Vaticano

Incontri tra Papa Francesco e Benedetto XVI

Papa Francesco e il suo predecessore si sono incontrati molte volte negli ultimi dieci anni. Il pontefice non ha mai smesso di apprezzare e ringraziare l'umile esempio di Joseph Ratzinger e la sua incessante preghiera per la Chiesa.

Giovanni Tridente-30 dicembre 2022-Tempo di lettura: 5 minuti

Il primo incontro tra Papa Francesco e Benedetto XVI si è svolta pochi giorni dopo l'elezione dell'attuale Pontefice, il 23 marzo 2013, con un caloroso abbraccio sull'eliporto di Castel Gandolfo, la residenza dove il Papa emerito aveva trascorso il suo periodo di vacanza.

Entrambi si sono presentati vestiti di bianco e prima di incontrarsi nella biblioteca privata hanno sostato in preghiera nella cappella, fianco a fianco; Francesco ha ceduto il posto d'onore sedendosi nei banchi con Benedetto: "siamo fratelli".

Ci ha insegnato l'umiltà

Significativo il dono che Francesco ha portato al suo predecessore quel giorno, l'icona della Madonna dell'Umiltà: "Non la conoscevo, ho pensato subito a lei, ci ha insegnato l'umiltà". Qualche mese dopo, i due si sono incontrati nei Giardini Vaticani per la benedizione della nuova statua di San Michele Arcangelo, patrono dello Stato della Città del Vaticano.

L'anno successivo, nel 2014, c'è stato un nuovo abbraccio tra il Pontefice regnante e l'emerito, il 28 settembre in Piazza San Pietro, in occasione del grande incontro con gli anziani organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita; nel 2015 le telecamere hanno ripreso un nuovo saluto e abbraccio nel mese di giugno, prima che Benedetto XVI partisse per un nuovo periodo di riposo a Castel Gandolfo.

Nel 2015, Benedetto XVI è stato nuovamente presente a una cerimonia pubblica con Papa Francesco, questa volta per la cerimonia di apertura della Porta Santa della Basilica Vaticana l'8 dicembre, in occasione dell'inizio del Giubileo della Misericordia.

Il 28 giugno 2016, nella Sala Clementina si è svolta anche la cerimonia di commemorazione del 65° anniversario dell'ordinazione sacerdotale del Papa emerito, alla presenza di numerosi cardinali della Curia romana. Nel suo discorso, Francesco ha sottolineato l'amore testimoniato da Benedetto XVI, descrivendolo come una "nota che domina una vita spesa nel servizio sacerdotale e nella teologia".

Altri incontri frequenti e pubblici avvenivano tra i due al termine di ogni Concistoro per la creazione di nuovi cardinali, con tutto il gruppo che puntualmente saliva al monastero Mater Ecclesiae per salutare il Papa emerito e avere un momento di preghiera nella cappella della residenza. Poi ci sono i numerosi incontri privati e il continuo scambio di telefonate, anche alla vigilia di ogni viaggio all'estero.

Ministero nascosto

Nei dieci anni di pontificato, Papa Francesco ha spesso fatto riferimento al suo predecessore, chiedendo preghiere per il suo "ministero nascosto" e ringraziandolo per il suo sostegno orante alla Chiesa. Preghiere che ha sempre chiesto di ricambiare nei confronti del Papa emerito. Oltre alle occasioni ufficiali, come la consegna del "Premio Ratzinger" promosso dall'omonima Fondazione vaticana, il Pontefice regnante ha parlato di Benedetto XVI anche durante le udienze, gli Angelus o le interviste con i giornalisti.

Il primo riferimento risale senza dubbio alla notte stessa della sua elezione dalla Loggia della Basilica Vaticana: "Prima di tutto, vorrei dire una preghiera per il nostro Vescovo Emerito"; "che il Signore lo benedica e che la Madonna lo protegga".

Teologia in ginocchio

Nel 2013, in occasione del conferimento dell'onorificenza di Premio Ratzinger Nello stesso anno, Francesco ha espresso "gratitudine e grande affetto" per il suo predecessore, valorizzando il lavoro svolto con la pubblicazione dei libri su Gesù di Nazareth, attraverso i quali "ha fatto dono alla Chiesa, e a tutti gli uomini, di ciò che aveva di più prezioso: la sua conoscenza di Gesù", maturata attraverso una teologia fatta "in ginocchio".

Un uomo di fede, così umile

Durante il viaggio di ritorno da Terra SantaNel maggio 2014, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se in futuro avrebbe seguito la scelta del suo predecessore di lasciare prematuramente il pontificato, Francesco disse di Benedetto XVI: "è un uomo di fede, così umile"; "dobbiamo guardarlo come un'istituzione".

Come avere un nonno saggio in casa

Qualche mese dopo, di ritorno questa volta in agosto dal suo viaggio in Corea, i giornalisti gli hanno chiesto specificamente del suo rapporto con Papa Ratzinger, e Francesco ha detto innanzitutto che Benedetto XVI con il suo gesto ha di fatto istituito il papato emerito, aprendo "una porta che è istituzionale, non eccezionale". Per quanto riguarda il rapporto, "è quello di fratelli, davvero"; "mi sembra di avere un nonno a casa per la saggezza", "mi fa bene ascoltarlo". Mi incoraggia anche molto".

"Come avere il nonno saggio in casa", ha ripetuto Francesco all'incontro con gli anziani nel settembre 2014, quando ha ringraziato pubblicamente Benedetto XVI per la sua presenza all'evento.

Il 16 aprile 2015, durante la Messa mattutina a Casa Santa Marta in occasione dell'88° compleanno dell'emerito, Francesco ha invitato i presenti a unirsi a lui nella preghiera per Benedetto XVI, "perché il Signore lo sostenga e gli dia molta gioia e felicità".

Grande uomo di preghiera e di coraggio

Nel giugno 2016 è stata la volta di una nuova domanda dei giornalisti sul volo di ritorno dall'Armenia. Qui Francesco ha aggiunto che per lui "è l'uomo che custodisce le mie spalle e la mia schiena con la sua preghiera". Tra le altre cose, "è un uomo di parola, un uomo retto, un uomo integro", "un grande uomo di preghiera, di coraggio".

Maturità, dedizione e fedeltà

Più tardi nello stesso mese, alla cerimonia di commemorazione del 65° anniversario del suo sacerdozio, Francesco ha aggiunto che dal piccolo monastero dove risiede Benedetto XVI "emana una tranquillità, una pace, una forza, una fiducia, una maturità, una fede, una dedizione e una fedeltà che mi fanno tanto bene e danno a me e a tutta la Chiesa tanta forza".

Per l'infallibile "Premio Ratzinger" 2016 - "ancora una volta" - l'espressione del "nostro grande affetto e gratitudine" per Benedetto XVI, "che continua ad accompagnarci anche ora con la sua preghiera".

Presenza discreta e incoraggiante

"La sua preghiera e la sua presenza discreta e incoraggiante ci accompagnano nel cammino comune; la sua opera e il suo magistero restano un'eredità viva e preziosa per la Chiesa e per il nostro servizio", sono state le parole pronunciate nello stesso anniversario l'anno successivo. Per Papa Francesco, Ratzinger "rimane un maestro e un interlocutore amichevole per tutti coloro che esercitano il dono della ragione per rispondere alla vocazione umana della ricerca della verità".

La stima, l'affetto e la gratitudine si ripetono negli anni successivi. Nel 2019, Papa Francesco esprime la sua gratitudine "per l'insegnamento e l'esempio che ci avete dato di servire la Chiesa riflettendo, pensando, studiando, ascoltando, dialogando e pregando, affinché la nostra fede rimanga viva e consapevole nonostante il cambiamento dei tempi e delle situazioni, e affinché i credenti sappiano rendere conto della loro fede in un linguaggio capace di essere compreso dai loro contemporanei e di entrare in dialogo con loro, per cercare insieme le vie dell'incontro con Dio nel nostro tempo".

Il Vaticano contemplativo

Al termine dell'Angelus del 29 giugno 2021, 70° anniversario dell'ordinazione sacerdotale di Benedetto XVI, Francesco lo ha definito "caro padre e fratello", "il contemplativo del Vaticano, che trascorre la sua vita pregando per la Chiesa e per la diocesi di Roma, di cui è vescovo emerito". Lo ha poi ringraziato per la sua "testimonianza credibile" e per il suo "sguardo continuamente rivolto all'orizzonte di Dio".

Nella consegna del Premio Ratzinger 2022Francesco ha ribadito che "per me non mancano momenti di incontro personale, fraterno e affettuoso con il Papa emerito", evidenziando come tutti sentano "la sua presenza spirituale e il suo accompagnamento nella preghiera per tutta la Chiesa: quegli occhi contemplativi che sempre mostra".

Testimone dell'amore fino alla fine

Infine, non possiamo dimenticare il riferimento all'udienza generale dopo il Natale, il 28 dicembre 2022, quando ha invitato i presenti e tutta la Chiesa a intensificare la preghiera per colui "che nel silenzio sostiene la Chiesa", affinché il Signore "lo sostenga in questa testimonianza di amore per la Chiesa, fino alla fine".

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Spagna

Le famiglie numerose sono a rischio di estinzione?

La Federazione spagnola delle famiglie numerose lavora per dare visibilità e preservare i diritti delle famiglie con più membri.

Paloma López Campos-30 dicembre 2022-Tempo di lettura: 3 minuti

La Federazione spagnola delle famiglie numerose (FEFN) lavora da anni per dare visibilità, informare e lottare per i diritti delle famiglie con più figli. Grazie alle iniziative legislative, alle dichiarazioni dei politici e alle attuali tendenze di pensiero, è facile rendersi conto che le famiglie, soprattutto quelle numerose, stanno vivendo una situazione complicata.

In seguito alla modifica della denominazione delle famiglie numerose, ora considerate "famiglie con maggiori esigenze di sostegno alla genitorialità", il dibattito si è riacceso. In questa intervista, un rappresentante della Federazione parla delle difficoltà, ma anche dei cambiamenti positivi, che si stanno verificando in Spagna in questo settore.

Qual è la sfida più grande che le famiglie numerose devono affrontare oggi?

Se parliamo della vita quotidiana di una famiglia numerosa, possiamo evidenziare due sfide principali: una è l'equilibrio tra lavoro e vita privata, l'altra è la questione economica, poiché i prezzi sono alle stelle, il carrello della spesa è diventato molto più costoso per i beni di prima necessità, così come le forniture domestiche di base: elettricità, gas, ecc. Inoltre, queste due questioni sono collegate perché quando si hanno molti figli, per soddisfare tutte le esigenze, sono necessari due stipendi a casa, e se il padre e la madre lavorano entrambi fuori casa, è difficile far quadrare i conti e l'equilibrio tra lavoro e vita privata è molto difficile. In ogni caso, nonostante tutte le difficoltà, con sforzi e rinunce, alla fine si riesce a fare tutto, o almeno le cose importanti, e in cambio ci sono molti aspetti positivi quando si ha una famiglia numerosa.

Come viene considerata la famiglia numerosa dagli enti pubblici in Spagna?

La famiglia numerosa in Spagna non ha tutti i riconoscimenti che dovrebbe avere. È vero che negli ultimi anni, grazie al movimento associativo, alle associazioni e alle federazioni di famiglie numerose, si sono fatti passi avanti su alcuni temi, ma il nostro Paese non valorizza ancora a sufficienza la famiglia e, in particolare, chi ha più figli; non viene riconosciuta come un bene sociale. Proprio in questi giorni è in fase di elaborazione una nuova legge sulla famiglia che mira a migliorare il sostegno alla famiglia con alcune misure positive, ma non si concentra sul tasso di natalità, che è una questione fondamentale, e nemmeno sulle famiglie che hanno più figli. 

Qual è la sua opinione sul progetto di legge in cui il governo "classifica" le famiglie?

La legge è positiva su alcuni temi, come la conciliazione e la volontà di migliorare il sostegno a un maggior numero di famiglie, ma nel caso delle famiglie numerose ci sentiamo un po' attaccati perché propone l'eliminazione del concetto di famiglia numerosa, che sarà sostituito dal concetto di "famiglie con maggiori esigenze di sostegno alla genitorialità", che includerà le famiglie numerose e le famiglie con meno figli e circostanze particolari. Crediamo che il sostegno debba essere dato alle famiglie che ne hanno più bisogno, senza però trascurare il riconoscimento e la tutela delle famiglie numerose per il loro contributo alla società. Ci sembra che la legge sottovaluti questo contributo sociale delle famiglie numerose.  

Quali misure ha proposto per il diritto di famiglia?

Chiediamo una revisione delle agevolazioni per le famiglie numerose, in primo luogo che la legge sulle famiglie numerose venga aggiornata perché per alcuni aspetti è obsoleta; inoltre che la categoria speciale che oggi hanno le famiglie con 5 figli venga istituita per le famiglie con 4 o più figli, visto l'attuale basso tasso di natalità. Abbiamo anche chiesto che ci sia proporzionalità nei benefici e nei requisiti per gli aiuti, cioè che nel fissare i limiti di reddito si tenga conto del "reddito pro capite", perché una famiglia numerosa deve avere un reddito più alto e se non si tiene conto della composizione familiare, siamo esclusi da molti benefici perché superiamo soglie di reddito molto basse. Lo stesso vale per i giorni di congedo per l'assistenza all'infanzia: se una famiglia ha 5 giorni di congedo all'anno per un figlio, una famiglia con 4 figli non può avere anch'essa 5 giorni di congedo all'anno, perché ha più figli e le sue esigenze di assistenza sono maggiori. Tutti i bambini contano, tutti mangiano, tutti vanno a scuola, tutti devono essere portati dal medico, ecc. ma sembra che le amministrazioni dimentichino la metà dei nostri bambini.

Quali interessi delle famiglie numerose sono attualmente a rischio?

In questo momento, a causa della nuova legge, il riconoscimento stesso delle famiglie numerose è in pericolo, poiché esse cesseranno di essere chiamate famiglie numerose e quindi cesseranno di esistere a questi fini, se la nuova legge sulle famiglie verrà approvata così come è stata proposta. Per questo motivo, stiamo lanciando accuse e chiedendo il sostegno dei gruppi politici affinché non si proceda, e abbiamo anche avviato una campagna di raccolta firme contro questo cambiamento che il Governo vuole apportare. Abbiamo già raccolto 15.000 firme e sappiamo che ci sono molte famiglie che non sono d'accordo con quanto proposto dalla nuova legge. Tutte le famiglie che sono contrarie e vogliono salvare il concetto di famiglia numerosa possono firmare qui: https://chng.it/xRyB8kPt

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Famiglia

La famiglia, culla della vocazione all'amore

Oggi celebriamo la Giornata della Sacra Famiglia, con il motto "la famiglia, culla della vocazione all'amore".

Paloma López Campos-30 dicembre 2022-Tempo di lettura: 3 minuti

Dal Conferenza episcopale spagnolai vescovi ricordano che la famiglia è "un luogo privilegiato di accoglienza e discernimento della vocazione all'amore". Questo nucleo essenziale nella società è qualcosa di cui Cristo stesso non si è privato. Papa Francesco sottolinea che "è bello vedere Gesù inserito nella rete degli affetti familiari, nascere e crescere nell'abbraccio e nella preoccupazione dei suoi" (Angelus, 26 dicembre 2021).

La Sacra Famiglia, un modello per le nostre case

"In questa festa della Sacra Famiglia", affermano i vescovi, "veniamo a contemplare, dalla mano della Vergine Maria e di San Giuseppe il mistero di Dio che si è incarnato per amore nostro". La casa di Nazareth ci ricorda l'importanza delle nostre famiglie e la necessità di proteggerle: "Nessuna istituzione può sostituire l'opera della famiglia nell'educazione dei figli, specialmente nella formazione della coscienza. Qualsiasi interferenza in questa sfera sacra deve essere denunciata perché viola il diritto dei genitori di trasmettere ai propri figli un'educazione conforme ai loro valori e alle loro convinzioni".

La Sottocommissione episcopale per la famiglia e la difesa della vita ha preparato un opuscolo per la preghiera in casa in occasione del Natale. Questo documento è disponibile sul sito web della Conferenza episcopale spagnola.

Linee guida CEE sull'educazione in famiglia

Sulla base dei punti chiave definiti dal Papa Francesco nell'esortazione Christus vivitI vescovi condividono le linee guida "per il discernimento della vocazione e la riflessione sull'educazione in famiglia":

1. La famiglia è il luogo "dove si è amati per se stessi, non per ciò che si produce o per ciò che si possiede".

2.Gesù Cristo è "il membro più importante della famiglia, colui al quale si consultano tutte le questioni importanti, al quale si affidano tutte le situazioni, al quale si chiede perdono quando abbiamo fallito".

3.È nel nucleo familiare che si promuovono le virtù "affinché coloro che sono chiamati diano il loro generoso sì al Signore e rimangano fedeli a questo sì".

4.Nelle case si può facilitare l'incontro con Cristo per imparare ad "ascoltare la sua Parola e a riconoscere la sua voce attraverso il discernimento".

5.I genitori devono riconoscere, guardando i loro figli, che non sono "proprietari del dono, ma suoi attenti amministratori".

6. I genitori devono insegnare ai figli a "riconoscersi come un dono".

7. È importante inculcare l'idea che la vita è un dono di sé, in modo che i bambini possano dire: "Sono una missione su questa terra, ed è per questo che sono in questo mondo".

8. "La famiglia non è una cellula isolata in se stessa, che non si cura di ciò che le accade intorno. Questa dimensione caritativa inizia nella famiglia allargata, che si prende cura soprattutto dei nonni e degli anziani, ma deve aprirsi ai bisogni degli altri".

9. È essenziale che i genitori non "si oppongano alla vocazione dei figli al sacerdozio o alla vita consacrata o chiedano loro di dare priorità al loro futuro professionale, rimandando la chiamata del Signore". Inoltre, per quanto riguarda le vocazioni, i vescovi sottolineano che "non c'è nulla di più stimolante per i figli che vedere i genitori vivere il matrimonio e la famiglia come una missione, con felicità e pazienza, nonostante le difficoltà, i momenti tristi e le prove".

10.Come Chiesa "abbiamo la missione di accompagnare le famiglie che vivono nelle nostre comunità". Dobbiamo essere vicini alle "famiglie che vivono in condizioni di emarginazione e povertà; dobbiamo essere attenti alle famiglie di immigrati; non dobbiamo lasciare da parte le famiglie che hanno subito separazioni e divorzi".

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Vaticano

I viaggi del Papa nel 2023, nei 10 anni di pontificato

Il 13 marzo 2023, Papa Francesco compirà 10 anni di pontificato alla guida della Chiesa cattolica. Il primo Papa americano della storia ha compiuto 86 anni a dicembre e sta già pensando alla sua eredità, ma non rallenta la sua attività, nonostante il ginocchio; sta lavorando al Sinodo della sinodalità e al Giubileo del 2025 e sta programmando alcuni viaggi, dove potrà lanciare i suoi messaggi con ancora più forza.

Francisco Otamendi-29 dicembre 2022-Tempo di lettura: 5 minuti

Il Papa è da tempo impegnato in una catechesi sul discernimento. A Audizione di mercoledì Il 21 dicembre 2022, il Santo Padre ha detto che il discernimento è molto complicato, ma "in realtà è la vita ad essere complicata e, se non impariamo a leggerla, corriamo il rischio di sprecarla, portandola avanti con trucchi che finiscono per scoraggiarci".

La sua riflessione era globale, ma poteva benissimo applicarsi ai suoi viaggi apostolici, perché ha aggiunto che bisogna sempre discernere, anche nelle piccole cose della giornata, perché "la vita ci mette sempre davanti a delle scelte, e se non le facciamo consapevolmente, alla fine è la vita che sceglie per noi, portandoci dove non vorremmo andare".

Infatti, per l'anno 2023, forse in considerazione dell'età e dei problemi di mobilità al ginocchio, la Santa Sede ha confermato un solo viaggio apostolico, tra il 31 gennaio e il 5 febbraio, nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan.

Anche se, se non ci sarà uno "stop" medico, è molto probabile che si recherà anche all'incontro dei vescovi del Mediterraneo a Marsiglia (Francia) in febbraio o marzo, a cui di solito partecipano le autorità civili. E molto probabilmente lo vedremo anche alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona, dal 1° al 6 agosto. Ma facciamo un passo alla volta.

Quinto viaggio in Africa

La visita in terra congolese è molto attesa: era prevista per il luglio 2022, ma è stata ufficialmente rinviata su consiglio dei medici. Forse è stato anche influenzato dalla situazione nell'est del Paese congolese, dove "decine di milizie, con la complicità dei Paesi vicini e di politici desiderosi di ricchezza, si sono confrontate con la presenza dei caschi blu [ONU] sul territorio congolese fin dall'inizio dei conflitti", spiega Alberto García Marcos da Kinshasa. Anche per questo motivo, lo slogan della visita papale alla Repubblica Democratica del Congo è "Tutti riconciliati in Cristo".

In questa quinta visita del Papa nel continente africano ̶̶̶Le precedenti sono state in Kenya, Repubblica Centrafricana e Uganda (2015), Egitto (2017), Marocco (2019) e Mozambico, Madagascar e Mauritius (2019). ̶ Francesco si recherà anche in Sud Sudan, insieme a Justin Welby, arcivescovo di Canterbury e leader della Chiesa anglicana, e Jim Wallance, moderatore dell'Assemblea generale della Chiesa di Scozia. "Un segno di unità e un esempio per il popolo di mettere da parte le divisioni. Il motto del viaggio dice tutto: "Prego perché tutti siano una cosa sola" (Gv 17). Sarà un viaggio di pace e allo stesso tempo ecumenico", afferma García Marcos.

"Il Mediterraneo, un cimitero freddo".

Il Papa vuole andare a Marsiglia per l'incontro dei vescovi del Mediterraneo, perché è uno dei temi centrali del suo pontificato: trasformare la cultura dello scarto, in questo caso di migranti e rifugiati, in una cultura dell'accoglienza, dell'inclusione e della cura. L'anno scorso l'incontro si è tenuto a Firenze e il Papa ha visitato il capoluogo toscano a febbraio.

Ancora oggi, i media fanno eco al le parole del Santo Padre ad Atene e nel campo profughi di Mitilene, Lesbo (Grecia), alla fine del 2021. Davanti al Partenone e alle autorità greche, ha detto: "Oltre a guardare verso l'alto, il nostro sguardo è rivolto anche verso l'altro. Ci viene in mente il mare, su cui Atene si affaccia e che guida la vocazione di questa terra, situata nel cuore del Mediterraneo, a essere un ponte tra i popoli. 

A LesboCinque anni dopo la sua prima visita, ha aggiunto: "Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre lontane, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. Questo grande spazio d'acqua, culla di molte civiltà, sembra ora uno specchio di morte. Non lasciamo che il "mare nostrum" diventi un desolato "mare mortuum".

GMG di Lisbona

Il 27 gennaio 2019, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù a Panama, il cardinale Kevin Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita della Santa Sede, ha annunciato che Lisbona sarà la prossima città ad ospitare l'evento. Inizialmente prevista per l'estate del 2022, la GMG di Lisbona è stata rinviata di un anno a causa della pandemia.

Papa Francesco ha partecipato alle Giornate Mondiali della Gioventù di Rio de Janeiro (2013), Cracovia (2016) e Panama (2019). Il Vaticano non ha ancora confermato la presenza del Romano Pontefice a Lisbona. Tuttavia, è prevedibile che lo farà nei prossimi mesi. È tradizione che il Papa partecipi agli ultimi giorni di questi incontri di massa con i giovani, come è accaduto tante volte con San Giovanni Paolo II e, ad esempio, con Benedetto XVI nel 2011 a Madrid.

Orecchini: Papua Nuova Guinea....

La visita di Papa Francesco in Papua Nuova Guinea (Oceania), e forse in un Paese a metà strada tra il Sud-Est asiatico e l'Australia, come l'Indonesia, è stata rinviata nel 2020 anche a causa della pandemia, e non ci sono particolari notizie che confermino il viaggio del Papa, almeno nel prossimo futuro, ma tutto può succedere. L'Indonesia è un Paese insulare di oltre 200 milioni di persone, l'80% delle quali sono musulmane, anche se non mancano i cristiani, circa l'8%.

La destinazione originaria del viaggio del 2020 era la Papua Nuova Guinea, divenuta indipendente nel 1975 dopo decenni di amministrazione australiana e situata nel nord dell'Australia, occupando la metà orientale dell'isola di Nuova Guinea. In Papua Nuova Guinea vivono molti gruppi etnici e popolazioni rurali e si parlano più di 800 lingue native. Dopo il Sinodo dell'Amazzonia nel 2019 e il viaggio apostolico in Canada nel 2022, il Papa potrebbe recarsi in Papua Nuova Guinea, medici permettendo.

Australia?

Una visita in Oceania potrebbe forse includere uno scalo in Australia, ma questo non è noto. San Giovanni Paolo II si è recato due volte in Australia e il Papa emerito Benedetto XVI ha presieduto una Giornata Mondiale della Gioventù a Sydney nel 2008, prima di quella di Madrid (2011).

D'altra parte, il 1° novembre è entrata in vigore nell'Australia occidentale una legge denominata "Legge australiana sulla protezione dei diritti del bambino". Proposta di legge di modifica dei servizi comunitari e familiari 2021", che obbliga i sacerdoti a denunciare gli abusi sessuali sui minori, anche se commessi da un sacerdote. manifestarsi sotto il segreto sacramentale della confessione.

L'arcivescovo di Perth, la capitale dello Stato, monsignor Timothy Costelloe SDB, che ha riconosciuto la "storia orribile" degli abusi sessuali sui minori, ha sostenuto la sua opposizione alla recente legge. Sottolinea, tra l'altro, che "i peccati non si confessano al sacerdote ma a Dio" e che il sacerdote "non ha il diritto o l'autorità di rivelare nulla di ciò che accade in questo incontro intimo con Dio".

Speculazione sull'Ucraina

Sul volo di ritorno a Roma dal Kazakistan dopo la sua partecipazione al 7° Congresso dei leader delle religioni e la sua visita al Paese kazako a settembre, il Papa ha detto, in risposta alle domande sull'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, che "è difficile parlare con qualcuno che ha iniziato una guerra, ma deve essere fatto".

La domanda è dove e come. All'epoca si era ipotizzato che il Romano Pontefice avrebbe visitato l'Ucraina, ma finora coloro che si sono recati a portare incoraggiamento, coperte e medicine sono i cardinali Konrad Krajewski e Michael Czerny, rispettivamente prefetti dei dicasteri per i Servizi della Carità e dello Sviluppo Umano Integrale.

Il diplomazia Il Vaticano continua a lavorare agli sforzi di mediazione, mentre il Papa lancia appelli urgenti affinché le armi tacciano e torni la pace. La guerra in Ucraina, "insieme ad altri conflitti in tutto il mondo, rappresenta una sconfitta per l'umanità nel suo insieme e non solo per le parti direttamente coinvolte", ha detto il Santo Padre nel suo discorso. Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace il 1° gennaio, che fa riferimento al "ripartire da Covid, per tracciare insieme sentieri di pace", perché "nessuno può salvarsi da solo".

Il suo dolore per la guerra, per tutte le guerre, lo porta a cercare e promuovere la fratellanza umana, come ha fatto in Iraq, Kazakistan e Bahrein, sulla scia di Abu Dhabi. Questa è forse la strada da esplorare nei futuri viaggi papali.

L'autoreFrancisco Otamendi

Famiglia

Consapevolezza di sé e dell'ego

Include il podcast - Vivere con un egocentrico è particolarmente difficile. È necessario un serio esercizio delle virtù per aiutare a reindirizzare questo tipo di atteggiamento, che può essere fatale in qualsiasi relazione umana.

José María Contreras-29 dicembre 2022-Tempo di lettura: 2 minuti

Ascolta il podcast "Autocoscienza e ego".

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Da qualche tempo la parola ego ha assunto un ruolo di primo piano nelle conversazioni più comuni.

Prima non era così. Ricordo la prima volta che mi ci sono imbattuto in una conversazione. Devo aver fatto una faccia strana perché il mio interlocutore ha detto: "Sì, sì, ego, arroganza".

È un termine ormai frequente e ha più "prestigio" della parola "arroganza" perché quest'ultima sembra meno delicata, meno elegante. Tuttavia, in fin dei conti, si tratta della stessa cosa.

Paradossalmente, ci sono persone che sono molto orgogliose del proprio ego, anzi lo ammettono apertamente: "Ho un grande ego", dicono quando glielo si chiede.

Tendono a essere persone inflessibili con una scarsa conoscenza di sé. Non è raro che vi dicano che non si pentono di nulla di ciò che hanno fatto in passato. Questo li porta a essere ingrati. Fanno tutto bene. Non devono nulla a nessuno. Di conseguenza, sono incapaci di chiedere perdono.

Come può una persona dire che non cambierebbe nulla, quando gli esseri umani commettono errori più volte al giorno? Man mano che alimentano il loro ego, aumenta la sfiducia nelle persone che li circondano.

Chiedere scusa per gli errori è una delle caratteristiche della leadership, ma a loro sembra una debolezza, quindi, come abbiamo detto, non si scusano mai. Hanno difficoltà ad amare e a sentirsi amati. Chiedere perdono fa parte dell'amore. Nella coesistenza, spesso è necessario farlo. È umano commettere errori.

Una persona "non umana" produce rifiuto. Hanno una certa incapacità di educare. È probabile che siano molto inflessibili di fronte agli errori degli altri.

Questi egomaniaci hanno la sensazione di fare regolarmente un favore agli altri e questo li rende incapaci, a lungo andare, non solo di amare come abbiamo detto, ma anche di mantenere i loro amori. Le persone con molto ego si disuniscono molto.

A causa della loro mancanza di autoconsapevolezza, bisogna fare attenzione quando si vive insieme, qualsiasi cosa può turbarli. Siete tesi quando li circondate.

È quello che è sempre stato definito una persona arrogante.

 Una persona difficile da vivere e incapace di educare a causa della sua mancanza di consapevolezza di sé.

Nonostante tutto, avere un ego è di moda e, a volte, ben considerato. È vero che è possibile uscire dall'ego: basta acquisire una certa formazione personale e aumentare la conoscenza di sé.

Semplicemente per rendersi conto che l'essere umano è debole e spesso ha bisogno degli altri.

In altre parole, è sufficiente essere nella realtà, in ciò che le cose sono.

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Letture della domenica

Contemplazione orante. Solennità di Maria, Madre di Dio (A)

Joseph Evans commenta le letture della Solennità di Maria, Madre di Dio (A) e Luis Herrera tiene una breve omelia video.

Giuseppe Evans-29 dicembre 2022-Tempo di lettura: 2 minuti

Iniziamo il nuovo anno sotto la protezione della Vergine Maria, grazie a questa bella festa di Santa Maria, Madre di Dio. E le letture liturgiche cercano di esprimere questa realtà in modi diversi. Il Vangelo ci riporta al Natale menzionando i pastori che "trovarono" la Sacra Famiglia a Betlemme. La fretta dei pastori - letteralmente, "andarono a correre"- contrasta con la pace del bambino "giacere nella mangiatoia". Allo stesso modo, la loro eccitata necessità di parlare - "raccontarono" ciò che l'angelo aveva detto loro - e l'"ammirazione" degli ascoltatori contrasta con la calma contemplazione di Maria, la quale Egli "conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore". I pastori vanno avanti per la loro strada "dando gloria e lode a Dio".

Attraverso questo testo, la Chiesa ci invita a iniziare un nuovo anno solare con lo spirito contemplativo di Maria e la pace di Gesù Bambino. Egli giace in silenzio, mentre gli altri si affannano e chiacchierano intorno a lui, e Maria, mentre sente e vede ciò che accade, guarda con amorevole adorazione. Come la sua successiva omonima, "Maria ha scelto la parte migliore". (Lc 10, 42).

Pertanto, la Chiesa non si concentra tanto sulla maternità fisica di Maria, quanto sul suo atteggiamento spirituale. Come Gesù, insiste sul fatto che Maria è grande non tanto per la sua maternità biologica, quanto per aver "ascoltato la parola di Dio e averla adempiuta" (cfr. Lc 11,28). Come insegnano diversi Padri della Chiesa, prima di concepire Cristo nel suo grembo, Maria lo ha concepito nel suo cuore. Per questo motivo siamo incoraggiati a iniziare l'anno con un atteggiamento contemplativo. Invece di correre come velocisti olimpici, in un'esplosione di attività, iniziamo con calma e in uno spirito di preghiera. Un buon modo per farlo è considerare le nostre benedizioni, ed è proprio quello che ci invitano a fare le prime due letture e il salmo. 

La prima lettura, tratta dal libro dei Numeri, parla di Aronne e dei sacerdoti ebrei che benedicono il popolo. Il salmo invoca anche le benedizioni di Dio. E la seconda lettura, tratta dalla lettera di San Paolo ai Galati, ci aiuta a considerare la benedizione più grande di tutte: che, attraverso l'incarnazione di Cristo, ci viene offerta la possibilità di diventare figli di Dio. Prendendo in prestito un'altra audace affermazione patristica, possiamo dire con Sant'Atanasio: "Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventi Dio". Ed entrambi attraverso Maria. Siamo resi liberi: attraverso la divina maternità di Maria, che è anche nostra Madre, possiamo esclamare: "Abba, papà, padre!".

L'attività è necessaria, con tutti i doveri familiari, sociali, professionali e religiosi che la nostra vita comporta: così il Vangelo mostra Maria e Giuseppe che portano Gesù a farsi circoncidere l'ottavo giorno. Ma oggi la Chiesa ci incoraggia a iniziare l'anno non con l'attività, ma con la contemplazione orante. Non possiamo ricevere un consiglio migliore di questo.

Omelia sulle letture della Solennità di Maria, Madre di Dio (A)

Il sacerdote Luis Herrera Campo offre il suo nanomiliauna breve riflessione di un minuto per queste letture.

Documenti

Il Papa invita alla vita spirituale con una lettera dedicata a San Francesco di Sales

Papa Francesco riflette sull'insegnamento di San Francesco di Sales in una lettera apostolica pubblicata in occasione del quarto centenario della morte del santo.

Giovanni Tridente-28 dicembre 2022-Tempo di lettura: 5 minuti

Nel quarto centenario della morte del vescovo e dottore della Chiesa vissuto in Francia alla fine del XVII secolo, Papa Francesco ha dedicato una riflessione al suo magistero, per trarne insegnamenti per il nostro tempo.

L'esperienza di Dio dell'uomo è totalmente ancorata nel suo cuore; solo contemplando e vivendo l'Incarnazione si può leggere la storia e abitarla con fiducia; chiedersi in ogni momento e circostanza della vita dove si trova "più amore"; coltivare una sana vita spirituale ed ecclesiale; imparare a distinguere la vera devozione attraverso il discernimento; concepire la propria esistenza come un realistico cammino di santità nelle proprie occupazioni quotidiane....

Sono queste le innumerevoli intuizioni che Papa Francesco ha tratto dalla vita e dall'esempio di San Francesco di Sales e che ha donato alla Chiesa di oggi attraverso la Lettera apostolica Totum amoris est. Un testo basato in gran parte sulla Trattato sull'amore di Dio del santo vescovo di Ginevra, vissuto dal 1567 al 1622, pubblicato in occasione del 400° anniversario della sua morte.

In un certo senso, si tratta anche di presentare ai cristiani del nostro tempo l'eredità di questo pastore che ha annunciato il Vangelo fin dalla giovinezza "aprendo nuovi e imprevedibili orizzonti in un mondo in rapida transizione".

Lo stesso "cambiamento" che sta vivendo oggi la Chiesa, chiamata - scrive Francesco - a non essere autoreferenziale, "libera da ogni mondanità", ma allo stesso tempo capace di "condividere la vita della gente, di camminare insieme, di ascoltare e di accogliere", come aveva già detto lo scorso anno ai vescovi e ai sacerdoti incontrati durante il suo viaggio a Bratislava.

Di nobili natali, Francesco di Sales scelse la strada del sacerdozio dopo aver completato gli studi giuridici a Parigi e a Padova. Per le sue doti, fu inviato come missionario nella regione calvinista dello Chablais; fu poi nominato curato del vescovo di Ginevra, al quale succedette dal 1602 al 1622. Il suo apostolato si è sviluppato soprattutto a contatto con il mondo della Riforma, utilizzando un metodo non oppressivo di "...".dialogoIl "Dio del mondo", che ha generato nell'interlocutore il desiderio che Dio sia liberamente accettato.

Non è un caso che nei suoi testi più noti, Trattato e FiloteaSia chiaro che la relazione con Dio è sempre "un'esperienza di gratuità che manifesta la profondità dell'amore del Padre", riflette Papa Francesco nella Lettera.

Totum amoris si ispira inizialmente all'esperienza biografica del Santo Dottore della Chiesa, che tra l'altro è anche il patrono dell'opera di San Giovanni Bosco - non a caso conosciuto come "salesiano" - che da lui ha preso i principi dell'ottimismo, della carità e dell'umanesimo cristiano.

La sintesi del suo pensiero

Papa Francesco inizia chiarendo subito qual è la sintesi del pensiero di San Francesco di Sales, ovvero che "l'esperienza di Dio è un'evidenza del cuore umano", che usa lo stupore e la gratitudine per riconoscere Colui che porta alla profondità e alla pienezza dell'amore in tutte le circostanze della vita.

Un atteggiamento di fede che porta a "una verità che si presenta alla coscienza come una 'dolce emozione', capace di suscitare un corrispondente e irrinunciabile benessere per ogni realtà creata".

Il criterio dell'amore

Il criterio ultimo rimane quello dell'amore, che è il culmine di un desiderio profondo che deve essere messo alla prova attraverso il discernimento, ma anche attraverso "un ascolto attento dell'esperienza" che matura evidentemente attraverso una relazione disinteressata con gli altri. In breve, non c'è dottrina senza l'illuminazione dello Spirito e senza una vera azione pastorale.

Le caratteristiche essenziali della teologia

Pur non avendo mai inteso elaborare un vero e proprio sistema teologico articolato, Papa Francesco riconosce nel santo e mistico francese alcuni tratti essenziali del fare teologia, che si avvalgono di "due dimensioni costitutive": la vita spirituale - "è nella preghiera umile e perseverante, nell'apertura allo Spirito Santo, che si può cercare di comprendere ed esprimere la Parola di Dio" - e la vita ecclesiale - "sentirsi nella Chiesa e con la Chiesa".

Sintesi di Vangelo e cultura

Inevitabilmente, egli attinse anche all'esempio della sua azione pastorale, maturata in circostanze di tempi mutevoli che ponevano grandi problemi e nuovi modi di guardarli, da cui emergeva anche una sorprendente domanda di spiritualità, come nel caso dell'ambiente calvinista che dovette affrontare come missionario nello Chablais.

"L'incontro con queste persone e la presa di coscienza delle loro domande fu una delle circostanze provvidenziali più importanti della sua vita", scrive il Pontefice. Tanto che quella che inizialmente sembrava un'impresa inutile e infruttuosa si trasformò in una "sintesi feconda" tra "Evangelizzazione e cultura", "da cui trasse l'intuizione di un metodo autentico, maturo e chiaro per un raccolto duraturo e promettente", capace di interpretare i tempi che cambiano e di guidare le anime assetate di Dio. Questo, del resto, era anche lo scopo del suo Trattato.
Che cosa ha da insegnare San Francesco di Sales ancora oggi? Papa Francesco nella sua Lettera apostolica Totum Amoris Est evidenzia "alcune delle sue decisioni cruciali è importante anche oggi, per vivere il cambiamento con saggezza evangelica".

Relazione tra Dio e l'uomo

Innanzitutto, è fondamentale ripartire dalla "felice relazione tra Dio e l'essere umano", per rileggerla e proporla a ciascuno secondo la propria condizione, senza imposizioni esterne o forze dispotiche e arbitrarie, come spiegava San Francesco nella sua Trattato. Piuttosto, scrive il Papa, occorre "la forma persuasiva di un invito che mantenga intatta la libertà dell'uomo".

Vera devozione

Bisogna anche imparare a distinguere la vera devozione dalla falsa devozione, in cui spesso ci si sente appagati e "arrivati", dimenticando invece che essa è piuttosto una manifestazione della carità e conduce ad essa: "è come una fiamma rispetto al fuoco: ne ravviva l'intensità, senza cambiarne la natura". Non si può essere devoti, insomma, senza la concretezza dell'amore, un "modo di vivere" che "raccoglie e interpreta le piccole cose di ogni giorno, il cibo e il vestito, il lavoro e il riposo, l'amore e la prole, l'attenzione agli obblighi professionali", illuminando così la propria vocazione.

L'estasi dell'azione vitale

Il culmine di questo impegno d'amore per ogni uomo si traduce in quella che il santo vescovo definisce "l'estasi del lavoro e della vita", che emerge dalle "pagine centrali e più luminose della Trattato", come li chiama Papa Francesco.

È un'esperienza "che, di fronte a tutta l'aridità e alla tentazione di ripiegarsi su se stessa, ha ritrovato la fonte della gioia", una risposta vera anche al mondo di oggi, invaso dal pessimismo e dai piaceri superficiali. Il segreto di questa estasi sta nel saper uscire da se stessi, il che non significa abbandonare la vita ordinaria o isolarsi dagli altri, perché "chi presume di elevarsi verso Dio, ma non vive la carità verso il prossimo, inganna se stesso e gli altri".

Il mistero della nascita di Gesù

Anche Papa Francesco ha dedicato l'udienza generale del mercoledì al santo vescovo e dottore della Chiesa, soffermandosi in particolare su alcuni suoi pensieri sul Natale, tra cui quello affidato a Santa Jeanne-Françoise de Chantal - con la quale, tra l'altro, ha fondato l'istituto della Visitandina: "Preferisco cento volte vedere il caro Bambinello nella mangiatoia, piuttosto che tutti i re sui loro troni".

E infatti il Santo Padre ha riflettuto: "Il trono di Gesù è il presepe o la strada, durante la sua vita quando predicava, o la croce alla fine della sua vita: questo è il trono del nostro Re", "la strada della felicità".

L'autoreGiovanni Tridente

Vaticano

Il Papa chiede preghiere per Benedetto XVI, che "è molto malato".

Questa mattina, al termine dell'udienza del mercoledì, il Santo Padre Papa Francesco ha chiesto una preghiera speciale per Benedetto XVI, "che nel silenzio sostiene la Chiesa" e "è molto malato". La Santa Sede aggiunge che c'è stato "un peggioramento" del suo stato di salute.

Francisco Otamendi-28 dicembre 2022-Tempo di lettura: 2 minuti

Papa Francesco ha ricordato oggi il suo predecessore Benedetto XVI, avvertendo che è molto malato e chiedendo di pregare per lui. Ha dato la notizia al termine dell'udienza generale di oggi.

"Chiediamo al Signore di consolarlo e sostenerlo in questa testimonianza di amore per la Chiesa, fino alla fine", ha aggiunto Papa Francesco al termine della tradizionale udienza del mercoledì, che oggi è stata dedicata a San Francesco di Sales, nel quarto centenario della sua morte.

Pochi minuti dopo, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha dichiarato: "Per quanto riguarda lo stato di salute del Papa emerito, per il quale Papa Francesco ha chiesto preghiere al termine dell'udienza generale di questa mattina, posso confermare che nelle ultime ore c'è stato un peggioramento dovuto all'avanzare dell'età. Per il momento la situazione rimane sotto controllo, costantemente monitorata dai medici".

La Sala Stampa della Santa Sede riferisce inoltre che "al termine dell'udienza generale, Papa Francesco si è recato al monastero Mater Ecclesiae per visitare Benedetto XVI. Ci uniamo a lui nella preghiera per il Papa emerito".

D'altra parte, secondo l'agenzia ufficiale vaticana, le parole testuali di Papa Francesco sono state: "Vorrei chiedere a tutti voi una preghiera speciale per il Papa Emerito Benedetto, che sta sostenendo silenziosamente la Chiesa. Ricordatevi di lui - è molto malato - chiedendo al Signore di confortarlo e di sostenerlo in questa testimonianza di amore per la Chiesa, fino alla fine".

La salute di Benedetto XVI è stata stabile negli ultimi tempi, ma le sue condizioni sono molto fragili e le parole del Papa hanno destato ulteriore preoccupazione. Il segretario personale di Benedetto XVI, l'arcivescovo Georg Gänswein, ha detto in diverse occasioni quest'anno che "è fragile, ma sta bene".

Negli ultimi anni, il Papa emerito è stato assistito, secondo la stessa agenzia, dalle donne consacrate dell'Associazione. Memores Domini e da monsignor Georg Gänswein, che negli anni ha sempre parlato di una vita dedicata alla preghiera, alla musica, allo studio e alla lettura.

Benedetto XVI è nato il 16 aprile 1927, è stato eletto Papa il 19 aprile 2005 nel conclave seguito alla morte di San Giovanni Paolo II, si è dimesso il 28 febbraio 2013 e ha festeggiato il suo 95° compleanno il Sabato Santo. Da quando si è dimesso ha risieduto nel monastero Mater Ecclesiae all'interno del Vaticano.

In numerose occasioni, aggiunge Vatican News, Papa Francesco ha parlato del legame con il suo predecessore, che ha chiamato "padre" e "fratello" all'Angelus del 29 giugno 2021, in occasione del 70° anniversario dell'ordinazione sacerdotale di Ratzinger. Inoltre, fin dall'inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha iniziato la "tradizione" dell'incontro con il Papa emerito, a partire dalla prima storica visita del neoeletto Pontefice, che è arrivato in elicottero alla residenza di Castel Gandolfo, dove il suo predecessore ha soggiornato per qualche settimana prima di trasferirsi nel monastero. Mater Ecclasiae.

Alla vigilia delle festività natalizie o pasquali, o in occasione dei concistori con i nuovi cardinali, Papa Francesco non ha mai voluto far mancare un gesto di vicinanza e cortesia e venire al monastero vaticano per salutarlo ed esprimergli gli auguri.

L'autoreFrancisco Otamendi

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Vaticano

Papa Francesco: "La mangiatoia è il trono del nostro Re".

Il Papa ha dedicato l'udienza generale di oggi a San Francesco di Sales e alle sue riflessioni sul Natale, a causa della lettera apostolica che sarà pubblicata oggi per il quarto centenario della morte del santo.

Paloma López Campos-28 dicembre 2022-Tempo di lettura: 2 minuti

Papa Francesco ha iniziato la sua udienza generale congratulandosi con i fedeli riuniti in Aula Paolo VI per il Natale. All'inizio ha ricordato che "questo tempo liturgico ci invita a soffermarci e a riflettere sul mistero del Natale e, poiché oggi ricorre il quarto centenario della morte della Vergine Maria, siamo invitati a riflettere sul mistero della San Francesco di SalesPossiamo trarre ispirazione da alcuni dei suoi pensieri".

Per questo ricordo del santo, il Papa ha annunciato che oggi "viene pubblicata una lettera apostolica per commemorare questo anniversario". Il titolo è Tutto appartiene all'amoreper prendere a prestito un'espressione caratteristica del santo vescovo di Ginevra".

Seguendo il Dottore della Chiesa, Francesco ha voluto "approfondire il mistero della nascita di Gesù in compagnia di San Francesco di Sales".

Tenendo conto degli scritti del vescovo di Ginevra, il Santo Padre ha iniziato analizzando l'elemento della mangiatoia in cui è nato Gesù. "L'evangelista Luca, nel raccontare la nascita di Gesù, insiste molto sul dettaglio della mangiatoia. Questo significa che è molto importante, non solo come dettaglio logistico, ma come elemento simbolico per capire che tipo di Messia è quello nato a Betlemme, che tipo di Re, chi è Gesù".

"Guardando il presepe, guardando la croce, guardando la sua vita di semplicità, possiamo capire chi è Gesù. Gesù è il Figlio di Dio che ci salva, diventando uomo come noi. Spogliandosi della sua gloria e umiliandosi. Questo mistero lo vediamo concretamente nel punto centrale del presepe, cioè nel Bambino".

Questo umile dettaglio del presepe ci avvicina al modo di agire di Dio. Così, Francesco dice: "Non dimentichiamolo mai. La via di Dio è la vicinanza, la compassione e la tenerezza. 

La conseguenza di questo stile del Padre è che "Dio non ci prende con la forza, non ci impone la sua verità e la sua giustizia, non fa proselitismo. Vuole attrarci con amore, tenerezza e compassione".

Per tutto questo, Francesco afferma che "Dio ha trovato i mezzi per attrarci, chiunque siamo, con l'amore". Non un amore possessivo ed egoista".

L'amore di Dio "è puro dono e pura grazia". È tutto e solo per noi, per il nostro bene. È così che ci attrae, con questo amore disarmato e persino disarmante. Ma quando vediamo questa semplicità di Gesù, gettiamo via anche tutte le nostre armi, il nostro orgoglio.

Continuando la sua analisi della nascita di Cristo, Francesco ritiene che "un altro aspetto che risalta nel Presepe è la povertà". Non si tratta di una povertà esclusivamente materiale, ma, dice il Papa, deve essere "intesa come rinuncia a ogni vanità mondana".

Conoscere questo mistero di povertà ci permette di comprendere meglio il significato dell'autentico Natale. Il Papa avverte che c'è un Natale che è "la caricatura mondana che lo riduce a una celebrazione kitsch e consumistica". È necessario festeggiare, ma questo non è il Natale. Il Natale è un'altra cosa. L'amore di Dio non è dolce. Il presepe di Gesù ce lo dimostra. L'amore di Dio non è una bontà ipocrita che nasconde la ricerca di piaceri e comodità".

Ispirandosi a una lettera scritta da San Francesco di Sales prima della sua morte, il Papa conclude dicendo che "c'è un grande insegnamento che ci viene da Gesù Bambino attraverso la saggezza di San Francesco di Sales. Non desiderare nulla e non rifiutare nulla, accettare tutto ciò che Dio ci manda. Ma attenzione. Sempre e solo per amore. Perché Dio ci ama e vuole sempre e solo il nostro bene".

Zoom

Ucraina: Natale nel bunker

Soldati ucraini celebrano la cena di Natale in una località non specificata dell'Ucraina. La foto è stata diffusa dal servizio stampa delle Forze armate dell'Ucraina il 25 dicembre 2022.

Maria José Atienza-28 dicembre 2022-Tempo di lettura: < 1 minuto

Chiedere una preghiera

Se c'è una cosa che ho capito è che la preghiera ci rende davvero una famiglia. Ci rende famiglia in Dio.

28 dicembre 2022-Tempo di lettura: 2 minuti

Qualche anno fa, Miguel Ángel Robles ha pubblicato su ABC un articolo antologico dal titolo Pregate per me. Quell'articolo è ancora uno di quelli che continuano a segnare il mio profilo professionale e personale. Non ho ancora finito di scrivere queste righe quando mi arriva tra le mani la seconda parte di questo articolo.

In questi giorni, posso dire di aver sperimentato in prima persona le parole di Robles: "Pregare non fa miracoli, o fa miracoli, non lo sapremo mai, ma offre consolazione a colui che prega e a colui per il quale si prega. La preghiera non è mai inutile, perché conforta sempre".

Come molti a Madrid, qualche giorno fa, tra canti natalizi e lotterie, abbiamo ricevuto la gelida notizia dell'incidente in cui hanno perso la vita due giovani fratelli. Erano buoni figli, amici dei loro amici e anche amici di Dio. Forse non li conoscevamo, ma erano vicini.

Insieme alla triste notizia, la sua famiglia, i credenti, ci hanno chiesto di pregare. Ho trasmesso la richiesta a chi conoscevo e anche, quasi senza pensarci, ho chiesto di pregare attraverso un social network: di pregare per loro, per la loro famiglia..., alla fine, per tutti. Perché, se c'è una cosa che ho capito grazie a queste migliaia di persone, è proprio questa, migliaiaIl messaggio delle persone che hanno detto una, forse piccola, preghiera per loro, è che, in effetti, la preghiera ci rende famiglia. Ci rende famiglia in Dio.

Non è che Diego e Alex "potrebbero essere" i miei fratelli, ma è solo che erano i miei fratelli..., e i miei cugini e i miei zii, e i miei amici. Erano te e erano me.

Ho capito che ci sono molte più persone buone di quanto a volte pensiamo. Quelle migliaia di persone sconosciute, provenienti da luoghi sconosciuti a molti di noi, cristiani e di altre confessioni, hanno dedicato un momento della loro vita non solo a pensare, ma a pregare, per quei bambini, per quella madre e quel padre, per quei fratelli e sorelle e amici.

Non so voi, ma io, che credo in quella che chiamano la Comunione dei Santi, ho avuto la fortuna di sperimentarla, nella sua versione 3.0 più autentica.

Continuerò a chiedere preghiere. Sono sicuro che lo farò. Non so se da una parte o dall'altra; se per strada o in rete, con segnali di fumo o con una canzone. Continuerò a chiedere preghiere senza complessi e a mettere sveglie sul mio cellulare per pregare per chi le chiede perché, con la preghiera, con questo metterci davanti a un Dio che forse a volte non capiamo, io e voi saremo sempre migliori.

L'autoreMaria José Atienza

Direttore di Omnes. Laureata in Comunicazione, ha più di 15 anni di esperienza nella comunicazione ecclesiale. Ha collaborato con media come COPE e RNE.

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Ecologia integrale

Ricardo Martino: "C'è ancora molto da fare nelle cure palliative".

Che cosa significa la malattia per i bambini? Qual è l'impatto sulle famiglie? Come entra in gioco la presenza di Dio in queste situazioni critiche? Abbiamo intervistato Ricardo Martino, responsabile della sezione di cure palliative pediatriche dell'Ospedale pediatrico Niño Jesús, su questi temi.

Paloma López Campos-28 dicembre 2022-Tempo di lettura: 4 minuti

Ricardo Martino è il responsabile della Sezione di Cure Palliative Pediatriche dell'Istituto di Ricerca per la Salute e l'Educazione. Ospedale Infantile Niño Jesús. È dottore in medicina, specializzato in pediatria e promotore di vari progetti di sensibilizzazione alle cure palliative. Per tutti questi motivi, è consulente del Ministero della Salute su questi temi. In Omnes ha parlato delle implicazioni della malattia per i bambini, dell'impatto sulle famiglie e della presenza di Dio in queste situazioni critiche.

Ricardo Martino in una foto dell'UNIR

È difficile vedere l'innocenza dei bambini ferita dalla malattia, al punto che i piccoli finiscono in cure palliative. Come si affronta una simile realtà?

- Per una famiglia è la cosa peggiore che possa capitare. In effetti, non esiste un termine in inglese per descrivere lo stato permanente di perdita di un figlio. Si può essere vedovi o orfani, ma fino ad ora non abbiamo dato una spiegazione a questo fatto. Questo evento irrompe nella vita di un bambino e ne tronca il futuro, o il futuro che pensavamo avesse.

La malattia non è una realtà che colpisce solo il paziente, tutta la famiglia ne soffre con i figli. Come ci si prende cura di tutti i membri della famiglia?

- La vita dell'intera famiglia ne risente. La vita coniugale dei genitori viene sconvolta e possono perdere il lavoro per occuparsi del bambino; i fratelli passano in secondo piano e perdono il loro ruolo, i nonni soffrono e vengono coinvolti nelle cure di tutti... Noi ci occupiamo del bambino e insegniamo alla famiglia come fornire le cure di cui ha bisogno. Li aiutiamo anche ad affrontare la situazione e li sosteniamo dopo il decesso. Ciò richiede un'équipe che comprende medici, infermieri, assistenti sociali, psicologi, un accompagnatore spirituale, farmacisti, fisioterapisti...

Si può trovare Dio in mezzo a tanta sofferenza?

- Tutti hanno una dimensione spirituale. Affrontare la morte o la morte di un figlio o di un fratello tocca l'intera persona. Lo spirito aiuta a far fronte alla situazione. Le persone che hanno una fede hanno più risorse per accettare la situazione. Dio è presente, anche se a volte suscita "rabbia" per ciò che è accaduto. Spesso troviamo la dolcezza di un Dio provvidente e misericordioso nel modo in cui gli eventi si verificano e nella pace del cuore che molte famiglie sperimentano alla morte del proprio figlio.

Come si parla ai bambini e alle loro famiglie di un buon Padre?

- Le più importanti sono le "esperienze del bene" che i bambini fanno, anche prima di essere in grado di comprendere il fatto religioso o la persona di Dio. Essere amati, perdonati, festeggiati... Sono esperienze che si possono fare a qualsiasi età e che costituiscono il substrato necessario per poter comprendere l'azione di Dio come Padre buono.

Esiste un conforto spirituale per i bambini e le loro famiglie in queste situazioni? complicato?

- C'è conforto se c'è accettazione. E l'accettazione non presuppone la comprensione. Se viene compreso aiuta, ma questo è molto difficile da capire. Quello che si può fare è accettare anche se non si capisce. Per elaborare il lutto in modo sano è necessario lavorare sulla gestione e sull'accettazione.

Oltre alle cure mediche altamente specializzate, di cosa hanno più bisogno i bambini in cure palliative e di cosa hanno più bisogno i familiari?

- Devono essere considerati e trattati come persone. In questo modo si tiene conto di ciò che è importante per loro, al di là della malattia stessa. Il bene della persona è più importante di ciò che le accade a causa della sua malattia. Inoltre, ciò che è bene per il paziente cambia nel tempo a seconda dell'evoluzione della sua malattia, dei suoi limiti, delle sue aspettative e delle sue possibilità di risposta al trattamento. Anche i familiari devono essere accolti, accettati e accompagnati dai professionisti, che agiscono senza pregiudizi e cercano di tenere conto di ciò che è importante per loro, purché non prevalga sul bene del bambino.

Quanti bambini in Spagna hanno bisogno di cure palliative e pensa che le autorità investano a sufficienza per soddisfare le esigenze di così tanti bambini?

- In Spagna ci sono 25.000 bambini che necessitano di cure palliative. Più di 80% non lo ricevono. Ma oggi non c'è equità nell'erogazione delle cure. Dipende da dove si vive e dalla malattia che si ha. E questo nonostante il fatto che, almeno dal 2014, le raccomandazioni del Ministero della Salute sul da farsi siano chiare.

Qual è la situazione delle cure palliative pediatriche in Spagna rispetto all'Europa?

- Da un lato, ciò non è negativo perché sempre più squadre vengono gradualmente create, soprattutto grazie alla motivazione e all'impegno dei professionisti. D'altra parte, però, mancano istituzioni sociali e sanitarie, come per gli adulti, che forniscano supporto in queste fasi della vita. Inoltre, la formazione richiesta non è riconosciuta e viene fornita attraverso studi post-laurea.

Cosa manca in questo campo?

- Manca il riconoscimento sociale di questa realtà. Ci sono bambini che muoiono. Molti dopo anni di evoluzione della malattia. Tutta la famiglia ne risente. Nelle cure palliative pediatriche, il tempo è contro il tempo. Invecchiare di mesi o di anni significa peggiorare e avvicinarsi alla morte. Per un gran numero di pazienti, il compimento del diciottesimo anno di età rappresenta un salto nel buio, poiché il sistema è rigido e l'età ha la precedenza sulle caratteristiche cliniche del paziente al fine di fornirgli le cure di cui ha bisogno. Ci sono bambini di 20 anni che pesano 20 chili, che sono in pannolino dalla nascita e hanno bisogno di essere curati, nutriti e mobilitati. C'è ancora molto da fare.

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Evangelizzazione

Nolan Smith: "Amo la mia fede. Voglio far parte della chiesa, partecipare alle sue attività".

Nolan Smith ha fatto parte del gruppo di persone che hanno dato voce alla comunità di persone con diverse disabilità nella Chiesa attraverso il documento La Chiesa è la nostra casa. Questo giovane con la sindrome di Down mostra, insieme alla sua famiglia, la sfida della piena integrazione delle persone con diverse disabilità all'interno della Chiesa. 

Maria José Atienza-27 dicembre 2022-Tempo di lettura: 5 minuti

A 22 anni, Nolan Smith vive a Lawrence, in Kansas, e attualmente fa parte del gruppo dei Programma di transizione verso l'istruzione post-secondaria dell'università del Kansas e studia Educazione della prima infanzia. Fin dalla nascita, ha condiviso la vita di fede nella sua casa. La sua partecipazione alla vita parrocchiale ha anche aperto nuove strade nella sua comunità.

Nolan ha partecipato allo sviluppo del documento. La Chiesa è la nostra casa. Insieme al padre, Sean Joseph, ha rilasciato un'intervista a Omnes per parlare della sua esperienza. Un'esperienza che mette in luce la ricchezza che queste persone portano alla comunità, la loro disponibilità a offrire i loro talenti e il sostegno della loro famiglia nella vita di fede. 

Nolan, come hai vissuto la tua fede a casa, in famiglia, con gli amici?

-Ho vissuto la mia fede a casa in molti modi. Per prima cosa, come famiglia, preghiamo. Abbiamo pregato durante i pasti e anche la sera. Abbiamo anche aiutato la comunità e la parrocchia come una famiglia. I miei genitori dicono che fare questo aiuta gli altri ed è ciò che Dio vorrebbe. Cerco di essere una brava persona. Cerco di condividere con gli altri. Voglio assicurarmi che i miei amici sappiano di essere speciali. Ci tengo a loro e voglio renderli felici. Se posso aiutarli in qualche modo, lo faccio. Ho pregato anche con mia nonna. Ha vissuto vicino a noi negli ultimi quattro anni della sua vita. Ogni sera andavo a casa sua, mio padre ci portava la cena e mangiavamo entrambi. Poi suonavamo musica e recitavamo anche il rosario.

Sean, come padre di Nolan, qual è la sua prospettiva su questa esperienza?

-Nolan è uno dei nostri quattro figli. Come i suoi fratelli, ha partecipato all'educazione religiosa, ai sacramenti, alle preghiere a casa e all'educazione attraverso la Chiesa. Come famiglia, partecipiamo alla messa. È stato chiesto loro di aiutare la Chiesa in vari eventi, comprese le attività parrocchiali. 

I nostri figli più piccoli frequentavano la scuola parrocchiale. Nolan e la sorella maggiore non l'hanno fatto perché a Nolan non è stato permesso di partecipare. Ora accettano ed educano i bambini con la sindrome di Down.

Ora sei un giovane uomo, Nolan, come partecipi alla tua comunità parrocchiale? 

-Ho aiutato la mia chiesa in vari modi. Ho servito come chierichetto, ho aiutato nell'insegnamento dell'educazione religiosa con mio padre e in questo momento sono un lettore. Ho anche aiutato con la recita della vigilia di Natale per i bambini e ho anche decorato la chiesa a Natale e a Pasqua.

 Avete trovato difficile o facile vivere la vostra fede?

-Amo la mia fede. Mia nonna era molto speciale per me e mi ha anche aiutato a conoscere Dio. Mi manca, ma sento che mi ha aiutato a vivere la mia fede. Andare in chiesa e conoscere Dio fa parte delle nostre attività familiari. Quindi, è abbastanza facile vivere la mia fede.

Lei è stato uno dei partecipanti alla riunione del Dicastero che ha portato al documento. La Chiesa è la nostra casaCom'è stata la vostra partecipazione all'incontro?

-Era buono. Ho avuto l'opportunità di presentarmi e di ascoltare gli altri: chi erano e da dove venivano. Il primo incontro attraverso lo zoom è stato un incontro per conoscersi. Mi è piaciuto ascoltare il traduttore e mi ha sorpreso vedere tutte le lingue parlate. Ci è stato dato il compito di completare un libretto. Mio padre e io abbiamo scritto ciò che pensavamo della Chiesa, ciò che vedevamo della visione della Chiesa per le persone con disabilità e simili. Poi ci hanno fatto un riassunto di ciò che avevano imparato. 

Cosa chiedete alla Chiesa?

-Voglio far parte della Chiesa. Farne parte significa poter partecipare alla messa. Ma anche per partecipare alle attività della chiesa, agli eventi sociali, all'apprendimento e ad altri eventi. Prima della pandemia, andavo a un evento organizzato da un sacerdote la domenica dopo la messa. Ci andavo con mia nonna, prendevamo un rinfresco e ascoltavamo il sacerdote che parlava delle letture e di altre cose della chiesa. Facevo parte di questo gruppo e questo era importante. Cose del genere sono importanti per me.

Pensa che ci sia un cambiamento di mentalità all'interno della Chiesa nella cura pastorale delle persone con disabilità? 

-[Nolan] Non lo so. So di essere parte della mia parrocchia. Ho potuto fare tutto quello che volevo fare. Ho potuto partecipare come i miei fratelli. Mio padre dice che la scuola cattolica non mi accettava, ma ora insegnano ai bambini con la sindrome di Down. Quindi è una buona cosa.

-[Sean Joseph] Penso che la Chiesa sia stata più lenta della società. Faccio parte del nostro comitato per la disabilità. L'obiettivo attuale della parrocchia e dell'arcidiocesi è l'accesso. Accesso nel senso che dobbiamo fornire un accesso di base alla Chiesa e ai sacramenti. La società parlava di accesso e di accesso di base 40 anni fa. Oggi la società parla e facilita l'inclusione significativa. Inclusione, in cui le persone con disabilità fanno parte della comunità, sono incluse nelle attività tipiche (ad esempio, servire all'altare, essere un lettore, la scuola parrocchiale) e sono membri contribuenti della società. Purtroppo, a volte la Chiesa si limita a parlare di come costruire rampe negli edifici, di come fornire supporti audio alle persone sorde. Non parlano delle esigenze delle persone con disabilità intellettiva o autismo. Non si concentrano sulle disabilità dello sviluppo, su cui la società è molto concentrata. 

Purtroppo, direi che guardano le cose da una prospettiva del XX secolo, mentre siamo nel terzo decennio del XXI secolo.

A La Chiesa, la nostra casa Sottolinea che anche le persone con disabilità sono chiamate a dare. Cosa portano alla comunità ecclesiale?

-[Nolan] Beh, prima di tutto, sono una persona. L'idea che io sia una persona bisognosa è un problema. Se la Chiesa si apre e vengono offerti accomodamenti ragionevoli, posso farne parte. 

Non trattatemi come una persona diversa, che deve essere compatita o di cui si ha bisogno. In questo modo trattiamo le persone con disabilità in modo diverso. Ho tre fratelli. Non trattatemi in modo diverso dai miei fratelli solo perché ho una disabilità. 

La Chiesa deve imparare da ciò che la società ha imparato. Posso contribuire come chiunque altro. Sono stato un chierichetto. Ora sono un lettore. Posso partecipare al coro. Ho aiutato a insegnare la scuola domenicale. Datemi solo una possibilità e qualche sostegno (quando necessario) e farò la mia parte.

Se mi trattano in modo diverso perché ho la sindrome di Down o mi impediscono di aiutare perché ho la sindrome di Down, è sbagliato.

- [Sean Joseph] Nolan fa parte della parrocchia. È un membro e un membro attivo. Ora, direi che questo è stato inizialmente dovuto alle mie aspettative e al mio sostegno. Per esempio, l'ho aiutato a essere formato come chierichetto e ho anche facilitato la sua partecipazione a questo processo. Anche suo fratello lo aiutava quando erano insieme all'altare. Sono anche responsabile dei lettori e quindi l'ho istruito. 

La comunità parrocchiale, quando ha partecipato a queste attività, è stata accolta molto bene. Sono stati di grande sostegno e hanno appoggiato la sua partecipazione in tutta la parrocchia. Lo considerano un comportamento tipico di Nolan. 

Tuttavia, ho visto che altre persone con disabilità non sono così incluse. Quindi la parrocchia ha del lavoro da fare. Perché? Perché le persone con disabilità possono e devono partecipare in condizioni di parità alla comunità ecclesiale. 

Siamo tutti figli di Dio e quando li trattiamo come tali (ad esempio offrendo sostegno, creando una struttura e un clima di inclusione, vedendo ognuno prima come una persona, non come una disabilità e poi come una persona), possiamo facilmente includerli nella nostra Chiesa.

Evangelizzazione

Una nuova sfida per la Chiesa

La piena integrazione delle persone con disabilità nella vita della Chiesa viene presentata come una "una nuova sfida per la Chiesa". e per la società. È quanto afferma Antonio Martínez-Pujalte, dottore in Giurisprudenza presso l'Università di Valencia e professore di Filosofia del Diritto presso l'Università Miguel Hernández di Elche.  riflette su questo lavoro in Omnes. 

Antonio-Luis Martínez-Pujalte-27 dicembre 2022-Tempo di lettura: 5 minuti

Il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha recentemente pubblicato un interessante documento, La Chiesa è la nostra casaIl risultato della partecipazione al viaggio sinodale di un gruppo di persone con disabilità provenienti da diversi Paesi dei cinque continenti.

Si tratta di un documento particolarmente significativo, soprattutto nella misura in cui rappresenta l'assunzione del nuovo paradigma auspicato dalla Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità - anche se non viene espressamente citato - che deve riflettersi anche nella Chiesa.

Un nuovo paradigma che implica il superamento della tradizionale visione assistenziale che considerava le persone con disabilità solo come destinatari passivi dell'assistenza che altri dovevano fornire loro, per affermarle come protagonisti a pieno titolo della vita sociale, che devono esercitare i loro diritti e le loro responsabilità su un piano di parità con tutte le altre persone.

Caratteristica del nuovo paradigma è anche quella di sottolineare l'individualità delle persone con disabilità, lontana da qualsiasi pregiudizio o stereotipo: le persone con disabilità non sono migliori o peggiori di altre.

Non sono, come talvolta si è pensato nella Chiesa, né peccatori né esseri angelici benedetti dalla loro sofferenza: sono persone normali, con le loro qualità e i loro difetti, con i loro desideri e le loro preferenze, che meritano lo stesso rispetto di tutte le altre persone.

È chiaro che il vecchio paradigma è stato e continua ad essere presente nella vita della Chiesa, così come nell'intera società che la circonda. Il documento si riferisce in questo senso all'atteggiamento paternalistico che ha presieduto al modo di guardare alle persone con disabilità, che ci ha portato addirittura a vederle come già sante o "Cristi in croce" a causa della loro condizione di disabilità, dimenticando che sono, come tutti gli altri cristiani, semplici credenti bisognosi di conversione. Egli cita alcune manifestazioni concrete di esclusione, principalmente due: la negazione dei sacramenti alle persone con disabilità, che avviene per una serie di motivi.dal pregiudizio sulla capacità di comprendere la natura del sacramento, all'inutilità di offrire la riconciliazione a chi già espia i propri peccati con la propria sofferenza, al pregiudizio sulla capacità di esprimere un consenso definitivo, alla mancanza di un approccio pastorale profondo che utilizzi tutti i sensi per facilitare la comunicazione"e la segregazione di molte persone con disabilità in istituti di assistenza, non di rado gestiti da enti ecclesiastici, dove i loro desideri non sono presi in considerazione e i diritti e le libertà fondamentali sono spesso limitati.

È necessario un cambiamento di mentalità. E non perché è di moda, perché è politicamente corretto o perché lo indica la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Al contrario, si tratta di assumere il significato profondo della dignità intrinseca di ogni essere umano - e, nella Chiesa, di ogni fedele - che esige la piena affermazione della loro radicale uguaglianza e, di conseguenza, la garanzia dell'uguale partecipazione di tutti e dell'uguale esercizio dei loro diritti.

Questo paradigma ha conseguenze molto concrete: ad esempio, per quanto riguarda l'accesso delle persone con disabilità intellettiva alla comunione sacramentale, il nuovo paradigma si opporrebbe a negare la comunione alle persone con disabilità intellettiva sul presupposto di un insufficiente grado di discernimento, come spesso è stato fatto, e richiederebbe di cercare di offrire loro la spiegazione del sacramento che sia accessibile, tenendo anche presente che, come ha già sottolineato Benedetto XVI nell'Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis (n. 58), indipendentemente dal loro grado di comprensione, ricevono il sacramento nella fede della Chiesa.

Il nuovo paradigma deve manifestarsi anche nel linguaggio, che non è banale, in quanto contribuisce alla diffusione di una nuova mentalità o alla perpetuazione di quella vecchia: in questo senso, è necessario evitare qualsiasi denominazione che sostanzia la disabilità, e mettere sempre al primo posto la condizione della persona. Da qui l'appropriatezza dell'espressione "persone con disabilità". E dobbiamo anche evitare di equiparare la disabilità alla sofferenza: la disabilità è una condizione della persona, che di per sé non genera necessariamente sofferenza - in molti casi, anzi, stimola il desiderio di superarla - e che nella stragrande maggioranza dei casi è pienamente compatibile con la gioia e una vita dignitosa e felice. 

Inoltre, affinché le persone con disabilità possano esercitare pienamente i propri diritti e responsabilità all'interno della Chiesa, l'accessibilità è un requisito imprescindibile, ovvero la condizione che edifici, spazi, prodotti e servizi devono avere per poter essere utilizzati da tutte le persone a parità di condizioni e nel modo più indipendente possibile. Come sottolinea il documento, si tratta di una questione ancora irrisolta, a partire dalla frequente esistenza di barriere fisiche per l'accesso alle chiese da parte delle persone a mobilità ridotta. 

Ma l'accessibilità non significa solo accessibilità fisica: non c'è accessibilità all'istruzione per i non vedenti, ad esempio, se non ci sono testi scritti in Braille; l'accessibilità per le persone sorde non è garantita se non ci sono interpreti della lingua dei segni nelle celebrazioni liturgiche e se non ci sono confessori in grado di ascoltare le confessioni nella lingua dei segni; o non c'è accessibilità per le persone con disabilità intellettiva se non si usano testi di facile lettura o se le omelie non usano un linguaggio chiaro, semplice e accessibile a tutti (che, peraltro, non gioverebbe solo alle persone con disabilità intellettiva).

Il documento chiede anche la piena partecipazione delle persone con disabilità alla vita e al governo della Chiesa. In particolare, dovrebbero essere coinvolti negli organismi che si occupano specificamente di disabilità. "Nulla per le persone con disabilità senza persone con disabilità".Questo motto, che ha guidato la maggior parte dei movimenti per la disabilità per più di cinquant'anni, si riflette anche nel testo ed è del tutto ragionevole, poiché sono le persone con disabilità a conoscere meglio le proprie esigenze e richieste.

Siamo quindi di fronte a una nuova sfida per la Chiesa: la piena inclusione delle persone con disabilità nella sua azione pastorale. E l'obiettivo non è, ovviamente, che ci sia una pastorale specializzata per le persone con disabilità, né tanto meno una pastorale specializzata per i diversi tipi di disabilità, ma che si presti attenzione alle persone con disabilità nella pastorale ordinaria della Chiesa. 

Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo, credo che sarebbe molto necessario creare, ai diversi livelli di governo, sezioni o organismi specificamente dedicati alla disabilità (delegazioni episcopali nelle diocesi, almeno nelle diocesi più importanti, commissioni nelle conferenze episcopali, ecc.), poiché c'è molto lavoro da fare: l'accessibilità deve essere promossa nei diversi ambiti, il nuovo paradigma di cui abbiamo parlato in queste righe deve essere trasmesso a tutti i sacerdoti e anche ai laici, ecc.

Ma è una sfida entusiasmante che, oltre a essere parte integrante della nuova evangelizzazione, sarà un messaggio chiaro e vivo contro la "cultura dell'usa e getta" così spesso denunciata da Papa Francesco.

In definitiva, includere le persone con disabilità non significa altro che assumere le piene conseguenze dell'universalità della redenzione di Cristo.

A questo proposito, il documento cita giustamente la frase di Gaudium et Spes, n. 22: "Il Figlio di Dio con la sua incarnazione si è unito in un certo senso a ogni essere umano". Gesù Cristo è stato unito anche alla disabilità, che è una caratteristica della condizione umana.

L'autoreAntonio-Luis Martínez-Pujalte

Dottore di ricerca in Giurisprudenza presso l'Università di Valencia e professore di Filosofia del Diritto presso l'Università Miguel Hernández di Elche.

Vaticano

Il Papa invita alla pace durante la benedizione Urbi et Orbi

Rapporti di Roma-26 dicembre 2022-Tempo di lettura: < 1 minuto
rapporti di roma88

I luoghi colpiti da guerre e disastri sono stati al centro del discorso papale dell'Angelus di domenica 25 dicembre 2022.

Nella benedizione Urbi et OrbiFrancesco ha invitato a riscoprire il significato del Natale. Ha detto che il significato della festa è "anestetizzato dal consumismo".


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Mondo

Il cardinale Mendonça ai giovani: "La vita è uno spreco se si vive a metà".

Il cammino verso la GMG 2023 continua e ora vengono diffusi dei video in cui il cardinale Mendonça parla di Chiesa, giovani e GMG a giovani di diversi Paesi.

Paloma López Campos-26 dicembre 2022-Tempo di lettura: 4 minuti

Il cardinale José Tolentino Mendonça è prefetto del Dicastero per la Cultura e l'Educazione. Oltre a essere poeta e saggista, è uno specialista di studi biblici. Il suo lavoro intellettuale si concentra essenzialmente sul rapporto tra cristianesimo e cultura.

Gli organizzatori della GMG stanno incoraggiando il cardinale Mendonça a dialogare con giovani di diverse nazionalità per discutere di vari argomenti. Il primo video di questi dialoghi è già disponibile.

Tempo di attesa

I primi giovani a incontrare il Cardinale sono stati Sara e David, rispettivamente del Comitato organizzatore locale e del Comitato organizzatore diocesano. Durante la conversazione, il Cardinale ha parlato di come i giovani dovrebbero vivere il Natale: "Il Natale richiede un progressivo cammino interiore, di ascolto, di attenzione, di disponibilità all'incontro con noi stessi e di disponibilità all'incontro con la Parola di Dio".

Mendonça ha parlato dell'importanza dell'attesa. "Chi aspetta? Colui che sa che manca qualcosa. Tutti noi dobbiamo sentire che siamo incompleti, che la nostra vita non è autosufficiente, quindi ci fermiamo e aspettiamo". Il periodo di Avvento è quello che "ci prepara all'attesa, che è anche una forma di speranza".

I cristiani, ci dice il Cardinale, "non aspettano le cose immediate. Aspettiamo il Principe della Pace. Aspettiamo il Signore della nostra vita, il Signore della storia, che dà senso a ciò che siamo e a ciò che costruiamo.

Quest'anno, oltre all'attesa dell'Avvento, c'è anche l'attesa della GMG 2023 a Lisbona. In questa attesa che precede l'incontro tra il Papa e i giovani, dice Mendonça, "siamo già felici, perché il cuore è già proiettato in questo grande momento che si vive nel cuore e segnerà tutti i partecipanti". Questo ci deve riempire di entusiasmo perché "è molto bello pensare a una comunità globale che ci toglie dalla solitudine e ci dà la gioia di stare insieme per confermare la nostra speranza".

La GMG e la sua efficacia trasformativa

È facile chiedersi come si possano cambiare i cuori in pochi giorni. Il cardinale ritiene che la GMG possa essere più di un evento isolato se "investiamo seriamente nella preparazione e usiamo questo tempo come un momento di crescita, di scoperta e di approfondimento della fede". Possiamo anche approfittarne per unirci più strettamente alla Chiesa e prendere coscienza che "noi siamo Chiesa".

Citando il Papa, Mendonça ritiene che "i giovani devono essere i nuovi poeti della storia". Se in questo tempo ci scopriamo protagonisti della storia, se ci rendiamo conto di essere il volto di Cristo, l'incontro con il Santo Padre non sarà il punto di arrivo ma un gigantesco punto di partenza che potrà proiettarci in tante dinamiche creative che segneranno senza dubbio l'inizio di una nuova era".

Incontrare Cristo

La GMG implica un incontro con Cristo perché "per la Chiesa i grandi raduni sono incontri con Lui". È questo che fa la differenza per noi, perché attraverso la fede guardiamo la vita e il mondo con occhi diversi.

"Quando guardiamo in profondità", dice il cardinale, "vediamo che è Gesù il protagonista della storia e ci dà audacia e coraggio. Cristo è il trampolino di lancio dei nostri sogni, riempie il nostro cuore di desiderio.

Questa audacia dei giovani deve portarli a non essere ripetitori, ma a dedicarsi a ricreare, sognando "un mondo d'amore che non sia impossibile". Quello che sentiamo dire da Gesù nel Vangelo è possibile, a partire dalla vita di ciascuno di noi".

La chiave di tutto questo, dice senza dubbi Mendonça, "è Cristo, ed è per questo che è così importante che in questo tempo di preparazione la scoperta di Cristo e della sua Parola sia al centro di tutto". Questo significa che "prima di prenotare un viaggio a Lisbona, dobbiamo accettare che nella nostra vita venga con noi quel compagno di Emmaus, quel compagno di viaggio che è Gesù".

Santa Maria e i giovani

"Maria è la nostra maestra, nel senso che ci insegna l'arte dell'attesa. Santa Maria lascia "un'impronta nel nostro cuore". I giovani possono guardare a tre atteggiamenti fondamentali che la Madre di Dio ci insegna.

"Il primo è il suo ascolto del piano di Dio". Maria dà a Dio la sua attenzione, "apre il suo cuore a questo incontro con il Signore". Allo stesso modo, i giovani devono ascoltare ciò che Dio dice loro "perché ha un piano in cui tu sei il protagonista".

In secondo luogo, troviamo "la capacità di Maria di dire sì, di impegnarsi". Nostra Madre "ci dà la forza di innamorarci". Ci ricorda che "la vita è uno spreco se viviamo a metà".

Infine, possiamo imparare molto sul "temperamento di Maria". La sua andatura, il suo ascolto, la sua fretta... "Si immerge nella sua storia" e questo è un segno del "cuore giovane di Maria". La Madre di Dio, con il suo atteggiamento, "spinge la storia in avanti". Va veloce perché il suo cuore è pieno d'amore.

Giovani amati da Cristo

"Quando abbiamo qualcosa di grande nel cuore, non riusciamo a contenerci, scoppiamo se non raccontiamo quello che abbiamo dentro". Il cardinale afferma che questo è ciò che ogni giovane dovrebbe condividere con gioia quando si rende conto che Cristo lo ama: "Cristo è nella mia vita, il Vangelo è vivo in me".

Questa convinzione fa di tutti noi dei giovani missionari e "Lisbona è il luogo per stare tutti insieme a dire: vogliamo, sogniamo, siamo qui, abbiamo questa notizia da annunciare al mondo". Il viaggio a Lisbona sarà quindi "un'esplosione di speranza di cui il mondo ha tanto bisogno".

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FirmeSantiago Leyra Curiá

Europa e Spagna in Menéndez Pelayo

L'idea di Spagna di Marcelino Menéndez Pelayo si basa su un profondo amore per il suo popolo e sulla ricchezza di appartenere a un mondo più grande e aperto.

26 dicembre 2022-Tempo di lettura: 5 minuti

"Quando nel 1877 pubblicò la sua "Epistola a Orazio", il giovane Marcelino Menéndez Pelayo (1856/1912) desiderava che i popoli europei fossero uniti dall'arte e dalla parola, lavorando la bellezza con mano e cuore cristiani, come quei popoli mediterranei che avevano promosso la cultura rinascimentale. Quattordici anni dopo, vide nel Rinascimento "il periodo più brillante del mondo moderno, per aver raggiunto la formula estetica definitiva, superiore in alcuni casi a quella dell'antichità, nelle opere di artisti come Raffaello, Leonardo da Vinci, Michelangelo, Miguel de Cervantes, Fray Luis de León...". (discorso di ammissione alla Royal Academy of Moral and Political Sciences)".

In contrasto con coloro che vedevano una concordanza tra i postulati iniziali del Rinascimento e il Protestantesimo, egli affermava che "La grande tempesta della Riforma è nata nei chiostri nominalisti della Germania, non nelle scuole di lettere umane in Italia".. E ha confessato di non poterlo avvicinare ai popoli del Nord Europa. "La Riforma, figlio illegittimo dell'individualismo teutonico". che aveva significato la fine dell'unità europea (Storia dell'eterodossia spagnola e La scienza spagnola).

In ogni caso, non ha smesso di ammirare "La meravigliosa Canzone della campana di Schiller, la più religiosa, la più umana e la più lirica delle canzoni tedesche, e forse il capolavoro della lirica moderna". Rabbrividì anche quando lesse la lettera in cui Schiller diceva a Goethe che "Il cristianesimo è la manifestazione della bellezza morale, l'incarnazione del santo e del sacro nella natura umana, l'unica religione veramente estetica". E, a proposito di Goethe stesso, ricordava che era stato lui a introdurre l'espressione "letteratura universale, che ha inventato e in virtù della quale dobbiamo chiamarlo cittadino del mondo". Allo stesso modo, si è soffermato sulle opere delle figure più rappresentative dell'età d'oro della letteratura tedesca, come Winckelmann, Lessing, Herder, Fichte, gli Humboldt e Hegel, "che insegna anche quando sbaglia... il cui libro (su Estetica) respira e infonde l'amore per la bellezza immacolata e spirituale". Così come si meravigliava della letteratura inglese, "uno dei villaggi più poetici della terra". (Storia delle idee estetiche in Spagna, 1883/1891).

Come vedeva Menéndez Pelayo la Spagna in quell'Europa? 

Egli riteneva che il valenciano Juan Luis Vives fosse stato "il pensatore più brillante ed equilibrato del Rinascimento"., "lo scrittore più completo ed enciclopedico di quel tempo". E vide in Vives la persona più impegnata nell'Europa del suo tempo, che "ha contemplato Cristo come Maestro di pace, per coloro che lo ascoltano e per coloro che non lo ascoltano, con la sua azione nell'intimo delle loro coscienze".a colui che, mosso da "per l'amore della concordia di tutti i popoli d'Europa", vedendola così divisa, si era rivolto all'Imperatore e ai re Enrico VIII e Francesco I, ricordando loro che la loro divisione facilitava le piraterie del Barbarossa e le incursioni turche (Antologia di poeti lirici castigliani).

Ha coinciso con un altro spagnolo, Jaume Balmes, autore di "Il protestantesimo a confronto con il cattolicesimo nei suoi rapporti con la civiltà europea", in cui lo scrittore catalano si era trovato in aperto disaccordo con Guizot, l'autore della "Storia generale della civiltà in Europa". Per Guizot, cattolicesimo e protestantesimo erano sullo stesso piano, in quanto avevano svolto un ruolo simile nella formazione dell'Europa; dal suo punto di vista calvinista, Guizot riteneva che la Riforma protestante avesse portato in Europa un movimento espansivo della ragione e della libertà umana.

Da parte sua, Menéndez Pelayo riteneva che la Riforma, iniziata con le idee di libero esame, servo arbitrio e fede senza opere, avesse significato una deviazione dal maestoso corso della civiltà europea: "... lo dimostrò... iniziando ad analizzare la nozione di individualismo e il sentimento di dignità personale, che Guizot considerava caratteristici dei barbari, come se non fossero un risultato legittimo della grande instaurazione, trasformazione e dignificazione della natura umana, portata dal cristianesimo...". (Due parole sul centenario di Balmes). 

Si basava sul presupposto che "L'ideale di una nazionalità perfetta e armoniosa non è altro che un'utopia... Bisogna prendere le nazionalità come le hanno fatte i secoli, con unità in alcune cose e varietà in molte altre, e soprattutto nella lingua". (Difesa del programma di letteratura spagnola). E di come lo spirito spagnolo, che era emerso durante tutta la Reconquista, fosse "Uno nel credo religioso, diviso in tutto il resto, per razza, per lingua, per costumi, per privilegi, per tutto ciò che può dividere un popolo". (Discorso di ingresso all'Accademia Reale Spagnola).

Nelle sue opere di storia della cultura spagnola, non si limitò a scrivere nella lingua spagnola comune, il castigliano, che non mancò di considerare "l'unico tra i moderni che sia riuscito a esprimere qualcosa dell'idea suprema". e in cui è stato scritto "l'epopea comica della razza umana, l'eterno breviario del riso e del buon senso".

Infatti, considerando che la Spagna è una nazione ricca e variegata di lingue, vedrei bene nel maiorchino Ramón Llull, "al primo che rese la lingua volgare utile per le idee pure e le astrazioni, a colui che separò la lingua catalana da quella provenzale, rendendola grave, austera e religiosa". (Discorso di ingresso alla RAE nel 1881).

Avendo iniziato gli studi universitari a Barcellona, conosceva la lingua catalana nella quale, anni dopo, avrebbe tenuto un discorso alla regina reggente Maria Cristina. E, nel suo "Semblanza de Milá y Fontanals". ricorderebbe che "Furono i poeti che, rendendosi conto che nessuno può raggiungere la vera poesia se non nella propria lingua, si dedicarono a coltivarla artisticamente per scopi e finalità elevate".

Alfredo Brañas, in "Regionalismo", ricorda come, in ambito letterario, la Catalogna avesse raggiunto la massima rappresentanza della letteratura ispanica nel 1887. In quell'anno, il poeta catalano Federico Soler aveva vinto il premio dell'Accademia Reale Spagnola per la migliore opera drammatica rappresentata nei teatri di Spagna. Brañas commenta che, prima dell'assegnazione, mentre alcuni accademici erano dell'opinione che il premio dovesse essere assegnato solo a opere teatrali rappresentate nei teatri della Corte, altri, come Menéndez Pelayo, ritenevano che dovesse essere aperto a drammaturghi di tutte le regioni spagnole.

Nella sua "Antología de poetas líricos castellanos" (Antologia di poeti lirici castigliani), Menendez Pelayo ha dedicato pagine considerevoli alla poesia galiziana medievale e avrebbe giudicato, in due relazioni e con criteri corretti, il "Dizionario galiziano-spagnolo". di Marcial Valladares e il "Canzoniere popolare galiziano". di José Pérez Ballesteros. Nella stessa antologia, elogerei Valencia perché "Era predestinata a essere bilingue... perché non ha mai abbandonato la sua lingua madre". E, in una lettera del 6 ottobre 1908, dirà a Carmelo Echegaray: "la mia biblioteca che, grazie a voi, sta diventando una delle più ricche in questo interessante ramo (i libri baschi), così difficile da raccogliere al di fuori dei Paesi Baschi...".

In un'altra lettera, indirizzata alla rivista "Cantabria" (28/11/1907), Menéndez Pelayo avrebbe scritto che "Non può amare la sua nazione chi non ama la sua patria e inizia affermando questo amore come base per un patriottismo più ampio. Il regionalismo egoista è odioso e sterile, ma il regionalismo benevolo e fraterno può essere un grande elemento di progresso e forse l'unica salvezza della Spagna".

L'autoreSantiago Leyra Curiá

Membro corrispondente dell'Accademia Reale di Giurisprudenza e Legislazione di Spagna.

Vaticano

Il Papa rivolge il suo sguardo ai più vulnerabili all'Angelus di Natale

"Torniamo a Betlemme", ha sottolineato il Papa nel suo discorso dell'Angelus nella domenica speciale in cui la Chiesa celebra la solennità della nascita di Nostro Signore Gesù Cristo. Un ritorno a Betlemme significa volgere lo sguardo a coloro che oggi soffrono di più.

Maria José Atienza-25 dicembre 2022-Tempo di lettura: 3 minuti

Una mattinata di sole ha accompagnato l'Angelus del Papa in questa domenica di Natale. Dal balcone della Basilica di San Pietro, Papa Francesco si è rivolto ai fedeli, incoraggiandoli a superare "la letargia del sonno spirituale e le false immagini della festa che ci fanno dimenticare chi viene onorato". Il suo discorso è stato caratterizzato da un richiamo alla mancanza di pace nel mondo e alle nazioni colpite dalla guerra.

"Torniamo a Betlemme, dove risuona il primo suono del Principe della Pace. Sì, perché lui stesso, Gesù, è la nostra pace; quella pace che il mondo non può dare e che Dio Padre ha donato all'umanità inviando suo Figlio", ha proseguito il Santo Padre.

Francesco ha voluto ricordare che seguire la via della pace tracciata da Gesù presuppone l'abbandono dei pesi "dell'attaccamento al potere e al denaro, dell'orgoglio, dell'ipocrisia e della menzogna". Questi pesi rendono impossibile andare a Betlemme, ci escludono dalla grazia del Natale e ci chiudono l'accesso alla via della pace. E in effetti, dobbiamo constatare con dolore che, mentre ci viene donato il Principe della Pace, sull'umanità continuano a soffiare forti venti di guerra".

Nazioni in guerra

Il Papa ha indicato i nuovi volti del Bambino di Betlemme: "Il nostro sguardo si riempia dei volti dei nostri fratelli e sorelle ucraini, che vivono questo Natale nelle tenebre (...) Pensiamo alla Siria, ancora martirizzata da un conflitto che è passato in secondo piano ma non è finito; pensiamo anche alla Terra Santa, dove negli ultimi mesi sono aumentati la violenza e i conflitti, con morti e feriti. Imploriamo il Signore che lì, nella terra della sua nascita, possa riprendere il dialogo e la ricerca della fiducia reciproca tra israeliani e palestinesi".

Una delle regioni recentemente visitate dal Papa e che ha fatto parte del suo ricordo in questo giorno è stato il Medio Oriente. Francesco ha poi pregato affinché "il Bambino Gesù sostenga le comunità cristiane che vivono in tutto il Medio Oriente, affinché in ognuno di questi Paesi si sperimenti la bellezza della convivenza fraterna tra persone di fedi diverse". Che aiuti in particolare il Libano, affinché possa finalmente riprendersi, con il sostegno della comunità internazionale e con la forza della fraternità e della solidarietà. Che la luce di Cristo illumini la regione del Sahel, dove la convivenza pacifica tra popoli e tradizioni è interrotta da scontri e violenze. Che possa guidare verso una tregua duratura nello Yemen e verso la riconciliazione in Myanmar e in Iran, affinché cessi ogni spargimento di sangue".

Il Papa non ha voluto nemmeno dimenticare il suo continente d'origine, l'America, dove alcuni Paesi stanno vivendo momenti di incertezza e destabilizzazione sociale, come il Nicaragua e il Perù. Il Papa ha elevato la sua preghiera chiedendo a Dio "di ispirare le autorità politiche e tutte le persone di buona volontà del continente americano a fare uno sforzo per pacificare le tensioni politiche e sociali che colpiscono diversi Paesi; penso in particolare al popolo haitiano, che sta soffrendo da molto tempo".

Fissa e affamata

Ha anche fatto un paragone tra il significato di Betlemme, "Casa del Pane", sottolineando "le persone che soffrono la fame, soprattutto i bambini, mentre ogni giorno grandi quantità di cibo vengono sprecate e i beni vengono sperperati per le armi". A questo punto, si è soffermato sulle conseguenze della guerra in Ucraina che "ha ulteriormente aggravato la situazione, lasciando intere popolazioni a rischio di carestia, soprattutto in Afghanistan e nei Paesi del Corno d'Africa". Ogni guerra - come sappiamo - causa la fame e usa il cibo stesso come arma, impedendone la distribuzione a persone che già soffrono". In un giorno in cui molte famiglie si riuniscono a una tavola speciale, il Papa ha chiesto che "il cibo non sia altro che uno strumento di pace".

Infine, il Papa ha ricordato "i tanti migranti e rifugiati che bussano alla nostra porta in cerca di conforto, calore e cibo". Non dimentichiamo gli emarginati, le persone sole, gli orfani e gli anziani che rischiano di essere scartati; i prigionieri che guardiamo solo per i loro errori e non come esseri umani.

Il Santo Padre ha concluso chiedendo di lasciarsi "muovere dall'amore di Dio e di seguire Gesù, che si è svuotato della sua gloria per renderci partecipi della sua pienezza".

Dopo le parole, il Papa ha impartito la benedizione Urbi et orbi a tutti i presenti in Piazza San Pietro e a coloro che hanno seguito questa benedizione attraverso i media.

Vaticano

Il Papa alla Messa di Natale: "Aiutaci a dare carne e vita alla nostra fede".

Dove cercare il significato del Natale? Questa è stata la domanda attorno alla quale ha ruotato l'omelia di Papa Francesco in quella che è stata la sua decima celebrazione della Messa della Natività del Signore.

Maria José Atienza-25 dicembre 2022-Tempo di lettura: 2 minuti

La Basilica di San Pietro ha accolto ancora una volta centinaia di persone, tra cui molti bambini, e decine di sacerdoti che hanno accompagnato il Santo Padre nella celebrazione eucaristica.

Il Papa ha voluto rivolgere lo sguardo al presepe, indicandolo come il luogo in cui si trova il vero significato del Natale, che a volte è affogato nei regali e nelle decorazioni. "Per trovare il significato del Natale, bisogna guardare lì (alla mangiatoia). Ma perché il presepe è così importante? Perché è il segno, non casuale, con cui Cristo entra nella scena del mondo". E del presepe il Papa ha indicato tre significati su cui riflettere: vicinanza, povertà e concretezza.

Per quanto riguarda il prossimitàIl Papa ha sottolineato che "il presepe serve ad avvicinare il cibo alla bocca e a consumarlo più velocemente. Un'idea che richiama la voracità del mondo, avido di comodità e denaro. Al contrario, "nella mangiatoia del rifiuto e del disagio", ha proseguito il Papa.

"Dio si accomoda: arriva lì, perché lì c'è il problema dell'umanità, l'indifferenza generata dalla vorace corsa al possesso e al consumo. Cristo nasce lì e in quella mangiatoia lo scopriamo vicino".

Sul povertà della mangiatoia, ha osservato il Papa, "la mangiatoia ci ricorda che egli non aveva intorno a sé altri che coloro che lo amavano". Una realtà che "mette così in luce le vere ricchezze della vita: non il denaro e il potere, ma le relazioni e le persone". E la prima persona, la prima ricchezza, è Gesù stesso".

Infine, il Papa si è fermato al concrezione che segna l'ingresso di Cristo nella storia umana. In un bambino concreto, in una terra concreta e in un anno concreto: "Dalla mangiatoia alla croce, il suo amore per noi è stato tangibile, concreto: dalla nascita alla morte, il figlio del falegname ha abbracciato la ruvidità del legno, la ruvidità della nostra esistenza".

"Gesù, ti guardiamo, disteso nella mangiatoia. Ti vediamo così vicino, sempre vicino a noi: grazie, Signore. Ti vediamo povero, insegnandoci che la vera ricchezza non è nelle cose, ma nelle persone, soprattutto nei poveri: perdonaci, se non ti abbiamo riconosciuto e servito in loro. Ti vediamo concreto, perché il tuo amore per noi è concreto: Gesù, aiutaci a dare carne e vita alla nostra fede", ha concluso il Papa.

Durante la celebrazione, il Santo Padre ha rinnovato l'usanza dell'adorazione dell'immagine di Gesù Bambino e si è soffermato, in modo particolare, davanti al presepe allestito all'interno della Basilica Petrina.

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Natale in chiusura

Diverse monache di clausura raccontano la loro preparazione durante l'Avvento e come vivono il Natale nella loro dedizione contemplativa.

Paloma López Campos-25 dicembre 2022-Tempo di lettura: 4 minuti

Il Natale è un momento che tutti viviamo in modo speciale, ma come viene vissuto nelle comunità claustrali? La celebrazione tra le mura è molto diversa da quella per le strade? Come si preparano i consacrati alla venuta di Cristo?

Le Clarisse come riparatrici

Le monache clarisse del convento di San José (Ourense) ci raccontano come vivono queste feste speciali.

Come si preparano i claustrali alla nascita di Cristo?

- Ci prepariamo, innanzitutto, con la Parola di Dio contenuta nelle letture dell'Ufficio divino, nella Sacra Scrittura, nei Sacramenti... Anno dopo anno ci concentriamo sull'approfondimento di questi testi ricchissimi per avvicinarci alla comprensione insondabile del mistero della Natività di Cristo".

Nelle strade tutto è pieno di luci, musica, vetrine appariscenti... Come possiamo guardare indietro a ciò che è importante in questo tempo liturgico?

- Tutte queste manifestazioni di luci, suoni, canti, regali, dolci... sono segni che ci parlano di un evento. Dal punto di vista della fede, il più importante. Dio si avvicina all'uomo prendendo la nostra natura per salvarci. Il modo in cui lo fa ci risveglia tremendamente: nasce in una grotta di pastori, muore (o meglio, noi lo uccidiamo) su una croce. Perché? "Guardatelo e sarete raggianti".

Le attività e gli orari del convento cambiano quando si avvicina l'Avvento e il Natale?

- In questo periodo dell'anno, è necessario modificare il nostro orario abituale per rendere il nostro lavoro compatibile con i nostri obblighi di vita contemplativa. È la pasticceria, in particolare il dolce "panettone", molto popolare al momento, a richiedere questo adattamento".

Qual è, dal vostro punto di vista, l'aspetto più importante del Natale?

- Dal nostro punto di vista e da quello di qualsiasi cristiano, la fede, l'unico modo per vedere Dio, è senza dubbio l'aspetto più importante. Tutto ha senso a partire dalla fede. Naturalmente, festeggiamo come in ogni casa che vive nella speranza, perché Dio ha amato l'uomo fino a questo punto, e Dio non delude.

Avete qualche raccomandazione da fare per prepararci ad accogliere Cristo?

- Tornare alla "Parola di Dio", meditarla, pregarla, è il nostro suggerimento. Ad esempio:

a) Leggete il n. 3-4 della Costituzione dogmatica. Dei Verbum sulla rivelazione divina del Concilio Vaticano II.

b) n. 48 della Costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla Chiesa del Concilio Vaticano II

c) Leggere il libro della Sapienza nella Bibbia.

d) Capitolo 12 della Lettera di Paolo ai Romani.

e) Infine "PREGA", prega senza sosta. Ma come? Quando non è possibile fare altrimenti, con il "desiderio". "Tutto il mio desiderio è alla tua presenza. Se non vuoi smettere di pregare, non interrompere il desiderio".

Monastero della Seconda Visitazione

D'altra parte, le suore della Visitazione affermano che il loro "lavoro consiste nel pregare per le vocazioni in generale, e per il mondo ateo che purtroppo stiamo subendo oggi". L'Avvento per noi è un tempo di maggior raccoglimento prima della venuta del nostro Salvatore e Redentore. La gioia che pervade i nostri chiostri non può in alcun modo essere paragonata ai festeggiamenti del trambusto e del poco o nulla che ci ricorda questi giorni.

Suore Mercedarie di Cantabria

Dal monastero di Santa María de la Merced in Cantabria, anche loro hanno voluto condividere la loro esperienza:

"In un convento di vita contemplativa, il tempo dell'Avvento e del Natale, senza cambiare sostanzialmente nulla, viene vissuto come un'alba, con nuova gioia e speranza. Si preparano la culla e il cesto del Bambino che verrà, attraverso atti personali di virtù, preghiere, servizi fraterni, ecc. La liturgia viene vissuta con maggiore intensità, unendoci alla grande attesa del popolo di Israele, all'ansia urgente del nostro mondo che, anche senza rendersene conto, desidera un "Salvatore o Liberatore".

Tutto questo desiderio universale rivive nella nostra preghiera personale, comunitaria e liturgica. Il canto gregoriano delle antifone "O" nell'immediata attesa del Natale crea un'atmosfera di gioiosa aspettativa e di atteso silenzio che permea la nostra vita fraterna quotidiana. Materialmente, anche noi decoriamo il nostro piccolo convento con murales dell'Avvento, con sospiri di preghiera di "Marana tha"Vieni Signore Gesù", con musica natalizia per svegliarsi al mattino, ecc.

Per noi la cosa più importante del Natale è che viviamo la nascita di Gesù, il Figlio di Dio, che prende la nostra natura umana per salvarci e darci un esempio di vita. È un evento sorprendente di amore infinito che raggiunge un tale livello di abnegazione per puro amore dell'uomo decaduto, di ciascuno di noi, che ci riempie di amorevole stupore e ci porta a una gioia e a una gratitudine traboccanti che si traducono in un'atmosfera corale e fraterna e anche in "extra" di cibo. Perché, come dicevano gli antichi monaci, si festeggia "a Messa e a tavola".

Tutto questo ci porta a condividere spiritualmente, liturgicamente e materialmente con i nostri fratelli e sorelle, con il nostro aiuto alle persone bisognose, con la partecipazione alle visite e alle telefonate, cercando di condividere la nostra fede, la nostra gioia, la nostra gratitudine al Dio dell'Amore fatto Bambino a Betlemme.

È un grande peccato che in molte famiglie la fede e la gioia del Natale cristiano stiano scomparendo e vengano sostituite da feste pagane in cui non si ricorda più il motivo della festa. Il nostro augurio e la nostra raccomandazione alle famiglie cristiane è che non si lascino trascinare da correnti che non hanno nulla di buono e di profondo da apportare, e che l'unità familiare si rafforzi di più attorno alla tavola di casa con i canti natalizi, la Natività e il calore della famiglia, piuttosto che con tanti surrogati offerti dal mondo di oggi, che non portano al miglioramento della nostra società.

 A tutti voi auguriamo che il Bambino Dio possa nascere e crescere nei vostri cuori, nelle vostre famiglie, nelle vostre parrocchie e nel vostro ambiente sociale. BUON NATALE INSIEME AL BAMBINO GESÙ; MARIA E GIUSEPPE".

Natale per tutti

Le monache di clausura ci ricordano l'importanza di concentrarci sull'essenziale durante queste feste, ricordando sempre che ciò che stiamo celebrando è la nascita di Gesù Cristo. La vita claustrale può invitarci a chiederci, con San Giovanni Paolo II: "Come è nato Cristo, come è venuto nel mondo, perché è venuto nel mondo?" (Udienza generale del 27 dicembre 1978). La risposta ce la dà il Pontefice stesso: "È venuto nel mondo perché gli uomini lo trovino, quelli che lo cercano. Proprio come i pastori lo trovarono nella grotta di Betlemme. Dirò ancora di più. Gesù è venuto nel mondo per rivelare tutta la dignità e la nobiltà della ricerca di Dio, che è il bisogno più profondo dell'anima umana, e per andare incontro a questa ricerca".

Cultura

Tradizioni natalizie in Lituania e Polonia

In Lituania, il Natale è ancora un momento speciale per vivere le tradizioni. L'influenza della vicina Polonia e la cristianizzazione di antiche usanze sono la chiave di molte delle usanze che le famiglie lituane fanno rivivere ogni anno intorno alla Natività di nostro Signore.

Marija Meilutyte-24 dicembre 2022-Tempo di lettura: 9 minuti

Polonia e Lituania condividono alcune delle tradizioni natalizie più diffuse. La veglia del 24 dicembre e quella del 25 sono segnate da varie manifestazioni di affetto, fede e devozione, così profondamente radicate in entrambi i popoli che, a distanza di secoli e dopo molte vicissitudini storiche, sono ancora presenti nelle famiglie polacche e lituane.

Lituania: dal kalėdaičiai ai 12 piatti della vigilia di Natale

Per comprendere le usanze lituane relative alla vigilia e al Natale, ci sono due cose da capire. Da un lato, il cristianesimo è arrivato in Lituania da due direzioni: da Est, cioè da Bisanzio attraverso gli Slavi orientali, e da Ovest, cioè da Roma attraverso gli Slavi germanici e occidentali, soprattutto i Polacchi. D'altra parte, la Lituania è stata una delle ultime nazioni europee a cristianizzarsi, nel XIV secolo, quindi in molte di queste tradizioni paganesimo e cristianesimo si mescolano.

La parola del Natale, Kalėdosha origine dallo slavo orientale коляда, derivato dallo slavo ecclesiastico kolędache a sua volta deriva dal latino kalendae attraverso i greci bizantini. Kalendae si riferisce al primo giorno di ogni mese nell'antica contabilità romana ed ecclesiastica. Ancora oggi, il testo del "martirologio romano", che riassume la storia dell'umanità e le speranze di salvezza che trovano il loro compimento in Cristo, viene chiamato "calenda" o annuncio di Natale.

La parola per la vigilia di Natale, Kūčiosderiva dallo slavo orientale kuтя (ucraino: кутя, russo antico: кутья). Il suo luogo di nascita è Bisanzio, non Roma, ed è associato a Kūčiapiatto a base di cereali (grano, orzo, segale, ecc.) mescolati con acqua addolcita con miele. Questo piatto è tradizionale anche in Bielorussia e Ucraina.

In epoca precristiana, intorno al solstizio d'inverno, si commemoravano i morti e si celebravano anche alcuni riti del raccolto. Ad esempio, il piatto Kūčia serviva a nutrire gli spiriti degli antenati. Da questo culto degli antenati rimane ancora oggi la tradizione di lasciare intatta la tavola della Vigilia di Natale durante la notte, in modo che le anime dei defunti possano banchettare o pregare per i defunti nella preghiera di benedizione della tavola, soprattutto per coloro che sono morti durante l'anno.

Un'altra usanza pagana, poi cristianizzata, è quella di mettere del fieno o della paglia sotto la tovaglia: in origine serviva per far riposare i morti, oggi viene messa in ricordo della mangiatoia dove fu deposto il Bambino Gesù dopo la sua nascita.

Cena della vigilia di Natale

Molte delle tradizioni propriamente cristiane sono arrivate dalla Polonia, per cui oggi lituani e polacchi condividono molte di queste usanze.

La cena della Vigilia inizia con una preghiera, di solito guidata dal capofamiglia. Dopo la preghiera, il kalėdaičiaiLe kalėdaitis: ostie allungate decorate con immagini della Natività di Gesù. Ognuno offre la propria kalėdaitis a un'altra persona presente, benedicendola e augurandole qualcosa per l'anno a venire; quando tutti gli ospiti si sono scambiati un pezzo di ostia, inizia il pasto. Normalmente, queste ostie vengono vendute nelle chiese dall'inizio dell'Avvento, dopo essere state benedette dai sacerdoti. Se una persona non festeggia la vigilia di Natale in Lituania, i parenti le inviano kalėdaičiai per non farla mancare alla loro tavola.

Le ostie simboleggiano il corpo di Gesù Cristo, poiché la celebrazione della vigilia di Natale riunisce la tavola dell'Ultima Cena di Cristo e la mangiatoia di Betlemme.

I kalėdaičiai ce lo ricordano, ci parlano del Pane vivo fatto carne; spezzare e scambiare un pezzo di ostia simboleggia la comunione dei cristiani con e in Gesù Cristo.

Sulla tavola della Vigilia di Natale ci devono essere dodici piatti (per piatti si intendono dodici cibi diversi), secondo l'interpretazione cristiana, in onore dei dodici apostoli che si sedettero alla tavola dell'Ultima Cena.

Sia in Polonia che in Lituania, l'Avvento è un periodo di astinenza e, nella tradizione più rigorosa, il 24 dicembre è un giorno di "astinenza secca", cioè non solo niente carne, ma anche niente latticini e uova. Per questo motivo, la maggior parte dei piatti è a base di pesce, soprattutto aringhe, funghi e verdure.

Le bevande tipiche includono aguonpienas (latte di semi di papavero), fatto con acqua, zucchero e semi di papavero schiacciati e il kisielius (kisel) bevanda a base di bacche o frutta a cui viene aggiunta fecola di patate o mais, che conferisce alla bevanda una consistenza molto densa.

Sulla tavola della Vigilia non può mancare il kūčiukaiQueste palline a base di farina, lievito e semi di papavero sono diventate particolarmente popolari dopo la restaurazione dell'Indipendenza, quando hanno ricominciato a essere celebrate liberamente durante le festività natalizie.

Un curioso retaggio dell'era sovietica è la popolarità dell'insalata russa, che in Lituania è conosciuta come "insalata russa". insalata bianca o ensaladilla casera, come piatto del giorno di Natale. Il motivo era che veniva preparato con piselli e maionese in scatola, che erano difficili da trovare e quindi considerati beni di lusso.

Ancora oggi, queste tradizioni sono osservate nella maggior parte delle famiglie e il Natale è un momento di forte esperienza cristiana nel Paese.

Polonia. La Messa dei pastori e la frazione del pane

Testo: Ignacy Soler

Un tempo, e ancora oggi, si dice che tutte le feste sono conosciute dai loro vespri. In Polonia, la vigilia di Natale è conosciuta come la Veglia e ha usanze profondamente radicate in ogni famiglia, credente o meno.

Il Natale è la festa della nascita di un Bambino nel quale noi cristiani riconosciamo il Figlio di Dio, Dio fatto uomo per la nostra salvezza. Per molti il Natale non è più una festa cristiana, ma è ancora un momento di affermazione della bontà della vita umana, in particolare del neonato: un dono per la famiglia, il Paese e il mondo intero. Ogni bambino è unico, irripetibile, una novità che rende tutto diverso. Il Natale è anche un momento per augurarsi pace, gioia, felicità, un mondo migliore, senza guerre, senza dolore e senza male: l'utopia di un mondo irraggiungibile per gli uomini di tutti i tempi. Ma ciò che l'uomo non può, Dio può.

La Veglia di Natale, come suggerisce il nome, ci invita a essere vigili e preparati alla celebrazione. La vigilia di Natale inizia nelle case polacche, spesso coperte dalla neve bianca e fredda di quei giorni, con la cena della Vigilia all'apparire della prima stella, verso le cinque di sera. Tutti si siedono al tavolo comune dopo una dura giornata di lavoro. Fin dalle prime ore del 24 tutti sono coinvolti nella preparazione della Veglia. Qualche giorno prima, l'albero di Natale è già stato montato e vestito con tutte le sue luci, le decorazioni, i regali e la stella in cima. Se non è stato fatto prima, la mattina del 24 si deve montare l'albero di Natale. Anche il presepe tradizionale, in particolare le figure del Mistero - Gesù, Maria e Giuseppe - hanno tradizione e radici, ma meno dell'albero di Natale e non così diffuso come in Italia o nei Paesi di lingua spagnola.

Dopo alcune ore di preparativi, non solo per il pasto ma anche per la casa, soprattutto per la pulizia delle finestre (non capisco bene perché in Polonia le finestre vengano pulite a fondo la vigilia di Natale e la domenica di Pasqua), ci si riunisce alla tavola di Natale con i piatti e le posate migliori. Si riuniscono ma non si siedono, perché la Cena della Vigilia inizia - tutti insieme e in piedi - con la lettura della Nascita di Gesù dal Vangelo di San Matteo (1, 18-25) o di San Luca (2, 1-20). Di solito viene letto dal padre di famiglia o dal figlio più giovane.

Spezzare il pane: Opłatek

Segue la cosiddetta Opłatek, in inglese oblea, che deriva dal latino oblatum - offerta in dono. L'ostia, chiamata anche pane dell'angelo o pane benedetto e, nel nostro caso, ostia di Natale, è una sfoglia di pane bianco, cotta con farina bianca e acqua non lievitata, che viene condivisa alla tavola della Vigilia. Tutti rimangono in piedi e ogni partecipante alla Veglia prende un'ostia da un vassoio preparato con loro. Ogni commensale tiene la sua cialda nella mano sinistra e con la destra spezza un pezzo della cialda di un altro partecipante, esprimendo allo stesso tempo i suoi migliori auguri per quella persona, con parole improvvisate, brevi o lunghe, emotive o ufficiali, secondo i desideri di ciascuno. E mangia quel piccolo pezzo di ostia dell'altro. L'azione è ricambiata dall'altra persona. E alla fine si stringono la mano, logicamente la mano destra, che è quella libera.

L'ostia di Natale è un segno di riconciliazione e di perdono, di amicizia e di amore. Condividerlo all'inizio della cena della Vigilia esprime il desiderio di stare insieme, ha un significato non solo spirituale ma anche materiale: il pane bianco sottolinea la natura terrena dei desideri, dell'avere e del condividere. Tutti devono essere come un pane buono e divisibile, qualcosa che può essere regalato. È logicamente collegata alla petizione del Padre Nostro e all'Eucaristia.

La tradizione di condividere (dividere), cioè di rompere reciprocamente una parte dell'ostia o dell'ospite natalizio, affonda le sue radici nei primi secoli del cristianesimo. Inizialmente non collegato al Natale, era un simbolo della comunione spirituale dei membri della comunità. L'usanza di benedire il pane era chiamata eulogia (pane benedetto). Alla fine, il pane è stato portato alla messa della vigilia di Natale, benedetto e condiviso. Veniva anche portata a casa dei malati o di coloro che per vari motivi non erano in chiesa, oppure inviata a parenti e amici. La pratica di celebrare l'elogio, popolare nei primi secoli del cristianesimo, cominciò a scomparire nel IX secolo sotto i decreti dei sinodi carolingi, che volevano evitare la confusione tra il pane consacrato (l'Eucaristia) e il pane benedetto (l'elogio).

Cena della Veglia di Natale

La cena della Vigilia è una cena gioiosa, familiare e penitenziale, certo suona curioso ma è una cena di astinenza dalla carne. È consuetudine offrire la mortificazione di non mangiare carne in quel giorno per prepararsi alla grande solennità della Natività del Signore. Non mangiare carne è qualcosa di ancora importante in Polonia, in quanto si celebra ogni venerdì dell'anno, e i polacchi non sono indifferenti a questo. La cena della Vigilia consiste in dodici piatti diversi, molti dei quali a base di pesce, tutti molto ben preparati e gustosi. Si inizia con una zuppa, che di solito è una borschuna zuppa di barbabietole rosse. Poi arrivano i pierogiil cui nome deriva dall'antica radice slava pir-La festa, che consiste in una sorta di pasta, una crocchetta ripiena di diversi tipi e varietà di verdure, ha una certa somiglianza con i ravioli italiani. Tra i pesci, spicca la carpa fritta. Come bevanda, è d'obbligo provare anche il kompotun succo tradizionale ottenuto facendo bollire alcuni frutti come fragole, mele, ribes o prugne in una grande quantità di acqua a cui viene aggiunto zucchero o uva sultanina. Come dessert, non può mancare il kutia, è una sorta di budino dolce a base di cereali, o il makówkiuna torta a base di semi di papavero.

A tavola per la cena della Vigilia, sotto la tovaglia viene posta una piccola paglia che ricorda la mangiatoia di Betlemme. È anche tradizione lasciare un posto per l'ospite inatteso. Questo è molto slavo: un'accoglienza amichevole per il visitatore, che è sempre invitato a sedersi al tavolo comune. Dopo la cena, tutta la famiglia si riunisce intorno all'albero di Natale, dove i regali vengono sparsi sotto i suoi rami. Qualcuno della famiglia, di solito vestito da San Nicola, è incaricato di distribuirli, recitando poesie o barzellette che alludono alla persona da onorare. Al termine, si intonano canti natalizi, kolendaSi tratta di antiche canzoni natalizie, ricche di contenuti teologici, che vengono cantate anche nelle chiese. In alcuni kolenda parla di come in questa speciale notte di Natale gli animali parlino con voce umana e comprendano il nostro vocabolario. Forse si tratta di un'interpretazione delle parole del profeta Isaia (1,3): Il bue conosce il suo padrone e l'asino la greppia del suo padrone; Israele non mi conosce, il mio popolo non mi comprende..

La massa del gallo, che in Polonia viene chiamata PasterskaLa messa dei pastori viene sempre celebrata a mezzanotte. Molte famiglie affollano le chiese, le chiese sono materialmente sovraffollate e le strade delle città e delle campagne sono piene di auto e luci che vanno e vengono.

L'Eucaristia è il momento culminante della celebrazione della Veglia. Prima di questo ci sono stati i cosiddetti rekolecjeesercizi spirituali di tre giorni, in tutte le parrocchie, con confessione finale. Qualche mese fa ho ascoltato una conversazione casuale per strada: dove vai, Marek? - Vado in chiesa, a confessarmi. - Ma come può essere, se non è Natale o Pasqua? Il fatto è che anche recarsi al sacramento della penitenza durante questi due importanti tempi liturgici è un'abitudine molto radicata. La confessione frequente è certamente importante, ma è più importante che ci sia almeno la confessione non frequente di un paio di volte all'anno. I fatti parlano chiaro: in questo Paese si vedono ancora code interminabili per confessarsi in Avvento e Quaresima. Io stesso ho fatto questa esperienza in questi giorni: il parroco dove vivo mi ha chiamato e mi ha chiesto se potevo aiutarlo ad ascoltare le confessioni in quei giorni. Per tre giorni, quattro di noi sacerdoti sono stati impegnati nella confessione per diverse ore. Se c'è penitenza, c'è senso del peccato, c'è bisogno di un Salvatore, della venuta di Gesù.

L'autoreMarija Meilutyte

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Un tesoro riscoperto nel periodo natalizio

Santiago Populín Such scrive per Omnes questo breve racconto sul Natale, molto adatto per essere letto ai più piccoli della famiglia.

Santiago Populín Tale-24 dicembre 2022-Tempo di lettura: 5 minuti

Era un freddo pomeriggio di dicembre, la neve ricopriva il parco giochi e le tranquille altalene invitavano a giocare. Mancavano cinque minuti al suono della campanella, le vacanze di Natale erano ormai alle porte. Tutti gli alunni del quarto anno della scuola primaria guardavano il vecchio e rumoroso orologio sopra la lavagna. All'improvviso, l'insegnante interruppe i loro sguardi e disse a voce alta: 

- Il compito di questo Natale è che scrivano cosa sognano di fare da grandi. L'elaborato più apprezzato - che sarà votato da diversi insegnanti - vincerà due biglietti per la pista di pattinaggio sul ghiaccio.

Detto questo, l'orologio passò in secondo piano; la mente degli alunni era ora rivolta alla pista di pattinaggio. La campanella suonò e Thomas si affrettò a raggiungere l'auto dove la madre lo stava aspettando. Salì in macchina con i suoi quattro fratelli e disse alla madre con grande ansia: 

- Ciao, mamma! Non sai il premio che il professor Luis darà a chi vincerà il miglior racconto su ciò che sogniamo di fare da grandi? 

La madre e i fratelli lo guardarono incuriositi e risposero: 

- Qual è il premio?

- Chi vincerà questo saggio riceverà due biglietti per la pista di ghiaccio!

- Impressionante", disse la madre in tono sorpreso. - Sapete già di cosa scriverete? L'anno scorso sognavi di fare l'archeologo, come Indiana Jones. 

I suoi fratelli maggiori, Lucía e Paco, si misero a ridere. Arrossendo, Tomás rispose:

- Beh, non più, mamma, l'anno scorso ero un bambino, ora sono più grande, mi piacciono altre cose. Per esempio, mi piacerebbe essere un ingegnere, come papà; o un medico, per guidare un'ambulanza; o un insegnante, per non dover dare i compiti ai bambini; o forse mi piacerebbe essere un avvocato e avere un ufficio con una grande sedia come lo zio Manuel.

Maria, la sorella di cinque anni, lo interrompe con la voce di una vecchia imperatrice: 

- Potresti fare il pompiere, ti piace molto il fuoco... vero, mamma? 

Marta, la madre, si mise a ridere.

- Non so... come ho detto, ci sono molte professioni che mi attraggono. Quello di cui sono sicuro è che voglio fare qualcosa di importante", ha continuato Tomás.

Pochi secondi prima di arrivare a casa, Tomás chiese a Marta:

- Mamma, qual era il tuo sogno da bambina e l'hai realizzato?

Marta rimase senza parole alla domanda e, dopo alcuni secondi che al ragazzo sembrarono un'eternità, rispose:

- Beh, fammi pensare. Oh, eccoci qui, entriamo perché fa molto freddo e facciamo una bella merenda, ho preparato dei churros ripieni di dulce de leche! 

- Bene! - gridarono tutti, festeggiando il delizioso spuntino.

Martha era un po' angosciata dalla domanda. Prima che si sedessero tutti a tavola, si sentì il rumore della porta e lei aggiunse:

- Papà è qui! 

Dopo aver mangiato tutti insieme, Marta disse a Giovanni, suo marito: 

- Tesoro, vado un attimo a casa di mio padre per portargli delle medicine, ha il raffreddore. Tornerò verso le 20.00. 

Juan l'aveva notata un po' strana durante lo spuntino pomeridiano, ma pensò di chiederle cosa le fosse successo dopo cena, quando sarebbero stati più rilassati per parlare. 

Non appena Marta entrò dalla porta, suo padre notò che aveva un aspetto un po' strano.

- Ciao, papà, sono qui, ti ho portato le medicine. Come va il raffreddore?

- Figlia mia, ora sto meglio, ma vorrei piuttosto chiederti: come stai? Vedo che sei angosciata.

- Niente, papà, perché dici così?

- Hai una faccia... Dai, ti conosco, cosa c'è che non va?

- Oh, papà, ti rendi conto di tutto, di come mi conosci, non posso ingannarti.

- Sediamoci un attimo", disse il padre.

Martha, facendo un respiro profondo, disse: 

- Sono andata a prendere i bambini a scuola e Tomás ci ha parlato del compito che gli era stato assegnato per Natale: scrivere cosa sognano di fare da grandi. 

- Beh, non è questo che ti preoccupa, vero? 

- No, papà. È successo che Tomi ci ha raccontato quali sono i suoi sogni: diventare un grande ingegnere, o un medico, o un insegnante o un prestigioso avvocato. Poi mi ha chiesto cosa sognavo da piccola e se l'avevo realizzato. Questo è ciò che mi ha ferito e angosciato. Sai che ho sempre sognato di andare all'università, ma la vita si è complicata e non ho potuto realizzarlo. Non ho realizzato il mio sogno e ora sono una semplice casalinga senza alcuna professione.

Prima che Marta potesse parlare ancora, il padre la prese per mano e le disse:

- Marta, figlia mia, come mai non hai realizzato il tuo sogno? La tua famiglia, la tua casa, il tuo sogno non sono stati realizzati? E perché sei una semplice casalinga senza professione? Avete tutte le professioni che Tomasito sogna. Sei un ingegnere, perché hai costruito una grande cattedrale, la tua bella famiglia; sei un medico, la settimana scorsa hai curato Juan da quella brutta influenza grazie alle tue cure e ora stai curando me; sei anche un insegnante, gli amici dei tuoi figli non vengono a casa tua a fare i compiti perché tu glieli spieghi così bene; e sei un avvocato, perché li difendi dalle ingiustizie della vita. E soprattutto, fate in modo che Dio sia nella vostra casa, nella vostra cucina, alla vostra tavola, nella vita della vostra gente. 

E prima di vedere Marta scoppiare in lacrime, aggiunse:

-E ora prendiamo una tazza di tè caldo.

Erano le 20.00 e Marta si spaventò:

  • Oh, è così tardi! Papà, ora devo andare, devo preparare la cena. Grazie come sempre, è un piacere averti con noi! Papà, cosa farei senza i tuoi saggi consigli? 

Marta saluta il padre con un grande abbraccio e un grande sorriso. E così si incamminò verso casa, avvolta dal calore della gioia ritrovata, che annientava il freddo polare, e in questo modo la sua riscoperta la riportò a casa in un attimo. 

Quando aprì la porta di casa sua, trovò una scena accattivante: Juan, suo marito, che leggeva una storia al piccolo Pedro; María, che giocava con il bue e l'asino nel presepe; Tomás, che scriveva i suoi compiti per vincere i biglietti del pattinaggio, e un odore di salsa di pomodoro la condusse in cucina, dove trovò Paco e Lucía che preparavano delle pizze. In quel momento, dopo aver osservato con attenzione tutto ciò che aveva visto da quando era entrata nella porta, Marta si commosse, con gli occhi come vetro sotto la pioggia, ricordando le parole che suo padre le aveva detto solo pochi minuti prima.

- Mamma, cosa c'è che non va?", chiese Lucia.

Sorridendo, Marta disse:

-Tutto bene, non ho niente che non vada, figlia, vado a preparare la tavola, mi hanno già risparmiato abbastanza lavoro per preparare la cena.

Quando i sette si sedettero a tavola, Lucía prese la parola e, guardando Marta sorridente, disse in tono adolescenziale:

- Papà, la mamma ha qualcosa che non va e non vuole dircelo. È molto strana da quando è tornata a casa dal nonno.

John guardò Martha e disse: 

-Cosa c'è, tesoro?

Marta, sorridendo, disse con voce gentile: 

- Non preoccupatevi, va tutto bene. La verità è che sono molto felice perché ho già ricevuto il mio regalo di Natale.

In quel momento, il piccolo Pedrito si precipitò in salotto per vedere se c'era un regalo per lui sulla mensola del camino. 

- Mamma, che regalo hai ricevuto?", chiese Tomás incuriosito.

- Non è ancora il 6 gennaio", continua Maria con un'espressione sorpresa.

Mentre Paco mangiava tutta la pizza, Pedrito tornò nella sala da pranzo gridando con tono deluso:

- Mamma, mamma, non c'è nessun regalo per me nel camino! 

Marta, con una risata sorniona, prese Pedrito per mano e, guardando tutti, disse:

- Vediamo, il regalo di Natale che ho ricevuto siete voi, la mia famiglia, il mio sogno realizzato. 

A questo punto Pedrito, non capendo cosa stesse succedendo a tavola, chiese ancora una volta: 

-Mamma, papà, dov'è il mio regalo", e tutti scoppiarono a ridere.

L'autoreSantiago Populín Tale

Laurea in Teologia presso l'Università di Navarra. Laurea in Teologia spirituale presso l'Università della Santa Croce, Roma.

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La storia di "Notte silenziosa" ("Stille Nacht")

"Silent Night, Holy Night": così inizia in lingua originale uno dei canti natalizi più conosciuti al mondo, cantato in tutte le lingue possibili nei cinque continenti. Quando e come è nata e chi è il compositore di questo famoso canto, forse Wolfgang Amadeus Mozart in persona? Diamo uno sguardo al passato dell'Europa: ecco la storia di "Silent Night".

Fritz Brunthaler-24 dicembre 2022-Tempo di lettura: 7 minuti

Le circostanze storiche

L'anno era il 1818. Le guerre contro Napoleone avevano portato grandi difficoltà al popolo. La regione di Salisburgo, un principato ecclesiastico del Sacro Romano Impero, governato per secoli da un arcivescovo, aveva perso la sua indipendenza nel 1805 ed era completamente impoverita. Le cronache raccontano che folle di mendicanti si aggiravano per le strade della città di Salisburgo, chiedendo alla popolazione donazioni caritatevoli per sopravvivere. Le conseguenze della guerra non si fecero sentire solo in città e in campagna: distruzione, saccheggio e morte. 

Le disposizioni del Congresso di Vienna del 1814-1815 tracciarono il nuovo confine tra Baviera e Austria 20 chilometri a nord di Salisburgo, attraverso il centro della città di Laufen, lungo il fiume Salzach, in modo che il piccolo sobborgo di Oberndorf fosse tagliato fuori dal centro della città. Le famiglie vengono distrutte e la città si impoverisce, poiché i barcaioli e i costruttori navali perdono ciò che per secoli era stato alla base della loro prosperità, ossia i privilegi per il trasporto del sale lungo il Salzach fino al Danubio e attraverso quest'ultimo fino all'Ungheria. Seguono catastrofi alluvionali e fallimenti dei raccolti, come quello del 1816, passato alla storia come "anno senza estate", perché l'eruzione del vulcano Tambora in Indonesia ha un impatto negativo sul clima mondiale. Tempi incerti, povertà, difficoltà: cosa può dare speranza?

Vigilia di Natale, 24 dicembre 1818

Non ci sono prove certe che i topi abbiano rosicchiato i mantici dell'organo della chiesa di San Nicola a Oberndorf fino a renderli inutilizzabili. Il fatto è che l'organo, da tempo bisognoso di restauro, non funziona più - ed è la vigilia di Natale! L'assistente pastorale Joseph Mohr, 26 anni, sta cercando una soluzione per l'arrangiamento musicale natalizio. Porta una poesia natalizia di sei strofe all'organista Franz Xaver Gruber, che la mette in musica. L'aveva scritta nel 1816 a Mariapfarr, una località nel cuore delle Alpi, quando era viceparroco. Forse la raffigurazione del Bambino Gesù sulla pala d'altare, con una suggestiva testa riccioluta, gli ispirò il verso della prima strofa: "Dolce ragazzo dai capelli ricci". 

Lo stesso giorno, Gruber compose una semplice melodia per due voci e coro. "Silent Night, Holy Night" è stata cantata dopo la Messa di mezzanotte da Joseph Mohr (tenore) e Franz Xaver Gruber (basso) a due voci a lume di candela accanto al presepe nella chiesa - ora nella città dell'Alta Austria di Ried - accompagnati da Mohr alla chitarra. L'albero di Natale era ancora sconosciuto all'epoca e si diffuse solo nella prima metà del XIX secolo in Europa centrale.

Gli abitanti di Oberndorf - contadini, artigiani, barcaioli - festeggiavano il Natale decorando le loro case con legno di conifere e rami di abete rosso. Poi pulirono accuratamente tutte le stanze e passarono in rassegna tutte le stanze e la stalla con una ciotola di incenso acceso. La sera andavano in chiesa per la Messa di mezzanotte. Lì, queste persone semplici di Oberndorf ascoltarono per la prima volta la canzone "Silent Night", che toccò subito i loro cuori: in quei tempi di guerra, di bisogno e di insicurezza, era un messaggio di pace, di raccoglimento e di salvezza grazie al Bambino appena nato: "Gesù, il Salvatore, è qui!

Il popolo

Joseph Mohr nacque nella città di Salisburgo nel 1792. Era un figlio illegittimo, ma sua madre non era affatto una donna di vita leggera, perché a quel tempo la gente semplice poteva sposarsi solo se il proprietario terriero o le autorità politiche lo permettevano. Giuseppe era una persona dotata, soprattutto dal punto di vista musicale, ed era aiutato da signori spirituali. Sembra che non avesse altra alternativa che diventare sacerdote. Non si è mai fermato a lungo in un luogo come pastore, forse anche a causa della sua fragile salute, soprattutto dei polmoni. Rimase a Oberndorf solo per due anni, dal 1817 al 1819.

Grazie alla sua esperienza, come sacerdote fu sempre attento ai poveri. Quando fu accusato di aver comprato un capriolo da un bracconiere, si giustificò dicendo che era per i più poveri tra i poveri. A Wagrain ha venduto la sua mucca per permettere ai bambini di comprare i libri di scuola. Come parroco gli piaceva stare con la gente, sedersi con loro nella locanda, suonare la chitarra che spesso portava con sé. Non visse per vedere la fama della sua canzone: morì nel 1848 per una paralisi polmonare ed è sepolto a Wagrain. Non si sa esattamente quale fosse il suo aspetto, poiché non è sopravvissuta alcuna foto.

Franz Xaver Gruber ebbe, per certi versi, una vita più facile di Mohr. È nato nel 1787 a Hochburg, nel Salisburghese. Grazie al suo talento musicale - secondo la tradizione, già a 12 anni suonava l'organo in chiesa - riuscì a convincere i genitori e, pur non essendo un musicista professionista, divenne insegnante ed esecutore di musica, in particolare dell'organo. Nel 1816 fu insegnante di scuola elementare e organista ad Arnsdorf, un piccolo villaggio a tre chilometri a nord di Oberndorf, e in seguito anche assistente organista a Oberndorf.

Dai suoi tre matrimoni - le mogli erano tutte morte - ebbe dodici figli, di cui solo quattro sopravvissero. Forse anche il suo amore per la musica lo aiutò a superare queste perdite, perché per lui "Silent Night" non fu inizialmente la sua grande opera: compose diverse messe, che ora sono state pubblicate. Nel 1854 fu determinante per chiarire la paternità di "Silent Night", quando si era ipotizzato che la musica potesse provenire da Michael Haydn, compositore di corte a Salisburgo e fratello minore del più noto Joseph Haydn. In risposta a una richiesta di informazioni da parte della Cappella Reale di Corte Prussiana sugli autori della canzone, egli menzionò Joseph Mohr e se stesso, indicando la composizione della canzone il 24 dicembre 1818. Franz Xaver Gruber morì nel 1863 e fu sepolto a Hallein.

La canzone

Quando "Silent Night, Holy Night!" suonò per la prima volta la notte del 24 dicembre 1818, nessuno, nemmeno i suoi due creatori Gruber e Mohr, poteva immaginare che sarebbe diventata così conosciuta e popolare. Una melodia semplice, conforme alle istruzioni delle autorità ecclesiastiche per la coltivazione dei canti religiosi dell'epoca, in tempo 6/8, per due voci e coro, non è un inno liturgico. Non si tratta di un inno liturgico in senso stretto, per questo è entrato presto nelle case borghesi per la celebrazione del Natale, favorito anche dall'uso della lingua colta al posto del dialetto. La melodia presenta caratteristiche sia del canto pastorale che della ninna nanna, ed entrambe si ritrovano nel tipo melodico "siciliano", di cui sono caratteristici la dolce melodia e il ritmo oscillante.

All'inizio era considerata una "canzone tirolese", perché l'organaro Mauracher della Zillertal, in Tirolo, che nel 1824 si offrì di restaurare l'organo di Oberndorf, lo riportò nella sua patria. Diverse famiglie di cantori della Zillertal diffusero la canzone: si dice che la famiglia Rainer la cantasse già nel Natale del 1819, e tre anni dopo anche per l'imperatore Francesco I d'Austria e il suo ospite russo, lo zar Alessandro. La famiglia Strasser, anch'essa originaria della Zillertal, produceva guanti e combinava le esibizioni alle fiere con spettacoli musicali. È provato che i quattro bambini Strasser cantarono "Silent Night" a Lipsia nel Natale del 1831.

I viaggi canori della famiglia Rainer li portarono a New York, dove "Silent Night" fu ascoltata per la prima volta nel 1839. La canzone si diffuse ancora di più grazie alla sua inclusione in varie raccolte e tra gli inni liturgici protestanti, il che si spiega con il fatto che il testo della canzone sottolineava meno la forte devozione cattolica a Maria che era comune nel Natale dell'epoca. Nel XIX secolo ci furono persino voci critiche da parte di ecclesiastici cattolici: sul testo, perché secondo loro era sentimentale e di cattivo gusto, e quindi non poteva catturare il mistero del Natale; sulla melodia, perché era piatta e monotona, e perché erano preferibili altri inni religiosi. Ma questo non ha impedito che si diffondesse in tutto il mondo.

Oggi

La chiesa di San Nicola, dove fu ascoltata per la prima volta "Silent Night", fu demolita all'inizio del XX secolo a causa delle continue inondazioni e del pericolo di cedimenti. Dal 1937, la cappella commemorativa ottagonale Gruber-Mohr si trova in un luogo sicuro a Oberndorf.

Esistono traduzioni e versioni della canzone in più di 320 lingue e dialetti. Di solito si cantano la prima, la seconda e la sesta strofa.

Nei luoghi in cui Gruber e Mohr sono nati e hanno lavorato, a Salisburgo e nell'Alta Austria, ci sono musei e monumenti commemorativi della Notte silenziosa. Ma anche altrove, tra cui negli Stati Uniti, a Frankenmuth, nel Michigan, esiste un vasto archivio legato alla canzone, donato dalla famiglia Bronner, e nella proprietà adiacente ci sono targhe con il testo di "Silent Night" in 311 lingue.

Nel 2004, a un asteroide è stato dato il nome di "Gruber-Mohr". Nel 2011, "Silent Night, Holy Night" è stata riconosciuta dall'UNESCO come patrimonio culturale immateriale dell'umanità.

Il testo originale in tedesco e il testo in traduzione spagnola

Il testo originale di "Silent Night" è riportato di seguito, così come una traduzione privata diretta, senza rime né adattamenti.

Testo originale di Joseph Mohr in tedesco

1. Stille Nacht! Heilige Nacht! Tutto si dissolve; tutto va avanti Nur das traute heilige Paar. Holder Knab im lockigten Haar, Schlafe in himmlischer Ruh! Schlafe in himmlischer Ruh!

2. Stille Nacht! Heilige Nacht! Gottes Sohn! O wie lacht Lieb' aus deinem göttlichen Mund, Da uns schlägt die rettende Stund`. Gesù in deiner Geburt! Gesù in deiner Geburt!

3. Stille Nacht! Heilige Nacht! Die der Welt Heil gebracht, Aus des Himmels goldenen Höhn Uns der Gnaden Fülle läßt seh'n Jesum in Menschengestalt, Jesum in Menschengestalt

4. Stille Nacht! Heilige Nacht! Wo sich heut alle Macht Väterlicher Liebe ergoß Und als Bruder huldvoll umschloß Jesus die Völker der Welt, Jesus die Völker der Welt.

5. Stille Nacht! Heilige Nacht! Lange schon uns bedacht, Als der Herr vom Grimme befreit, In der Väter urgrauer Zeit Aller Welt Schonung verhieß, Aller Welt Schonung verhieß.

6. Stille Nacht! Heilige Nacht! Hirten erst kundgemacht Durch der Engel Alleluja, Tönt es laut bei Ferne und Nah: Jesus der Retter ist da! Jesus der Retter ist da!

Traduzione privata in spagnolo

1. Notte silenziosa, notte santa! Tutti dormono; solo la santa coppia veglia in solitudine. Dolce bambino dai capelli ricci, dormi nel riposo celeste! Dormi nel riposo celeste!

2. Notte silenziosa, notte santa, Figlio di Dio! Oh, come ride l'amore nella tua bocca divina, quando suona per noi l'ora della salvezza, Gesù, nella tua nascita! Gesù nella tua nascita!

3. Notte silenziosa, notte santa! Colei che ha portato la salvezza al mondo, dalle altezze dorate del cielo ci fa vedere la pienezza della grazia, Gesù in forma umana, Gesù in forma umana!

4. Notte silenziosa, notte santa! Dove oggi si è riversata tutta la potenza dell'amore paterno, e come un fratello Gesù ha abbracciato con gentilezza i popoli del mondo, Gesù i popoli del mondo.

5. Notte silenziosa, notte santa! Avendo da tempo pensato a noi, quando il Signore libera dall'ira, nel tempo remoto dei padri promise l'indulgenza a tutto il mondo, promise l'indulgenza a tutto il mondo.

6. Notte silenziosa, notte santa! Reso noto per la prima volta ai pastori dall'Alleluia degli angeli, risuona forte in lungo e in largo: Gesù, il Salvatore, è qui! Gesù, il Salvatore, è qui!

L'autoreFritz Brunthaler

Austria

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L'inizio di una storia

Un breve racconto che ricorda ciò che può aver circondato quell'evento che ha segnato il corso della storia.

23 dicembre 2022-Tempo di lettura: 3 minuti

Un giovane di appena vent'anni cammina lungo la strada, portando per la sella un asino con la sua bisaccia e alcuni seroni in cui trasporta il necessario per il viaggio. In cima all'animale, orgogliosa del suo carico, una donna, quasi una ragazza, quasi cresciuta, se non lo è già. Giuseppe, preoccupato, continua a guardare la moglie vergine: "Stai bene, vuoi che ci riposiamo? "Non preoccuparti Giuseppe", sorride Maria, "il Bambino e io stiamo bene. Credo che l'andatura stanca dell'asino lo abbia fatto addormentare. Non si muove quasi più"; ma Giuseppe non si calma.

C'è troppa confusione nel villaggio. Cercano un luogo più tranquillo per godersi la propria privacy. Arrivano a una grotta attrezzata per le stalle e gli attrezzi, dove si fermano.

Quasi tutto è organizzato dalla Divina Provvidenza. Quasi tutto, perché ci sono cose che il Signore lascia organizzare a sua Madre e, ora che il parto sembra imminente, è lei a prendere il comando.

Mentre Giuseppe toglie le briglie all'asino e mette le cose dentro, Maria pulisce e mette in ordine la stalla. Rimuove la paglia sporca e prepara un pavimento di paglia pulita su cui sparge del rosmarino come tappeto. Sullo sfondo c'è una mangiatoia, che la donna riempie con il suo morbido mantello come materasso, sul quale stende un panno di filo che la madre aveva preparato per lei. Sarà il caporale ad accogliere il bambino.

Quando i preparativi sono terminati, finalmente si siedono per riposare. Sullo sfondo, un mulo caparbiamente docile e un bue coraggioso e gentile si ergono a testimonianza, offrendo loro protezione e compagnia. Seduti per terra, tenendosi per mano, Giuseppe e Maria parlano a bassa voce.

I due stavano parlando, o stavano pregando, quando Maria strinse le mani di Giuseppe:

-Mi sembra che sia già qui.

L'aria si assottigliò, la luna si fermò per un attimo e il miracolo si compì! Quasi senza che Maria se ne accorga, il Bambino passa dal suo seno al cespuglio di rosmarino, per tornare dal cespuglio di rosmarino al suo fianco.

Così, in modo così semplice, la terra ha ricevuto l'irruzione di Dio nel tempo, la presenza abbagliante del divino nella vita ordinaria.

Con l'esperienza che deriva dall'amore di una madre, Maria prende in braccio il Figlio, lo stringe dolcemente al petto, gesto che ripeterà anni dopo ai piedi della Croce, e lo bacia, il suo primo bacio al Dio fatto uomo!

- Mio Figlio e mio Dio!

Le prime lacrime d'amore scendono sul capo del Bambino, come un battesimo.

Gesù, Parola eterna del Padre, il neonato tace. La Vergine, ignara di tutto, guarda il Figlio che sorride e le fa tornare in mente i ricordi che ha conservato nel suo cuore. Ricordi di nove mesi fa, quando l'Arcangelo Gabriele le fece la proposta più sorprendente mai ricevuta da un essere umano: "Vuoi essere la Madre di Dio, vuoi essere il co-redentore dell'umanità?

Ora i tre sono soli nella cattedrale di Betlemme in una serena esplosione d'amore. La creatura è stata creata per amare e si perfeziona nel dono di sé, quindi l'amore è un dono gratuito di amore ricevuto da Dio, accettato con umiltà. Gli angeli contemplano con ammirazione il flusso d'amore in cui si afferma questa Santa Famiglia.

La gente viene alla stalla. Donne avvolte nei loro mantelli che portano ceste di cibo; altre, più giovani, con lenzuola ricamate per avvolgere il Bambino; uomini rudi, del villaggio, per dare una mano in qualsiasi cosa sia necessaria, e bambini, molti bambini che nessuno sa da dove vengano. Sono quelli che sono andati in cielo prima di nascere. Alcuni perché lo ha voluto la Vergine Maria, altri perché le loro madri non hanno aperto loro le braccia e hanno dovuto rifugiarsi tra le braccia della Madre Gentile. Lo hanno aspettato a lungo e ora, finalmente, possono goderne.

Una carovana colorata si muove alla periferia del villaggio. Sono re, o magi, o qualcosa del genere. Con la solennità che si addice al loro rango entrano nella stalla, salutano la Madre, baciano i piedi del Bambino in adorazione - la conoscenza di Dio è inseparabile dall'adorazione - e, secondo l'usanza orientale, si avvicinano al padre per abbracciarlo e offrirgli dei doni: l'oro, per incoronare il Re, l'incenso, per adorare il Dio, la mirra, per imbalsamare il Redentore.

Come è proseguita la storia, credo che, dopo molte vicissitudini, la famiglia si sia stabilita a Nazareth e vi abbia vissuto per molti anni; ma questo è un altro capitolo, ora ci stiamo godendo questo.

L'autoreIgnacio Valduérteles

Dottorato di ricerca in Amministrazione aziendale. Direttore dell'Instituto de Investigación Aplicada a la Pyme. Fratello maggiore (2017-2020) della Confraternita di Soledad de San Lorenzo, a Siviglia. Ha pubblicato diversi libri, monografie e articoli sulle confraternite.

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Risorse

I migliori canti per le feste

Omnes vi propone un elenco di canti natalizi da ascoltare in questo periodo di festa.

Paloma López Campos-23 dicembre 2022-Tempo di lettura: < 1 minuto

Il conto alla rovescia per la vigilia e il giorno di Natale è iniziato. Tra preparativi, pasti e commissioni dell'ultimo minuto, vi lasciamo una lista con alcuni canti natalizi per trascorrere questi giorni di festa.

Mary, lo sapevi? - Pentatonix

Sarò a casa per Natale - Michael Bublé

In the bleak mid-winter - I ragazzi del coro

O Notte Santa - Il Coro del Tabernacolo

Che nevichi - Frank Sinatra

Tu scendi dalle stelle - I tre tenori

Veni, veni Emmanuel - Inno cattolico

Il burrito di Belén - Juanes

Canzone di Natale - José Luis Perales

Sizalelwe Indonana - Musica di Kimbolton Prep

O Tannenbaum - Andrea Bocelli

Adeste, fideles - Ars Cantus

Il est né le divin enfant

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Mondo

Il Cardinale FiloniDobbiamo amare la Terra Santa": "Dobbiamo amare la Terra Santa".

Il Cardinale Filoni, Gran Maestro dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro, parla ad Omnes della Terra Santa e del suo rapporto con i cristiani di tutto il mondo.

Federico Piana-23 dicembre 2022-Tempo di lettura: 3 minuti

C'è un'istituzione della Chiesa cattolica che ha una missione che non è mai cambiata nel corso dei secoli: curare e sostenere i cristiani del mondo. Terra Santa. Si tratta dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, le cui origini storiche risalgono al 1336 e al quale si deve San Giovanni Paolo II concesso la personalità giuridica vaticana.

Oggi l'Ordine conta 30.000 cavalieri e dame laici in tutto il mondo, è organizzato in 60 Luogotenenze e una dozzina di Delegazioni Magistrali, e circa due anni fa ha rinnovato il proprio statuto con l'approvazione di Papa Francesco. "Crediamo che la Terra Santa non possa essere considerata un sito archeologico di fede, ma debba essere una realtà viva fatta dalle famiglie cristiane che vi abitano e dai tanti pellegrini che la visitano ogni anno", spiega il cardinale Fernando Filoni, Gran Maestro dell'Ordine, secondo il quale la forza dell'istituzione che dirige "è radicata nel grande entusiasmo che i suoi membri mettono in tutte le attività che svolgiamo".

Nel complicato contesto internazionale di oggi, come riesce l'Ordine a svolgere la sua missione principale? 

- Innanzitutto, dobbiamo dire che dobbiamo amare la Terra Santa: non solo per ciò che rappresenta culturalmente, ma soprattutto per il fatto che Gesù è nato, ha vissuto, ha predicato e ha svolto lì la sua missione di salvezza. Ora, sostenere i cristiani significa continuare la presenza di una realtà viva in Terra Santa. La prima comunità cristiana era costituita dai discepoli del Signore e non si è mai estinta. Ciò significa, tuttavia, che questa "Chiesa madre", che poi ha dato vita, attraverso l'evangelizzazione, a molte altre Chiese nel mondo, deve essere sostenuta. Ecco perché le Chiese del mondo sentono il dovere di sostenere la Chiesa in Terra Santa in questo momento storico, perché la presenza dei cristiani in queste zone è molto diminuita, e se non c'è un contributo finanziario oltre che emotivo, la Terra Santa rischia di diventare un sito turistico, un sito archeologico della fede. E noi non vogliamo che questo accada. Il sostegno dell'Ordine alla Terra Santa serve ad aiutare tutti coloro che hanno una ragione di vita in Terra Santa: non solo i cristiani, ma anche gli ebrei e i musulmani.

Recentemente, l'Ordine si sta sviluppando anche in Slovacchia e ha avviato progetti di espansione in Africa: in cosa consiste questo grande sforzo e quali sono le motivazioni?

- La nostra intenzione è quella di aprire un po' di più l'Ordine, che è già molto presente nei Paesi europei e in Nord America. L'idea è di aumentare la nostra presenza in Sud e Centro America, ma anche di avviare alcuni progetti in Africa e Asia. Facciamo tutto questo perché l'Ordine è aperto a tutti: e la preoccupazione per la Terra Santa deve portare anche tutte le altre Chiese del mondo - siano esse maggioritarie o minoritarie - ad avere a cuore la Terra Santa. Se la Chiesa è cattolica, la cattolicità deve raggiungere anche quelle realtà continentali che al momento sono meno presenti, ma che non devono essere escluse. I nostri cavalieri e dame non sono quelli che si occupano occasionalmente della Terra Santa, ma che lo fanno con una stabilità di impegno, ed è bello pensare che si possano formare anche in Paesi dove l'Ordine è oggi meno presente.

Quale impegno è richiesto oggi ai membri dell'Ordine in tutto il mondo, ed è cambiato rispetto alle nuove sfide geopolitiche globali?

- Dico sempre che l'impegno dei membri dell'Ordine poggia su tre pilastri: la formazione spirituale, nata dal mistero della Passione, Morte e Risurrezione del Signore, l'amore per la Terra Santa e la dedizione alla propria Chiesa locale. In generale, i nostri cavalieri e le nostre dame sono laici, professionisti altamente qualificati, che possono dare un contributo davvero qualificato a ogni Chiesa locale. Il loro amore per la Chiesa locale si estende a tutta la Terra Santa.

Come l'Ordine sta vivendo il cammino sinodale?

- L'Ordine non è una diocesi e, sebbene io scherzi dicendo di essere un parroco con 30.000 fedeli sparsi in tutto il mondo, non è nemmeno una parrocchia. I suoi membri fanno parte delle Chiese locali e, come tali, portano e porteranno il loro contributo all'intero percorso sinodale.

L'autoreFederico Piana

 Giornalista. Lavora per la Radio Vaticana e collabora con L'Osservatore Romano.

Vaticano

Gratitudine, conversione e pace: gli auguri del Papa alla Curia romana

Papa Francesco ha tenuto il tradizionale incontro natalizio con i collaboratori della Curia vaticana. Conversione, gratitudine e perdono sono stati al centro delle parole del Santo Padre nel suo discorso di quest'anno.

Giovanni Tridente-22 dicembre 2022-Tempo di lettura: 4 minuti

Per il suo decimo discorso alla Curia romana in occasione dello scambio di auguri natalizi, Papa Francesco ha scelto la pratica di un prolungato "esame di coscienza", basato su un profondo atteggiamento di gratitudine, per favorire una vera conversione dei cuori e generare sentimenti di pace nell'ambiente.

Ricevendo in udienza i Cardinali e i Superiori della Curia Romana, il Pontefice ha ripetuto la pratica della parresia, cioè dire liberamente cose che non vanno, ma proporre una "soluzione" realistica a ogni caduta che può sorgere nella Chiesa, e in particolare nella Curia Romana.

Francesco ha parlato innanzitutto della necessità di "tornare all'essenziale della propria vita", liberandosi da tutto ciò che è superfluo e che impedisce un vero cammino di santità. Per questo, però, è importante avere "memoria del bene" ricevuto da Dio ad ogni passo della nostra vita, per raggiungere quell'atteggiamento interiore che porta alla gratitudine.

Lo sforzo è quello di fare, in ogni circostanza, un esercizio consapevole di "tutto il bene possibile", superando l'"orgoglio spirituale" che ci fa credere di aver già imparato tutto o di essere al sicuro e dalla parte giusta.

Questo processo si chiama "conversione" e si traduce nella "vera lotta contro il male", riuscendo a smascherare anche quelle tentazioni più insidiose, spesso mascherate, che ci fanno "confidare troppo in noi stessi, nelle nostre strategie, nei nostri programmi". A questo proposito, il Pontefice ha citato specificamente il rischio del "fissismo" (come se non ci fosse bisogno di una maggiore comprensione del Vangelo) e dello "spirito pelagiano", nonché l'eresia di non tradurre il Vangelo "nelle lingue e nei modi di oggi".

Papa Francesco vede il più grande esempio di questo tipo di conversione nella Chiesa nel Concilio Vaticano II, la più grande e recente occasione per "comprendere meglio il Vangelo, per renderlo attuale, vivo e operativo in questo momento storico". Ed è in questa scia che si inserisce il cammino sinodale attualmente in corso, perché la "comprensione del messaggio di Cristo non ha fine e ci provoca continuamente".

Tra le parole chiave usate dal Santo Padre per non convertirsi continuamente c'è "vigilanza" proprio nei confronti di tutti quei "demoni educati" che si insinuano nelle nostre giornate senza che ce ne accorgiamo, causando tra l'altro l'inganno di "sentirsi giusti e disprezzare gli altri". È qui che entra in gioco "la pratica quotidiana dell'esame di coscienza", ha suggerito Francesco, che ci permette anche di abbandonare "la tentazione di pensare che siamo al sicuro, che siamo migliori, che non abbiamo più bisogno di convertirci".

Eppure, ha avvertito il Pontefice, coloro che sono all'interno del recinto, "nel cuore stesso del corpo ecclesiale", come coloro che lavorano nella Curia romana, sono "più in pericolo di tutti gli altri, insidiati proprio "dal diavolo istruito".

Il Papa ha rivolto un ultimo pensiero alla pace, con riferimento senza dubbio all'Ucraina e a tutte le altre parti del mondo, dove nel fallimento di questa tragedia e nel rispetto di coloro che vi soffrono "possiamo solo riconoscere Gesù crocifisso". Ma anche qui non dobbiamo essere ingenui, perché se ci preoccupiamo della cultura della pace, dobbiamo essere consapevoli che "inizia nel cuore di ciascuno di noi".

Questo significa che anche tra gli "ecclesiastici", e forse soprattutto, dobbiamo sradicare "ogni radice di odio, di risentimento verso i fratelli che vivono accanto a noi".

"Ognuno cominci da se stesso", ha aggiunto Papa Francesco, citando i tanti tipi di violenza che non riguardano solo le armi o la guerra, ma - proprio pensando agli ambienti curiali - la violenza verbale, la violenza psicologica, l'abuso di potere o la violenza nascosta del pettegolezzo: "Deponiamo ogni arma di qualsiasi tipo".

Infine, l'invito a praticare la misericordia, riconoscendo che tutti possono avere dei limiti e che "non c'è una Chiesa pura per i puri", e a esercitare il perdono, dando sempre un'altra possibilità, poiché "si diventa santi per tentativi ed errori".

L'anno della Curia: riforma e più laici

Il cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, ha salutato il Santo Padre a nome della Curia romana. Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, ha salutato il Santo Padre a nome dei membri della Curia romana. Nel suo saluto, il cardinale Re ha ricordato "la drammatica situazione che l'umanità sta attraversando, non solo a causa della pandemia di Covid, che non è ancora terminata nel mondo, ma soprattutto a causa delle tragiche guerre, che continuano a far versare fiumi di lacrime e di sangue", e ha fatto riferimento in particolare alla guerra con l'Ucraina, che si avvicina al suo primo anniversario e di fronte al quale "Sua Santità ha continuamente alzato la voce per chiarire che 'con la guerra siamo tutti sconfitti' e per sottolineare che la guerra è una follia, un inutile massacro, una mostruosità, chiedendo con forza la fine delle armi e seri negoziati di pace".

Per quanto riguarda la Curia, il Decano del Collegio Cardinalizio ha sottolineato che "l'anno che si sta concludendo continua ad essere segnato dalla riforma promulgata con la Costituzione Apostolica Praedicate EvangeliumHa anche sottolineato "la soddisfazione in Curia per l'aumento del numero di uomini e donne laici in varie posizioni di responsabilità importanti, che non presuppongono il sacramento dell'Ordine". "Questa riforma", ha sottolineato, "ci impegna tutti a una spiritualità più profonda, a una maggiore dedizione e a un più intenso spirito di servizio, con un intimo senso di responsabilità verso la Chiesa e il mondo e con una più intensa fraternità tra di noi".

Il cardinale Re ha anche ricordato i viaggi del Santo Padre in Canada, Bahrein e Malta, che dimostrano il suo impegno ad affrontare "i problemi turbolenti della società".

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Iniziative

Gesù è nato per tutti

Dopo due anni, torna "Seminatori di stelle", una delle iniziative di Infancia Misionera per celebrare il Natale in Spagna.

Paloma López Campos-22 dicembre 2022-Tempo di lettura: < 1 minuto

L'obiettivo di questa iniziativa è che i membri più giovani della famiglia diventino giovani missionari, restituendo al Natale il suo vero significato. I bambini scendono in strada e distribuiscono adesivi con lo slogan "Gesù è nato per te", intonano canti natalizi e camminano per le strade.

Seminatori di Stelle è nato nel 1977, grazie a un sacerdote gesuita. Grazie a lui, nelle ultime settimane di Avvento, centinaia di bambini si recano nei loro villaggi e città per fare gli auguri di Natale a tutti a nome dei missionari.

Le Pontificie Opere Missionarie propongono ai bambini un'attività artigianale per realizzare le proprie stelle con i colori missionari. Fornisce anche uno script per "l'invio dei seminatori di stelle"che consiste in un breve saluto, nella lettura di un brano del Vangelo e, infine, nell'invio.

La lettura di quest'anno è Matteo 2, 9-12: "[I magi] si misero in cammino e all'improvviso la stella che avevano visto sorgere cominciò a guidarli fino a posarsi sul luogo dove si trovava il bambino. Quando videro la stella, furono pieni di grande gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, caddero in ginocchio e lo adorarono; poi, aprendo i loro scrigni, gli offrirono doni: oro, incenso e mirra. E avendo ricevuto in sogno l'oracolo di non tornare da Erode, se ne andarono nel loro paese per un'altra strada.

Questa iniziativa serve a preparare la Giornata dei bambini missionari, che celebreremo il 15 gennaio. Grazie al sostegno dei bambini, ogni anno i missionari sono in grado di aiutare più di 4 milioni di bambini in 2500 progetti diversi delle Pontificie Opere Missionarie.

Crea la tua stella missionaria

Evangelizzazione

Paula VegaRead more : "È essenziale riuscire a rispondere alle domande fondamentali".

Paula Vega (Llamameyumi) è un missionario digitale e uno studente di teologia che usa i social media per evangelizzare.

Paloma López Campos-22 dicembre 2022-Tempo di lettura: 4 minuti

Paula Vega, sui social media "llamameyumi"È un'insegnante di religione e una studentessa di scienze teologiche. Si dedica anche all'evangelizzazione sui social network, è quella che conosciamo come missionaria digitale. Non solo condivide la sua vita quotidiana, ma i suoi contenuti contengono una fede vissuta contagiosa. In questo articolo vi proponiamo un'intervista che ha rilasciato a Omnes.

Perché ha iniziato a evangelizzare sui social media?

- Non si è trattato di una decisione improvvisa, ma piuttosto di una decisione progressiva. Come ogni giovane, ho condiviso la mia vita quotidiana sui social media senza alcuna pretesa. Man mano che la fede diventava più importante, più questa si rifletteva nei miei post. Ho iniziato a condividere la mia vita quotidiana in parrocchia, le riflessioni sulla fede e poi alcune delle cose che stavo imparando in teologia. La risposta delle persone è stata molto positiva e i follower hanno iniziato a crescere. Attraverso la preghiera e la riflessione, ho sentito che potevo dare un contributo dal mio punto di vista di giovane donna e di studentessa di teologia e ho deciso di prenderlo più seriamente. 

Internet è un mezzo di comunicazione di massa in cui, a quanto pare, i contenuti sono quasi sempre negativi e lontani dai valori cristiani. Come possiamo evitare di annegare in questo bombardamento di contenuti?

- Nei seminari che tengo sul evangelizzazione In Youth Networking, spiego che un atteggiamento cristiano su Internet significa anche essere consapevoli delle persone che seguiamo. Se seguo account superficiali che incitano alla violenza o prendono in giro gli altri, questo è ciò che riceverò per tutto il tempo in cui userò le reti, che di solito è molto lungo. Creare uno spazio sul mio cellulare per contenuti positivi e contributivi è una mia responsabilità. Come genitori e catechisti, credo sia bene parlarne con i bambini e offrire loro conti con contenuti di qualità. Grazie a Dio oggi abbiamo molti missionari digitali su tutte le piattaforme che creano contenuti molto coinvolgenti.

Le reti sociali di Paula

Come studente di teologia, è una chiamata che nasce dalla necessità di affrontare il tuo lavoro di missionario digitale o è qualcosa di più profondo?

- La mia chiamata alla teologia è arrivata molto prima, dopo un processo di riconversione in cui mi sono visto chiamato ad altro. Ora che lo vedo in prospettiva, nella mia vita non si può capire l'uno senza l'altro. La teologia mi permette di parlare in rete di certi argomenti che le persone richiedono perché cercano risposte. Allo stesso tempo, il contatto con persone giovani e lontane mi costringe a cercare modi per aggiornare il linguaggio teologico al fine di avvicinare le persone. 

Sei responsabile della formazione in un gruppo, ti occupi di giovani tra i 14 e i 18 anni, sei un membro della Pastorale vocazionale... Quali carenze vedi nella formazione religiosa dei giovani? Di cosa pensi che abbiano bisogno?

- Prima di tutto, iniziare con la formazione dei catechisti e degli insegnanti stessi. Ora che studio teologia, mi rendo conto degli errori che facevo o delle cose che pensavo e trasmettevo, perché non avevo una formazione sufficiente. In secondo luogo, dobbiamo partire dagli interessi che hanno in ogni fase della loro vita. È fondamentale riuscire a rispondere alle loro domande vitali, perché solo così la fede assume un significato profondo. In terzo luogo, dobbiamo rendere la formazione attraente. Non è la stessa cosa parlare loro delle parti della Messa con un discorso statico o con un kahoot, per esempio. Oppure parlare di ecumenismo con una presentazione, invece di partecipare a un incontro con giovani di altre confessioni. Dobbiamo essere creativi e cercare i modi più appropriati.

Lei ha parlato più volte di salute mentale, pensa che la Chiesa si occupi sufficientemente di questo settore? Cosa pensa ci sia ancora da fare?

- È vero che c'è stato un netto miglioramento del dialogo sulla salute mentale nella società e che questo si è trasmesso alla Chiesa. Tuttavia, credo che in alcuni ambienti i problemi di salute mentale siano ancora associati a una mancanza di fede o di fiducia in Dio. Si pensa che la terapia psicologica annulli l'accompagnamento spirituale, o viceversa, ma le due cose sono necessarie e complementari. Senza salute mentale non c'è salute. Dio accompagna il processo, come l'amico fedele che cammina con voi. Allo stesso modo, la Chiesa, come madre, deve accompagnare ed essere un abbraccio per tutte quelle persone che soffrono a causa della salute mentale. Parlarne più apertamente può aiutare ad abbattere i pregiudizi. 

Qual è la cosa più difficile da insegnare ai bambini su Dio?

- Prima, chiunque aveva ricevuto un minimo di educazione religiosa. Ora ho dei figli che non hanno mai sentito parlare di Dio a casa e bisogna ricominciare da zero. La continuità diventa complicata e poi, inconsciamente, si separa la fede dagli altri ambiti, invece di lasciare che sia l'essenza. A scuola, Dio esiste perché l'insegnante mi parla di Lui. Nel resto della mia vita non è presente perché l'ambiente non lo incoraggia. È anche difficile per loro capire le implicazioni dell'appartenenza alla Chiesa perché non la vivono quotidianamente. Noi insegnanti e catechisti seminiamo e preghiamo che il seme prima o poi porti frutto, ma l'innaffiatura che viene data loro a casa è fondamentale.

C'è qualcosa che i vostri studenti più giovani vi hanno insegnato su Dio che vorreste condividere con noi?

- I bambini assimilano rapidamente che Dio è un padre buono che ci ama follemente. Per questo motivo, riescono a entrare in una dinamica di fiducia con Lui, dove non hanno paura di fare domande o rimproveri. Papa Francesco dice che arrabbiarsi con Dio è anche una forma di preghiera, perché significa parlare con Lui e riconoscere la sua esistenza. I bambini mi hanno insegnato a non avere paura di rivolgermi a Dio e di dirgli quello che sento in qualsiasi momento. Accetta tutto e continua ad amarmi.

Letture della domenica

Lezioni di pace. Solennità della Natività del Signore (A)

Joseph Evans commenta le letture della Solennità della Natività del Signore e Luis Herrera tiene una breve omelia in video.

Giuseppe Evans-22 dicembre 2022-Tempo di lettura: 2 minuti

La notte in cui nacque Nostro Signore Gesù, una grande moltitudine di angeli apparve ai pastori, "che lodavano Dio dicendo: "Gloria a Dio in cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà"" (1).oppure, in un'altra traduzione, "in cui si diletta".. La parola tradotta come "favore" o "piacere" è "eudokias". Dio si è compiaciuto di nascondere queste cose ai sapienti e agli intelligenti e di rivelarle ai semplici bambini (Mt 11,26; Lc 10,21), proprio come i buoni genitori si compiacciono della gioia dei loro figli nel ricevere i regali di Natale. La stessa idea compare nel Battesimo e nella Trasfigurazione di Cristo: "Questo è il mio Figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto".. Dio si compiace di suo Figlio e dei bambini in generale, o di coloro che diventano bambini. Egli dà pace a coloro in cui si compiace, perché sono diventati figli. Si compiace di coloro che hanno imparato a essere piccoli, a fidarsi di lui e a non dipendere da se stessi. A loro dà la pace. Dobbiamo imparare dalla nascita di nostro Signore, il bambino pacifico nella mangiatoia, a essere più in pace. "Ma io fermo e modero i miei desideri, come un bambino in braccio a sua madre; come un bambino sazio così è la mia anima dentro di me". (Sal 131, 2). Chiediamo la pace dei bambini. 

"Essere bambini -San Josemaría insegnava "Non avrete dispiaceri: i bambini dimenticano in fretta i loro problemi per tornare ai loro giochi ordinari. -Perciò, con l'abbandono, non dovrete preoccuparvi, perché riposerete nel Padre". (Il Cammino, 864).

Cristo è il "principe della pace. È così che Isaia ha descritto il Messia (Is 9, 6). Leggiamo questo testo alla messa di mezzanotte. Gli angeli, come possiamo vedere, hanno celebrato la sua nascita come colui che porta la pace. Zaccaria terminò il suo inno Benedictus annunciando che il Signore, quando verrà, cioè Gesù, lo farà "per guidare i nostri passi sul sentiero della pace". (Lc 1, 79). 

Eppure, a pochi giorni dalla nascita di Cristo, il diavolo lo ha attaccato, ha attaccato la pace che ha portato attraverso i tentativi di Erode di ucciderlo. Erode fece questo perché non aveva pace nell'anima, perché il suo cuore era attanagliato dalla paura.

Ma Gesù nella mangiatoia insegna lezioni di pace. Non attrae con la forza, ma con l'amore. Gesù nella mangiatoia è un "sedia".come diceva San Josemaría. Abbiamo molte lezioni da imparare da lui. Impariamo a vincere per attrazione e non per imposizione. Impariamo l'umiltà di essere deboli, come lo era nostro Signore quando era bambino e aveva bisogno di essere salvato da altri, da Maria e Giuseppe. Dall'inizio alla fine è stato il Salvatore che non poteva salvare se stesso. "Ha salvato altri, ma non può salvare se stesso".i sacerdoti e gli scribi si burlavano. 

"Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio". (Mt 5, 9). Possiamo spesso guardare a Gesù Bambino in questi giorni per scoprire e approfondire la nostra pace, per diventare figli di Dio in lui.

Omelia sulle letture della solennità della Natività del Signore

Il sacerdote Luis Herrera Campo offre il suo nanomiliauna breve riflessione di un minuto per queste letture.

Zoom

Il Papa festeggia il compleanno con i bambini malati

Papa Francesco riceve una torta per il suo 86° compleanno durante un'udienza con i bambini e i volontari del Dispensario Santa Marta in Vaticano, il 18 dicembre 2022.

Maria José Atienza-21 dicembre 2022-Tempo di lettura: < 1 minuto
Spagna

L'ACdP si congratula per il Natale con coloro che sono "nati di nuovo".

La nuova campagna natalizia promossa dall'Associazione cattolica dei propagandisti (ACdP) fa gli auguri per le festività con quattro testimonianze di alcuni scartati della nostra società: da una madre che accetta la grave malattia della figlia a un bambino a cui è stata salvata la vita prima che nascesse.

Maria José Atienza-21 dicembre 2022-Tempo di lettura: < 1 minuto

"Povero. Odiato. Emarginati. Nascere di nuovo". Questo è lo slogan diretto della campagna con cui l'Associazione Cattolica dei Propagandisti vuole inviare gli auguri di Natale e che si può vedere sulle pensiline degli autobus in più di 80 città. Un invito "provocatorio" ad accogliere Gesù Cristo in questo Natale, seguendo le sue parole nel Vangelo: "Come avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, così avete fatto a me".

La campagna presenta infatti quattro testimonianze di persone che hanno aperto la loro vita agli altri, accogliendolo come un altro Cristo e mettendo in pratica il mandato evangelico nonostante si trovino in situazioni davvero emarginate nella nostra società odierna. Attraverso i Qr sui gazebo della campagna, conosciamo altre "stalle" dove la vita è nata nonostante tutto, come nel caso di Lilianla cui figlia ha sofferto di una gravissima infezione quando era molto piccola che l'ha privata della capacità di camminare, parlare o mangiare, oppure la nascita stessa di José Carlos Martínezla cui madre stava per abortire e che, dopo aver parlato con il dottor Jesús Poveda, ha portato avanti la gravidanza e da allora è al suo fianco.

Storie con le quali l'ACdP ci ricorda che accogliere il Figlio di Dio è anche accogliere i più vulnerabili - siano essi il bambino che vogliono uccidere prima della nascita o il senzatetto che bussa alla porta - e ci sfida: "Non vi importa ancora?

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Vaticano

Papa Francesco: "La voce di Dio risuona nella calma".

Il Papa era in Aula Paolo VI questa mattina per l'udienza generale del mercoledì.

Paloma López Campos-21 dicembre 2022-Tempo di lettura: 2 minuti

Il Santo Padre ha iniziato l'udienza in modo effusivo dicendo che chi ha seguito le catechesi sul discernimento può pensare che il discernimento sia molto complicato, ma "in realtà è la vita ad essere complicata e, se non impariamo a leggerla, corriamo il rischio di sprecarla, portandola avanti con trucchi che finiscono per scoraggiarci".

Il Papa spiega che siamo sempre a fare delle scelte, siamo sempre a discernere, anche nelle piccole cose della giornata, perché "la vita ci mette sempre davanti a delle scelte, e se non le facciamo consapevolmente, alla fine è la vita che sceglie per noi, portandoci dove non vorremmo andare".

Ausili per il discernimento

Date le difficoltà che possono sorgere durante il processo, Francesco ha indicato oggi in udienza "alcuni aiuti che possono facilitare questo indispensabile esercizio della vita spirituale".

Il primo elemento essenziale è il "confronto con la Parola di Dio e la dottrina della Chiesa". Questi ci aiutano a leggere ciò che si muove nel cuore, imparando a riconoscere la voce di Dio e a distinguerla da altre voci che sembrano imporsi alla nostra attenzione, ma che alla fine ci lasciano confusi. La Bibbia ci avverte che la voce di Dio risuona nella quiete, nell'attenzione, nel silenzio". È importante ricordare che "la voce di Dio non si impone, è discreta, rispettosa, e proprio per questo è pacificante".

Per quanto riguarda la Parola di Dio, il Papa afferma che essa "non è semplicemente un testo da leggere, ma è una presenza viva, opera dello Spirito Santo che conforta, istruisce, dà luce, forza, riposo e voglia di vivere". È un'autentica anticipazione del paradiso".

"Questo rapporto affettivo con la Scrittura porta a un rapporto affettivo con il Signore Gesù, e questo è un altro aiuto indispensabile e non scontato". Grazie alle Scritture, Cristo "ci rivela un Dio pieno di compassione e tenerezza, pronto a sacrificarsi per venirci incontro, proprio come il padre nella parabola del figliol prodigo".

Questa relazione con Gesù Cristo è un aiuto essenziale per il discernimento. "È molto bello pensare alla vita con il Signore come a un rapporto di amicizia che cresce giorno per giorno. L'amicizia con Dio ha la capacità di cambiare il cuore; è uno dei grandi doni dello Spirito Santo, la pietà, che ci permette di riconoscere la paternità di Dio. Abbiamo un Padre tenero, affettuoso, che ci ama, che ci ha sempre amato: quando si sperimenta questo, il cuore si scioglie e cadono dubbi, paure, sentimenti di indegnità. Niente può ostacolare questo amore.

Lo Spirito Santo e il discernimento

La paternità di Dio ci porta anche al "dono dello Spirito Santo, presente in noi, che ci istruisce, rende viva la Parola di Dio che leggiamo, ci suggerisce nuovi significati, apre porte che sembravano chiuse, ci indica percorsi di vita dove sembravano esserci solo buio e confusione". Lo Spirito Santo è il discernimento in azione, la presenza di Dio in noi. È il dono più grande che il Padre assicura a chi lo chiede".

Il Papa ha concluso ricordando la natura del discernimento: "Il discernimento serve a riconoscere la salvezza che il Signore ha operato nella mia vita. Mi ricorda che non sono mai solo e che, se sto lottando, è perché la posta in gioco è importante. Con questi aiuti, che il Signore ci dà, non dobbiamo temere".

Cultura

Daniel Martín SalvadorLa musica deve rafforzare la Parola".

Daniel Martín Salvador, organista e musicologo, parla a Omnes di liturgia, musica, arte e Chiesa.

Paloma López Campos-21 dicembre 2022-Tempo di lettura: 4 minuti

Daniel Martín Salvador, musicologo e organista, è uno dei primi nomi che ci vengono in mente quando pensiamo alla musica sacra. Ha tenuto concerti in importanti sedi internazionali. Oggi divide il suo tempo tra Madrid e Mosca e si è seduto con Omnes per parlare di musica, liturgia e arte.

Qual è il suo rapporto con la musica sacra?

- Non è un mistero. Tutti gli organisti sono legati alla musica sacra. L'organo è uno strumento che di per sé, per la sua identità, è pienamente legato alla musica sacra e alla liturgia. Se mi fossi dedicato a un altro strumento, forse non avrei avuto questo rapporto, ma come organista è impensabile.

L'organo è essenzialmente uno strumento della Chiesa e, pertanto, l'organista deve conoscere l'intera liturgia. Ciò significa che si ha un rapporto molto stretto con tutta questa musica, cosa che non accade con altri strumenti.

Come nasce il rapporto tra Chiesa, musica e liturgia?

- Il rapporto tra musica e liturgia esiste da sempre. Molto prima del cristianesimo, la musica era legata prima agli istinti e poi all'aldilà, alle cose intangibili.

Le prime civiltà consideravano la musica un ruolo indispensabile nelle loro religioni politeiste. I Greci lo hanno ereditato dagli Egizi e i Romani dai Greci. Anche gli ebrei avevano questo rapporto. Poi nacque il cristianesimo che, diffondendosi in Europa, unì tutte le tradizioni ebraiche e mistiche diffuse nell'Impero romano.

La musica nella Chiesa è nata principalmente dal canto dei salmi ebraici. Da lì è nato un intero sistema di musica liturgica. La cosa più interessante è che la liturgia che si crea è interamente cantata. Il Concilio Vaticano II cambia il panorama, nel senso che ora le Messe sono parlate, con momenti di musica, ma nella concezione iniziale la liturgia non era così. All'inizio si cantava assolutamente tutto. Infatti, gli ortodossi, che non sono affatto diversi dai cattolici, continuano a celebrare la Messa nel vecchio modo. Cantano tutto tranne l'omelia, che è l'unica parte parlata. Tutto questo perché, in realtà, musica e liturgia nascono come un tutt'uno.

Cosa possono imparare i cattolici dal rito liturgico ortodosso?

- Quello che dobbiamo fare è disimparare le cose che abbiamo imparato al Concilio Vaticano II. Gli ortodossi fanno ancora quello che facevamo noi cattolici. In effetti, tutta la musica che abbiamo oggi deriva dalla musica liturgica cattolica. Il canto della Chiesa cattolica era quello gregoriano, ma a Parigi, nel XII secolo, si iniziò ad "abbellire" il canto gregoriano. Apparvero così le prime forme di polifonia. Queste diverse voci si sono evolute fino ad arrivare, in pieno Medioevo, al Rinascimento.

Nel Rinascimento, al Concilio di Trento, la Chiesa fece un capitolo molto ampio sulla musica della liturgia. Da allora, nello stesso periodo, sorse una musica molto simile, ma profana. Da questa musica religiosa, tutto ha cominciato a evolversi. Nascono i madrigali, poi l'opera, il romanticismo, il classicismo... E l'evoluzione continua.

Non possiamo imparare nulla da questo rito ortodosso perché ci siamo evoluti così tanto da finire involuti. Fortunatamente, negli ultimi tempi c'è stata una tendenza a tornare alle origini, all'interno delle norme del Consiglio. 

Daniel a un concerto a Mosca

Il problema è che molti pensano che il Concilio Vaticano II abbia eliminato il canto gregoriano e l'organo, ma non è così. Il Concilio Vaticano II afferma che la lingua ufficiale della Chiesa cattolica è il latino e, per quanto riguarda la musica, la lingua ufficiale è il canto gregoriano. Ma negli anni '70 le chitarre sono diventate di moda ed era molto comune introdurre nella liturgia canzoni con le chitarre, un modo per "protestantizzare" la liturgia cattolica.

Abbiamo lottato, dicendo che la musica viene dallo Spirito Santo, ma ora cantiamo cover dei Beatles. Questo non si addice alla liturgia.

Benedetto XVI, che ha studi musicali ed è un grande conoscitore della liturgia, si è circondato di persone che erano anche grandi compositori e liturgisti, il che contribuisce ad avvicinare le persone alla musica sacra preservandone le radici. A poco a poco, si stanno aprendo le porte a una riforma della liturgia.

Perché la musica sacra ci avvicina a Dio?

- Perché è una musica pensata per questo. Prima di tutto, è al servizio della Parola, e questa è la cosa più importante. La musica, in una definizione non matematica, è un'espressione di sentimenti. Quando si è in Chiesa, la funzione della musica è quella di aiutare ad elevare l'anima verso il Paradiso, quindi possiamo dire che il rapporto è invertito. Non è una questione di sentimenti, la Parola di Dio è la Parola di Dio, non cambia come i sentimenti.

In secondo luogo, nell'arte, fino al XIX secolo, tutto era fatto per la maggior gloria di Dio. L'uomo è capace di compiere sforzi monumentali per la maggior gloria di Dio. Questo ci aiuta ad avvicinarci a Dio. Ci porta verso di Lui.

Essere al servizio della Parola è la cosa più importante quando si compone musica sacra?

- Sì, è qualcosa che la musica sacra stessa richiede. Nel Direttorio Generale del Messale Romano si dice che la musica deve sempre rafforzare la Parola e mai distrarre. Pertanto, la prima cosa che un compositore deve fare quando scrive musica per la liturgia è puntare a rendere il testo comprensibile. La Parola deve essere la cosa più importante, non può essere distorta dalla musica. Poi, quando si tratta di fare la musica, il testo deve essere disegnato attraverso la composizione. Un esempio molto chiaro di ciò è il Magnificat di Bach. Bach è un poeta-musicista, il più grande rappresentante della musica liturgica, indipendentemente dal fatto che fosse protestante. Le nozioni di liturgia erano le stesse e lui è un esempio di come questa musica dovrebbe essere composta.

Cultura

Natale: storia o tradizione?

Le date del Natale non sono solo una tradizione, i ritrovamenti a Qumran indicano che potrebbero essere una realtà storica.

Gerardo Ferrara-21 dicembre 2022-Tempo di lettura: 6 minuti

Perché i cristiani celebrano la nascita di Gesù Cristo il 25 dicembre? Fin dal Rinascimento si è diffusa la convinzione che questa data sia stata scelta solo per sostituire l'antico culto del "Sol Invictus", la cui solennità cadeva proprio in quella data ("dies Solis Invicti") che, nel calendario giuliano, corrispondeva al solstizio d'inverno, cioè allo sposalizio tra la notte più lunga e il giorno più corto dell'anno.

Cosa, o meglio chi, era questo "Sol Invictus"? Era appunto la personificazione del sole, identificato con Helios, Gebal e infine con Mitra, in una sorta di assimilazione monoteistica tra la divinità e il sole. Il culto del "Sol Invictus" ebbe origine in Oriente (in particolare in Egitto e in Siria), dove le celebrazioni del rito della nascita del Sole prevedevano che i fedeli uscissero a mezzanotte dai santuari in cui si riunivano per annunciare che la Vergine aveva dato alla luce il Sole, rappresentato come un bambino. Dall'Oriente, il culto si diffuse a Roma e in Occidente.

È davvero questo l'unico motivo per cui celebriamo il Natale in questo periodo dell'anno? Forse no. In effetti, le scoperte a Qumran hanno stabilito che abbiamo motivo di celebrare il Natale il 25 dicembre.

L'anno e il giorno della nascita di Gesù

Ricordiamo, innanzitutto, che Dionigi il Minore, il monaco che nel 533 calcolò l'anno di inizio dell'era cristiana, posticipò di circa sei anni la nascita di Cristo, che sarebbe quindi venuto al mondo intorno al 6 a.C. Abbiamo qualche altro indizio in merito? Sì, la morte di Erode il Grande nel 4 a.C., poiché egli morì in quel periodo e sappiamo che dovettero passare circa due anni tra la nascita di Gesù e la morte del re, il che coinciderebbe con l'anno 6 a.C.

Sappiamo, poi, sempre dall'evangelista Luca (il racconto più dettagliato della nascita di Gesù) che Maria rimase incinta quando sua cugina Elisabetta era già al sesto mese di gravidanza. I cristiani occidentali hanno sempre celebrato l'Annunciazione a Maria il 25 marzo, cioè nove mesi prima del Natale. I cristiani orientali, invece, festeggiano anche l'Annunciazione a Zaccaria (padre di Giovanni Battista e marito di Elisabetta) il 23 settembre. Luca entra più nel dettaglio raccontando che, nel momento in cui Zaccaria apprese che sua moglie, ormai vecchia come lui, sarebbe rimasta incinta, stava servendo nel Tempio, essendo di casta sacerdotale, secondo la classe di Abia. Tuttavia, lo stesso Luca, scrivendo in un'epoca in cui il Tempio era ancora funzionante e le classi sacerdotali continuavano la loro perenne rotazione, non esplicita, dandolo per scontato, il periodo in cui la classe di Abia ha prestato servizio. Ebbene, numerosi frammenti del Libro dei Giubilei, ritrovati proprio a Qumran, hanno permesso a studiosi come Annie Jaubert e l'ebreo israeliano Shemarjahu Talmon di ricostruire con precisione che la turnazione di Abia avveniva due volte l'anno: il primo dall'8 al 14 del terzo mese del calendario ebraico, il secondo dal 24 al 30 dell'ottavo mese dello stesso calendario, corrispondenti quindi all'ultima decade di settembre, in perfetta sintonia con la festa orientale del 23 settembre e a sei mesi dal 25 marzo, il che farebbe pensare che la nascita di Gesù sia realmente avvenuta nell'ultima decade di dicembre e che quindi abbia senso festeggiare il Natale in questo periodo dell'anno, se non in questo giorno!

Censimento di Cesare Augusto

Dal Vangelo di Luca (cap. 2) sappiamo che la nascita di Gesù coincise con il censimento di tutta la terra da parte di Cesare Augusto:

"In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò di censire tutto il territorio. Questo primo censimento fu fatto quando Quirino era governatore della Siria. Tutti andarono a registrarsi, ognuno nella propria città".

Cosa ne sappiamo? Da quanto si legge nelle righe VII, VIII e X della trascrizione delle "Res gestae" di Augusto rinvenute nell'Ara Pacis di Roma, apprendiamo che Cesare Ottaviano Augusto fece il censimento di tutta la popolazione romana per tre volte, negli anni 28 a.C., 8 a.C. e 14 d.C. È in questo contesto che va collocato il famoso censimento riportato nel Vangelo di Luca (Lc 2,1).

Nell'antichità, il censimento di tutto il territorio doveva ovviamente richiedere un certo tempo prima di essere completato. E qui un'altra precisazione dell'evangelista Luca ci dà un indizio: Quirinio era il governatore della Siria quando fu fatto questo "primo" censimento. Sulpicio Quirinio fu governatore della Siria probabilmente dal 6 al 7 d.C.. Le opinioni degli storici su questa questione sono divergenti: alcuni ipotizzano, infatti, secondo la cosiddetta Lapide di Tivoli (in latino "Lapis" o "Titulus Tiburtinus") che lo stesso Quirinio abbia avuto un mandato precedente negli anni 8-6 a.C. (che sarebbe compatibile sia con la data del censimento di Augusto sia con la nascita di Gesù); altri, invece, traducono il termine "prima" (che in latino e in greco, essendo neuter, può avere anche valore avverbiale) come "prima che Quirinio fosse governatore della Siria". Entrambe le ipotesi sono ammissibili, per cui quanto narrato nei Vangeli sul censimento al momento della nascita di Gesù è plausibile.

A Betlemme di Giudea

Betlemme oggi è una città della Cisgiordania e non ha nulla di bucolico o di simile a un presepe. Duemila anni fa, tuttavia, era una piccola città, conosciuta comunque come la casa del re Davide. Da qui, secondo le Scritture, sarebbe venuto il messia atteso dal popolo d'Israele (Michea, cap. 5).

Oltre all'ora, quindi, si sapeva anche dove sarebbe nato questo messia, atteso, come abbiamo visto, dal popolo ebraico e dai suoi vicini in Oriente. 

È curioso che il nome di questo luogo, composto da due diversi termini ebraici, significhi: "casa del pane" in ebraico (בֵּֽית = bayt o beṯ: casa; לֶ֣חֶם = leḥem: pane); "casa della carne" in arabo (ﺑﻴﺖ = bayt o beyt, casa; لَحْمٍ = laḥm, carne); "casa del pesce" nelle antiche lingue dell'Arabia meridionale. Tutte le lingue citate sono di origine semitica e in queste lingue, da una stessa radice di tre lettere, è possibile derivare un gran numero di parole legate al significato originario della radice di origine. Nel nostro caso, quello del sostantivo composto Belénabbiamo due radici: b-y-t che dà origine a Bayt o Beth; l-ḥ-m che dà origine a Leḥem o Laḥm.

In tutti i casi Bayt/Beth significa casa, ma Laḥm/Leḥem cambia significato a seconda della lingua. 

La risposta sta nell'origine delle popolazioni a cui queste lingue appartengono. Gli Ebrei, come gli Aramei e altri popoli semiti del nord-ovest, vivevano nella cosiddetta "Mezzaluna Fertile", cioè una vasta area tra la Palestina e la Mesopotamia dove si poteva praticare l'agricoltura, rendendoli un popolo sedentario. Il loro principale sostentamento era quindi il pane. Gli arabi, popolo nomade o seminomade del nord e del centro della penisola arabica, prevalentemente desertica, traevano il loro principale sostentamento dalla caccia e dall'agricoltura, facendo della carne il loro alimento per eccellenza. Infine, gli Arabi del Sud, che vivevano sulle coste meridionali della penisola arabica, avevano come alimento principale il pesce. Possiamo quindi capire perché la stessa parola, in tre diverse lingue semitiche, significhi tre cibi diversi.

Di conseguenza, possiamo vedere come Belén ha, per diversi popoli, un significato apparentemente diverso ma in realtà univoco, poiché indicherebbe non tanto la casa del pane, della carne o del pesce, ma la casa del vero cibo, quello di cui non si può fare a meno, quello da cui dipende la propria sussistenza, quello senza il quale non si può vivere. 

È interessante notare che Gesù, parlando di se stesso, ha detto: "La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda" (Gv 6,51-58). 

La storia ci dice che già a metà del II secolo, San Giustino e poi Origene, autore del III secolo, confermarono che a Betlemme, sia i cristiani che i non cristiani conoscevano l'esatta ubicazione della grotta e della mangiatoia, perché l'imperatore Adriano, nel 135 d.C., con l'intenzione di cancellare dalla memoria i siti ebraici e giudeo-cristiani della nuova provincia di Palestina, volle far costruire templi pagani esattamente sul luogo di quelli dell'antica fede nella regione. Ciò è confermato da San Girolamo e da San Cirillo di Gerusalemme.

Come a Gerusalemme, sul luogo dei santuari in onore della morte e della resurrezione di Gesù, Adriano aveva fatto costruire statue di Giove e Venere (Gerusalemme era stata nel frattempo ricostruita come "Aelia Capitolina"), così a Betlemme era stato piantato un bosco sacro a Tammuz, cioè Adone. Tuttavia, grazie alla conoscenza dello stratagemma di Adriano, il primo imperatore cristiano, Costantino e sua madre Elena riuscirono a trovare l'esatta ubicazione delle primitive "domus ecclesiæ", che in seguito divennero piccole chiese, dove venivano venerati e conservati i ricordi e le reliquie della vita di Gesù di Nazareth.

L'autoreGerardo Ferrara

Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.

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Vaticano

Mons. Nappa è il nuovo presidente delle Pontificie Opere Missionarie.

Le Pontificie Opere Missionarie hanno un nuovo presidente, monsignor Emilio Nappa, nominato il 3 dicembre.

Paloma López Campos-20 dicembre 2022-Tempo di lettura: < 1 minuto

Monsignor Nappa è nato a Napoli nel 1972. È stato ordinato nel 1997 e dal settembre 2022 lavora presso la Segreteria per l'Economia. Il suo passato 3 dicembre il Papa lo nomina presidente delle Pontificie Opere Missionarie e gli conferisce il titolo di arcivescovo. L'ordinazione episcopale avrà luogo il 28 gennaio nella Basilica di San Pietro. Emilio Nappa succede a monsignor Giampietro Dal Toso, che ha concluso il suo mandato il 30 novembre. Dal Toso lascia l'incarico dopo essere stato alla guida del PMO dal 2016.

Di buon umore, il nuovo presidente afferma che "nonostante le possibili difficoltà e i problemi da affrontare, le nostre Pontificie Opere Missionarie sono una realtà bella e molto viva, con una vocazione speciale nella Chiesa, che lo stesso Papa Francesco ha sottolineato nella recente Costituzione Apostolica. Praedicate Evangelium sulla Curia romana e il suo servizio alla Chiesa nel mondo".

Nappa ha chiesto collaborazione e comprensione nel suo nuovo incarico, affinché "si possa camminare insieme in spirito sinodale e in comunione di preghiera e di azione, approfondendo sempre più il carisma della PMS e le sue attività".

Il saluto completo del nuovo presidente è disponibile sul sito web delle Pontificie Opere Missionarie.

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Vaticano

Ecco le attività del Papa per questo Natale

Questa settimana è ricca di celebrazioni e il Papa apparirà in molte di esse. Offriamo un piccolo calendario delle attività di Francesco durante le celebrazioni.

Paloma López Campos-20 dicembre 2022-Tempo di lettura: < 1 minuto

Mercoledì 21 dicembre, alle nove del mattino, il Papa terrà la consueta udienza generale nell'Aula Paolo VI. La scorsa settimana il Santo Padre ha osservato che stava per giungere alla fine della sua catechesi sul discernimento.

Il giorno successivo, giovedì 22, la Curia romana riceverà gli auguri di Natale. Più tardi, nel corso della giornata, lo stesso avverrà per i dipendenti del Vaticano.

Sabato 24, alle 19.20, il Papa celebrerà la Messa dei Vespri di Natale nella Basilica di San Pietro. Il giorno successivo, domenica 25, avrà luogo la benedizione. Urbi et Orbi alle 12:00 e il Papa proclamerà il suo messaggio di Natale.

L'Angelus dal balcone del Palazzo Apostolico è stato spostato a lunedì 26, con inizio alle ore 12.00.

Sabato 31, alle 17.00, il Papa dirà i vespri e la preghiera. Te Deum per ringraziare dell'anno che abbiamo vissuto.

Il giorno seguente, Giornata mondiale della paceAlle 10 si celebrerà la Messa nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio.

Il 6, festa dell'Epifania del Signore, il Papa celebrerà la Messa nella Basilica di San Pietro alle 10 del mattino.

Infine, in occasione della festa del Battesimo del Signore, l'8 gennaio, si terrà una Messa alle 9.30 nella Cappella Sistina.

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Evangelizzazione

La famiglia Ulma: sette martiri della fede cristiana

Il 17 dicembre Papa Francesco ha approvato un decreto sul martirio, in difesa della fede, dei sette membri della famiglia polacca Ulma nella città di Markowa. I genitori, Jozef e Wiktoria, avevano dato rifugio a una famiglia ebrea perseguitata e per questo furono uccisi insieme ai loro figli: sei minorenni e quello che Wiktoria, incinta, portava in grembo.

Ignacy Soler-20 dicembre 2022-Tempo di lettura: 4 minuti

Il 24 marzo 1944, intorno alle 5 del mattino, a Markowa, vicino all'Ucraina, i gendarmi tedeschi uccisero otto ebrei e Józef Ulma, che li nascondeva, insieme a sua moglie Wiktoria, che era all'ultimo mese di gravidanza, e ai loro sei figli.

Dopo la decisione di Hitler di attuare la disumana "soluzione finale" di sterminare tutti gli ebrei, gli Ulma, consapevoli del rischio e nonostante le loro ristrettezze economiche, ma mossi dal comandamento dell'amore e dall'esempio del buon samaritano, aiutarono gli ebrei.

Già nella seconda metà del 1942, nascosero Saul Goldman e i suoi quattro figli adulti, nonché Lea Didler e Gołda Grünfeld e la loro figlia neonata. I Goldman erano vicini di casa di Józef Ulma, noto per la sua gentilezza nei confronti degli ebrei. In precedenza, aveva aiutato un'altra famiglia ebrea a costruire un nascondiglio.

La famiglia Ulma è stata anche testimone di come nel 1942, nel terreno vicino dove erano sepolti gli animali, i nazisti abbiano fucilato 34 ebrei di Markowa e della zona circostante. Tra gli oltre 4.000 abitanti di Markowa, gli Ulma non erano l'unica famiglia a nascondere gli ebrei. Almeno altri 20 ebrei sono sopravvissuti all'occupazione in cinque case di contadini.

Prima della Seconda Guerra Mondiale, a Markowa vivevano circa 120 ebrei. Nel 1995, Wiktoria e Józef Ulma sono stati onorati postumi con il titolo di Giusti tra le Nazioni.

Józef Ulma nacque il 2 marzo 1900 a Markowa, settimo figlio di Marcin Ulma e Franciszka Kluz. Prima ha completato quattro classi delle scuole elementari e poi, dopo il servizio militare, si è diplomato con un premio finale presso la scuola agraria di Pilzno. Nel 1935 Józef sposò Wiktoria Niemczak, anch'essa di Markowa.

Wiktoria è nata il 10 dicembre 1912. All'età di 6 anni ha perso la madre. Ha frequentato la scuola pubblica di Markowa. Ha anche frequentato i corsi dell'Università popolare nella vicina Gać. Dopo il matrimonio si è dedicata al lavoro domestico e alla cura dei figli.

Durante i nove anni di matrimonio, dalla famiglia Ulma nacquero sei figli: Stanisława (nato il 18 luglio 1936), Barbara (nata il 6 ottobre 1937), Władysław (nato il 5 dicembre 1938), Franciszek (nato il 3 aprile 1940), Antoni (nato il 6 giugno 1938, 1941) e Maria (nata il 16 settembre 1942). Li hanno cresciuti nello spirito della fede e dell'amore cristiano, insegnando loro l'amore per il lavoro e il rispetto per gli altri. Nella primavera del 1944, Wiktoria aspettava un altro figlio.

Józef e Wiktoria erano agricoltori in una piccola fattoria di alcuni ettari di loro proprietà, come è consuetudine in Polonia. Józef era un uomo estremamente laborioso e inventivo. Oltre alla coltivazione di ortaggi, si dedicava anche alla frutticoltura, di cui era un attivo promotore nel villaggio. Fondò i primi frutteti e un vivaio di alberi da frutto, dove ogni settimana dava dimostrazioni di tecniche di giardinaggio.

Offriva volentieri consigli e aiuto, trasmettendo agli altri le conoscenze appena acquisite. Conosceva l'apicoltura e teneva diversi alveari. La sua innovazione si rivela anche nel fatto che fu il primo del villaggio a introdurre l'elettricità nella sua casa, collegando una lampadina a un piccolo mulino a vento costruito a mano.

Józef aveva molta iniziativa sociale e partecipava attivamente agli affari della comunità locale. È stato bibliotecario nel Club della Gioventù Cattolica, membro attivo dell'Unione della Gioventù Rurale della Repubblica di Polonia "Wici". Ha anche gestito la cooperativa lattiero-casearia di Marków ed è stato membro della cooperativa sanitaria di Markowa. La sua più grande passione era la fotografia, un'attività estremamente rara nei villaggi polacchi dell'epoca. Ha imparato a conoscere la fotografia dai libri. Wiktoria, invece, era un'attrice del gruppo teatrale amatoriale dell'Associazione della Gioventù Rurale della Repubblica di Polonia "Wici".

Józef e Wiktoria erano membri attivi della parrocchia di Santa Dorotea a Markowa. La loro vita di fede si basava sui due comandamenti: l'amore per Dio e l'amore per il prossimo. Già da adolescente, Józef partecipò alle attività dell'Associazione delle Messe della diocesi di Przemyśl. È stato anche membro dell'Associazione della Gioventù Cattolica. Come coniugi, hanno approfondito la loro fede attraverso la preghiera in famiglia e la partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa. Entrambi appartenevano anche alla Confraternita del Rosario Vivente. Per Józef e Wiktoria la vita cristiana dei loro figli era la cosa più importante. Hanno trasmesso loro una fede viva in Cristo e l'amore per tutti, senza eccezioni.

In pochi minuti, la mattina presto del 14 marzo 1944, 17 persone innocenti furono uccise. Józef e Wiktoria morirono per mano dei gendarmi, solidi e spietati guardiani del sistema nazista tedesco.

Insieme a loro furono fucilati anche i loro figli e gli ebrei che avevano ospitato. Anche il figlio non ancora nato degli Ulma morì.

Tutta la famiglia Ulma è martire, ha dato testimonianza di vita cristiana fino alla morte. Non è facile dare la vita per la fedeltà alla fede cristiana e al comandamento evangelico dell'amore per il prossimo, ma è ancora più difficile rischiare e dare la vita della propria famiglia per amore di Dio e del prossimo. Ci sono riusciti, con la grazia di Dio.

Educazione

Natale, dolce (e sobrio) Natale

Per molte famiglie, la situazione economica difficile può essere un'opportunità per vivere un Natale più autentico.

Miguel Ángel Carrasco-20 dicembre 2022-Tempo di lettura: 6 minuti

C. S. Lewis ha detto: "C'era una volta nel nostro mondo una stalla che conteneva qualcosa di più grande di tutto il nostro mondo". Ma la verità è che, sebbene in questi giorni i negozi, la pubblicità, le decorazioni per le strade e le piattaforme audiovisive ci parlino continuamente del Natale, sono relativamente poche le persone che vivono questa festa con un senso trascendente di significato. 

L'escalation del consumismo in questo periodo dell'anno ha raggiunto il livello della tradizione. Anche se nessuno ignora che questa volta le circostanze economiche porteranno molti a moderare le spese, da settimane si sente di nuovo la spinta dei consumi tipica di questo periodo dell'anno. Colpisce il fatto che fino a 70% del pubblico dichiari che spenderà la stessa cifra che ha speso a Natale dell'anno scorso (il dato è dell'Associazione dei Produttori e Distributori).

Non si tratta di scoraggiare i consumi in un momento così delicato, ma la verità è che noi famiglie che dovremo stringere la cinghia in questo periodo di festa abbiamo un'ottima occasione per educare i nostri figli, insegnando loro a fare a meno di tutto ciò che non serve e a vivere il Natale in modo autentico; allo stesso tempo, rendiamo l'economia familiare un po' più sostenibile: due piccioni con una fava.

Quando si tratta di regali... meno è meglio

Una delle cose peggiori che possiamo fare ai bambini è dare loro tutto ciò che chiedono. A volte, come genitori, vogliamo dare loro sempre "il meglio" ed evitare qualsiasi sofferenza, per quanto piccola, anche se fa parte del loro naturale apprendimento. Perché viviamo in una società in cui l'obiettivo è soprattutto la comodità.

Nel prossimo periodo natalizio, secondo uno studio di una nota catena di supermercati, due terzi delle famiglie spagnole spenderanno fino a 200 euro in giocattoli (il numero medio di bambini in Spagna è 1,19). 

Ogni anno, a Natale e all'Epifania, si verifica quella che gli specialisti chiamano la "sindrome del bambino troppo dotato". Un bambino che riceve troppi giocattoli finisce per non apprezzarne nessuno, provando insoddisfazione, noia e frustrazione. Succede spesso quando tutti nell'ambiente del bambino (nonni, zii...) vogliono fargli dei regali e non c'è nessuno - idealmente dovrebbero essere i genitori - a mettere ordine in tante sciocchezze.

Altre volte, e questo è ancora più problematico, l'eccesso di regali deriva da un senso di colpa di alcuni genitori, che cercano di compensare la mancanza di attenzione nei confronti dei figli.

In alternativa, esiste la ben nota - e consigliabile - "regola dei quattro regali". La regola ha diverse varianti, ma in breve l'idea è quella di limitare il numero di regali e di dare loro una direzione tutt'altro che stravagante. Si propone quindi che i regali siano: un capo d'abbigliamento o un oggetto pratico di cui il bambino ha bisogno (scarpe, zaino...); un giocattolo educativo o un libro; un regalo che il bambino desidera veramente; e, infine, un gioco che gli permetta di interagire con altri bambini.

Che si utilizzi o meno questa formula, bisogna tenere presente che nell'educazione quasi nulla si ottiene per caso. Se vogliamo educare i nostri figli alla moderazione, dovremo modulare le loro aspettative in anticipo, ad esempio sedendoci con loro per scrivere la lettera ai Re Magi e portando i loro desideri nell'ambito della ragionevolezza.

Dire chiaramente ai bambini che "quest'anno i Re Magi porteranno qualche regalo in meno" o che "questo Natale faremo più progetti a casa perché non possiamo spendere così tanto" non è qualcosa di cui vergognarsi ma, al contrario, una grande lezione che li aiuterà ad apprezzare il valore delle cose e a distinguere ciò che è davvero importante in questo periodo festivo.

Gratitudine e apprezzamento per le cose semplici

La continua gratificazione di ogni capriccio ottunde la mente e atrofizza la sensibilità, quindi come possiamo dare valore ai beni quotidiani della vita - la natura, la famiglia, avere una casa...? Chesterton, il grande maestro del paradosso e amante delle tradizioni natalizie, diceva: "Quando eravamo bambini eravamo grati a coloro che riempivano le nostre calze per Natale. Perché non ringraziare Dio per aver riempito le nostre calze con i nostri piedi? O per dirla in termini contemporanei: ai bambini di oggi, che desiderano uno smartphone o una console per videogiochi, non si dovrebbe prima insegnare a essere grati di avere una famiglia, un tetto sopra la testa, cibo da mangiare e vestiti da indossare?

Ma parliamo in modo positivo, perché i vantaggi di educare i bambini alla moderazione, alla gratitudine e all'austerità sono molti: una persona grata è senza dubbio più felice. E un bambino che impara a rinunciare (liberamente, non per obbligo) a cose magari essenziali per i suoi coetanei è più padrone del suo destino e potrà affrontare le difficoltà con maggiori possibilità di successo. Lavoriamo con i nostri figli su questa linea e li trasformeremo in veri leader della loro vita e della società. 

Adolescenti: l'arte di ragionare senza imporsi

Quando i bambini entrano nell'adolescenza, iniziano a mettere in discussione tutto, compresi, ovviamente, i genitori, ai quali chiedono costantemente spiegazioni. Quando si tratta di insegnare il senso della moderazione, dovremo usare argomenti più elaborati rispetto ai bambini più piccoli. Dobbiamo essere consapevoli che i bambini di questa età subiscono una forte pressione da parte dell'ambiente in cui vivono per consumare (vestiti, dispositivi tecnologici, videogiochi, ecc.). Ma non è meno vero che hanno già una maturità intellettuale sufficiente per affrontare ragionamenti più complessi. Ricordiamo - ci siamo passati tutti - che ciò che gli adolescenti odiano di più è essere trattati come bambini.

A volte i genitori hanno la sensazione di combattere una "guerra di logoramento" con i propri figli, in cui vince solo chi si fa valere senza cedere alcun terreno: ogni indicazione diventa oggetto di controversia. Questo è in parte naturale, ma ciò che non dobbiamo perdere di vista è che, per quanto l'adolescente si opponga ripetutamente alle decisioni dei genitori, quando ci sforziamo di esporre i nostri punti di vista attraverso il dialogo e non l'imposizione, queste ragioni non cadono nel vuoto e, a poco a poco, diventano parte dell'educazione del bambino.

Una buona strategia consiste nel cercare modi per entrare in contatto con i valori dominanti dei bambini di questa fascia d'età, perché il mainstream Ci sono anche aspetti positivi. È un dato di fatto che le nuove generazioni siano molto più consapevoli della necessità di prendersi cura del pianeta e che questa preoccupazione abbia un peso molto significativo nelle loro abitudini di consumo. Riutilizzare, riparare gli oggetti che si rompono, acquistare nei negozi di seconda mano, utilizzare le applicazioni dell'economia circolare... sono comportamenti in gran parte più naturali per molti giovani di oggi che per i loro genitori. In breve, la sostenibilità a tutti i livelli - personale, sociale, ambientale... - non è che una conseguenza della virtù della temperanza (o, in un linguaggio più moderno, dell'autocontrollo e della moderazione).

La consapevolezza che ci sono molte persone, nel nostro ambiente o altrove, che non hanno nemmeno i mezzi materiali più elementari è senza dubbio una revulsiva che di solito smuove la coscienza dei nostri figli di queste età. Perché, anche se la crisi economica non ci tocca, non è forse un'indecenza consumare senza ritegno quando ci sono tanti che non hanno il necessario per vivere? In questo senso, La recente proposta di Papa Francesco L'idea di ridurre alcune spese durante le feste natalizie e di utilizzarle per aiutare le famiglie in Ucraina può essere un ottimo modo per far emergere i nobili ideali che ogni adolescente ha dentro di sé. 

L'arma segreta dei genitori

Va da sé che, nell'approccio educativo che abbiamo cercato di delineare in queste righe, i genitori hanno la grande sfida di affrontare la travolgente macchina pubblicitaria del mercato, con i suoi algoritmi, la sua strategia omnichannel e le sue centinaia di teste pensanti. Il fallimento sarebbe assicurato se non fosse che abbiamo un'arma infallibile, i cui buoni risultati sono stati attestati dagli educatori di tutti i tempi: l'esempio.

Non c'è meccanismo più efficace per educare i bambini del comportamento dei genitori. È infatti il prerequisito essenziale per il funzionamento di tutti i consigli che abbiamo fornito in questo articolo. Se questo Natale i nostri figli vedranno come rinunciamo alle nostre comodità per rendere la vita più piacevole agli altri; se vedranno che siamo moderati anche nella scelta dei regali; se, insomma, si renderanno conto che mamma e papà sono coerenti con ciò che predicano e non cedono ai loro capricci di adulti... allora avremo vinto metà della battaglia.

Si avvicina una bella celebrazione: il ricordo di un evento che ha cambiato per sempre il destino dell'umanità. Non priviamo i nostri figli di sperimentare la gioia autentica di vedere nascere il Bambino in ciascuna delle nostre famiglie. Che possiamo tenere a mente che Lui è il vero dono che dà significato a questa amata festa.

L'autoreMiguel Ángel Carrasco

Vaticano

I doni chiesti da un bambino di nome Joseph Ratzinger

Rapporti di Roma-19 dicembre 2022-Tempo di lettura: < 1 minuto
rapporti di roma88

Un piccolo messale (il Volks-Schott), una casula verde e un cuore di Gesù: questi furono i doni che un piccolo Joseph Ratzinger di 7 anni chiese a Gesù Bambino nel Natale del 1934. 

La lettera si concludeva con "Voglio sempre essere bravo". Saluti da Joseph Ratzinger", la lettera è esposta nella casa della famiglia Ratzinger, ora museo. 


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Iniziative

Solo l'amore illumina tutto

La Caritas lancia la campagna natalizia di quest'anno con lo slogan "....".Solo l'amore illumina tutto". L'iniziativa è accompagnata dal tradizionale canto natalizio di Pesce nel fiume eseguito dal gruppo "Siempre Así".

Paloma López Campos-19 dicembre 2022-Tempo di lettura: 2 minuti

Secondo i dati che condivide Caritas Spagna In un comunicato stampa si legge che il 19,3% delle famiglie a basso reddito si rivolge alle parrocchie, ai servizi sociali e alle ONG per coprire le necessità di base, come cibo e vestiti. Più di due milioni di famiglie si trovano in una situazione di precarietà e un giovane su tre soffre di esclusione sociale.

Queste difficoltà non impediscono l'arrivo delle festività natalizie. Come sottolinea la Caritas nella nota della campagna, "il Natale arriva come il momento favorevole in cui Dio si rende presente in mezzo alla nostra storia. Oggi, nonostante la debolezza della nostra fede, troviamo incredibile che Dio diventi "Uno" con la nostra umanità fragile, a volte meschina e incoerente, e che scelga di fare la sua casa in mezzo ai poveri. Dio continua a nascere per umanizzarci e per piantare in noi il desiderio di bene che permette di sperare in qualcosa di nuovo capace di sconvolgere e cambiare le nostre ombre in ombre che fanno spazio alla luce".

La sfida di questo Natale

Oltre a fare appello alle donazioni per aiutare le famiglie e gli individui in difficoltà, la Caritas ci invita a essere consapevoli che l'Amore ci rende tutti uguali. Questo dovrebbe portarci a vedere la società come una grande famiglia in cui aspiriamo al bene comune e alla difesa dei diritti umani.

Come atti concreti di amore per gli altri, la campagna cita altri cinque gesti che possono essere utilizzati per "essere Natale e luce per gli altri":

"Guardate gli altri con sorriso e tenerezza, senza giudicare e cercate di capire.

-Ascoltare con pazienza per accogliere e ricevere, per colmare il divario.

-Prendersi cura e offrire qualcosa di sé agli altri.

-Condividete la vostra gioia, la vostra conversazione, la vostra compagnia, la vostra generosità.

-Scrivete un impegno con voi stessi questo Natale per iniziare il nuovo anno con il desiderio di rendere il mondo un posto migliore.

Di seguito il video con il canto eseguito da Siempre Así.

Per saperne di più
Esperienze

Carlota Valenzuela: "Nella nostra vita normale non lasciamo spazio alla Provvidenza".

Da Finisterre a GerusalemmeQuesto è stato il pellegrinaggio di Carlota e ora, appena arrivata in Spagna, ci racconta la sua esperienza a Omnes.

María José Atienza / Paloma López-19 dicembre 2022-Tempo di lettura: 4 minuti

"Da Finisterre a Gerusalemme", forse è così che è conosciuto oggi. Carlota Valenzuela ha iniziato un anno fa a camminare verso Gerusalemme, un pellegrinaggio che secondo lei è stato più che altro un viaggio spirituale.

Nata a Granada, a soli 30 anni e con una doppia laurea in Giurisprudenza e Scienze Politiche, ha lasciato tutto per rispondere a una chiamata. Ha rilasciato un'intervista a Omnes parlando della sua esperienza.

Come è nata l'idea del viaggio e come è cambiata nel corso del pellegrinaggio?

-L'idea del viaggio è nata come una chiamata. Sento in modo molto chiaro e forte che Dio mi sta proponendo il pellegrinaggio. Non è tanto che mi prende per mano, ma che me la mette davanti. Il solo pensiero di voler fare la volontà di Dio mi ha dato tanta gioia e tanta pace che non ho esitato.

Quando è nata l'idea, non avevo idea di come sarebbe stato. Ora, con il senno di poi, capisco di aver detto sì e di essermi buttata nel vuoto. Non ho cercato di avere tutto sotto controllo. Ho fatto una bozza del percorso e.., in generalequanto tempo mi ci sarebbe voluto. Poi, passo dopo passo, ho fatto il pellegrinaggio.

Qual è stata la reazione della sua famiglia e dei suoi amici?

-È stato un momento drammatico, soprattutto con i miei genitori. Ho avuto reazioni di ogni tipo. Da un lato c'erano le persone che erano molto preoccupate e pensavano che fosse una follia. Poi c'erano quelli che pensavano che l'idea fosse assurda. C'era chi pensava che fosse curioso, e poi c'era chi pensava che fosse la migliore idea dell'universo.

Cosa l'ha sorpresa di più del viaggio?

-Ciò che mi ha sorpreso di più è la Provvidenza. Nella nostra vita normale non lasciamo spazio alla Provvidenza, abbiamo tutto abbastanza strutturato. Quando si inizia a camminare al mattino senza sapere cosa succederà, senza poter provvedere autonomamente ai propri bisogni, si inizia a vedere Dio in modo molto chiaro. Bisogna lasciare spazio alla Provvidenza.

Ad esempio, uno dei primi giorni sono arrivato in un villaggio molto piccolo dove non c'era nulla. Ho iniziato a preoccuparmi di dove dormire e cosa mangiare. Mi sono fermato a bere acqua per cercare di rilassarmi un po'. Proprio in quel momento arrivò una coppia di anziani. Mi chiesero cosa stessi facendo con il mio zaino e risposi che stavo andando a Gerusalemme. Hanno subito voluto sapere se avevo un posto per dormire e quando ho detto di no, mi hanno accolto nella loro casa.

Cose del genere accadevano ogni giorno durante il pellegrinaggio. Non è una storia, l'ho sperimentato nella mia vita.

Com'è stato il pellegrinaggio spirituale?

-Il cammino fisico accompagna quello spirituale. È stato soprattutto un percorso di fiducia. Gesù stesso dice nel Vangelo: "Chiedete e vi sarà dato", "Bussate e vi sarà aperto". Ho lasciato andare tutto, lasciando fare a Lui.

Una volta arrivati a Gerusalemme, cosa ne pensate?

-Avevo in mente di andare a Gerusalemme, ma alla fine non ho potuto farlo perché mia nonna si è ammalata e ho dovuto anticipare tutto. Era da un anno che pensavo a Gerusalemme. Non mi facevo grandi illusioni, ma avevo il mio piano di arrivo, con una settimana di silenzio nell'Orto degli Ulivi.

Un giorno, mentre mi trovavo ad Ain Karem, mi resi conto di essere vicino a Gerusalemme e che mia nonna stava morendo. Ho pensato se fosse il caso di andare in città prima, ma non mi sentivo pronto. Mi sentivo come uno studente che affronta un esame senza aver studiato.

Per prendermi un po' di tempo libero, andai a Betlemme e lì mi fu molto chiaro che dovevo tornare a casa ed entrare a Gerusalemme.

Sono andato a salutare il monaco che mi avrebbe accolto in una chiesa nell'Orto degli Ulivi. Gli ho detto che ero preoccupato di non essere preparato e lui mi ha risposto: "Cambia l'attenzione, l'attenzione non è su di te. Ovviamente non siete pronti, ma non si tratta di voi, bensì di Lui, di Cristo". Risposi che camminavo da un anno, aspettando il momento di entrare a Gerusalemme, ma il monaco rispose: "Ti ha aspettato per tutta l'eternità". Lì ho cambiato completamente prospettiva. Non sono io a realizzare le cose con le mie forze, è Cristo che lo fa.

Alla fine sono entrato a Gerusalemme. Sinceramente, avevo in mente mia nonna. Ho trascorso tre ore all'interno della città. La mia vera Gerusalemme è stata quando sono tornata a Granada e ho trascorso la sua passione con mia nonna.

Come si fa a pregare dopo tutto questo?

-Con grande gioia. Ho notato che la preghiera si è rafforzata come un muscolo. Mi sorprendo a lodare Dio o a ripetere preghiere eiaculatorie. In qualche modo è diventato naturale.

E poi?

-Non ne ho idea. La volontà di Dio. Capisco che la mia vita personale e professionale è orientata verso Dio, voglio solo lavorare per Lui. Ma non conosco ancora la forma, non è un'idea concretizzata.

La mia vera Gerusalemme è stata quando sono tornata a Granada e ho trascorso la passione di mia nonna.

Carlota Valenzuela

La normalità le sembra strana ora che è tornato in Spagna?

-È molto strano essere qui. Ho bisogno di camminare, di natura, di evitare il rumore e le luci. Ora sto iniziando a sistemarmi, ma il ritorno è stato molto duro.

Non ho difficoltà a vedere Dio, ma ho difficoltà a vedere me stesso. Devo abituarmi all'idea di non essere più un pellegrino. Sto cercando di trovare una nuova routine, sto facendo la transizione. È una fase molto strana.

Raccomanda l'esperienza?

-Credo che se io sono riuscito a fare questo pellegrinaggio, chiunque può farlo. Non sono un atleta, né ho la capacità di fare sforzi. Ciò che mi ha sorpreso di più nella mia cerchia ristretta è che ho perseverato.

Quello che ho fatto io può essere fatto in sei mesi o in due anni. Non è una maratona, è una questione di chilometri. È un progetto tranquillo che si può fare come si vuole, ma bisogna avere la giusta motivazione.

Sono sicuro che te l'hanno chiesto migliaia di volte. Ha intenzione di farsi suora?

-Non credo che Dio mi chiami a una vita di clausura. Se mi chiama, sono qui, ma credo che mi chiami a una vita familiare.

L'autoreMaría José Atienza / Paloma López

Vaticano

Papa FrancescoDio è esperto nel trasformare le crisi in sogni".

Il Santo Padre si è affacciato alla finestra del Palazzo Apostolico per recitare l'Angelus con i fedeli riuniti in Piazza San Pietro.

Paloma López Campos-18 dicembre 2022-Tempo di lettura: 2 minuti

Nella lettura del Vangelo di oggi, incontriamo un San Giuseppe pieno di sogni per il futuro, "una bella famiglia, con una moglie amorevole". Molti buoni figli e un lavoro dignitoso. Sogni semplici e buoni di persone semplici e buone. Improvvisamente, però, questi sogni vengono infranti da una scoperta sconcertante: Maria, la sua fidanzata, aspetta un bambino, e il bambino non è suo.

Il Papa ci invita a guardare nel cuore di questo povero artigiano: "Cosa avrà provato Giuseppe? Smarrimento, dolore, disorientamento, forse anche rabbia e disillusione. Il mondo gli è crollato addosso".

Di fronte a questa situazione, "la legge gli diede due possibilità. Il primo era quello di denunciare Maria e farle pagare il prezzo di una presunta infedeltà. Il secondo, annullare il loro fidanzamento, in segreto, senza esporre Maria a scandalo e gravi conseguenze, assumendo su di sé il peso della vergogna. Giuseppe sceglie questa seconda via, quella della misericordia.

"Nel mezzo di questa crisi", continua il Papa, "Dio accende una nuova luce nel cuore di Giuseppe. In sogno gli annuncia che la maternità di Maria non deriva dal tradimento, ma è opera dello Spirito Santo e che il bambino che nascerà è il Salvatore. Maria sarà la madre del Messia e lui sarà il suo custode".

La risposta di San Giuseppe

Tutto questo fa sì che Giuseppe si svegli e si renda conto che "il sogno di ogni israelita, essere il padre del Messia, si sta realizzando per lui in modo del tutto inaspettato". Per raggiungere questo obiettivo, non gli basterà appartenere alla stirpe di Davide e osservare fedelmente la legge, ma dovrà confidare in Dio sopra ogni cosa. Accogliere Maria e suo figlio in un modo completamente diverso da quello che ci si aspettava".

In realtà, ci dice il Papa, questo significa che "Giuseppe dovrà rinunciare alle sue confortanti certezze, ai suoi piani perfetti, alle sue legittime aspettative, per aprirsi a un futuro tutto da scoprire". Dio rovina i suoi piani e gli chiede di fidarsi di lui. Giuseppe risponde e dice sì". Francesco sottolinea che "il suo coraggio è eroico e si realizza nel silenzio. Giuseppe si fida, accoglie, si mette a disposizione e non chiede altre garanzie".

Meditando su questa lettura, Giuseppe ci invita a riflettere. "Anche noi abbiamo i nostri sogni, e forse a Natale ci pensiamo di più. Possiamo anche desiderare qualche sogno infranto, dice il Papa, e vediamo che "le migliori speranze devono spesso affrontare situazioni inaspettate e sconcertanti". Quando questo accade, Giuseppe ci mostra la strada. Non dobbiamo cedere a sentimenti negativi, come la rabbia e la chiusura mentale.

Giuseppe ci insegna, dice il Santo Padre, ad "accogliere le sorprese della vita, comprese le crisi". Tenendo presente che, quando si è in crisi, non bisogna decidere frettolosamente secondo l'istinto, ma, come Giuseppe, considerare tutte le cose e affidarsi al criterio principale: la misericordia di Dio.

Il Papa afferma che "Dio è esperto nel trasformare le crisi in sogni. Dio apre le crisi a nuove prospettive. Forse non come ci aspettiamo, ma come sa fare". Gli orizzonti di Dio, conclude Francesco, "sono sorprendenti, ma infinitamente più ampi e più belli dei nostri". Così, insieme alla Vergine Maria e a San Giuseppe, impariamo ad aprirci alle "sorprese della vita".

Risorse

Il cardinale Grech: la sfida della comunicazione nel cammino sinodale

Il processo sinodale pone molte sfide alla Chiesa, una delle quali è la comunicazione. Il cardinale Grech ha parlato a Roma di questa avventura che prevede di "camminare insieme".

Giovanni Tridente-18 dicembre 2022-Tempo di lettura: 3 minuti

Il processo sinodale attualmente in corso nella Chiesa ha molte sfide da affrontare, e molte di esse riguardano anche la comunicazione e il modo in cui i progressi di questo "viaggio insieme" vengono diffusi dai media. Lo ha affermato il cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, nel suo intervento all'Università della Santa Croce a Roma per presentare il libro Una Chiesa in dialogopubblicato dalla Facoltà di Comunicazione in occasione del suo 25° anniversario. Queste sfide rappresentano, allo stesso tempo, un'opportunità per imparare a "comunicare efficacemente il Sinodo", sapendo che il dialogo deve essere al centro di questa comunicazione.

Tra gli elementi di difficoltà che il Cardinale prevede e che tutti hanno potuto sperimentare in questi primi mesi del nuovo anno ci sono “cammino sinodale”Molti sono stati individuati dallo stesso Papa Francesco all'apertura del Sinodo nell'ottobre 2021: "il rischio del formalismo, cioè di concentrarsi sul processo; il rischio dell'intellettualismo", cioè di vedere il Sinodo come "una specie di gruppo di studio" in cui "le solite persone dicono le solite cose". Il rischio di seguire le solite e infruttuose divisioni ideologiche e partitiche"; e il rischio di compiacenza o indifferenza, di "non prendere sul serio i tempi in cui viviamo".

Letture negative

Ci sono anche le "letture negative" che presentano il processo come qualcosa "progettato per imporre cambiamenti nella dottrina", suggerendo che tutto è già deciso fin dall'inizio; o l'idea - diffusa tra altri gruppi - che alla fine la consultazione non porterà a nessun cambiamento reale, senza proposte di azione ma solo sterili discussioni: 

"Questo solleva anche questioni importanti dal punto di vista della comunicazione, in merito alla gestione delle aspettative sull'esito del Sinodo", ha commentato Grech.

Tra gli altri timori c'è il rischio che la Chiesa diventi ancora più ripiegata su se stessa, in una sorta di autoreferenzialità su questioni interne, quando invece dovremmo "guardare al mondo, annunciando il Vangelo alle periferie e impegnandoci nel servizio a chi è nel bisogno".

"Riconoscere queste interpretazioni errate è il primo passo per rispondere in modo efficace", ha spiegato il presidente del Sinodo dei vescovi.

Come comunicare in modo efficace?

Come comunicare efficacemente la Chiesa sinodale? Una delle chiavi potrebbe venire dal "rinnovamento della nostra missione evangelica, per testimoniare la Chiesa 'ospedale da campo' che siamo chiamati ad essere", ha riflettuto il Cardinale. È necessaria, quindi, la capacità - anche comunicativa - di mostrare una Chiesa capace di accompagnare gli uomini del nostro tempo, servendo ad esempio le persone che sono "ferite ai bordi delle nostre strade, e anche nelle strade digitali", e senza cadere nei particolarismi.

Al centro di questo processo deve esserci il dialogo, che inevitabilmente "inizia con l'ascolto". Infatti, "solo prestando attenzione a chi ascoltiamo, a cosa ascoltiamo e a come ascoltiamo possiamo crescere nell'arte di comunicare", il cui fulcro non è una teoria o una tecnica, ma "l'apertura del cuore che rende possibile la vicinanza", ha aggiunto il Cardinale, citando Papa Francesco nel suo Messaggio per l'ultima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.

È stato ancora il Pontefice, in apertura del Sinodo, a ricordare che "il vero incontro nasce solo dall'ascolto" e dall'ascolto con il cuore, attraverso il quale "le persone si sentono ascoltate, non giudicate; si sentono libere di raccontare le proprie esperienze e il proprio cammino spirituale".

Per un incontro autentico

Un altro aspetto evidenziato da Grech è l'empatia, la capacità di "sentire con gli altri", essenziale per far crescere il dialogo, per incontrare le persone dove vivono "e per assumere che le loro opinioni siano frutto di intenzioni positive". In questo modo, l'incontro e l'ascolto sono veramente autentici; una responsabilità, tra l'altro, che appartiene a tutti i battezzati, comprendendo che dialogare "significa anche resistere a ideologie precostituite senza lasciarsi realmente interpellare, se non addirittura turbare, dalla parola dell'altro".

Alla fine, bisogna essere pazienti e tranquilli nelle tensioni che inevitabilmente si devono affrontare, "non contando solo sulle proprie capacità, ma invocando sempre l'assistenza dello Spirito Santo", ha concluso il Cardinale.

L'autoreGiovanni Tridente

Mondo

I vescovi del Perù chiedono il dialogo e la fine della violenza

Alla luce delle recenti violenze in Perù, in cui sono state uccise 18 persone e ferite più di 400, la Conferenza episcopale peruviana ha chiesto di "costruire ponti di dialogo" e "serenità per tutti i nostri compatrioti che stanno protestando in varie parti del Paese".

Francisco Otamendi-17 dicembre 2022-Tempo di lettura: 3 minuti

Domenica 18 dicembre è stato il giorno scelto dalla Conferenza episcopale peruviana per "esprimere la pace, la speranza e la fraternità in Perù, attraverso la Giornata di preghiera per la pace". Questa iniziativa, che ogni vescovo porterà avanti nella propria giurisdizione ecclesiastica, è stata promossa dai vescovi peruviani "di fronte alla grave situazione di dolore e di violenza che il nostro popolo peruviano sta soffrendo a causa dell'attuale crisi politica".

Per partecipare a questa giornata, le famiglie sono incoraggiate a mettere un simbolo di pace nelle loro case e istituzioni (bandiera bianca o fazzoletto bianco) a partire da questo momento.

Invito alla serenità

Il messaggio La dichiarazione dei vescovi peruviani, dopo alcuni giorni di scontri tra agenti di polizia e manifestanti che protestavano contro il Congresso della Repubblica e a favore di elezioni anticipate, è stata letta dal presidente della Conferenza episcopale peruviana (CEP), monsignor Miguel Cabrejos Vidarte, OFM, arcivescovo di Trujillo, che è anche presidente del Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM).

In primo luogo, la nota "si rammarica profondamente per la morte di due persone ad Andahuaylas, Apurímac". Prosegue con "un appello urgente a costruire ponti di dialogo, invitando alla serenità tutti i nostri connazionali che stanno protestando in varie parti del Paese, le cui richieste, quando giuste, devono essere ascoltate, ma che esercitano il loro diritto senza violenza".

La nota è indirizzata anche "alle Forze dell'Ordine, in particolare alla Polizia Nazionale peruviana, affinché agiscano nel quadro della Legge, garantendo l'integrità del popolo".

I vescovi si appellano "alla classe politica, specialmente all'Esecutivo e ai membri del Congresso, affinché si preoccupino dell'istituzionalità, dell'ordine democratico, del giusto processo e del bene comune di tutti i peruviani, specialmente i più vulnerabili", e anche "a tutte le istituzioni peruviane affinché garantiscano la stabilità del Paese, perché non possiamo permetterci il lusso di un malgoverno nel nostro Paese".

"Il nostro amato Paese", proseguono, "non deve continuare nell'ansia, nella paura e nell'incertezza. Abbiamo bisogno di un dialogo sincero, di calma per proteggere la nostra debole democrazia, preservare il quadro istituzionale e mantenere la fratellanza del nostro popolo. La violenza non è la soluzione alla crisi o alle differenze. Niente più violenza, niente più morti, il Perù deve essere la nostra priorità", hanno sottolineato.

Infine, la gerarchia cattolica peruviana invoca la Beata Vergine di Guadalupe affinché "ci guidi lungo i sentieri della giustizia e della pace".

Stato di emergenza

Come è noto, il nuovo governo del Perù, guidato dall'avvocato Dina Boluarte, ha prestato giuramento la scorsa settimana davanti al Congresso al completo come primo presidente donna nella storia del Perù, dopo la destituzione del precedente presidente, Pedro Castillo, che poche ore prima aveva deciso di sciogliere il Parlamento per evitare di essere perseguito per presunta corruzione.

Durante la cerimonia di insediamento, Dina Boluarte ha invitato al dialogo per l'insediamento di un governo di unità nazionale, che si è già insediato, e ha chiesto alla Procura di indagare sui presunti atti di corruzione che hanno afflitto la politica peruviana negli ultimi anni.

Successivamente, il nuovo governo peruviano ha dichiarato un'emergenza nazionale di 30 giorni in seguito alle violente proteste seguite alla cacciata di Pedro Castillo, sospendendo i diritti e le libertà pubbliche nel Paese andino.

Proprio nel primo giorno dello Stato di emergenza ordinato dal governo di Dina Boluarte, si è registrato il maggior numero di morti.

Marce, morti e feriti

Le marce sono iniziate mercoledì 7 dicembre. Secondo l'Ufficio dell'Ombudsman, 12 persone sono morte durante le manifestazioni e sei sono state vittime di incidenti stradali e di eventi legati ai blocchi stradali. Finora, Ayacucho è la regione con il maggior numero di morti, sette. Seguono Apurimac (6), La Libertad (3), Arequipa (1) e Huancavelica (1).

L'Ufficio dell'Ombudsman ha riferito che finora sono stati feriti 210 civili e 216 membri della Polizia nazionale peruviana. I blocchi, le marce e gli scioperi hanno avuto luogo nei dipartimenti di Ancash, Ayacucho, Cajamarca, Cusco, Moquegua, Puno e San Martin.

La stessa istituzione del difensore civico ha chiesto in un comunicato Il governo ha chiesto a Lima "l'immediata cessazione degli atti di violenza nelle proteste sociali e ha chiesto alle Forze armate e alla Polizia di agire in conformità con la Costituzione e la legge".

"Difendere la democrazia

Poco più di una settimana fa, il Consiglio permanente della Conferenza episcopale peruviana ha emesso una comunicato in cui ha definito "incostituzionale e illegale la decisione del signor Pedro Castillo Terrones di sciogliere il Congresso della Repubblica e di istituire un governo di emergenza eccezionale".

Ha inoltre dichiarato di "respingere con forza e in modo assoluto la rottura dell'ordine costituzionale". È diritto e dovere morale dei popoli e dei cittadini difendere la democrazia.

Nello stesso comunicato, i vescovi hanno chiesto "l'unità nazionale, il mantenimento della tranquillità e la cessazione di ogni forma di violenza e di violazione dei diritti fondamentali dei cittadini".

L'autoreFrancisco Otamendi

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Cultura

Saul AlijaL'arte sacra ha un ruolo fondamentale nel nostro mondo".

Saúl Alija è un giovane pittore di Zamora che ha rilasciato un'intervista a Omnes per parlarci dell'arte sacra e del suo personale rapporto con l'arte.

Paloma López Campos-17 dicembre 2022-Tempo di lettura: 7 minuti

Saúl Alija è uno dei volti nuovi dell'arte sacra spagnola. Tra mostre a Salamanca, murales per Zamora, commissioni per Barcellona e pale d'altare per cappelle battesimali, in Omnes ci parla di arte sacra.

Saul, può iniziare parlandoci della sua storia con la pittura e l'arte sacra?

- La verità è che mi sono allenato da solo, anche se devo i miei inizi alla mia famiglia. Mia madre voleva portarmi in un'accademia di pittura e mi iscrisse alla più vicina. Ma non sapeva che l'insegnante era un sacerdote. 

Il professore ci raccontava spesso di come aveva dipinto murales in varie chiese quando viveva a Roma e anche molte curiosità sui suoi dipinti, che mi hanno sorpreso molto. E mi è piaciuta anche la gratitudine che ha mostrato quando ce ne ha parlato. 

In seguito non ho più dipinto perché ho frequentato per circa 8 anni il seminario Redemptoris Mater di Castellón, dove ho ricevuto molto in tutti i sensi. Poi, durante l'estate, ho deciso di dipingere in alcune case abbandonate all'ingresso di Zamora. Dopo tutto questo tempo, ho scoperto che ricordavo ancora le nozioni di pittura che il sacerdote mi aveva insegnato. 

Il fatto di non aver seguito uno studio regolamentato mi ha aiutato molto nella libertà che ho nella gestione dei colori, delle diverse pennellate, nella preparazione delle scene, nell'utilizzo dei metodi usati dai classici per eseguire un dipinto, ecc. 

Un anno fa ho aperto un account Instagram con alcune delle mie opere d'arte religiosa e anche altri dipinti senza molte pretese. Ho ricevuto un paio di messaggi in cui mi si chiedeva di realizzare dei lavori su commissione per Barcellona e Salamanca, e persino un consigliere comunale della mia città mi ha scritto per dipingere dei murales nelle strade di Zamora. È stato così spontaneo.

Particolare del dipinto commissionato per l'Anno di San Giuseppe 2020 per la Chiesa dello Spirito Santo, Zamora.

Il mio rapporto con l'arte sacra è stato altrettanto spontaneo. Un sacerdote della mia diocesi mi ha chiesto di realizzare una pala d'altare speciale per una comunità che celebra in rito mozarabico in un piccolo villaggio di Zamora. Ho quindi iniziato a studiare l'arte cristiana dell'XI secolo nella penisola, in modo da poterli aiutare a celebrare secondo la loro tradizione. Mi è stato anche commissionato un quadro di San Giuseppe per un'altra piccola chiesa, per celebrare l'anno iniziato da Papa Francesco.

Attualmente sto lavorando a una pala d'altare per la cappella battesimale di una chiesa di Salamanca, per un parroco che vuole aiutare le giovani coppie a vedere l'importanza del sacramento del battesimo e spiegare loro con la pala d'altare cosa succede al momento della celebrazione. 

Questa è, per me, la funzione della pala d'altare: il Kerygma fatto arte, che nel momento della celebrazione del battesimo attraversa la storia della salvezza e ricollega l'assemblea al momento del battesimo di Gesù nel Giordano, santificando le acque, come ci mostra l'iconografia. 

Il modo in cui contatto le parrocchie e i sacerdoti da molto tempo è attraverso Instagram o l'e-mail che si trova anche lì. Se qualcuno volesse contattarmi per realizzare una pala d'altare, basta che mi scriva a Instagram (@saulalija) e da lì, nella preghiera comune, guardiamo alle esigenze del progetto".

E a partire da questa esperienza con i parroci, quale rapporto pensa esista tra la Chiesa e l'arte?

-Penso che sia una relazione molto profonda. Anche oggi ci sono concetti teologici che non riusciamo a comprendere con il solo ragionamento, ma dobbiamo rivolgerci alle immagini o alle catechesi che la Chiesa rappresenta da secoli sulle sue pale d'altare, sui suoi muri, nei suoi templi. In effetti, è curioso capire fino a che punto l'emozione estetica sia legata alla Nuova Evangelizzazione nella nostra particolare società sentimentalista.

Qualche mese fa ho realizzato una mostra nel chiostro dell'Università Pontificia di Salamanca, in cui ho riflettuto sull'antropologia sacramentale, o cercato di far riflettere, sull'unione tra l'arte come simbolo visibile e la chiesa come sacramento invisibile. 

Pensavo a tanti giovani della mia generazione che subiscono le conseguenze dell'ideologia e della mancanza di libertà, e volevo creare una forma estetica che non tenesse conto dei gruppi di riferimento, ma della spiritualità comune della chiesa, che si estendesse a tutti. E credo che abbia funzionato, almeno così mi hanno detto i miei amici non credenti.

Ma quella mostra a Salamanca era un progetto di arte religiosa, non direttamente per la Chiesa. Qual è la parte più importante del dipingere arte per la Chiesa?

- La preghiera, che per me è spesso la parte più difficile. E credo che sia più importante della tecnica e dell'esecuzione. Perché ci sono tanti dipinti di arte religiosa che sono fatti perfettamente, ma non riescono a provocare nulla. Ci sono molti altri dipinti che, pur non essendo molto belli, riescono a trasmettere l'intenzione della chiesa. 

E oltre alla preghiera, c'è anche la sincerità nel comporre la scena. Dipingere i momenti di Dio che sono stati reali nella vostra vita è molto evidente. Penso che sia una grande responsabilità, soprattutto quando i riferimenti nel mondo dell'arte di oggi sono così vari.

Ci sono diversi pericoli, come quello dello spiritualismo estetico, ovvero cercare un tipo di arte in cui ci si trova a proprio agio e cercare di dare gloria a se stessi o fingere teologie e distorcere i termini. È molto triste perché sta accadendo a tutti noi: nel mondo, ma anche all'interno della Chiesa e della teologia. Nessuno deve cercare di essere il referente di alcun progresso, se segue le virtù bibliche, il cui referente progressivo è sempre Dio. Senza di Lui non c'è originalità, non c'è progresso, non ci sono intuizioni, almeno a me succede, e ci sono giorni in cui Dio mi lascia essere molto a corto di ispirazione".

E perché l'arte stessa è un buon modo per trasmettere Dio?

- Poiché l'arte è silenziosa, non è irritata dall'indifferenza e non pretende nulla dall'altro, così come Dio non pretende nulla da noi. L'arte non ha l'atteggiamento di rifiuto che noi cristiani o sacerdoti spesso mostriamo nei confronti dei non credenti.

Noi cristiani possiamo essere socialmente richiesti o sottovalutati, possiamo essere messi a tacere, ma un'opera d'arte non può essere messa a tacere, al massimo può essere tolta dal suo contesto. 

Quando un quadro sacro grida coerenza, rabbrividisce; non ti giudica, non ti guarda dall'alto in basso. E se lo trascurate può anche parlarvi del paradiso. Nelle cellule degli occhi di ogni uomo c'è una memoria ontologica che contiene informazioni sul nostro antico stato, che è il paradiso, il regno celeste. 

La mia generazione ha moltiplicato sempre più i luoghi in cui ci sentiamo amati: sempre più app di incontri, sempre più connessioni, sempre più lorazepam, ma sempre più solitudine. Con l'arte, all'interno di una persona si produce un'emozione estetica che la inocula profondamente e le fa ricordare che all'inizio vissuto in cielo; che il suo essere è fatto per non morire mai. E questa persona, malata di eternità, inizierà ad avere bisogno di dosi sempre più alte di bellezza finché Dio non la toccherà.

In un mondo dominato dai selfie di Instagram, come possiamo fare spazio all'arte sacra?

-Credo che l'arte sacra abbia un ruolo fondamentale nel nostro mondo. Vedo i miei amici non credenti riposare quando entrano in chiesa con me e vediamo l'arte sacra. Quante volte mi hanno detto: "Non c'è da stupirsi che gli antichi credessero quando vedevano questa bellezza"! Instagram sarebbe pieno di arte sacra se sapessimo come comunicare la bellezza artistica e morale della Chiesa alle nuove generazioni.

Un dipinto di Alija raffigurante San Giovanni Paolo II

Il turismo religioso in Spagna è una grande opportunità per le nostre diocesi di inviare cristiani che si formino in storia dell'arte e catechesi per insegnare la profonda saggezza dei templi. Per me questa è una delle sfide della Nuova Evangelizzazione, prima di lasciare che gli esperti uccidano la spiritualità, come sta per accadere con l'unico corso di canto gregoriano che si teneva in Spagna nella Valle dei Caduti.

Il mondo è stanco dell'arte vuoto. Dn realtà, vedo che c'è un revival culturale della vecchia avanguardia. Continuano ad allestire mostre coinvolgenti sui maestri del secolo scorso. La gente non vuole vedere le serigrafie di Warhol in 4K perché i dipinti sono sufficienti per noi, vuole vedere Sorolla, Van Gogh, ecc.

L'idolatria dell'artista nel nostro tempo è oggi sempre più sostenuta dalla qualità e dall'innovazione. È passato il tempo in cui tutto era considerato arte, anche nell'ambito dell'arte astratta. Incorporare le prestazioni nelle NFT, che oggi sono convalidate tecnicamente con certificati.

Anche nell'arte sacra, negli ultimi anni, ho potuto sperimentare una maggiore qualità e innovazione, forse proprio per lo stato di continua messa in pericolo in cui ci troviamo come artisti. Nelle nostre diocesi, gli sforzi, per la maggior parte, sono volti a preservare ciò che abbiamo. 

La maggior parte delle parrocchie di nuova costruzione sono adornate da immagini noiose e prodotte in serie, che funzionano perché sono il tipo di immagine che ci si aspetta, ma la realtà è che non producono alcun tipo di dialogo con la gente di oggi.

L'attuale problema dell'abuso dei social media ha molto a che fare con la mancanza di identità, e la mancanza di identità è anche una mancanza di espressione e di dialogo. Se non c'è un linguaggio visivo comune, un'estetica comune, non c'è un'espressione comune, e questo è un aspetto molto importante nella comunione della Chiesa. Senza dialogo è impossibile comunicare la bellezza. 

Oggi noi giovani cristiani vogliamo dialogare ed esprimerci con un linguaggio reale e umano, perché siamo consapevoli della sofferenza del peccato nella nostra vita e in quella dei nostri amici che non credono. Non vogliamo parlare solo a noi stessi. Ci sentiamo chiamati ad essere la missione di Dio, ed è per questo che la sfida del nostro secolo è quella di antropologico ed è anche identità. Senza un linguaggio fresco e personale, privo di ".archeologia"Non potremo esprimere la nostra fede, né evangelizzare, né chiamare gli esterni alla coerenza, ma nemmeno chiamare noi stessi alla coerenza con la nostra vita cristiana, noi che pensiamo di essere dentro".

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Risorse

L'anno liturgico, una spirale che porta a Cristo

La Conferenza episcopale spagnola ha pubblicato sul suo sito web il calendario liturgico 2022-2023. In questo articolo parliamo del significato dell'anno liturgico e delle feste solenni che celebreremo durante il prossimo anno.

Paloma López Campos-17 dicembre 2022-Tempo di lettura: 3 minuti

Ramón Navarro, direttore del segretariato della Commissione episcopale per la liturgia, ha scritto per Omnes una breve riflessione sull'anno liturgico e sulla sua importanza nella vita del cristiano. Trascriviamo di seguito il suo testo.

Che cos'è la liturgia?

La Commissione episcopale per la Liturgia spiegano che si tratta della "celebrazione del mistero della fede, che attualizza e rende presente nell'"oggi" della Chiesa la Storia della Salvezza, cioè il disegno d'amore di Dio per noi, che ha il suo centro e il suo culmine nella morte e nella risurrezione di Cristo, cioè nel suo Mistero Pasquale". Nella liturgia, quindi, celebriamo sempre il mistero pasquale di Cristo. Questo è avvenuto fin dall'inizio della storia della Chiesa, quando c'era solo la celebrazione della domenica, la Pasqua settimanale e il memoriale di Cristo risorto.

La "costruzione" dell'Anno liturgico

La nascita dell'Anno liturgico come lo conosciamo oggi è avvenuta gradualmente. A partire dalla celebrazione domenicale, "si svilupparono le diverse stagioni che gradualmente costituirono l'Anno Liturgico". Molto presto - ne abbiamo notizia già nel II secolo - una domenica all'anno si celebrava la Pasqua con grande solennità, e sorse la Pasqua annuale, che si sarebbe poi prolungata con uno spazio di immensa gioia per cinquanta giorni (il periodo pasquale) e più tardi, in relazione al catecumenato di coloro che dovevano essere battezzati a Pasqua, sorse la Quaresima come tempo di preparazione. Poi il Natale è stato introdotto come celebrazione della nascita del Signore, che è stata finalmente preparata dall'Avvento". L'Anno liturgico sarebbe inoltre "completato dalle celebrazioni della Vergine e dei Santi". 

La Liturgia è una risorsa molto arricchente per noi cristiani, perché "ci permette di celebrare tutto il mistero di Cristo, cioè il mistero di Cristo in tutta la sua ricchezza: senza mai perdere di vista la centralità della Pasqua, ma guardando ai diversi eventi della salvezza, cioè ai diversi "misteri" del Signore, approfondiamo l'insondabile ricchezza del Mistero di Cristo e vi partecipiamo". Immaginiamo una grande pietra preziosa con molte sfaccettature. Girando e guardando ciascuna delle sfaccettature - i "misteri" del Signore - non perdiamo di vista il centro: il mistero pasquale di Cristo morto e risorto.

"In questo modo, e attraverso i suoi elementi - la celebrazione dell'Eucaristia e dei sacramenti, la ricchezza della Parola di Dio proclamata, gli accenti di ciascuno dei tempi liturgici, il rapporto della Vergine e dei santi con il mistero di Cristo - guidati dallo Spirito Santo, l'Anno liturgico diventa una meravigliosa pedagogia attraverso la quale la Chiesa ci conduce a una più profonda conoscenza e partecipazione al mistero di Cristo. Il ciclo annuale non significa che torniamo all'inizio e ricominciamo da capo a ogni periodo di Avvento, con l'inizio del nuovo anno. Non pensiamo all'Anno liturgico come a un cerchio che ci riporta allo stesso punto, ma come a una spirale che ci conduce sempre più profondamente all'incontro con Cristo, rendendo la nostra vita un sacrificio gradito a Dio, unendoci al Signore.

Celebrazioni mobili 2022-2023

Di seguito sono elencate le celebrazioni mobili e i giorni festivi obbligatori in Spagna per l'anno accademico 2022-2023:

-Sagrada Familia: 30 dicembre 2022

-Battesimo del Signore: 8 gennaio 2023

-Mercoledì 22 febbraio 2023

-Domenica di Pasqua: 9 aprile 2023

-Ascensione del Signore: 21 maggio 2023

-Pentecoste: 28 maggio 2023

-Gesù Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote: 1° giugno 2023

-Festa della Santissima Trinità: 4 giugno 2023

-Corpo e Sangue di Cristo: 11 giugno 2023

-Sacro Cuore di Gesù: 16 giugno 2023

-Gesù Cristo Re dell'Universo: 26 novembre 2023

-Prima domenica di Avvento: 3 dicembre 2023

Giorni festivi obbligatori in Spagna

-Santa Maria, Madre di Dio: 1° gennaio

-Epifania del Signore: 6 gennaio

-San José: 19 marzo

-San Giacomo, apostolo: 25 luglio

-Assunzione della Beata Vergine Maria: 15 agosto

-Ognissanti: 1° novembre

-Immacolata Concezione: 8 dicembre

-Natività del Signore: 25 dicembre

Cultura

La Novena di Natale. Prepararsi alla venuta di Gesù in famiglia

L'usanza della Novena di Natale aiuta le famiglie a prepararsi più intensamente al Natale. Corina Dávalos, scrittrice ispano-ecuadoriana, ha pubblicato una bellissima Novena di Natale per bambini con l'obiettivo di diffondere questa devozione nel mondo di lingua spagnola e di adattarla al contesto culturale dei nostri tempi, ispirandosi ai testi del Papa emerito Benedetto XVI.

Maria José Atienza-16 dicembre 2022-Tempo di lettura: 3 minuti

Il 16 dicembre inizia la novena di Natale o novena de Aguinaldos, a seconda del Paese. Questa usanza è particolarmente diffusa in Ecuador, Colombia e Venezuela. Sebbene tutta la Chiesa si prepari alla Vigilia durante il periodo di Avvento, questa devozione aiuta le famiglie a prepararsi più intensamente al Natale. Ogni giorno, a partire dal 16 dicembre, le famiglie e gli amici più stretti si riuniscono nelle case di diversi padroni di casa per pregare la novena intorno al Presepe.

La preghiera della novena è molto semplice. Consiste in un momento di raccoglimento che inizia con una preghiera iniziale per ogni giorno, una riflessione seguita da un momento di silenzio per la meditazione personale. Poi, come avviene per la preghiera dei fedeli durante la Santa Messa, ognuno dei presenti è libero di fare una petizione o di esprimere il proprio ringraziamento ad alta voce. Infine, si recita una preghiera di chiusura per ogni giorno. E, naturalmente, il tutto è seguito dal canto delle canzoni tradizionali di ogni luogo.

La cosa più bella delle novene è, naturalmente, la presenza e la partecipazione dei bambini.

Di solito stanno il più vicino possibile al presepe e le loro suppliche e ringraziamenti sono una lezione di semplicità e fede per gli adulti. Dalle petizioni per la salute delle famiglie, per non essere picchiati a scuola, per i bambini che soffrono la fame, al ragazzo intelligente che chiede lumi per la madre per vedere se finalmente gli comprerà un cellulare. Nei piccoli semi del Signore c'è tutto.

È un'atmosfera di preghiera e di festa con cioccolata calda, dolci di stagione e risate di grandi e piccini. Per molti si tratta di una riunione con cugini, zii, fratelli e amici dopo essere stati lontani per lavoro o per studio. Perciò questi incontri hanno una componente accattivante ovunque si guardi.

La prima novena di Natale conosciuta risale al 1743, scritta dal sacerdote e frate ecuadoriano Fernando de Jesús Larrea. Originariamente la struttura della novena consisteva in una preghiera per tutti i giorni, considerazioni sul giorno, preghiera alla Beata Vergine, preghiera a San Giuseppe, gioie o Aspirazioni per la venuta di Gesù Bambino, preghiera a Gesù Bambino e preghiera finale. La prima novena stampata era di 52 pagine. Nel corso del tempo, sia la lunghezza che la struttura sono state ridotte per motivi pratici.

In Colombia, ad esempio, ogni giorno si legge un testo dei Vangeli o un salmo relativo alla venuta del Signore. Altre novene, come quella della scrittrice Teresa Crespo de Salvador o quella di padre Juan Martínez de Velasco, sono state molto popolari in Ecuador.

Il Novena di Natale di Corina Dávalos

Quest'anno, la scrittrice ispano-ecuadoriana Corina Dávalos ha pubblicato anche una novena di Natale per i bambini. Secondo l'autrice, il suo intento è stato quello di diffondere questa devozione nel mondo di lingua spagnola e di adattarla al contesto culturale dei nostri tempi, ispirandosi ai testi del Papa emerito Benedetto XVI. Con un linguaggio chiaro e accessibile ai bambini, non rinuncia alla profondità del messaggio cristiano, né all'emozione che la nascita di Gesù suscita.

Come si legge sul suo sito web (www.novenanavidad.com) è "una novena in preparazione al Natale, fatta per i bambini e anche per i non bambini, che vogliono ricevere Gesù Bambino con l'illusione dei piccoli".

Si è talmente adattato ai tempi che, oltre ad avere un proprio sito web, ha anche un'edizione Kindle, disponibile su Amazon. Inoltre, ha avuto due redattori molto esigenti, le nipoti Marina, di 5 anni, e Luisa, di 4, che hanno supervisionato l'editing passo dopo passo. "Ho scelto le immagini con loro, i testi sono passati attraverso la loro approvazione, il che mi ha aiutato molto a scegliere parole che capissero meglio o a spiegare concetti che non erano così chiari nei testi iniziali", dice Corina.

I testi possono essere antichi o contemporanei, possono seguire un passo del Vangelo o parlare delle virtù cristiane o approfondire il mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio. L'importante è prepararsi dentro, come famiglia, e arrivare con Maria e Giuseppe al presepe, con un'anima ben preparata a ricevere Gesù a Natale.

Vaticano

Papa FrancescoNessuno può salvarsi da solo": "Nessuno può salvarsi da solo".

Papa Francesco ha pubblicato un messaggio per la Giornata mondiale della pace, in cui parla della COVID-19 e ci invita a guardare indietro a ciò che abbiamo imparato.

Paloma López Campos-16 dicembre 2022-Tempo di lettura: 3 minuti

"Il COVID-19", dice il Papa, "ci ha travolti nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, rivoluzionando i nostri piani e le nostre abitudini, disturbando l'apparente tranquillità anche delle società più privilegiate, generando disorientamento e sofferenza, e causando la morte di tanti nostri fratelli e sorelle".

La pandemia ha avuto conseguenze inimmaginabili che hanno scosso il mondo intero. Questo ci fa capire che "raramente gli individui e la società riescono a progredire in situazioni che generano un tale senso di sconfitta e amarezza; ciò mina gli sforzi per la pace e provoca conflitti sociali, frustrazione e violenza di ogni tipo". In questo senso, la pandemia sembra aver scosso anche le parti più pacifiche del nostro mondo, facendo emergere innumerevoli carenze".

Ora che è passato un po' di tempo, il Papa ci invita a guardare indietro "per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare - personalmente e come comunità". È importante esaminare e interrogarsi: "Cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuove strade dobbiamo percorrere per liberarci dalle catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare il nuovo? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere il nostro mondo un posto migliore?".

Francesco, facendo anche una sua analisi, dice che "la lezione più grande che la COVID-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri; che il nostro tesoro più grande, sebbene anche il più fragile, è la fraternità umana, fondata sulla nostra comune filiazione divina, e che nessuno può essere salvato da solo". È quindi urgente cercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fraternità umana. Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma è diventata un'intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo l'auspicata garanzia di giustizia, armonia e pace. Nel nostro mondo frenetico, troppo spesso problemi diffusi di squilibrio, ingiustizia, povertà ed emarginazione alimentano disordini e conflitti, generando violenza e persino guerre".

Tuttavia, non tutto è negativo, il Pontefice afferma che "abbiamo fatto scoperte positive: un benefico ritorno all'umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un rinnovato senso di solidarietà che ci spinge a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e alle loro necessità; nonché un impegno, in alcuni casi davvero eroico, di tante persone che hanno dato se stesse perché tutti potessero meglio superare il dramma dell'emergenza".

La pandemia ci ha costretto a cercare l'unità. "È insieme, in fraternità e solidarietà, che possiamo costruire la pace, assicurare la giustizia e superare gli eventi più dolorosi". Infatti, le risposte più efficaci alla pandemia sono state quelle in cui gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private e organizzazioni internazionali si sono uniti per affrontare la sfida, mettendo da parte gli interessi particolari. Solo la pace che nasce dall'amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e globali.

Dopo la pandemia, non possiamo restare fermi, dice il Papa. Innanzitutto, dobbiamo "permettere a Dio di trasformare i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà attraverso questo momento storico". Ciò implica anche che "non possiamo cercare di proteggere solo noi stessi; è tempo che tutti noi ci impegniamo a curare la nostra società e il nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, che si impegni seriamente nella ricerca di un bene che sia veramente comune". In breve, "siamo chiamati ad affrontare le sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione".

Il messaggio del Papa si conclude con una prospettiva di speranza per il 2023. Così, il Santo Padre dice di sperare "che nel nuovo anno possiamo camminare insieme, facendo tesoro di ciò che la storia può insegnarci". Francesco conclude congratulandosi per l'anno e affidando il mondo intero alla Vergine Maria: "A tutti gli uomini e le donne di buona volontà auguro un anno felice, in cui possiate costruire la pace giorno per giorno, come artigiani. Maria Immacolata, Madre di Gesù e Regina della Pace, interceda per noi e per il mondo intero".

Esperienze

Un presepe vivente senza precedenti nel cuore di Roma

Domani a Roma si terrà la rappresentazione del Presepe Vivente di Roma, che riproporrà alcune delle scene più care del Natale.

Antonino Piccione-16 dicembre 2022-Tempo di lettura: 2 minuti

Un presepe vivente nel cuore di Roma, tra le basiliche di San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore, seguendo il percorso della processione. Corpus Domini. L'iniziativa si terrà sabato 17 dicembre 2022, a partire dalle 14.30, con personalità e delegazioni provenienti da varie parti d'Italia. Il presepe sarà allestito sulla spianata della Basilica di Santa Maria Maggiore, che ospita le reliquie della culla di Gesù Bambino e che era intitolata a Santa Maria del Presepe.

Al termine della rappresentazione, alle 17.00, si celebrerà la Novena in preparazione al Natale. Successivamente, il Cardinale Angelo De Donatis, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, presiederà la Celebrazione Eucaristica con la benedizione dei bambini.

Il "Presepe", come scrive il Santo Padre Francesco nella sua Lettera Apostolica Admirabile SignumIl messaggio del Santo Padre "suscita molto stupore e ci commuove perché mostra la tenerezza di Dio". Monsignor Rolandas Makrickas, Commissario straordinario della Basilica di Santa Maria Maggiore, spiega: "Lui, il Creatore dell'universo, è attento alla nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso per noi, ci affascina ancora di più quando vediamo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di tutta la vita.

La realizzazione del Presepe vivente, secondo un comunicato stampa della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore, è stata incoraggiata da Papa Francesco, che ha visto personalmente il progetto. La Basilica di Santa Maria Maggiore è molto cara al Papa, che l'ha visitata finora come Pontefice più di 100 volte, oltre a numerose visite precedenti.

"Lo sviluppo del Presepe vivente inizierà con la realizzazione della scena dell'approvazione della Regola francescana da parte di Papa Innocenzo III in Piazza San Giovanni Paolo II", sottolinea Fabrizio Mandorlini, coordinatore di Città dei CunaLe figure si sposteranno poi in Via Merulana per la scena del censimento e per rappresentare i momenti di vita della città di Betlemme. "Le figure si sposteranno poi in via Merulana per la scena del censimento e per rappresentare i momenti di vita della città di Betlemme, che vedranno in piazza Santa Maria Maggiore per l'installazione del mercato dei mestieri". Maria e Giuseppe durante il viaggio rivivranno i momenti dell'annuncio e del sogno e poi cercheranno un posto dove passare la notte, ma non troveranno posto nella locanda. Il presepe si svolgerà sotto il portico della Basilica di Santa Maria Maggiore". 

"Le scene saranno realizzate da chi realizza i presepi viventi toscani in paesi come Pescia, Equi Terme, Casole d'Elsa, Ruota e Legoli con il supporto dei figuranti di Badia San Savino, Ghivizzano, San Regolo a Gaiole in Chianti, Santa Colomba, Iolo, Castelfiorentino, Cerreto Guidi, Pontedera, Roffia, La Serra e San Romano. Ad essi si uniranno altre entità e associazioni di fedeli che desiderano condividere l'esperienza della Diocesi di Roma". Collaborano all'iniziativa la Coldiretti Nazionale, l'Associazione Italiana Allevatori, la Fondazione Symbola, le Acli Nazionali e numerose associazioni, parrocchie e movimenti della città di Roma. Il Presepe vivente sarà celebrato anche grazie alla collaborazione della Diocesi di Roma e al patrocinio del Comune di Roma.

L'autoreAntonino Piccione

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