è ricevuto (cfr. 1 Cor 15,3)" (n. 22: Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale sulla modifica della formula sacramentale del Battesimo, 8).

Il terzo tema, intitolato La presidenza liturgica e l'arte della celebrazioneL'attenzione si concentra sulla figura del ministro, che sta celebrando in persona Christi Capitis e in nomine Ecclesiae (cfr. n. 23). La nota specifica che per celebrare in persona Christi Capitis non conferisce al ministro un potere da esercitare arbitrariamente durante la celebrazione. Celebrare in persona Christi Capitis significa che il vero celebrante è Cristo (cfr. n 24). Se ci atteniamo alla teologia scolastica, diremmo che l'agente principale è Cristo e il ministro è un agente strumentale. È quindi comprensibile che la Nota continui a insegnare che il potere del ministro è una diaconia (cfr. n. 24).

Il ministro celebra anche a nome della Chiesa. Questa "formula chiarisce che mentre rappresenta Cristo Capo davanti al suo Corpo che è la Chiesa, rende anche questo Corpo, anzi questa Sposa, presente davanti al proprio Capo come soggetto integrante della celebrazione" (n. 25).

La conclusione è che "il ministro deve capire che la vera ars celebrandi è quello che rispetta ed esalta il primato di Cristo e l'attiva partecipazione di tutta l'assemblea liturgica, anche attraverso l'umile obbedienza alle norme liturgiche" (n. 26).

Siamo di fronte a un documento che nasce dall'autorità paterna e materna del Magistero, che veglia sulla salvezza del Popolo di Dio e di tutte le anime.

Non sorprende quindi che la Nota si concluda esortandoci a custodire tutta la ricchezza contenuta nei Sacramenti, affinché la fragilità umana non oscuri il primato dell'opera salvifica di Dio nella storia.

In questo compito, che spetta a tutta la Chiesa, i ministri hanno la particolare responsabilità di "far sì che la bellezza della celebrazione cristiana" sia mantenuta viva e non sia "deturpata da una comprensione superficiale e riduttiva del suo valore o, peggio ancora, dalla sua strumentalizzazione al servizio di una visione ideologica, qualunque essa sia" (n. 29: Francesco, C. App. Desiderio desideravi, n. 51).

L'autoreRafael Díaz Dorronsoro

Professore di Teologia sacramentaria, Pontificia Università della Santa Croce (Roma)

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