Libri

Cantalamessa ci ricorda che le virtù vanno esercitate, non solo conosciute.

Ediciones Encuentro ha pubblicato "Fe, esperanza y caridad. Un itinerario verso Dio per il nostro tempo", del cardinale Raniero Cantalamessa.

Loreto Rios-13 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Ediciones Encuentro ha lanciato un nuovo libro Il cardinale Raniero Cantalamessa, frate francescano che dal 1980 è anche predicatore della Casa Pontificia, carica che dal 1753 può essere ricoperta solo da un frate dell'Ordine dei Frati Minori Cappuccini, incaricato di predicare nei giorni destinati al Papa e alla Curia Romana.

Fede, speranza e carità

AutoreRaniero Cantalamessa
EditorialeIncontro
Pagine: 232
Madrid: 2024

In questo libro, Cantalamessa approfondisce le tre virtù teologali: fede, speranza e carità, sottolineando che "la cosa più importante delle virtù teologali non è conoscerle, ma esercitarle". Il testo è scritto in modo divulgativo, in modo da essere accessibile a tutti, non solo agli esperti.

L'analisi delle virtù inizia con il Salmo 24, "Porte, alzate gli architravi", paragonando fede, speranza e carità a quelle porte che possiamo aprire a Cristo e che hanno due chiavi: una interna, nelle mani dell'uomo, e l'altra esterna, nelle mani di Dio.

Il predicatore della Casa Pontificia passa poi ad analizzare la fede, approfondendo temi di particolare rilevanza come il rapporto tra fede e ragione, fede e scienza o la "notte della fede". Una parte importante di questa sezione è dedicata alla fede di Maria, messa alla prova fino alla croce, "una replica del dramma di Abramo, ma molto più impegnativa!". Con Abramo, Dio si ferma all'ultimo momento, ma non con lei [...] Maria ha creduto contro ogni speranza" (p. 82).

In secondo luogo, il cardinale Cantalamessa analizza la virtù della speranza, una parola che, sorprendentemente, "è assente dalla predicazione di Gesù. I Vangeli riportano molti dei suoi discorsi sulla fede e sulla carità, ma nessuno sulla speranza" (p. 89). L'autore spiega poi il motivo di questa assenza.

Tra molti altri temi interessanti, tra cui alcune immagini che il cristianesimo ha utilizzato in passato per la speranza, come l'ancora o la vela, Cantalamessa ci ricorda che la grazia di Dio può rendere ogni situazione, anche la più disperata, un'occasione di bene. "La speranza ha bisogno della tribolazione per rafforzarsi. Ci vuole la morte dei motivi umani per sperare, uno dopo l'altro, perché emerga il vero motivo incrollabile, che è Dio" (p. 126).

Infine, il testo ci conduce alla carità, l'unica virtù eterna, poiché "la fede e la speranza finiranno con la nostra morte" (p. 107), mentre la carità, l'amore, rimarrà per sempre. In questa sezione vengono analizzati temi come la Trinità, l'Incarnazione, le radici attuali del nichilismo o come Gesù ha vissuto le virtù teologali.

Per saperne di più
Vaticano

"Nessuno deve essere lasciato indietro" sulla strada del paradiso, dice il Papa

Nella meditazione Regina Coeli, Papa Francesco ci ha incoraggiato a fissare lo sguardo sul Cielo e a essere consapevoli che "nessuno deve essere lasciato indietro" nel pellegrinaggio sulla Terra.

Paloma López Campos-12 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

In occasione della celebrazione del Ascensione del Signore In molti Paesi del mondo, Papa Francesco ha incentrato la sua meditazione domenicale sul cammino che Cristo traccia per la sua Chiesa.

"Il ritorno di Gesù al Padre", dice il Santo Padre, "si presenta a noi non come un allontanamento da noi, ma soprattutto come un modo di precederci verso la meta". Cristo "trascina con sé la sua Chiesa come una 'corda'" verso il cielo.

Il Pontefice sottolinea che è Gesù "che ci rivela e ci comunica, attraverso la sua Parola e la grazia dei sacramenti, la bellezza della Patria verso la quale stiamo camminando". Anche in questo modo, uniti insieme come corpo di Cristo, impariamo che "nessuno deve essere perso o lasciato indietro" in questo cammino verso il cielo.

Ma questo cammino non è un'astrazione. Francesco spiega i passi da compiere, che Cristo stesso indica nel Vangelo. I cristiani devono "compiere le opere dell'amore: dare la vita, portare la speranza, tenersi lontani da ogni male e meschinità, rispondere al male con il bene, essere vicini a coloro che soffrono".

Il Papa conclude con alcune domande per la riflessione personale: "È vivo in me il desiderio di Dio, del suo amore infinito, della sua vita che è vita eterna, o sono appiattito e ancorato alle cose effimere, al denaro, al successo, ai piaceri? E il mio desiderio di Paradiso mi isola, mi chiude, o mi porta ad amare i miei fratelli e sorelle con uno spirito grande e disinteressato, a sentirci compagni sulla strada del Paradiso?

Il Papa rinnova l'appello alla pace

Dopo la preghiera del Regina Coeli, il Pontefice ha insistito su una richiesta già avanzata in altre occasioni. Ha chiesto uno scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina e ha ribadito che è importante pregare per la pace in tutto il mondo.

Francesco ha anche menzionato il Giornata mondiale delle comunicazioniIl tema di quest'anno è l'intelligenza artificiale. Il Vescovo di Roma ha consigliato di "recuperare la saggezza del cuore" per trovare "una via di comunicazione veramente umana".

Infine, in occasione della Festa della Mamma, che si celebra domenica 12 maggio in diversi Paesi, si è congratulato con tutte le madri del mondo.

Per saperne di più
Vaticano

Il futuro dell'umanità (#BeHuman) appartiene ai bambini e agli anziani.

Al 2° Incontro Mondiale sulla Fraternità Umana, intitolato #BeHuman, Papa Francesco ha posto l'accento sul futuro dell'umanità "sui bambini e sugli anziani" e ha incoraggiato i partecipanti, tra cui molti premi Nobel, a tradurre in una "Carta dell'Umanità" e "la nostra comune umanità e fraternità".  

   

Francisco Otamendi-12 maggio 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Il secondo incontro mondiale sulla fraternità umana, all'insegna del motto #BeHuman, è in primo piano in Vaticano questo fine settimana. Il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza i partecipanti all'incontro, organizzato dalla Fondazione Fratelli tutti, sabato mattina, e ha partecipato anche alla tavola rotonda "Bambini, generazione del futuro", in cui ha posto il futuro dell'umanità nei bambini e negli anziani.

All'udienza, il Santo Padre ha detto. "Vi do il benvenuto e vi ringrazio per essere qui da molte parti del mondo per l'Incontro Mondiale sulla Fraternità Umana. Ringrazio la Fondazione Fratelli tutti, che si propone di promuovere i principi enunciati nell'enciclica, "per suscitare intorno alla Basilica di San Pietro e all'abbraccio del suo colonnato iniziative legate alla spiritualità, all'arte, all'educazione e al dialogo con il mondo" (Quirografo, 8 dicembre 2021).

Luther King: "Non abbiamo imparato l'arte di vivere insieme".

Il Papa ha poi sottolineato che "in un pianeta in fiamme, vi siete riuniti per riaffermare il vostro "no" alla guerra e il vostro "sì" alla pace, testimoniando l'umanità che ci unisce e ci fa riconoscere come fratelli, nel dono reciproco delle nostre rispettive differenze culturali".

"A questo proposito", ha ricordato Francesco alla presenza dei Premi Nobel per la Pace, "mi vengono in mente le parole di un famoso discorso di Martin Luther King, quando disse: 'Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli' (Martin Luther King, Discorso in occasione del conferimento del Premio Nobel per la Pace, 11 dicembre 1964). È così che stanno le cose.

"E allora ci chiediamo: come possiamo, concretamente, tornare all'arte di una
una convivenza veramente umana? Innanzitutto, il Papa è tornato "sull'atteggiamento chiave proposto in Fratelli tutti: la compassione, commentando la parabola del Buon Samaritano.

Riconoscere la nostra comune umanità

Ha poi esortato i presenti "a continuare nel vostro lavoro di semina silenziosa" alcune proposte, centrate sulla dignità della persona umana, per costruire buone politiche, basate sul principio di fraternità, che "ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all'uguaglianza" (Fratelli tutti, 103). Da essa può emergere una "Carta dell'umano", che comprende, oltre ai diritti, anche i comportamenti e le ragioni pratiche di ciò che ci rende più umani nella vita" (Fratelli tutti, 103).

Li ha anche incoraggiati "a far crescere questa spiritualità della fraternità e a promuovere, attraverso la vostra azione diplomatica, il ruolo degli organismi multilaterali". La guerra è un inganno, così come l'idea di sicurezza internazionale basata sulla deterrenza della paura.

"Per garantire una pace duratura, dobbiamo tornare al riconoscimento della nostra comune umanità e alla fraternità che è al centro della vita dei popoli. Solo così riusciremo a sviluppare un modello di convivenza capace di dare un futuro alla famiglia umana. La pace politica ha bisogno della pace dei cuori, affinché le persone possano incontrarsi con la fiducia che la vita trionfa sempre su ogni forma di morte", ha aggiunto.

"Dichiarazione della Fraternità dei bambini".

Il Papa è intervenuto anche alla tavola rotonda "Bambini, la generazione del futuro" nell'Aula Nuova del Sinodo della Città del Vaticano, e ha assicurato che "si pensa che il futuro dell'umanità sia negli adulti che possono fare questo, quello, quell'altro... Ma non è così. Il futuro dell'umanità è ai due estremi: è nei bambini e negli anziani.

"Quando i bambini incontrano i nonni. E questa è una cosa bellissima, e dobbiamo prenderci cura degli anziani, dei nonni e dei bambini", ha detto Francesco. "E questo sarà il futuro, perché i nonni ci danno la saggezza e i bambini imparano la saggezza dai nonni. I nonni hanno un passato che ci dà molto, i bambini hanno un futuro che riceve dal passato. Per questo penso che sia molto importante aiutare i bambini a crescere, a svilupparsi".

"Non è colpa dei bambini se c'è la guerra".

Nel corso della conversazione, il Pontefice ha sottolineato che "quando facciamo la pace, siamo felici" e ha evidenziato la necessità di "stare insieme: questo è vero, perché essere amici, giocare insieme, studiare insieme ci dà la felicità della comunità". [Ma se un bambino è da questa parte della guerra e un altro bambino è da questa parte della guerra - sentite la domanda - sono nemici?", ha chiesto. "Non è colpa loro se c'è la guerra".

Nel corso dell'evento, il Santo Padre e i bambini di tutto il mondo hanno letto la "Dichiarazione della Fraternità dei Bambini". L'evento fa parte della preparazione della Prima Giornata Mondiale dei Bambini, che si terrà il 25-26 maggio a Roma e in Vaticano, dove sono attesi più di 70.000 bambini e i loro accompagnatori allo Stadio Olimpico, come ha annunciato padre Enzo Fortunato, coordinatore dell'evento.

L'autoreFrancisco Otamendi

SOS reverendi

Conoscere lo stile di attaccamento

Esistono due tipi di attaccamento: sicuro e insicuro. In questo articolo analizziamo importanti chiavi di lettura per capire quale sia il nostro o quello della persona che accompagniamo.

Carlos Chiclana-12 maggio 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

L'attaccamento, come costrutto psicologico, è il modo in cui una persona si lega affettivamente agli altri. Si tratta principalmente della sicurezza di una persona in se stessa e nella relazione con gli altri. Si sviluppa nei primi anni di vita attraverso la relazione con i genitori, per poi essere arricchito, sfumato e modificato nell'interazione con altre persone (fratelli, insegnanti, allenatori, amici, compagni spirituali, ecc.

È salutare sviluppare un attaccamento sicuro durante la maturazione dall'infanzia all'adolescenza fino all'età adulta in una famiglia funzionale e strutturata con uno stile di accudimento che bilancia controllo, autorità, affetto e cura. La figura di attaccamento sana è disponibile a soddisfare i bisogni fisici ed emotivi del bambino, convalida le emozioni e insegna a regolarle. In questo modo, la persona comprende se stessa come una persona valida, che è amata da se stessa, impara a conoscere e a regolare le emozioni, acquisisce gli strumenti per prendersi cura di sé e per affrontare il mondo e le relazioni umane senza paura di essere abbandonata o sottomessa.

Per capirlo meglio, fate il seguente esercizio: chiudete gli occhi e immaginate una situazione di pericolo; poi considerate chi chiamereste per aiutarvi e che ha le seguenti caratteristiche: avete un legame profondo, vi aiuta a regolarvi emotivamente, nella relazione con quella persona trovate calma, organizzazione e forza. L'attaccamento sicuro sarebbe la rappresentazione interna di questo legame, che diventa una parte importante della personalità e permette di sentirsi capaci.

È stato studiato nella ricerca e sperimentato nella pratica clinica che le persone con attaccamento insicuro hanno maggiori probabilità di avere problemi con i comportamenti sessuali, le relazioni interpersonali e l'equilibrio emotivo. 

In modo schematico, si possono osservare quattro aree in cui si manifesta la persona con attaccamento sicuro: 1. ha una stima personale sana, coerente ed equilibrata; 2. ha relazioni affettive ricche, vivaci e ordinate; 3. risolve i conflitti in modo sereno, non li evita fuggendo né si impone in modo ostile; 4. comunica le sue emozioni e i suoi sentimenti, è a suo agio nell'intimità tra le persone.

Per le persone con attaccamento sicuro è relativamente facile essere emotivamente intimi con gli altri; si sentono a proprio agio quando sono parzialmente dipendenti o solidali con gli altri e quando gli altri sono dipendenti o solidali con loro; non si preoccupano se sono soli o se non sono accettati. Le persone con attaccamento insicuro, invece, hanno difficoltà a essere intime anche se lo desiderano, preferiscono non esserlo o non si sentono a proprio agio; non si fidano pienamente degli altri, hanno paura di essere feriti, abbandonati, sono eccessivamente dipendenti o dipendenti dagli altri. 

Questi stessi stili possono manifestarsi nel rapporto con le figure di autorità o nel rapporto con Dio, che possono vedere come premuroso e attento o come distante, timoroso o inaffidabile perché a volte c'è e a volte no.

Nell'accompagnamento spirituale potrete vedere come vi relazionate con Dio e con il vostro compagno. Se si sentono accettati e amati incondizionatamente, protetti, contenuti in modo stabile e prevedibile; oppure se proiettano su di loro ferite o brutte esperienze del passato che fanno vedere Dio come punitivo, controllante, ignorante dei loro bisogni o eccessivamente esigente. Tuttavia, la relazione con Dio e/o con il compagno può anche essere curativa per quelle esperienze negative precedenti e possono essere figure di attaccamento sane. 

Cosa potete fare come accompagnatori? Essere accessibile e disponibile. Essere un riferimento per la loro sicurezza e migliorare la loro sicurezza nei confronti di altre persone, favorire le loro relazioni interpersonali e l'approccio a situazioni non familiari. Essere sensibili ai loro bisogni, rispondere prontamente e occuparsi di loro in modo proporzionale alle loro esigenze. Validare le loro emozioni, avere una comunicazione affettiva equilibrata e mostrare stabilità emotiva. Siate accoglienti, date messaggi chiari e coerenti, non esprimete sempre la vostra opinione, lasciate perdere alcune questioni e riprendetele in seguito. Interessarsi sinceramente alle loro vicende, ascoltare senza scandalizzarsi ed evitare l'iperprotezione o l'abbandono.

Se personalmente percepite che avete bisogno di migliorare la vostra sicurezza personale nel modo in cui vi trattate, nel modo in cui vi relazionate con le altre persone o con Dio, è un buon momento per discuterne con il vostro compagno spirituale e/o per farvi aiutare da un professionista.

Per saperne di più
Iniziative

"In ritiro", un sito per trovare Dio

Il sito web Ritiro riunisce numerose attività, esercizi spirituali e adorazioni di diverse parrocchie e movimenti. Un portale perfetto per trovare il ritiro più adatto a voi.

Loreto Rios-11 maggio 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Il sito web Ritiro (www.deretiro.es) è il primo motore di ricerca di ritiri e attività parrocchiali in Spagna e conta attualmente circa 100.000 visite all'anno. Dietro questo portale c'è una coppia di coniugi sposati da più di vent'anni, Patricia e Santiago, che definiscono il progetto a Omnes spiegando che "... hanno un senso di appartenenza molto forte.Il sito web "De retiro" è un aggregatore di informazioni cattoliche sui ritiri e sulle attività delle parrocchie, delle diocesi e dei movimenti della Chiesa cattolica in Spagna. Fornisce al pubblico informazioni e recapiti in modo che ognuno possa contattare direttamente la parrocchia/il movimento che lo organizza.".

Ritiri in caso di pandemia

Durante il confino, molte persone hanno iniziato a prendere in considerazione la possibilità di partecipare a ritiri e di trovare un senso a ciò che stavano vivendo e alla loro fede. Come sottolineano gli stessi Patricia e Santiago a Omnes, il sito web Ritiro "È nato come risultato di Covid, le persone chiedevano ritiri nelle chat e le situazioni difficili che si vivevano rendevano le persone assetate di Dio. È nato così, per far conoscere gli ampi e variegati strumenti che la Chiesa cattolica in Spagna ha per avvicinare le persone a Dio e per metterli a portata di mano delle persone, sia di quelle che non hanno fede sia di quelle che hanno la fede sopita, in modo che possano trovare la risposta alle loro preoccupazioni in un unico luogo. E così riunire tutte le informazioni, riducendo l'attuale dispersione di informazioni.".

Patricia e Santiago, creatori di "De retiro".

In risposta a questa iniziativa, ci siamo chiesti quale sia stata la risposta degli utenti di internet, a cui i fondatori del sito rispondono che "c'è stata una grande richiesta di informazioni da parte delle persone, sia su Instagram che sul sito web. Abbiamo notato, con le visite sul sito web e su Instagram, l'interesse che c'è davvero per informarsi e iscriversi ai ritiri e alle attività.".

Progetti vari

I ritiri e le attività offerte Ritiro sono molto varie, non solo in termini di modalità ma anche di profilo delle persone a cui ogni iniziativa è rivolta. "In linea di massima"Patricia e Santiago sottolineano:"ci sono informazioni sui ritiri e sulle attività segmentate per età, dal post-comunione alla terza età, passando per i giovani, gli studenti universitari, i professionisti, gli adulti, i fidanzati, le coppie sposate... Ognuno può identificarsi con una fascia d'età o con un bisogno spirituale.".

Quello che ultimamente ha suscitato maggiore interesse, "visualizzazione delle statistiche web"I fondatori affermano: "sono i ritiri Emmaus, Bartimeo, Ephpheta e il progetto Married Love, insieme alle Cene Alpha.".

I primi, i ritiri Emmaus, sono un'iniziativa nata negli Stati Uniti, anche se già diffusa in Europa e in Spagna. Sono ritiri organizzati da laici. Durano un fine settimana e si possono fare una sola volta nella vita. I ritiri Bartimaeus, di cui parleremo più avanti, sono rivolti ai giovani, mentre Effetá si definisce sul suo sito web come "...".un ritiro cattolico per giovani il cui scopo è sperimentare un incontro personale con Dio. È un ritiro testimoniale ed esperienziale, organizzato da giovani che hanno conosciuto Dio e vogliono portarlo agli altri.".

Adolescenti e giovani

Più in dettaglio, esaminando ogni fascia d'età, Patricia e Santiago indicano che tra gli adolescenti i ritiri e le catechesi di Bartimeo hanno particolarmente successo. Lifeteen e Bordo. Ciò non sorprende, poiché Lifeteenun metodo di catechesi per adolescenti nato negli Stati Uniti, sta riscuotendo un grande successo tra i giovani, poiché combina la formazione cristiana con giochi, giochi di ruolo, attività e dinamiche diverse. Anche i ritiri Bartimeo, creati da laici della diocesi di Getafe sulla base dei ritiri Emmaus ed Ephpheta, sono in aumento e si rivolgono specificamente ai giovani tra i sedici e i diciassette anni; Tra gli studenti universitari e i giovani professionisti, suscitano particolare interesse i ritiri Hakuna, Effetá e Yios (un'iniziativa del Regnum Christi che approfondisce la catechesi sulla teologia del corpo di San Giovanni Paolo II), così come le Ore Sante Hakuna e le Cene Alpha.una serie di dieci cene gratuite a settimana"come indicato sul sito web RitiroQueste cene, in cui le persone che non fanno parte della Chiesa ma sono curiose di conoscere la fede cristiana, possono discutere e chiacchierare con i cristiani. Già milioni di persone hanno partecipato a queste cene, che si tengono in 169 Paesi del mondo. A queste cene, "si apre un dibattito sulla fede in cui è possibile porre liberamente qualsiasi domanda in merito, in un'atmosfera aperta e rilassata.", sottolinea Ritiro.

Ritiri per coppie di fidanzati e sposi

Per i fidanzati e le coppie sposate, Patricia e Santiago sottolineano che ora c'è la tendenza a frequentare il Proyecto Amor Conyugal (PAC), il master pre-matrimoniale per i fidanzati e il Pit Stop per le coppie sposate di Hakuna, il Fortalecimiento Matrimonial de Schoenstatt e progetti Filoiper gli sposi e Sponsorper le coppie sposate, da Regnum Christi.

Il Progetto Amore Coniugale è iniziato a Malaga nel 2002, ma si è diffuso in molte diocesi della Spagna. Si basa sulle catechesi di San Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo e dura un fine settimana. "Si tratta di lavorare su tre pilastri (fede, formazione e vita) per recuperare il progetto di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, che ha avuto inizio con la creazione dell'uomo e della donna e che mira alla santità.", spiegano in Ritiro.

Adulti e anziani

Tra gli adulti, le statistiche web rivelano un interesse speciale per i ritiri Emmaus, i Cursillos de Cristiandad, gli esercizi ignaziani in silenzio, il progetto Hakuna Senior e i Seminari Vita nello Spirito. In questa fascia d'età si segnalano anche le attività di formazione di Schoenstatt e di Hakuna, le preghiere di lode, le Ore Sante di Hakuna, le Cene Alpha, le iniziative di preghiera delle madri, i gruppi di vita ascendente per gli anziani e le attività di Comunione e Liberazione, tra le altre.

"La gente cerca Dio".

Un progetto come questo comporta sempre alcune sfide, ma anche momenti e frutti molto gratificanti. Secondo Patricia e Santiago, "Quello che ci risulta più difficile è ottenere i dati, perché sono disaggregati e non esiste un database di tutti. La cosa più bella è vedere come le persone cercano Dio, spesso la prima volta che mettono piede in una chiesa dopo anni è per iscriversi a un ritiro che hanno visto in precedenza sul web.".

Per saperne di più
Vaticano

Il forte discorso del Papa a favore della vita e della natalità

Papa Francesco ha tenuto venerdì un discorso in cui ha incoraggiato le persone a considerare la vita umana come un dono, non come un problema, e ha detto che il numero di nascite è il primo indicatore della speranza di un popolo. Senza bambini e giovani, un Paese perde la sua voglia di futuro, ha detto ai partecipanti agli Stati Generali della Nascita in Italia.    

Francisco Otamendi-10 maggio 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

"Ogni dono di un bambino, infatti, ci ricorda che Dio ha fiducia nell'umanità, come sottolinea il motto 'Esserci, più giovani, più futuro'", ha esordito il Santo Padre nel suo intervento alla quarta edizione del Tassi di natalità generali Il nostro 'esserci' non è frutto del caso: Dio ci ha voluti, ha un progetto grande e unico per ciascuno di noi".

In questa prospettiva, "è importante incontrarsi e lavorare insieme per promuovere la natalità con realismo, lungimiranza e coraggio", ha aggiunto il Pontefice, che ha scomposto questi tre concetti.

"Gli esseri umani non sono problemi".

In primo luogo, il "realismo". In passato non sono mancati studi e teorie che mettevano in guardia sul numero di abitanti della Terra, perché la nascita di troppi bambini avrebbe creato squilibri economici, mancanza di risorse e inquinamento. Mi ha sempre colpito il fatto che queste teorie, ormai superate e da tempo inattuali, parlassero degli esseri umani come se fossero dei problemi", ha riflettuto il Papa.

"All'origine dell'inquinamento e della fame nel mondo non ci sono i bambini che nascono, ma le decisioni di chi pensa solo a se stesso, il delirio di un materialismo sfrenato, di un consumismo che, come un virus maligno, erode alla radice l'esistenza delle persone e della società", ha affermato.

Con parole che suonano come quelle di San Paolo VI, Francesco ha sottolineato che "il problema non è quanti siamo nel mondo, ma che tipo di mondo stiamo costruendo; non sono i bambini, ma l'egoismo, che crea ingiustizie e strutture di peccato, fino a intrecciare interdipendenze malsane tra sistemi sociali, economici e politici".

L'impegno del governo per la famiglia

"No, il problema del nostro mondo non è che nascono bambini: sono l'egoismo, il consumismo e l'individualismo che rendono le persone sazie, sole e infelici. Il numero di nascite è il primo indicatore della speranza di un popolo. Senza bambini e giovani, un Paese perde la sua voglia di futuro", ha continuato Papa Francesco.

A questo proposito, il Santo Padre ha chiesto "un maggiore impegno da parte di tutti i governi, affinché le giovani generazioni possano realizzare i loro legittimi sogni. Si tratta di fare scelte serie ed efficaci a favore della famiglia. Ad esempio, mettere una madre in condizione di non dover scegliere tra il lavoro e la cura dei figli; oppure liberare molte giovani coppie dal peso della precarietà del lavoro e dall'impossibilità di acquistare una casa".

È importante anche "promuovere, a livello sociale, una cultura della generosità e della solidarietà intergenerazionale, rivedere abitudini e stili di vita, rinunciando al superfluo per dare ai più giovani una speranza per il domani, come accade in molte famiglie". 

Coraggio ai giovani

La terza parola è "coraggio", ha proseguito. "E qui mi rivolgo soprattutto ai giovani. So che per molti di voi il futuro può sembrare preoccupante, e che tra il calo delle nascite, le guerre, le pandemie e i cambiamenti climatici, non è facile mantenere viva la speranza. Ma non arrendetevi, abbiate fede, perché il domani non è qualcosa di ineluttabile: lo costruiamo insieme, e in questo "insieme" troviamo soprattutto il Signore".

"La sfida della natalità è una questione di speranza".

L'anno scorso, il Papa era presente anche all'incontro del Tassi di natalità generali. In un'intervista a Omnes, il suo promotore, Gianluigi De PaloUn patto globale per la nascita è una proposta che potrebbe essere discussa a livello internazionale", ha detto. De Palo ha anche ricordato alcune parole del discorso del Papa.

"La sfida della natalità è una questione di speranza. La speranza si nutre dell'impegno per il bene di ciascuno, cresce quando ci sentiamo partecipi e coinvolti nel dare un senso alla nostra vita e a quella degli altri. Nutrire la speranza è quindi un'azione sociale, intellettuale, artistica e politica nel senso più alto del termine; è mettere le proprie capacità e risorse al servizio del bene comune, è gettare i semi del futuro".

Le Dichiarazioni Generali di Nascita sono un iniziativa della Fondazione per la nascitae i loro incontri riuniscono numerose iniziative civili, aziende pubbliche, private e singoli individui intorno al problema demografico, che dovrebbe, a loro avviso, unire tutto il Paese a prescindere dalle scelte politiche o culturali.

Italia e il Vecchio Continente, "senza speranza per il domani".

Anche Papa Francesco ha fatto riferimento oggi al problema dell'Italia, che è il problema di molti paesi europei, come ha affrontato Omnes in più occasioni: "In Italia, ad esempio, l'età media è ormai di quarantasette anni e si continuano a battere nuovi record negativi. Purtroppo, se ci basassimo su questi dati, saremmo costretti ad affermare che l'Italia sta progressivamente perdendo la speranza nel domani, come il resto del mondo, il resto dell'Europa: il Vecchio Continente sta diventando sempre più vecchio, stanco e rassegnato, così impegnato a esorcizzare la solitudine e l'angoscia da non saper più assaporare, nella civiltà del dono, la vera bellezza della vita".

Un'opera di speranza

All'inizio del suo discorso, Papa Francesco si era rivolto a Gianluigi de Palo: "Grazie Gianluigi e a tutti coloro che lavorano per questa iniziativa. Sono felice di essere di nuovo con voi perché, come sapete, il tema del parto mi sta molto a cuore.

Concludendo, il Pontefice ha detto: "Come le mamme e i papà della Fondazione per il Parto, che ogni anno organizzano questo evento, questo lavoro di speranza ci aiuta a riflettere, e sta crescendo, coinvolgendo sempre più il mondo della politica, delle banche, dello sport, dello spettacolo e del giornalismo. Cari amici, grazie per quello che fate, grazie a tutti voi. Vi sono vicino e vi accompagno con la mia preghiera. E vi chiedo di non dimenticare di pregare per me.

L'autoreFrancisco Otamendi

Cultura

Due vite "cinematografiche" donate a Dio

Patricio Sánchez-Jáuregui-10 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Francesca Cabrini è stata la prima santa statunitense a essere canonizzata. La sua vita ha ispirato, tra gli altri, Santa Teresa di Calcutta. Il cardinale Stefan Wyszyński (1901-1981), figura chiave della storia recente della Polonia, è stato insignito del titolo di Primate di Polonia, nonostante le persecuzioni religiose subite nel Paese.

Una donna italiana

Alejandro Monteverde ("Sound of Freedom", "Little Boy", "Bella"), porta sui nostri schermi un'altra storia basata su eventi veri. Il film, uscito negli Stati Uniti venerdì 8 marzo, Giornata internazionale della donna, racconta la vita della religiosa italo-americana Francesca Cabrinia Immigrato italiano che arrivò a New York nel 1889 e fu accolta da malattie, criminalità e bambini impoveriti. Poco dopo, fondò la congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù.

Una donna italiana

DirettoreAlejandro Monteverde
Scrittura: Rod Barr
La storiaRod Barr, Alejandro Monteverde
Attori: Cristiana Dell' Anna, John Lithgow, David Morse
Piattaforma: Cinema

Canonizzato dalla Chiesa cattolica, Cabrini Questo film ripercorre la sua vita attraverso un dramma d'epoca che racconta la missione della santa di creare una casa e un ospedale per i meno abbienti. Costruendo un "impero della speranza" che il mondo non ha mai visto prima.

Il Primate di Polonia

La storia del cardinale Stefan Wyszynski è un dramma storico sulla lotta per la libertà, che fa da sfondo all'ascesa di Papa Giovanni Paolo II e alla caduta del comunismo in Europa.

Basato su eventi reali, "Il Primate di Polonia Descrive accuratamente l'esperienza delle generazioni polacche che hanno vissuto sotto la repressione sovietica e riporta alla luce la storia di una figura dimenticata ma molto importante, alla quale Giovanni Paolo II ha dedicato queste parole: "Non ci sarebbe nessun Papa polacco (...) se non fosse per la vostra fede, che non ha indietreggiato di fronte alla prigione e alla sofferenza"..

Un primate della Polonia

DirettoreMichał Kondrat
ScritturaKatarzyna Bogucka, Joanna Dudek, Karolina Slyk
AttoriSlawomir Grzymkowski, Adam Ferency, Marcin Tronski, Katarzyna Zawadzka
Piattaforma: Cinema
Risorse

Perché Maria è la Madre dei cristiani?

Fin dall'inizio del cristianesimo, Maria è stata considerata la Madre della Chiesa. Ella ci guida a scoprire veramente ciò che Gesù vuole da noi.

Emilio Liaño-10 maggio 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

Per secoli la Chiesa ha proposto la Vergine Maria come rifugio sicuro per i cristiani. La Chiesa non ha cambiato il suo approccio in tempi recenti, ma ultimamente la devozione a Maria è diminuita in alcuni Paesi che un tempo avevano una forte devozione mariana, con conseguenze che si notano in queste società.

Il cuore materno di Maria

Non è una verità sconosciuta che la Vergine Maria sia la madre di tutti i cristiani, come Gesù Cristo ce l'ha lasciata ai piedi della Croce. È una verità che molti conoscono ancora oggi, almeno teoricamente, con la riserva che potrebbe essere sempre più solo una verità teorica.

Il fatto che la Madonna sia nostra madre significa che possiamo comprendere il nostro rapporto con lei come quello delle madri. Abbiamo l'esempio di tante buone madri che si fanno in quattro per i loro figli e che ci permettono di capire cos'è la maternità: dare spazio a una nuova vita e proteggere quella vita al di sopra della propria. Questo è ciò che possiamo imparare da tante donne, è la maternità stessa di Maria, e non ci sono difetti nella sua vita senza peccato.

La Croce nella vita del cristiano

Non meno vera della maternità di Maria è la centralità della Croce nel cristianesimo. Sappiamo che Gesù Cristo è morto sulla croce per salvare l'umanità, ed è stato anche ampiamente accettato che questo disegno della croce è voluto anche per tutti i cristiani. Dio non vuole che i cristiani, salvo alcune eccezioni, passino attraverso il patibolo della croce, ma vuole che passiamo attraverso l'espiazione del dolore, dolore che è stato presente al massimo grado nella crocifissione di Gesù Cristo.

Poiché questo dolore fa parte del piano di Dio, possiamo pensare che Maria, nostra madre, accetti anche che noi soffriamo tutto questo dolore che, alla fine, è redentivo. Da qui è difficile capire come si combinino la tenerezza di Maria per noi e la sofferenza che dobbiamo attraversare per accedere a Dio. È certo che Maria accetta la nostra sofferenza sia perché ha origine in Dio, sia perché è causa di maggiore felicità per noi.

Dio non gioisce della sofferenza di nessuno e non la vuole mai per se stessa, ma solo come mezzo di espiazione verso qualcosa di migliore. Ciò si riflette nel fatto che la giustizia di Dio spesso si addolcisce quando scopre nell'uomo la rettifica della sua condotta, come il re Davide ebbe modo di sperimentare. Anche la Madonna cerca questa attenuazione della sofferenza nei suoi figli, anche se non elimina tutti i nostri dolori che, non invano, purificano il nostro cuore.

Il malessere del peccato

Tuttavia, non tutto il dolore è purificante. Il dolore, infatti, non rientrava nel piano originale di Dio per l'uomo ed è stato il peccato di Adamo ed Eva ad aprire questa scatola.

La porta del dolore nella nostra vita è il peccato, e il diavolo cerca di approfittare di questa conseguenza dolorosa iniettando pessimismo e disagio nella nostra vita.

In realtà, è il diavolo che vuole che soffriamo, non Dio. Dio vuole la sofferenza come mezzo, una volta che il peccato ha aperto la porta alla morte. Il diavolo, invece, vuole direttamente il nostro male, la nostra infelicità. Pertanto, quando apriamo il nostro cuore al peccato, lasciamo entrare la tristezza, l'infelicità e tutto ciò che ci addolora. È un peccato che portiamo volentieri nella nostra vita chi non ha intenzioni pacifiche nei nostri confronti.

La barriera protettiva del cuore di Maria

Di fronte a questa tragica situazione dell'uomo, che sceglie come amico qualcuno che non lo ama, il cuore di Maria si commuove per il fatto che siamo ancora suoi piccoli figli, anche se scegliamo liberamente la nostra situazione dolorosa. Ella conosce bene l'ignoranza e la debolezza del nostro cuore che non sa o non vuole stare nel bene.

L'allontanamento della nostra società da Dio è abbastanza evidente e l'abbondanza del peccato è seguita da tanta sofferenza che non riusciamo a eliminare nonostante la tecnologia, la scienza e il fatto che possiamo fare quello che vogliamo in totale libertà. Ecco perché colpiscono tanto le guerre, gli omicidi e le tensioni che si trasformano in insulti e violenza.

Maria vede i nostri cuori spezzati e non rimane indifferente. Non vuole che soffriamo per mano del nostro nemico, ma che abbiamo la vita abbondante che Dio ci ha dato con la sua morte in croce.

Maria viene a noi con l'intenzione di confortarci, di mettere pace dove c'è tensione e gioia dove c'è tristezza. Maria viene con sollecitudine per i suoi figli che piangiamo, ma non può fare nulla se noi disprezziamo il suo trattamento. La forza materna di Maria è impotente di fronte all'indifferenza del nostro libero egoismo.

Molti Paesi hanno goduto della speciale protezione materna di Maria, come nel caso della Spagna. In quel periodo, la Vergine ha agito limitando notevolmente le azioni del demonio. Egli agiva, ma la sua influenza e la sua capacità di provocare disagi erano contenute entro limiti che ci hanno salvato dalla disperazione dell'eternità e della nostra stessa vita.

Oggi, però, tanti non credono più, non solo in Dio, ma nemmeno nella felicità di questa vita. La morte viene celebrata come una conquista, come un diritto; come se morire fosse una vittoria. Vittoria su cosa? È difficile rispondere a questa domanda quando si crede che dopo la morte ci sia solo il nulla.

Purtroppo siamo arrivati a un punto molto sfortunato in cui consideriamo più positivo scomparire, andare nel nulla, dopo la nostra morte, che vivere eternamente felici. Il nulla (futuro) ci libera dal senso di colpa. Il cane è morto e la rabbia è finita. Credo che questo atteggiamento, piuttosto diffuso nella nostra società, sia un buon esempio della (scarsa) felicità di cui godiamo.

Maria, però, non ci lascia soli, indipendentemente da dove abbiamo voluto metterci, da quanto siamo lontani da Dio. Vuole la nostra felicità, che ci porta a una fortuna eterna. Il suo cuore soffre con le nostre angosce e, se glielo permettiamo, viene a curare le nostre ferite come una madre che non può vedere i suoi figli soffrire.

Il cuore di Maria è l'ambiente che Dio ha previsto per l'uomo in questa situazione di peccato in cui il dolore è inevitabile. Lei lo rende più sopportabile per noi e ci facilita nel vedere e accettare la salvezza che suo Figlio ci porta.

Il giusto orientamento verso Gesù

Maria, con il suo cuore materno, ci facilita la vita, appiana le difficoltà e porta la gioia e la pace di Dio nella nostra vita.

Ma ancor più che darci conforto nelle nostre vicissitudini, Maria ci mostra sempre chiaramente ciò che Dio vuole dai suoi figli.

Cosa si aspettava Gesù da sua madre? L'amore. L'amore tenero che una madre può dare al proprio figlio. Certamente Maria ha provveduto a fornire a Gesù cibo e vestiti e una casa piacevole, anche nelle circostanze più sfavorevoli come quelle di Betlemme. Maria ha adempiuto ai suoi doveri materni e si è occupata diligentemente di suo Figlio. Ma ciò che Gesù le ha chiesto più di ogni altra cosa è stato il suo amore, che ha compensato l'amore che noi creature non siamo state disposte a dargli.

Infatti, il cibo e le tante attenzioni erano la materializzazione del suo amore (il suo amore fatto carne). Quando queste cure materne non furono più possibili, o lo furono solo più sporadicamente, a Gesù non mancò mai l'amore di sua madre, perché questo amore cresceva nei dettagli quotidiani, ma anche nella lontananza della loro separazione.

Nostra Madre ci dà conforto nella nostra vita e, soprattutto, ci riorienta affinché sappiamo veramente ciò che Gesù vuole da noi. 

L'autoreEmilio Liaño

Per saperne di più
Vaticano

La speranza, al centro del Giubileo indetto dal Papa per il 2025

Il Santo Padre ha proclamato la Bolla di Convocazione del Giubileo del 2025 in San Pietro come occasione "per riaccendere la speranza", come San Paolo incoraggiava i cristiani di Roma. Il Giubileo ordinario inizierà a Roma il 24 dicembre di quest'anno e nelle diocesi domenica 29 dicembre, per concludersi nelle chiese particolari il 28 dicembre 2025 e a Roma il 6 gennaio 2026, giorno dell'Epifania.  

Francisco Otamendi-9 maggio 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

La Bolla di convocazione del Giubileo del 2025, che il Papa ha proclamato questo pomeriggio nella Basilica di San Pietro, nel Solennità dell'Ascensione del Signoresi intitola "Spes non confundit" (La speranza non confonde), parole tratte dalla Lettera ai Romani di Paolo (5,5).

Il Pontefice ha delegato la lettura di paragrafi significativi della Bolla di Anno Santo del 2025, a cui i fedeli si stanno preparando in questi mesi con un tempo speciale di preghieraLeonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia e decano del Collegio dei Protonotari Apostolici.

Al termine della lettura, Papa Francesco ha consegnato simbolicamente una copia della Bolla agli arcipreti delle basiliche romane, ai Pro-Prefetti del Dicastero per l'Evangelizzazione, l'Arcivescovo Fisiquella e il Cardinale Tagle, e al Segretario dello stesso Dicastero, mons.Nwachukwu, Segretario del Dicastero, in rappresentanza di tutti i Vescovi dell'Africa, e ai Prefetti dei Dicasteri per le Chiese Orientali e per i Vescovi, 

Pellegrini di speranza

"Spes non confundit", "la speranza non delude". "Sotto il segno della speranza l'apostolo Paolo incoraggiava la comunità cristiana di Roma. La speranza costituisce anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che secondo un'antica tradizione il Papa convoca ogni venticinque anni", inizia il testo della Bolla datata da Papa Francesco in San Giovanni in Laterano il 9 maggio 2024, solennità dell'Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo, la dodicesima del Pontificato. 

"Penso a tutti i pellegrini della speranza che verranno a Roma per vivere l'Anno Santo e a coloro che, non potendo venire nella città degli Apostoli Pietro e Paolo, lo celebreranno nelle loro Chiese particolari", ha detto. "Che sia per tutti un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, la "porta" della salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Colui che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti come "la nostra speranza" (1 Tim 1,1)". 

Eventi precedenti

Il Papa prosegue affermando che "l'Anno Santo 2025 si pone in continuità con i precedenti eventi di grazia. Durante l'ultimo Giubileo ordinario è stata varcata la soglia del bimillenario della nascita di Gesù Cristo. Poi, il 13 marzo 2015, ho indetto un Giubileo straordinario con lo scopo di manifestare e facilitare l'incontro con il "Volto della misericordia di Dio", annuncio centrale del Vangelo per tutti gli uomini di tutti i tempi". 

Nuovo Giubileo: un itinerario segnato da tappe importanti

"È giunto il momento di un nuovo Giubileo, per spalancare nuovamente la Porta Santa e offrire l'esperienza viva dell'amore di Dio, che fa nascere nel cuore la speranza sicura della salvezza in Cristo. 

Allo stesso tempo, questo Anno Santo indicherà il cammino verso un altro anniversario fondamentale per tutti i cristiani: nel 2033 celebreremo il bimillenario della Redenzione compiuta attraverso la passione, la morte e la risurrezione del Signore Gesù", sottolinea il Pontefice,

Apertura delle Porte Sante: 7 date chiave

"Siamo dunque di fronte a un itinerario segnato da grandi tappe, in cui la grazia di Dio precede e accompagna il popolo che cammina con entusiasmo nella fede, con diligenza nella carità e con perseveranza nella speranza", ha proseguito. "Sostenuto da questa lunga tradizione e con la certezza che questo Anno giubilare sarà per tutta la Chiesa un'intensa esperienza di grazia e di speranza, mi dispongo":

1) che la Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano venga aperta il 24 dicembre 2024, dando così inizio al Giubileo Ordinario.

2) la domenica successiva, 29 dicembre 2024, aprirò la Porta Santa della Cattedrale di San Giovanni in Laterano, che il 9 novembre di quest'anno celebrerà il 1700° anniversario della sua dedicazione. 

3) Poi, il 1° gennaio 2025, solennità di Maria, Madre di Dio, verrà aperta la Porta Santa della Basilica Papale di Santa Maria Maggiore. 

4) Infine, domenica 5 gennaio, verrà aperta la Porta Santa della Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura. Queste ultime tre Porte Sante saranno chiuse domenica 28 dicembre dello stesso anno". 

Nelle diocesi: 29 dicembre 2024

5) "Stabilisco inoltre che domenica 29 dicembre 2024, in tutte le cattedrali e le concattedrali, i vescovi diocesani celebrino l'Eucaristia come solenne apertura dell'Anno giubilare, secondo il Rituale da preparare per l'occasione. Nel caso della celebrazione in una chiesa concattedrale, il vescovo può essere sostituito da un delegato appositamente nominato. 

Il pellegrinaggio da una chiesa scelta per la collectio alla cattedrale sia segno del cammino di speranza che, illuminato dalla Parola di Dio, unisce i credenti. Durante questo pellegrinaggio saranno letti brani del presente Documento e sarà annunciata al popolo l'indulgenza giubilare, ottenibile secondo le prescrizioni contenute nello stesso Rituale per la celebrazione del Giubileo nelle Chiese particolari. 

6) Durante l'Anno Santo, che nelle Chiese particolari si concluderà domenica 28 dicembre 2025, occorre fare in modo che il popolo di Dio accolga con piena partecipazione sia l'annuncio della speranza della grazia di Dio sia i segni che ne testimoniano l'efficacia. 

7) Il Giubileo ordinario si concluderà con la chiusura della Porta Santa della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano il 6 gennaio 2026, Epifania del Signore. Che la luce della speranza cristiana raggiunga tutti gli uomini, come messaggio dell'amore di Dio per tutti. E che la Chiesa sia testimone fedele di questo annuncio in ogni parte del mondo".

"Per tutti un'occasione per far rinascere la speranza".

"Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona c'è la speranza come desiderio e attesa del bene, anche se non sappiamo cosa ci riserverà il domani. Tuttavia, l'imprevedibilità del futuro dà spesso origine a sentimenti contrastanti: dalla fiducia alla paura, dalla serenità allo scoraggiamento, dalla certezza al dubbio. Spesso incontriamo persone scoraggiate, che guardano al futuro con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse dare loro la felicità.

"Il Giubileo sia per tutti un'occasione per riaccendere la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni. Lasciamoci guidare da ciò che l'apostolo Paolo scrisse proprio ai cristiani di Roma", ha detto Francesco.

Pace, vita, poveri, prigionieri, migranti, anziani, giovani, Nicea...

Il Papa scrive nella Bolla che "oltre a raggiungere la speranza che la grazia di Dio ci dona, siamo anche chiamati a riscoprirla nei segni dei tempi che il Signore ci offre". [E "i segni dei tempi, che contengono l'anelito del cuore umano bisognoso della presenza salvifica di Dio, devono essere trasformati in segni di speranza". 

Alcuni segni di speranza indicati dal Santo Padre nella Bolla di indizione del Giubileo sono la pace per il mondo, l'apertura alla vita, l'attenzione ai poveri, ai carcerati, ai migranti o agli anziani, le iniziative per i giovani, o il 1. 700° anniversario del Concilio di Nicea, che "rappresenta un invito a tutte le Chiese e comunità ecclesiali a proseguire il cammino verso l'unità visibile, a non stancarsi mai di cercare i modi adeguati per corrispondere pienamente alla preghiera del Signore.700° anniversario del Concilio di Nicea, che "rappresenta un invito a tutte le Chiese e comunità ecclesiali a proseguire il cammino verso l'unità visibile, a non stancarsi mai di cercare le vie adatte per corrispondere pienamente alla preghiera di Gesù: "Perché tutti siano una cosa sola: come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi una cosa sola in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato"".

Il fondamento della nostra speranza

In un altro punto, il Papa riflette sul fatto che "Gesù morto e risorto è il centro della nostra fede. [Cristo è morto, è stato sepolto, è risorto, è apparso. Per noi è passato attraverso il dramma della morte", e afferma che "la speranza trova la sua più alta testimonianza nella Madre di Dio. In lei vediamo che la speranza non è un futile ottimismo, ma un dono di grazia nel realismo della vita".

Infine, il Santo Padre ci incoraggia a "lasciarci attrarre d'ora in poi dalla speranza e a permettere che essa sia contagiosa attraverso di noi a tutti coloro che la desiderano. Che la forza di questa speranza riempia il nostro presente nella fiduciosa attesa della venuta di Nostro Signore Gesù Cristo, al quale sia lode e gloria ora e nei secoli a venire".

L'autoreFrancisco Otamendi

Educazione

La Pontificia Università della Santa Croce ha un nuovo Rettore

Il nuovo rettore, Fernando Puig, decano della Facoltà di Diritto canonico della PUSC, entrerà in carica il 1° ottobre 2024.

Loreto Rios-9 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Monsignor Fernando Ocáriz, Prelato dell'Opus Dei e Gran Cancelliere dell'Opus Dei Pontificia Università della Santa Crocefondata dal Beato Alvaro del Portillo nel 1984, ha nominato un nuovo rettore per il prossimo quadriennio 2024-2028, con la conferma del Dicastero per la Cultura e l'Educazione.

L'insediamento del nuovo rettore, Fernando Puig, professore di Diritto dell'organizzazione e del governo della Chiesa, avverrà all'inizio del prossimo anno accademico, il 1° ottobre 2024, data in cui ricorrerà anche il 40° anniversario della fondazione dell'università e il pensionamento dell'attuale rettore, il professor Luis Navarro, in carica dal 2016.

La comunità accademica ha voluto esprimere la propria gratitudine a Luis Navarro per gli anni dedicati alla Pontificia Università della Santa Croce, sottolineando che "durante i suoi due mandati di rettore [...] è stato avviato un processo di riforma dell'organizzazione interna, professionalizzando diverse procedure di lavoro; sono state messe in atto misure economiche e finanziarie per garantire la sostenibilità. Negli ultimi anni è stato dato nuovo impulso anche alla ricerca, attraverso la creazione di progetti interdisciplinari e interuniversitari che coinvolgono studiosi e ricercatori di varie università del mondo".

Il rettore Luis Navarro ©Gianni Proietti

L'università ha anche ricordato che "un'occasione di particolare rilevanza" durante il suo mandato "è stata l'udienza concessa dal Papa stesso agli studenti delle Università Pontificie di Roma, che ha avuto luogo il 25 febbraio 2023, durante la quale il professor Navarro ha avuto l'opportunità di rivolgersi al Papa a nome dei presenti".

Il professor Fernando Puig, originario di Terrassa (Spagna) e sacerdote dell'Opus Dei dal 2004, ha conseguito il dottorato in Giurisprudenza presso l'Università di Barcellona e l'Università di Girona e il dottorato in Diritto canonico e Teologia dogmatica presso la Pontificia Università della Santa Croce.

Per saperne di più
Mondo

Fraternità senza confini, Roma ospita il nuovo summit globale #BeHuman

Dal 10 all'11 maggio si svolgerà infatti la nuova edizione del World Meeting on Human Fraternity #BeHuman, un evento di incontro e riflessione organizzato dalla Fondazione Fratelli Tutti

Giovanni Tridente-9 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Per il secondo anno consecutivo, Roma si appresta a diventare la capitale mondiale della fratellanza tra i popoli. Dal 10 all'11 maggio si svolgerà infatti la nuova edizione del World Meeting on Human Fraternity #BeHuman, un evento di incontro e riflessione organizzato dalla Fondazione Fratelli Tutti, di cui è Presidente il Cardinale Mauro Gambetti, Arciprete della Basilica Papale di San Pietro e Vicario di Sua Santità per la Città del Vaticano.

L’iniziativa, intitolata Idee e incontri per la fraternità. Costruiamo insieme un mondo di pace, ha come sempre l'obiettivo di edificare un nuovo umanesimo basato sui valori della solidarietà e dell'amicizia sociale. Un nutrito gruppo di personalità di fama internazionale confluirà nella Città Eterna per confrontarsi e elaborare proposte concrete attorno al tema unificante della fraternità universale. Oltre a 30 vincitori del Premio Nobel per la Pace, tra cui Maria Ressa, Rigoberta Menchú e Muhammad Yunus, saranno presenti numerosi altri ospiti di rilievo.

Dai vertici di organizzazioni internazionali come l'Unione Africana e le Nazioni Unite, ai leader del mondo economico, accademico, scientifico e della società civile. Un grande villaggio globale radunato attorno a 12 tavoli tematici disseminati tra Roma e Città del Vaticano.

Fraternità concreta

Si parlerà di pace, sviluppo sostenibile, economia sociale, educazione, sport, salute, lavoro dignitoso e tanti altri temi connessi al bene comune dell'umanità. Con un unico grande interrogativo di fondo: come realizzare concretamente quell'ideale di fraternità a cui Papa Francesco ha più volte richiamato?

Il programma prevede sessioni plenarie, workshop, eventi culturali e momenti di spiritualità. Tra i momenti clou, l'udienza con il Santo Padre presso il Palazzo Apostolico e l'incontro dei Premi Nobel con il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, al Palazzo del Quirinale. Speakers di rilievo saranno inoltre il Sindaco di New York Eric Adams, l'economista Jeffrey Sachs, l’allenatore della Nazionale Italiana di calcio Luciano Spalletti e il CEO di Fiat Olivier François.

L'evento di chiusura si svolgerà presso il Portico della Basilica San Pietro, con la partecipazione di artisti quali il compositore Giovanni Allevi, il cantautore Roberto Vecchioni e la star country statunitense Garth Brooks.

Un patto mondiale

Non è la prima volta che Roma ospita un festival di questo tipo ispirato all'enciclica "...".Fratelli tutti". Nel giugno 2023 è stata firmata anche la "Dichiarazione di Roma", atto costitutivo dell'omonima Fondazione voluta dal Papa per promuovere la fraternità ovunque.

L'edizione 2024 rappresenta un passo ulteriore in quella direzione, con l'ambizioso obiettivo di gettare le basi per un vero e proprio Patto Mondiale sulla Fratellanza da sottoscrivere in occasione del Giubileo del 2025.

L'autoreGiovanni Tridente

Per saperne di più

L'ultima trincea della libertà

Una coscienza ben formata è l'ultima e definitiva trincea che dobbiamo difendere nella battaglia per la libertà. Una coscienza che, nel caso dei cristiani, è plasmata dalla mente e dai sentimenti di Cristo.

9 maggio 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Nel film Origine (InceptionIl regista del film, Christopher Nolan, propone una trama suggestiva in cui i protagonisti entrano nei sogni delle persone per modificare il loro comportamento e indurle ad agire in un certo modo. La tesi è molto interessante e solleva il problema della libertà: fino a che punto siamo liberi nelle nostre decisioni? Quanto c'è di induzione in ciò che facciamo? Fino a che punto lavora il subconscio e fino a che punto lavora la nostra coscienza quando si tratta di agire?

Il potere della pubblicità subliminale e la sua influenza nel campo delle vendite sono stati dimostrati. Infatti, in diversi Paesi esiste una legislazione che la vieta in difesa dei diritti dei bambini. E siamo tutti consapevoli delle molte decisioni impulsive e non riflesse che prendiamo nella nostra vita quotidiana. Nulla di tutto ciò ci sorprende.

Ma questo fenomeno ha fatto un salto di qualità con l'avvento di Internet e dei Big Data, in cui le aziende possono tracciare le nostre interazioni con la rete e ottenere molti dei nostri dati, compresi alcuni di cui non siamo consapevoli. Tra l'altro perché, anche se siamo attenti e non forniamo dati personali, tutti coloro con cui interagiamo forniscono informazioni su di noi, che lo vogliamo o meno. È facile riconoscerlo nella pubblicità altamente personalizzata che ci raggiunge non appena apriamo un sito web o nelle notizie che dovrebbero interessarci selezionate personalmente dagli algoritmi di Google.

La finzione del film Origine non si rende conto di quanto possiamo essere manipolabili. Il problema non è solo che hanno tutti i nostri dati e quindi sanno esattamente come la pensiamo o anche per quale partito politico voteremo alle prossime elezioni prima ancora che abbiamo deciso. Loro lo sanno. Ma così come usano questa conoscenza per indurci ad acquistare determinati prodotti, in tutti gli altri settori della vita possono anche influenzarci a pensare e ad agire nella direzione voluta da altre persone.

Ecco perché l'ultima trincea della nostra libertà è nella nostra coscienza.

Questo è radicalmente importante per noi come cristiani.

Un cristiano è plasmato da Cristo. Come direbbe San Paolo, ha gli stessi pensieri e sentimenti di Cristo. Vede il mondo e agisce sulla base dei valori del Vangelo, che non sono qualcosa di astratto, ma sono incarnati in Gesù di Nazareth. E, come è sempre stato, questo modo di intendere la vita è radicalmente diverso da quello che il mondo propone. Molti dei nostri fratelli e sorelle hanno dato la vita, e molti continuano a darla, per non tradire questi principi. Sono i martiri che sapevano che bisognava obbedire a Dio prima che agli uomini, per quanto potenti essi fossero.

Ma cosa succede se qualcuno che vuole farvi pensare in un certo modo può entrare nella vostra mente e farvi credere che i suoi pensieri siano i vostri? Come fate a distinguere i sogni dalla realtà? Come fate a distinguere i vostri desideri da quelli inseriti dal vostro cellulare?

Perché il cellulare ha smesso di essere un semplice dispositivo che ci permette di comunicare con altre persone ed è molto di più di un dispositivo con varie applicazioni utili per la nostra vita. È diventato letteralmente la nostra memoria - chi ha bisogno di imparare i dati se sono tutti in rete?, è il luogo delle nostre relazioni - è il luogo in cui viviamo e ci interconnettiamo l'un l'altro - e anche la nostra intelligenza è stata esternalizzata - perché fare uno sforzo se può fare il nostro lavoro ChatGPT?

Molti sognano un chip inserito nel nostro cervello che ci permetta di fare tutto questo senza la necessità di avere il dispositivo all'esterno, ma la realtà è che stiamo già funzionando con il cellulare e tutte le sue applicazioni come parte esternalizzata del nostro essere.

Ecco perché la battaglia per la libertà si combatte dentro di noi. Abbiamo aperto la porta attraverso la quale possono entrare nei nostri pensieri, nei nostri sogni, nei nostri desideri. E, come nel film di Nolan, finiamo per pensare che siano proprio i nostri ad essere entrati nella nostra testa quando abbiamo abbassato la guardia. Ecco perché una coscienza ben formata è l'ultima trincea, quella definitiva, che dobbiamo difendere nella battaglia per la libertà. Una coscienza che, nel caso dei cristiani, è plasmata dalla mente e dai sentimenti di Cristo.

Dobbiamo essere consapevoli della sfida che abbiamo come educatori e dotare, soprattutto i nostri giovani, di una coscienza retta, di una vita spirituale profonda e di virtù che plasmino tutto il loro essere. Solo così saranno in grado di navigare nel mare tempestoso offerto da Internet senza naufragare.

L'autoreJavier Segura

Delegato all'insegnamento nella diocesi di Getafe dall'anno accademico 2010-2011, ha precedentemente svolto questo servizio nell'arcivescovado di Pamplona e Tudela per sette anni (2003-2009). Attualmente combina questo lavoro con la sua dedizione alla pastorale giovanile, dirigendo l'Associazione Pubblica dei Fedeli "Milicia de Santa María" e l'associazione educativa "VEN Y VERÁS". EDUCACIÓN", di cui è presidente.

Vangelo

Libertà umana. Settima domenica di Pasqua (B)

Joseph Evans commenta le letture della domenica di Pasqua VII.

Giuseppe Evans-9 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

La Chiesa dovrà sempre affrontare l'ostilità del mondo e l'infedeltà di alcuni dei suoi membri. Sono realtà dure, ma dobbiamo affrontarle e Gesù ci mette in guardia nel Vangelo di oggi. Ricordando il tradimento di Giuda, Gesù prega per la fedeltà dei futuri discepoli, ma non ci nasconde quello che chiama "l'odio" del mondo. "Ho dato loro la tua parola"pregare il Padre".e il mondo li ha odiati perché non sono del mondo, come io non sono del mondo.". 

La prima lettura affronta temi simili. Dopo la Risurrezione, Pietro, come primo Papa, vede la necessità di completare il numero dei Dodici dopo il tradimento e il suicidio di Giuda. Questo era stato predetto nelle Scritture, dice, così come Gesù nel Vangelo, anche se chiarisce che questo non giustifica Giuda. Non era uno strumento cieco del destino. Ha agito liberamente. "Nessuno è andato perduto, se non il figlio della perdizione, affinché si adempisse la Scrittura.". Giuda avrebbe potuto essere un figlio di Dio. Si è fatto figlio della perdizione, un figlio condannato all'inferno. Quindi, la prescienza di Dio sul peccato umano non significa che ci provochi o ci costringa a commetterlo. I genitori lo capiscono perfettamente: conoscendo così bene i loro figli, possono intuire come reagiranno in determinate circostanze. Ma non li costringono a farlo. L'unica differenza tra noi e Dio è che mentre noi possiamo solo intuire, Lui sa.

Così Cristo, come Dio, prevede la resistenza del mondo e le defezioni all'interno della Chiesa. Questa è la triste storia dell'umanità. Triste ma non tragica. Innanzitutto perché gli esseri umani continuano a esercitare la libertà. Non è un destino pagano in cui siamo condannati in anticipo. Sono le nostre azioni a decidere il nostro destino. Poi, perché, in ultima analisi, se lo vogliamo, apparteniamo a Dio: "Non sono del mondo, così come io non sono del mondo.". E in terzo luogo, perché Cristo ci ha fatto il dono della verità: "Santificali nella verità; la tua parola è verità.". Cristo non chiede al Padre di allontanare i suoi discepoli dal mondo - anzi, ci ha mandati a lui - ma solo che "... siamo mandati a lui".li preservi dal maligno". Sì, ostilità dall'esterno e defezioni dall'interno, ma anche le realtà più grandi della nostra libertà, della nostra appartenenza a Dio e della sua protezione, e il dono della verità. Ecco perché, nonostante tutto, Gesù può pregare per i suoi discepoli affinché "... possano essere liberi...".hanno in sé la mia gioia soddisfatta".

Spagna

35 punti da scoprire sul caso Cuatrecasas-Martínez

Il caso Cuatrecasas-Martínez può essere compreso attraverso 35 punti chiave che spiegano cosa è successo dal 2010 a oggi.

Francisco Otamendi-8 maggio 2024-Tempo di lettura: 10 minuti

L'ex insegnante della scuola Gaztelueta di Leioa (Bizkaia), José María Martínez, ha affrontato dal 2010 un processo per pederastia avviato dall'alunno Juan Cuatrecasas Cuevas e dalla sua famiglia presso il Tribunale provinciale di Bizkaia, che si è concluso con una condanna a due anni da parte della Corte suprema. Parallelamente, la Santa Sede ha chiuso il suo caso nel 2015 per mancanza di prove, anche se è stato riaperto un nuovo processo canonico. Ora, l'ex insegnante ha citato in giudizio il vescovo responsabile di questo processo.

1) José María Martínez Sanz è stato il tutore dell'alunno Juan Cuatrecasas Cuevas tra il 2008 e il 2010, anno in cui ha lasciato la scuola senza che fosse emersa alcuna accusa di abuso. Secondo le fonti legali, Martínez Sanz è un membro laico numerario dell'Opus Dei.

2) Il professor Martínez sostiene nel suo blog che il suo studente Juan Cuatrecasas aveva "una salute cagionevole fin da bambino. [...]. Non lo conoscevo ancora". Ricorda anche che "quando ho iniziato a insegnargli, le sue assenze si sono ripetute in molte occasioni durante il primo trimestre" e "nelle classi elementari mancava spesso alle lezioni a causa di un malessere generale", aggiunge il tutor.

3) Tuttavia, nel processo che si è svolto anni dopo presso il Tribunale Provinciale di Bizkaia, non è stato preso in considerazione lo stato di salute del minore da prima dell'anno scolastico 2008/2009, né l'eventuale assenteismo, "negato dall'accusatore", Juan Cuatrecasas, "e dai suoi genitori", e "ripetutamente sostenuto dalla difesa" (José María Martínez), "e da numerosi testimoni".

4) Quando lo studente Juan Cuatrecasas fu operato di appendicite all'Ospedale Cruces, il 1° dicembre, l'allora insegnante e tutor si recò a visitarlo insieme a due suoi colleghi, e dichiara nella sua blog che "sia lui che la famiglia furono grati per il gesto e fu l'inizio di quello che pensavo fosse un rapporto cordiale. Infatti, mi hanno invitato a mangiare a casa loro un paio di volte". Nella sua nuova scuola, Cuatrecasas ha mostrato nuovamente sintomi simili a quelli che aveva nella 1ª ESO e negli anni precedenti, aggiunge l'ex insegnante.

5) Anni dopo, lo stesso figlio di Juan Cuatrecasas "ha dichiarato pubblicamente di essere stato molto cattivo" (Diario Vasco, 5-10-2018); e "suo padre ha anche spiegato in un'intervista a Radio Euskadi nel gennaio 2013 che non raccontava le cose da un giorno all'altro, ma che sua moglie aveva 'tirato il filo' per mesi. In ogni caso, quello che posso giurare è che sono innocente di ciò di cui sono accusato", ha scritto José María Martínez.

Le accuse iniziano

5) Nel giugno 2011, i genitori di Juan Cuatrecasas si sono recati nella scuola del professor Martínez-Sanz, secondo quanto dichiarato da quest'ultimo, per "denunciare il bullismo informatico [attraverso la rete Tuenti] e altri precedenti, personali, durante gli anni scolastici 2008-2010, di cui, secondo quanto hanno detto al vicepreside della scuola, Imanol Goyarrola, credevano che io fossi l'organizzatore". Otto persone sono state accusate dalla famiglia e due alunni sono stati denunciati dalla Procura per i Minorenni. Il tutto è stato portato all'attenzione del Dipartimento dell'Educazione del governo basco [...]. Da allora, le accuse contro di me sono diventate sempre più gravi".

6) L'ex insegnante Martínez spiega che quando è stato accusato dalla famiglia, la scuola gli ha parlato formalmente per avvertirlo della gravità della situazione, e che ha difeso nel 2011 ciò che difende nel 2023: di essere innocente. Si è offerto di parlare con la famiglia Cuatrecasas per spiegare la sua versione della storia, ma la direzione della scuola gli ha detto che [i genitori] non volevano parlare con lui.

7) Nel dicembre 2012, a seguito di quanto riportato dal quotidiano El Mundo, la Procura dei Paesi Baschi ha aperto un procedimento per un presunto reato di abuso sessuale commesso da Martínez Sanz negli anni accademici 2008-2009 e 2009-2010. Il 2 settembre 2013, l'Alta Procura ha deciso di archiviare il procedimento dopo mesi di indagini, per mancanza di prove.

8) Nel 2015, cinque anni dopo che l'alunno aveva lasciato la scuola, l'allora insegnante è stato accusato di aver indotto l'alunno all'"auto-omicidio". José María Martínez ha negato tutte le accuse.

Cuatrecasas vs. Martínez

9) I coniugi Cuatrecasas hanno incolpato l'ex insegnante del figlio di mancanza di rimorso e di vergogna per non aver chiesto perdono. Tuttavia, José María Martínez afferma che "non posso chiedere perdono perché la mia innocenza non è negoziabile".

10) Da alcuni anni Juan Cuatrecasas Asúa, padre dell'allora alunno, è deputato socialista a La Rioja e presiede l'Associazione Infanzia Rubata, che "chiede miglioramenti nell'accompagnamento, nel riconoscimento e nel risarcimento" di coloro che "un giorno sono stati maltrattati dagli adulti, mentre erano ancora bambini, nel processo di formazione della loro personalità". Juan Cuatrecasas Sr. sostiene fin dall'inizio che "ciò che lo preoccupa veramente è quello che hanno chiesto fin dall'inizio: un riconoscimento pubblico ed esplicito dei fatti e un risarcimento morale per la vittima [riferendosi a suo figlio] attraverso un perdono pubblico e sincero" (elDiario.es).

11) José María Martínez, da parte sua, sostiene che "da dodici anni si chiede perché Juan [figlio] mi accusi di atti che non ho commesso. Quello che dice è successo solo nella sua testa. Mi sembra che questa disgrazia non sia dovuta a un'unica causa. Da una parte, ci sono i suoi problemi di salute; dall'altra, la bullismo o molestie che gli sono state fatte dai suoi ex colleghi". 

Il La Santa Sede studia e chiude il caso

12) In seguito alla denuncia dei fatti alla Santa Sede, il 15 settembre 2014, il Papa ha inviato una lettera all'accusatore, Juan Cuatrecasas, in cui gli ha espresso la sua vicinanza e ha annunciato l'apertura di "un processo canonico all'educatore e alla scuola". Seguendo il desiderio del Santo Padre, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha indagato sui fatti denunciati dalla famiglia, nonostante il fatto che l'insegnante non fosse un chierico e che nel diritto penale canonico vigente all'epoca - riformato nel 2021 - l'unico reato canonico esistente di abuso, tipizzato nel canone 1395 comma 2, fosse quello del chierico che lo commetteva nei confronti di un minore. La conclusione della Congregazione fu di chiudere il caso per mancanza di prove, cosa che fece il 9 ottobre 2015, con il mandato di ripristinare "il buon nome e la reputazione dell'accusato".

Condanna da parte dell'Alta Corte di Biscaglia e riduzione a 2 anni da parte della Corte Suprema

13) Parallelamente, nel giugno 2015, la studentessa ha avviato un procedimento penale presso il Tribunale provinciale di Bizkaia, che ha emesso una sentenza di condanna il 13 novembre 2018. La Corte ha condannato l'imputato a undici anni di reclusione per un reato continuato di abuso sessuale. L'unica testimonianza dell'accusa che ha costituito la base della condanna è stata quella dell'accusatore. Juan Cuatrecasas Asúa aveva dichiarato: "Ci aspettiamo una condanna definitiva. Ci aspettiamo giustizia e il riconoscimento pubblico ed esplicito di una vittima, il nostro amato figlio, e di tutte le vittime che purtroppo sono molto numerose. Ci aspettiamo anche un risarcimento morale sotto forma di una pubblica e sincera richiesta di perdono. È qualcosa che abbiamo chiesto fin dal primo minuto e che stiamo ancora aspettando".

14) José María Martínez ha impugnato la sentenza davanti alla Corte Suprema, che ha ridotto la pena da undici a due anni, con sentenza del 21 settembre 2020. La Corte Suprema "non condivideva la condanna a due anni di reclusione, ma - per rispetto alla "sovranità di giudizio" dell'Audiencia - si è astenuta dal procedere a una sostituzione totale della sua stima probatoria", scrive il giurista Fernando Simón Yarza in un parere del 9 novembre 2022, redatto "pro bono e motu proprio", senza alcuna retribuzione economica. Nel parere. Simón Yarza ha attinto "ai principali strumenti giuridici in materia di diritti umani e libertà fondamentali".

15) L'imputato, che ha continuato a sostenere la propria innocenza, ha impugnato la sentenza davanti alla Corte Costituzionale, ma il suo ricorso è stato respinto il 13 maggio 2021, in quanto non è stata accreditata la sua "speciale rilevanza costituzionale". Fernando Simón sottolinea nel suo parere che questa inammissibilità non implica "alcuna valutazione negativa delle ragioni sostanziali dei ricorrenti".

16) Sulla sentenza della Corte Suprema, il professor Jose María Martinez ha scritto nel suo blog: "Nel settembre 2020, la Corte Suprema ha ridotto la mia condanna a due anni, così non sono dovuto andare in prigione. Ricordo quel giorno come particolarmente agrodolce. Da un lato, ho evitato il carcere ma, dall'altro, sono stato ancora giudicato colpevole di atti che non ho commesso.

Nuovo processo canonico

17) A seguito della decisione della Congregazione vaticana, ora Dicastero per la Dottrina della Fede, nel 2015, la famiglia Cuatrecasas voleva che Papa Francesco decidesse di riaprire il caso per "ripristinare il buon nome" di Juan Cuatrecasas, che considerano ancora '....'.vittima di abusi".. Nel giugno 2022, il Papa ha ricevuto Juan Çuatrecasas figlio, lo ha ascoltato, ha raccolto la documentazione sul caso, gli ha chiesto "perdono in nome della Chiesa", come è stato pubblicato, e ha preso la decisione di riaprire il processo canonico.

18) Allo stesso tempo, nel 2019 il Papa ha rilasciato un'intervista sul canale La Sexta al giornalista Jordí Évole, che ha mantenuto i contatti con la Santa Sede in preparazione del documentario che avrebbe curato e che sarebbe uscito nell'aprile 2023 su Disney+, con la partecipazione del giovane Juan Cuatrecasas.

19) Il 15 settembre 2022, il vescovo di Bilbao, monsignor Joseba Segura, ha annunciato che Papa Francesco aveva ritenuto opportuno ordinare l'istruzione di un nuovo processo canonicoIl processo, affidato a monsignor José Antonio Satué, vescovo di Teruel e Albarracín. Con il processo, "l'obiettivo è quello di epurare le responsabilità e aiutare a guarire le ferite causate", secondo una nota pubblica del vescovo di Bilbao.

20) Juan Cuatrecasas Sr. ha apprezzato "l'atteggiamento di rettifica del Vaticano" e la sua speranza, ha detto, "è che il Vaticano faccia ciò che deve fare, ripristinare il buon nome di mio figlio ed emettere la sentenza che deve emettere".

Lettera di monsignor Satué

21) Pochi giorni dopo, il 26 settembre, il vescovo José Antonio Satué scrisse all'indagato, José María Martínez, "in qualità di Delegato della Santa Sede per l'istruttoria del procedimento canonico relativo alle denunce presentate contro di Lei dal signor Juan Cuatrecasas Cuevas". La lettera lo informava dell'avvio di un procedimento amministrativo penale, ai sensi del canone 1720 del Codice di diritto canonico, per un reato contro il sesto comandamento con un minore, previsto dal canone 1398, paragrafo 1-2".

22) Nella stessa lettera, monsignor Satué informava la persona indagata che "il Santo Padre ha disposto che si applichi la legge attualmente in vigore e non quella del tempo in cui i fatti possono essere stati commessi, abrogando il disposto del canone 1313 par. 1)". Questo precetto riprende il principio di irretroattività del diritto penale nei seguenti termini. "Se la legge cambia dopo che è stato commesso un reato, si deve applicare la legge più favorevole al reo".

23) Infine, l'ufficiale inquirente ha detto all'imputato: "Infine, come fratello nella fede, raccomando rispettosamente che se, per qualsiasi motivo, hai difeso la tua innocenza in modo incerto, consideri questa procedura come un'opportunità per riconoscere la verità e chiedere perdono al signor Juan Cuatrecasas Cuevas e alla sua famiglia".

24) Il professor Fernando Simón Yarza, citato al punto 14, ha ritenuto che, considerando il decreto e le presunte irregolarità denunciate dall'imputato, vi sia una deliberata intenzione da parte del giudice di condannare.

Dichiarazioni di Jordi Évole e avallo al giudice istruttore

25) Nei primi mesi del 2023, Jordi Évole e Màrius Sánchez, registi del documentario che sarà trasmesso da Disney+ il 5 aprile, sono stati sul canale SER. Jordi Évole ha dichiarato: "Nel documentario c'è una vittima di abusi sessuali all'interno della Chiesa, il cui caso è stato chiuso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, che è l'istituzione che si occupa di queste questioni nella Chiesa, e il Papa si è impegnato - e sappiamo che è così perché ce lo ha detto dopo - a riaprire il caso che era stato chiuso. Credo che questo sia il momento culminante per me, ciò che rende valido questo progetto".

26) Poco più tardi, il 31 luglio, la Santa Sede ha respinto le accuse dell'ex professore José María Martínez, con una risoluzione firmata dal Prefetto della Segnatura Apostolica, il cardinale Dominique Mamberti, in cui ha ordinato l'allontanamento dei suoi avvocati, in quanto privi della "capacità" di rappresentare il suo cliente, hanno riferito, tra gli altri media, Religione digitalePer lui, la decisione è "un'approvazione del lavoro svolto dal vescovo di Teruel, José Antonio Satué".

27) Mentre il nuovo processo canonico avanzava, José Maria Martinez scriveva nel suo blogLunedì 13 novembre [2023] si sono incontrati il mio nuovo avvocato e il Delegato, Mons. Satué. Non ho partecipato perché si trattava di un atto molto formale e tecnico, e perché continuo a diffidare dell'imparzialità di chi mi sta giudicando. Credo che una simile ingiustizia dovrebbe far riflettere qualsiasi persona per bene, soprattutto se si aspetta di essere giudicata alla fine della sua vita. L'incontro è stato una nuova assurdità giuridica, un altro passo nella delegittimazione del diritto canonico e nell'abuso di potere che sta avvenendo".

28) La persona indagata ritiene che "il Delegato, come stabilito dal Tribunale della Segnatura Apostolica di Roma, ha cambiato il diritto sostanziale", cioè "durante la partita sono cambiate le regole del gioco. Non si giudica più se sono innocente o colpevole ma, supponendo quest'ultima ipotesi, si valuta se la Prelatura dell'Opus Dei debba espellermi dall'istituzione". "Il mio avvocato", aggiunge, "ha chiesto al Delegato il perché di questo cambiamento. Non c'è stata risposta. [...]. Visto che il diritto canonico non poteva condannarmi, ora stanno inventando una procedura alternativa in modo che l'Opus Dei possa condannarmi e loro possano lavarsene le mani", scrive l'ex professore.

Diritto di difesa in discussione

29) Nel processo canonico, il delegato alle indagini "non ha consegnato, ma ha fatto vedere al mio avvocato l'accusa, una lettera di Juan Cuatrecasas datata 2023 in cui descrive gli stessi fatti già giudicati dall'Audiencia di Bizkaia e che la Corte Suprema spagnola ha respinto a grande maggioranza. [...]. Ora, tre anni dopo quella sentenza, vogliono processarmi per gli stessi fatti. Di questi, i più gravi, la Corte Suprema non li ha considerati provati, ma questo non importa al Delegato", ha detto l'indagato Martinez Sanz.

30) L'ex professore obietta su un'altra questione. "Non mi è stato consegnato il Decreto che giustifica questo processo, quello firmato dal Papa nell'agosto 2022". [...]. "Quello che si ottiene è l'eliminazione di un altro diritto fondamentale: il diritto alla legittima difesa. Il mio avvocato ha dovuto copiarlo a mano. Non le è stato nemmeno permesso di fare una foto".

31) Il parere del professor Simón Yarza, citato al punto 14, conclude sottolineando due aspetti alla fine del 2022. In primo luogo, "se il procedimento canonico che si intende avviare nel caso Cuatrecasas-Martínez fosse portato davanti a qualsiasi giurisdizione statale appartenente alla comunità internazionale [...], non avrebbe la minima possibilità di andare avanti. Verrebbe immediatamente archiviato a causa di numerosi vizi, alcuni dei quali talmente gravi da poter essere definiti uno pseudo-processo". In secondo luogo, il giurista ritiene che "la Santa Sede dovrebbe chiudere immediatamente questa azione". 

In conclusione, il giurista ha citato una discorso Papa Francesco del 15 dicembre 2019, al 20° Congresso dell'Associazione Internazionale di Diritto Penale: "La sfida attuale per ogni penalista è quella di contenere l'irrazionalità punitiva, che si manifesta, tra l'altro, [...] nell'allargamento dell'ambito della pena (...) e nel ripudio delle più elementari garanzie penali e processuali". 

32) D'altra parte, Juan Cuatrecasas Asúa ha dichiarato alla fine di dicembre dello scorso anno, in un'intervista alla famiglia, che "c'è stata un'indagine ingannevole che è stata falsamente aperta e falsamente chiusa [dal Vaticano]. Quello che ha fatto il Papa, con una sentenza di condanna della Corte di Cassazione, è aprire un'indagine" [...]. "Il Vaticano ha preso questa decisione perché la Chiesa non sia messa in discussione" (Deia, 27-12-2023).

33) Juan Cuatrecasas ha anche sottolineato che "ci sono casi deplorevoli con sentenze penali ferme, come il caso Gaztelueta, ma non è l'unico, in cui il pedofilo e il suo entourage si permettono il lusso di continuare a mancare di rispetto alla loro vittima. Crediamo che la Procura debba agire d'ufficio" (religióndigital, 27-12-2023).

34) Nel febbraio di quest'anno, presso il Seminario di Pamplona, il giudice istruttore monsignor José Antonio Satué ha raccolto le dichiarazioni delle persone proposte dalla difesa dell'ex professore, alla presenza di un notaio, e ha riferito che Religione confidenziale. Hanno testimoniato Imanol Goyarrola e Iñaki Cires, ex direttori della scuola di Gaztelueta; Imanol Tazón, ispettore del Dipartimento dell'Istruzione del governo basco; e María José Martínez Arévalo, psichiatra con studio a Pamplona.

35) Accanto a questa cronologia, si possono trovare informazioni con fonti giuridiche sulla causa civile intentata dall'ex professore José María Martínez contro il delegato del nuovo processo canonico, monsignor José Antonio Satué. Martínez Sanz ritiene che il suo diritto fondamentale all'onore sia stato gravemente violato. La causa è stata ammessa al giudizio del Tribunale di prima istanza di Pamplona.

L'autoreFrancisco Otamendi

Per saperne di più
Spagna

Attacco all'onore, alla base della causa civile contro il vescovo Satué

La considerazione che il nuovo procedimento penale canonico contro l'ex insegnante di Gaztelueta, José Maria Martinez, leda gravemente il suo diritto fondamentale all'onore, è al centro della causa civile intentata contro il delegato pontificio, il vescovo di Teruel e Albarracín, José Antonio Satué, che è stata appena ammessa al processo da un tribunale di Pamplona.

Francisco Otamendi-8 maggio 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

L'ex insegnante di scuola Gaztelueta di Leioa (Bizkaia), José María Martínez, che sta affrontando un processo canonico per abusi, ha intentato una causa civile contro il delegato alle indagini del caso, il vescovo di Teruel e Albarracín, monsignor José Antonio Satué, secondo quanto appena reso noto, per attentato al suo onore. La causa è stata presentata al 9° Tribunale di prima istanza di Pamplona e il giudice l'ha ammessa il 2 maggio, secondo quanto riportato da Religión confidencial.

Nella sua memoria, il giudice ammette che le azioni del delegato Monsignor Satué hanno avuto un impatto "notorio" sull'onore del ricorrente, non solo giudicando fatti già giudicati dalla Corte Suprema, ma anche con una serie di irregolarità nel processo che costituirebbero un grave reato. C'è stata quella che, in termini giuridici, si chiama "apparenza di buon diritto", cioè che il caso è "ragionevole", in quanto è stata trattata una causa amministrativa canonica per fatti che colpiscono l'onore del ricorrente.

Monsignor José Antonio Satué ©CEE

Il diritto all'onore dell'individuo è una diritto fondamentale Secondo fonti legali, la difesa del querelante si rende conto che quanto sta accadendo in questo procedimento canonico "ha effetti civili, al di là delle conseguenze interne per la vita della Chiesa; questo colpisce l'onore del querelante, perché si tratta di una condanna penale. Si tratta di fatti molto gravi, alcuni dei quali sono stati dichiarati inesistenti dal più alto tribunale spagnolo con una sentenza definitiva, la Corte Suprema, che in diritto si chiama "res judicata", e si sta imbastendo un processo per condannarlo".

Effetti civili dei procedimenti ecclesiastici

Secondo queste fonti legali, "non si tratta di un vero e proprio processo, ci rendiamo conto che tutto questo ha effetti sulla sua personalità civile, sono atti umilianti, che lo umiliano, attentano alla sua dignità, gli causano dolore e sofferenza ingiusti".

Il nucleo della causa, secondo queste fonti, è "l'esistenza di un'importante giurisprudenza della Corte Costituzionale, che indica che gli effetti civili delle azioni e delle delibere ecclesiastiche sono controllabili, cioè sono soggetti al controllo della giurisdizione civile dello Stato. I tribunali civili, in linea di principio, non possono entrare nella valutazione delle delibere ecclesiastiche, ma nella misura in cui qualcuno compie azioni, per quanto canoniche, che hanno un effetto civile e incidono sui diritti di terzi, delle persone, del loro onore, questo può essere oggetto della giurisdizione ordinaria. La difesa sostiene che si tratta di un attacco all'onore". "Stiamo parlando di un diritto fondamentale che ha effetto nelle relazioni orizzontali, tra individui, cioè non solo contro lo Stato", aggiungono.

"Arbitrarietà

"È un palese attacco all'onore, perché non è nemmeno un processo. Lo dimostrano tutte le azioni arbitrarie, una dopo l'altra, che si stanno verificando. Con l'invito di monsignor Satué a dichiararsi colpevole fin dall'inizio, con l'impossibilità di presentare prove... È un accumulo di fatti da cui possiamo dedurre che non ha alcuno scopo illuminante. Stiamo assistendo a una fuga in avanti, portata avanti da qualcuno che non è stato incaricato dalla Santa Sede di giudicare José María Martinez, ma di condannarlo. Chiunque sia, è stato incaricato di condannare questa persona. E lo sta facendo in modo vessatorio, impedendogli di difendersi".

Volontà deliberata

Nella denuncia, gli avvocati dell'accusato, l'ex professore Martínez Sanz, ritengono che la volontà di condannare si manifesti anche, sottolineano, "nel rifiuto di consentire la prova di qualsiasi indagine precedente da parte della Santa Sede che potrebbe portare al definitivo scagionamento della persona. C'è la volontà che tutto ciò che potrebbe aiutare l'innocenza non appaia nel processo. È stata negata anche la deposizione di un testimone come Silverio Nieto", magistrato, direttore di Questioni legali civili della Conferenza episcopale spagnola, che è stata l'investigatrice del caso dodici anni fa. "Potremmo parlare di un accumulo di fatti che ci permettono di concludere che c'è una deliberata volontà di condannare, e che l'intero processo è una parata".

Le stesse fonti legali sottolineano che il querelante chiede "un risarcimento economico, molto moderato, ma che aumenterebbe in caso di condanna. La cosa principale sono le misure cautelari, cioè che il processo venga interrotto, che questa beffa venga fermata", concludono.

Danni alla Chiesa

Diverse fonti giuridiche affermano inoltre che si ha l'impressione che in questo caso si stia assistendo a "una sorta di fuga in avanti, in cui nessuno rettifica i propri errori, come se non ci fosse la possibilità di rettificare", e "non è escluso che all'Opus Dei venga richiesto di espellere questa persona". Queste fonti ritengono che il processo "provoca un grave discredito e un grande danno alla Chiesa, quindi dovrebbe essere chiuso, perché più continuano, più la giurisdizione ecclesiastica ne risentirà".

Insieme a queste informazioni, hanno una cronologia degli eventi fondamentali che si sono verificati a seguito della denuncia contro l'allora insegnante di Gaztelueta, José María Martínez Sanz, portata avanti dall'alunno Juan Cuatrecasas Cuevas e dalla sua famiglia a partire dal 2011.

L'autoreFrancisco Otamendi

Per saperne di più
Vaticano

La felicità è il paradiso, ricorda il Papa alla vigilia dell'Ascensione

La nostra felicità è il cielo e la vita eterna, ha sottolineato Papa Francesco nell'udienza di oggi, tenutasi accanto all'immagine di Nostra Signora di Luján, patrona dell'Argentina, la cui festa si celebra l'8 maggio. Il Pontefice ha anche ricordato la solennità dell'Ascensione del Signore, che si celebrerà domani a Roma e in molti Paesi questa domenica.    

Francisco Otamendi-8 maggio 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

In occasione della festa di Nostra Signora di Luján, patrona dell'Argentina, Papa Francesco ha riflettuto sulla Pubblico questa mattina, nel ciclo sui vizi e sulle virtù, sulla virtù teologale della speranza, con un'immagine della Madonna di LujánIl santo patrono dell'Argentina, la cui festa ricorre oggi 8 maggio.

Numerosi i riferimenti alla Vergine Maria, al mese di maggio e alla preghiera del rosario questa mattina, nell'Udienza che si è tenuta alla vigilia della Solennità dell'Ascensione del Signore e della Bolla di indizione del Giubileo del 2025, che il Santo Padre leggerà domani, giovedì 9, alle 17.30 nella Basilica di San Pietro.

Pregare la Madonna per la pace, custodire il rosario

Ad esempio, rivolgendosi ai pellegrini di lingua spagnola, il Pontefice ha citato la festa di Nostra Signora di Luján, alla quale ha rivolto una preghiera per l'Argentina, "affinché il Signore vi aiuti nel vostro cammino". In seguito, ha detto che "oggi la Chiesa eleva la preghiera di supplica a Nostra Signora del Rosario di Pompei. Invito tutti a invocare l'intercessione di Maria, affinché il Signore conceda la pace al mondo intero, specialmente all'amata e martoriata Ucraina, alla Palestina e a Israele, al Myanmar.

"Affido in particolare a nostra Madre i giovani, gli ammalati, gli anziani e gli sposi che sono qui presenti oggi, ed esorto tutti a valorizzare la preghiera del Santo Rosario in questo mese di maggio", ha detto.

Ascensione del Signore: alzare gli occhi al cielo 

In precedenza, il Papa ha ricordato ai pellegrini di lingua inglese la festa dell'Ascensione del Signore: "Saluto tutti i pellegrini e i visitatori di lingua inglese che partecipano all'odierna Udienza, specialmente quelli provenienti dal Camerun, dall'India, dalle Filippine e dagli Stati Uniti d'America. Mentre ci prepariamo a celebrare la Solennità dell'Ascensione, invoco su di voi e sulle vostre famiglie la gioia e la pace di nostro Signore Gesù Cristo, risorto e asceso al cielo. Il Signore vi benedica tutti".

Al popolo di lingua tedesca ha detto: "Cari fratelli e sorelle, l'imminente solennità dell'Ascensione ci spinge ad alzare gli occhi verso il cielo, dove Cristo è seduto alla destra del Padre e ha preparato un posto per ciascuno di noi. Viviamo dunque il Vangelo e rivolgiamo il nostro pensiero alle cose di lassù (cfr. Col 3, 2)".

San Stanislao, intercessore per la pace

Francesco ha anche ricordato, in questo caso ai pellegrini polacchi, che "oggi celebrate la solennità di San Stanislao, vescovo e martire, patrono della vostra patria. San Giovanni Paolo II ha scritto di lui che dall'alto dei cieli ha partecipato alle sofferenze e alle speranze della vostra nazione, sostenendone la sopravvivenza soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Che l'intercessione di San Stanislao ottenga anche oggi il dono della pace in Europa e nel mondo intero, specialmente in Ucraina e in Medio Oriente.

Speranza: la risposta di Cristo a noi

La lettura che ha fatto da base alla meditazione del Pontefice è stata un estratto della Lettera dell'apostolo Paolo ai Romani, 8, 18, 23 e 24, in cui Paolo scrive che "nella speranza siamo stati salvati".

Il Papa ha iniziato la sua meditazione con queste parole: "Oggi riflettiamo sulla virtù della speranza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica la definisce come segue: 'La speranza è la virtù teologale con la quale aspiriamo al Regno dei cieli e alla vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e contando non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo' (n. 1817). Queste parole confermano che la speranza è la risposta offerta al nostro cuore quando sorge in noi la domanda assoluta: "Che ne sarà di me? Qual è il destino del viaggio? Qual è il destino del mondo? 

Francesco ha poi riassunto che di fronte a queste domande trascendenti "sul destino della nostra vita e del mondo, la speranza è la risposta che Cristo ci dà. Con essa possiamo vivere il nostro presente con gioia e serenità, perché Gesù ci assicura un futuro affidabile e un orizzonte luminoso. Senza speranza, invece, l'uomo vive nella tristezza e cade nella disperazione". 

Non dimentichiamo che Dio è misericordioso.

"Tutti ci rendiamo conto che una risposta negativa a queste domande produce tristezza. Se non c'è un senso al cammino della vita, se non c'è nulla all'inizio e nulla alla fine, allora ci chiediamo perché dovremmo camminare: da qui nasce la disperazione umana, la sensazione dell'inutilità di tutto. E molti potrebbero ribellarsi: "Mi sono sforzato di essere virtuoso, di essere prudente, giusto, forte, temperato. Sono stato anche un uomo o una donna di fede. .... A che cosa mi è servita la mia lotta? 

E continuava citando Benedetto XVI nella sua enciclica Spe salvi. "Se manca la speranza, tutte le altre virtù rischiano di ridursi in cenere. Se non c'è un domani affidabile, un orizzonte luminoso, si può solo concludere che la virtù è uno sforzo inutile. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, anche il presente diventa sopportabile", scriveva il suo predecessore. 

"Pecchiamo contro la speranza quando rimaniamo ancorati al passato, dimenticando che Dio ci ama, che è misericordioso e più grande del nostro cuore; pecchiamo quando non abbiamo il coraggio di prendere decisioni che ci impegnano per la vita", ha sottolineato il Santo Padre.

"Le nostre cattive nostalgie, le nostre malinconie".

"La speranza è una virtù contro la quale spesso pecchiamo", ha ribadito il Papa. "Nella nostra cattiva nostalgia, nella nostra malinconia, quando pensiamo che la felicità passata sia sepolta per sempre. Pecchiamo contro la speranza quando ci scoraggiamo per i nostri peccati, dimenticando che Dio è misericordioso e più grande del nostro cuore. Pecchiamo contro la speranza quando in noi l'autunno annulla la primavera; quando l'amore di Dio cessa di essere un fuoco eterno e ci manca il coraggio di prendere decisioni che ci impegnino per la vita. 

Il mondo ha bisogno di questa virtù cristiana

"Il mondo di oggi ha un grande bisogno di questa virtù cristiana", ha esclamato. "Così come ha bisogno della pazienza, una virtù che va di pari passo con la speranza. Gli esseri umani pazienti sono tessitori di bene. Desiderano ostinatamente la pace e, sebbene alcuni abbiano fretta e vorrebbero tutto e subito, la pazienza ha la capacità di aspettare. Anche quando molti intorno a loro hanno ceduto alla disillusione, coloro che sono animati dalla speranza e sono pazienti sono in grado di attraversare le notti più buie".

Il Signore faccia crescere la nostra speranza e la nostra pazienza, "affinché possiamo essere artigiani di pace e di bontà in un mondo che ha molto bisogno di questa virtù". Gesù vi benedica e la Vergine Santa vegli su di voi", ha concluso il Papa.

L'autoreFrancisco Otamendi

Cultura

Jaime Sanz: "Ascoltare è un modo di amare".

Jaime Sanz, cappellano del Campus post-laurea dell'Università di Navarra a Madrid, si è concentrato sull'importanza dell'ascolto nel suo ultimo libro "Il valore dell'ascolto per il buon governo".

Maria José Atienza-8 maggio 2024-Tempo di lettura: 6 minuti

"Facciamo fatica ad ascoltare; io sono il primo", dice con enfasi il sacerdote Jaime Sanz all'inizio di questa intervista. Per questo, e per molti altri motivi, Sanz si è messo a scrivere un libro che, nella sua semplicità, è una lettura più che raccomandabile per molte persone oggi. 

Infatti, il ascoltare è diventata, negli ultimi anni, una necessità in una società che sente molte cose e ne ascolta poche. Al di là dell'uso strategico dell'ascolto, Sanz Santacruz, che "come sacerdote si dedica professionalmente all'ascolto", propone un cambiamento di atteggiamento sia personale che aziendale. 

Lei ha scritto di amore, amicizia e preghiera. Perché è nato questo libro?

-Parlando con un professore dell'IESE, mi ha detto che l'ascolto è uno dei grandi temi di questo secolo. Lo vediamo anche nella Chiesa, ad esempio è uno dei grandi fili conduttori dell'Opus Dei nella preparazione del suo primo centenario.   

Siamo in una società in cui la politica non viene ascoltata, non viene ascoltata, non viene ascoltata, non viene ascoltata, non viene ascoltata. ascoltare In azienda e persino in famiglia ci si lamenta che nessuno parla o nessuno ascolta. In fin dei conti, tutto ciò è dovuto al fatto che siamo concentrati su un'efficienza incompresa. 

Noi sacerdoti ci dedichiamo professionalmente all'ascolto. E io sono sacerdote da più di 25 anni. Ascoltando persone così diverse si impara molto. Grazie alle conoscenze che ho accumulato, ho potuto scrivere il libro. 

Come ascoltare in questi tempi di continua fretta?

-Nel caso della famiglia, ad esempio, si trascorre meno tempo insieme e spesso si assiste alla rottura dei rapporti familiari fin dall'inizio.

L'ascolto in famiglia è complicato perché nelle grandi città il tempo è molto limitato, ma credo che si tratti di cercare un tempo di qualità, che il riposo sia anche tempo di ascolto. Come dice Pep Borrell "ballare in cucina". Ciò significa che il tempo che trascorriamo con la famiglia per svolgere alcuni compiti inevitabili (fare la spesa, cucinare, pulire...) dovrebbe essere un momento in cui ci sentiamo a nostro agio.

Inoltre, bisogna saper spegnere. Il cellulare è il più grande nemico dell'ascolto. Passiamo la vita a guardare il cellulare, senza interessarci alla persona che abbiamo davanti. Ascoltare è un modo di amare. Quando si ascolta qualcuno, lo si ama. La società, la famiglia, le organizzazioni... migliorano quando c'è un ambiente di ascolto. 

Sostiene che non ascoltiamo, ma i governi, i marchi, le aziende... affermano di voler conoscere i cittadini. Tattica, necessità, arma di guerra?

-Ascoltare non è la stessa cosa che sentire. Vediamo molti meccanismi di ascoltare Nella società, per esempio nei partiti politici, che si dedicano a conoscere ciò che viene detto, ma hanno una decisione presa e quella conoscenza non ha alcuna influenza. Per questo motivo è importante che nella Chiesa non si faccia come nella sfera politica, dove si parla molto di premere la strada e poi se ne fregano. 

Inoltre, i canali di ascolto sono necessari in tutte le organizzazioni. Anche nelle famiglie: una madre che non ascolta i figli o un padre che si limita a imporre la propria opinione è impossibile che guadagnino la fiducia dei figli e, quindi, che ci sia unità. L'ascolto è molto importante perché, come dico nel libro, l'unità è bidirezionale, quasi circolare. Sia da chi sta "sopra" che da chi sta "sotto" e viceversa. 

Il valore dell'ascolto per una buona governance

AutoreJaime Sanz Santacruz
Editoriale : Parola
Pagine: 160
Anno: 2023

Ma il responsabile può sostenere di "avere più dati" o di "conoscere meglio l'argomento".

-Ascoltare aggiunge argomenti alla propria decisione. Chi non ascolta è arrogante. Pensa, infatti, di "sapere tutto". Ma forse intorno a lui ci sono persone che ne sanno molto di più. Il capo che non lascia fare nulla ai suoi subordinati, non li lascia formarsi, non li lascia fare carriera, lo fa fondamentalmente per paura, perché è un mediocre.

In diversi punti del libro parlo del governo dei mediocri, di coloro che non vogliono che gli altri li mettano in ombra. Un buon governante promuove il suo popolo e questo può essere applicato a tutti i livelli: governo civile, affari, Chiesa o famiglia.

Chi governa deve contare sugli altri, deve rendersi conto che la feedback che le loro decisioni hanno. È molto importante che, quando si riceve un suggerimento, la prima cosa da fare sia sempre ringraziare.

In secondo luogo, rendersi conto che questa opinione - anche se contraria alla propria - aiuta a giustificare molto bene ogni decisione e, inoltre, a lasciare la porta aperta al fatto che, a un certo punto, la decisione può essere cambiata.

In questo senso, troviamo un certo timore - non privo di verità - di dire qualcosa, per paura che questa informazione si "ritorca contro".

-È qui che entra in gioco la fiducia. La fiducia è la base del vero ascolto. Se non vi fidate - o se coloro che sono ai vertici vi costringono a non fidarvi - perché i suggerimenti vengono usati per mettere da parte chiunque non la pensi come la leadership, perdete la legittimità e, soprattutto, l'opportunità di migliorare.

È arricchente avere persone che pensano in modo diverso in un consiglio di governo. Se nel consiglio ci sono solo i "bigotti" che sono lì perché non dicono quello che pensano, non si dà alcun contributo alla società. D'altra parte, con il contrario, forse ci vorrà un po' più di tempo per raggiungere alcuni accordi, ma saranno molto più globali e corretti.

Allo stesso tempo, la critica deve essere sempre costruttiva. Dire semplicemente che tutto è sbagliato non apporta alcun contributo, così come l'atteggiamento di chi critica e pensa che esista solo la soluzione da lui fornita. Quando si pensa che la propria soluzione sia l'unica, allora si diventa il tiranno che critica. 

Un'altra questione di cui parlo nel libro è la trasparenza. Non si può chiedere agli altri di aderire al proprio progetto in un'organizzazione se non li si coinvolge nei mezzi, nel progetto, nei risultati. Quando non lo si fa, è perché si nasconde qualcosa che non va bene, oppure per un paternalismo malinteso, che è dannoso. 

Nella Chiesa abbiamo un "attore" separato: lo Spirito Santo e c'è anche una gerarchia. Abbiamo identificato l'ascolto con una forma di assemblearismo?

-Seguendo Luigino Bruni, nel libro parlo di Organizzazioni mosse da un ideale (OMI), in cui possiamo includere le istituzioni della Chiesa. 

In queste organizzazioni c'è sempre una verticalità. Nel caso della Chiesa abbiamo la gerarchia secondo il sacramento dell'Ordine, ma il Concilio Vaticano II ha già parlato di apertura ad altri organismi ecclesiali. Governare non significa guidare un'organizzazione in modo unipersonale. Non è saggio né efficiente. 

È necessario fare domande prima di prendere qualsiasi decisione. È molto importante coinvolgere gli altri, soprattutto se la questione li riguarda in qualche modo. Si tratta di rendersi conto che la propria opinione non è ispirata dallo Spirito Santo, ma è solo un'altra opinione, anche se si hanno più fatti. Naturalmente, questo non significa che bisogna fare una sorta di dialettica dell'ascolto, ma creare una cultura, un modo di ascoltare.

Sempre a livello ecclesiale, corriamo il rischio di diluire i carismi con il pretesto di un "adattamento" nato da questo ascolto?

-L'ascolto è strettamente legato all'umiltà. Quando si ha l'umiltà di pensare che si occupa una posizione importante perché "non ce ne sono altre". Non perché sono il migliore, non perché sono quello che incarna meglio lo spirito - nel caso di un'OMI - ma perché mi è stato dato ed è temporaneo. 

Penso che il passo che è stato fatto nella Chiesa per limitare il tempo di governo nelle associazioni internazionali di fedeli sia molto interessante. Sono convinto che il rinnovamento sia essenziale. Un'organizzazione in cui gli organi di governo sono occupati sempre dalle stesse persone rischia di finire per tiranneggiare questa forma di governo. 

Non c'è nessuno che abbia il compito di governare a vita. È molto più arricchente che le persone passino oltre. Quando si governa per un determinato periodo di tempo, si è più capaci di continuare ciò che hanno fatto coloro che ci hanno preceduto e di preparare coloro che verranno dopo di noi. In sostanza, si contribuisce con ciò che si sa e, quando arriva qualcun altro, si apportano altre idee. Tutto questo rimanendo fedeli allo stile di vita della vostra organizzazione o, se parliamo di istituzioni ecclesiali, fedeli al carisma. 

In queste OMI, ad esempio nelle istituzioni ecclesiali, il fondatore o la fondatrice sono le persone che hanno incarnato il carisma. In questo senso, a volte possiamo perdere la prospettiva che sono uno strumento di Dio e pensare di dover replicare la loro vita senza apertura o diversità. I fondatori e le fondatrici dei carismi ecclesiali sono strumenti. In loro Dio concentra un messaggio, un carisma, un modo di vivere la vita cristiana.

La fedeltà al carisma è molto importante, perché non si tratta di sviluppare un carisma in modo assembleare, ma di tener conto dello scopo. È necessario concentrarsi sullo scopo, non divinizzare il fondatore. Infatti, i fondatori delle istituzioni della Chiesa sono stati umili. Erano consapevoli che questo carisma non era una loro invenzione, ma era stato dato loro da Dio. Chi segue un carisma deve vivere una fedeltà a questo percorso, adattando il carisma al tempo in cui si sviluppa, perché le circostanze cambiano. 

Adattare bene il carisma al tempo in cui si vive fa parte della fedeltà. Il carisma nella Chiesa non è per un solo momento o per una sola situazione o problema concreto. È universale e per tutti i tempi.

Per saperne di più

Affrontare le avversità

In questo articolo, Lupita Venegas offre alcuni consigli su come affrontare le avversità con fede.

8 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

State vivendo una situazione che vi opprime: una notizia inattesa, un imprevisto, un'emergenza... malattiaVi chiedete perché? Vi allontanate dalla sofferenza, dall'ingiustizia, dal dolore?

Ricordate questo principio: ciò che rifiutate diventa il vostro nemico. Carl Jung, pioniere della psicologia del profondo, la metteva così: ciò che accetti ti trasforma; ciò che neghi ti sottomette.

La cosa migliore da fare di fronte alle avversità è accettarle. Solo così sarete in grado di affrontarle in modo efficace.

Le Sacre Scritture alimentano la nostra speranza: "Sappiamo che per coloro che amano Dio, tutte le cose concorrono al bene" (Rm 8, 28).

Abbiamo innumerevoli esempi di persone che hanno scoperto meravigliosi talenti nascosti proprio affrontando una sfida inaspettata.

Sapete cos'è un dungeon? Il dizionario lo definisce come un luogo nascosto, organizzato per nascondere illegalmente oggetti o persone rapite. Bosco Gutiérrez ha vissuto in una di esse per 257 giorni. Un architetto messicano che è stato rapito, spogliato di tutto, ha vissuto in questo luogo buio senza mai sentire la voce delle sue guardie. 

Si dice che il successo non sia per i più forti, ma per chi sa adattarsi. Dopo lo shock iniziale, Bosco cade in depressione man mano che passano i giorni senza essere salvato. Tuttavia, a un certo punto, quando i suoi rapitori lo vedono in punto di morte, lo rincuorano presentandogli un cartello con la scritta: "Viva il Messico, oggi è il 16 settembre". È stato allora che ha saputo che si trovava in queste condizioni da un mese e ha sentito di doversi adattare per il suo bene. Mise seriamente in discussione la sua fede: credeva davvero in Dio? Annuì e pensò che fosse nelle Sue mani. Pensò alla sua famiglia e desiderò ardentemente di rivederla. Così ordinò il necessario per pulire perfettamente il bugigattolo di 3 x 2 metri ed elaborò un programma in cui leggeva la Bibbia, scriveva lettere, diceva la Messa a memoria e faceva jogging nel suo piccolo spazio. 

8 principi di fronte alle avversità

Scrisse 8 comandamenti che avrebbero regolato la sua vita quotidiana e li attaccò al muro per tenerli in vista:

  1. Limitare l'immaginazione. "Non penserò a ciò che mi sta accadendo, danneggerò la mia salute e non otterrò nulla".
  2. Intelligenza pratica. "Mi adatterò alle circostanze".
  3. Mantenere la fede. "Non voglio discutere con Dio, Lui sa meglio di me cosa è bene per me".
  4. Aspetterò con pazienza. "Questo durerà fino a quando Dio vorrà".
  5. Cogliete l'occasione per pregare. "Pregherò per coloro che amo, crescerò nel sacrificio e nell'abbandono".
  6. Ricordare che ci sono molte persone che soffrono più di me. "Sto bene qui, non mi manca nulla".
  7. Farò dei propositi pratici per essere migliore al mio ritorno.
  8. Essere ottimisti. Non perderò la speranza, bandirò i pensieri negativi.

Questi principi sono indubbiamente sostenuti dagli specialisti più aggiornati delle neuroscienze. Ognuna delle azioni che si era prefissato di compiere lo ha aiutato a formare un cervello sano, positivo e intraprendente. Inoltre, la sua vita di fede e di preghiera ha mantenuto viva la sua speranza, tanto da permettergli di fuggire e di ricongiungersi alla sua famiglia sano e salvo. 

Oggi ha pubblicato la sua testimonianza in un libro e in un film. Tiene anche conferenze con profonde riflessioni che motivano migliaia di persone a perseverare in ogni circostanza. Nel mezzo della sua dolorosa esperienza, ha confermato ciò che Nietzsche ha giustamente detto con la frase: "Chi ha un perché, troverà sempre un come". 

Accettate con pace la vostra realtà, chiedete aiuto a Dio e affrontate con saggezza tutto ciò che viene.

Vaticano

Edith Stein si avvia a diventare Dottore della Chiesa

Lo scorso 18 aprile, il Superiore Generale dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi ha presentato a Papa Francesco una petizione per nominare Santa Edith Stein Dottore della Chiesa.

Paloma López Campos-7 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Quando una delegazione dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi ha visitato il Papa il 18 aprile, il Superiore Generale ha colto l'occasione per presentare al Pontefice una richiesta speciale: la nomina di Santa Edith Stein a Dottore della Chiesa.

Edith Stein (Wikimedia Commons)

Come riportato dai media "Agenzia di stampa cattolica"I Carmelitani vogliono che la Chiesa riconosca il contributo della suora martire. Con il titolo di "doctor veritatis", dottore della verità, Edith Stein potrebbe diventare la quinta donna dottore della Chiesa, in riconoscimento dei suoi contributi nel campo della teologia.

Il fatto che il Superiore Generale faccia questa richiesta al Santo Padre è importante perché è un prerequisito affinché il Dicastero per le Cause dei Santi inizi il processo di conferimento del titolo a Edith Stein. Un altro passo indispensabile, la canonizzazione, era già stato facilitato da Giovanni Paolo II alla fine del XX secolo.

Edith Stein e la sua carriera intellettuale

Questa santa, conosciuta anche come Teresa Benedetta della Croce, nacque il 12 ottobre 1891 da una famiglia ebraica. Nonostante la sua educazione e la sua crescita in un ambiente praticante, si dichiarò atea per diversi anni. Allo stesso tempo, intraprese una brillante carriera accademica che la portò a collaborare con il filosofo tedesco Edmund Husserl.

Sostenitrice del diritto di voto alle donne e di una maggiore partecipazione alla vita pubblica, diede l'esempio, essendo la prima donna a ricevere un dottorato in filosofia in Germania. Allo stesso tempo, iniziò un periodo di grande produzione letteraria, con ricerche e riflessioni come "Sul problema dell'empatia", che fu la sua tesi di laurea, "Introduzione alla filosofia" e "Un'indagine sullo Stato".

Nel 1921, dopo aver letto la biografia di San Teresa d'AvilaSi convertì al cattolicesimo e giunse alla conclusione di voler diventare una monaca carmelitana. Le ci volle molto tempo per raggiungere il suo obiettivo, ma le fu consigliato di continuare a insegnare e a lavorare nelle scuole e nelle università. Edith Stein colse quindi l'occasione per tradurre e approfondire le opere di intellettuali cattolici come San Tommaso d'Aquino e San John Henry Newman.

Ingresso a Carmel

Infine, il 15 ottobre 1933, festa di Santa Teresa d'Avila, Edith Stein entrò nell'Ordine Carmelitano. All'interno dell'ordine carmelitano, la filosofa ricevette il sostegno dei suoi superiori per continuare il suo lavoro intellettuale.

Tuttavia, la vita di Edith Stein subì una brusca svolta quando nel 1942 la Gestapo la arrestò perché ebrea. Passò quindi attraverso due campi di concentramento prima di arrivare al luogo in cui sarebbe morta: Auschwitz.

Edith Stein, santa e co-patrona d'Europa

Edith Stein morì nella camera a gas il 9 agosto 1942. Bruciata dai soldati nazisti, non esiste una tomba particolare per lei. L'11 ottobre 1998 Papa Giovanni Paolo II l'ha canonizzata a Roma e l'anno successivo l'ha nominata compatrona d'Europa.

Tra i numerosi contributi di Santa Edith Stein alla teologia vi sono la sua analisi della figura e della condizione della donna e la sua spiritualità incentrata sulla Croce di Cristo.

Per saperne di più
Cultura

I più importanti santuari mariani della Germania

Oltre ai luoghi di pellegrinaggio "classici" in Baviera e in Renania, regioni tradizionalmente cattoliche del Paese, due santuari nel territorio dell'ex DDR stanno vivendo un notevole impulso.

José M. García Pelegrín-7 maggio 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

A differenza di altri Paesi, che hanno un santuario nazionale riconosciuto, come Guadalupe, El Pilar o Aparecida, in Germania non esiste un luogo di pellegrinaggio nazionale. Se esiste, è Altötting, il principale luogo di pellegrinaggio del Paese e il santuario "nazionale" della Baviera. La figura della Madonna nera in legno di tiglio è stata oggetto di pellegrinaggio fin dal XIV secolo. Oggi, più di un milione di persone continuano a recarsi in pellegrinaggio ad Altötting. Altötting ogni anno.

Altötting

La sua storia risale all'anno 700, quando sul sito fu costruito un battistero. Secondo la tradizione, Ruperto di Salisburgo portò ad Altötting la prima immagine della Vergine Maria. I successori di Carlo Magno nel IX secolo costruirono un monastero e una basilica, che furono distrutti dagli attacchi ungheresi. Dopo due guarigioni miracolose nel XIV secolo, l'afflusso di pellegrini rese la piccola Cappella della Misericordia troppo grande, tanto che nel XV secolo fu costruita una chiesa abbaziale in stile gotico. Oggi, la piazza della Cappella comprende la cappella originale, l'abbazia, la chiesa barocca di Santa Madeleine, la Congregazione dei Mariani e gli uffici del Rettore.

Oltre a imperatori, re e nobili, nel 1980 qui pregò anche Papa Giovanni Paolo II. Nel 2006, Benedetto XVI si è recato in pellegrinaggio ad Altötting e ha deposto davanti alla statua l'anello episcopale che aveva indossato fino alla sua elezione a Papa. Tuttavia, Altötting è un santuario per la gente comune, come dice un proverbio bavarese: "Dalla porta di ogni casa c'è una strada per Altötting".

La miracolosa Vergine di Neviges

Nella Renania, l'altra regione prevalentemente cattolica della Germania, si trovano numerosi santuari mariani, come la Madonna Nera ("Schwarze Muttergottes") nella Kupfergasse, nel centro di Colonia, o il santuario di Neviges, sempre nella diocesi di Colonia. Quest'ultimo è un luogo di pellegrinaggio dal 1681 e ha la particolarità che l'oggetto del pellegrinaggio, la "Vergine Miracolosa di Neviges", è una pagina tratta da un libro di preghiere con un'incisione dell'Immacolata Concezione; il libro fu pubblicato per la prima volta nel 1660;

L'immagine è tratta dall'edizione del 1664, dove si trovava a pagina 254. All'inizio del XX secolo era conosciuta come la "Lourdes tedesca" per il gran numero di pellegrinaggi. La costruzione dell'attuale chiesa moderna è avvenuta tra il 1966 e il 1968, su progetto dell'architetto Gottfried Böhm. Il cardinale Karol Wojtyła ha visitato Neviges insieme ad altri vescovi tedeschi e polacchi il 23 settembre 1978, 23 giorni prima della sua elezione a Giovanni Paolo II.

Kevelaer

Tuttavia, il santuario mariano più noto di questa regione è Kevelaer, nella diocesi di Münster. Anche Giovanni Paolo II visitò questo luogo nel 1987, accompagnato dal cardinale Joseph Ratzinger e da Madre Teresa di Calcutta, in occasione del Congresso mariano mondiale. Le sue origini risalgono al Natale del 1641, quando il mercante Hendrick Busman sentì una voce misteriosa mentre pregava davanti a una croce, che gli disse: "Mi costruirai una cappella in questo luogo". Qualche mese dopo, sua moglie Mechel Schrouse ebbe un'apparizione: in una grande luce splendente vide una casa santa con una piccola immagine della Beata Vergine Maria "Consolatrix Afflictorum" proveniente dal Lussemburgo, che due soldati le avevano offerto in vendita qualche tempo prima. L'esperienza di Hendrick Busman fu così confermata ed egli chiese alla moglie di rintracciare i due soldati e di acquistare le immagini. Lei riuscì a comprarne uno. Il mercante costruì la cappella e il 1° giugno 1642 il parroco Johannes Schink di Kevelaer collocò solennemente il quadro nella cappella. Dopo l'approvazione diocesana del 1647, iniziarono i pellegrinaggi e le testimonianze di guarigioni miracolose, che continuarono fino alla metà del XIX secolo. Oggi il santuario riceve circa 800.000 pellegrini all'anno.

Eichsfeld

Oltre a questi santuari "classici" e a diverse decine di luoghi di pellegrinaggio regionali, due santuari nel territorio dell'ex DDR hanno recentemente guadagnato popolarità.

Il 23 settembre 2011, durante il suo ultimo viaggio in Germania da Papa, Benedetto XVI ha visitato il santuario mariano di Etzelsbach, nella regione turingia di Eichsfeld, una sorta di "isola cattolica" che, come ha ricordato Benedetto, ha resistito "a due empie dittature che hanno cercato di sradicare la fede tradizionale". Nel santuario di Etzelsbach, "gli abitanti di Eichsfeld erano convinti di trovare qui una porta aperta e un luogo di pace interiore", ha proseguito Benedetto XVI.

La prima cappella di Etzelsbach, oggi parte della diocesi di Erfurt, fu probabilmente costruita nel XV secolo. Nel 1525, a causa della guerra dei contadini, il pellegrinaggio fu interrotto e fu ripreso solo nell'anno della peste di Eichsfeld, nel 1555, ma con l'uso di un altare portatile, poiché la cappella era ancora molto fatiscente. Solo nel 1801 fu costruita una nuova cappella al posto di quella vecchia. Tuttavia, poiché il pellegrinaggio era molto popolare e la cappella non riusciva a far fronte al flusso di pellegrini, nel 1898 fu costruita e consacrata la chiesa che esiste ancora oggi, secondo i progetti del francescano Paschalis Gratze.

Una caratteristica particolare è l'annuale "pellegrinaggio a cavallo", che si svolge la seconda domenica dopo la Visitazione della Vergine Maria e attira molti pellegrini; i cavalli vengono benedetti dopo la messa solenne del pellegrinaggio. Inoltre, nei mesi di agosto e settembre si svolgono tre pellegrinaggi tradizionali (Virgen de las Nieves, Assunzione e Natività della Vergine Maria).

Neuzelle

L'altro santuario nell'ex DDR è Neuzelle, non lontano dalla foce del fiume Neisse sull'Oder, che forma il confine tedesco-polacco. Qui, nel settembre 2018, è stato istituito un priorato sotto l'abbazia cistercense di Heiligenkreuz (Santa Croce) in Austria, 200 anni dopo che i cistercensi avevano dovuto lasciare Neuzelle, l'unico monastero maschile in questa regione a sopravvivere alla Riforma protestante, nel 1817.

L'immagine della Madonna di Neuzelle riflette la storia di questo santuario: è un'immagine gotica, alla quale in epoca barocca - la chiesa è stata restaurata nello stile barocco tipico della Germania meridionale dopo i danni subiti durante la Guerra dei Trent'anni (1618-1648), cosa rara a queste latitudini - è stato aggiunto un manto che è stato posto al centro della pala d'altare. Neuzelle è il luogo di pellegrinaggio ufficiale della diocesi di Görlitz, la più piccola della Germania con una popolazione cattolica di appena il quattro per cento.

Per saperne di più
Attualità

Xabier Gómez: "Il futuro della Chiesa cattolica in Spagna è misto e questo dimostra la sua cattolicità".

La Chiesa spagnola è già una vetrina di nazionalità e culture diverse, non solo tra i suoi fedeli ma anche tra i suoi pastori e, in particolare, nella vita consacrata. Una realtà che mostra "la cattolicità della Chiesa ed è una buona notizia", secondo le parole del direttore del Dipartimento per le migrazioni della Conferenza episcopale spagnola, il domenicano Xabier Gómez.

Maria José Atienza-6 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Il cardinale arcivescovo di Madrid. José Cobo; il direttore del Dipartimento Migrazioni della CEE, Xabier Gómez, e Melania Flores, peruviana, della parrocchia di San Millán y San Cayetano a Madrid, hanno presentato l'Esortazione pastorale: "Comunità di accoglienza e missionarie. Identità e contesto per la pastorale dei migranti".

Questo documento analizza la realtà della numerosa presenza di migranti nella società spagnola e propone di "rinnovare una pastorale concreta con i migranti che comprenda tutte le dimensioni pastorali". 

Una persona su cinque che vive in Spagna è un migrante. Con questo eloquente dato inizia l'Esortazione pastorale: "Comunità accoglienti e missionarie. Identità e quadro per la pastorale con i migranti", presentata presso la sede della Conferenza episcopale spagnola. Durante la presentazione, il cardinale arcivescovo di Madrid ha sottolineato che si tratta di un documento frutto di un lavoro appassionante. 

In questo senso, il cardinale Cobo ha ricordato il documento del 2007, che "è stato la pista di atterraggio per quelli successivi", ma il "Magistero degli ultimi anni ha incorporato novità molto valide per una nuova riflessione" che hanno dato origine a questo nuovo documento per il quale, inoltre, sono stati presi in considerazione i delegati delle diocesi e i pareri dei vescovi. L'obiettivo è quello di dare "una prospettiva evangelica sulle migrazioni, una prospettiva diversa: quella dell'essere umano nella dignità che Dio gli ha dato". 

Il Cardinale ha sottolineato che "la Chiesa ha una grande opportunità: mostrare al mondo che l'integrazione è possibile". In questo senso, ha sottolineato che questo documento si concentra sui migranti come elemento di arricchimento.

Valorizzare i migranti di fronte alla paura

Xabier Gómez, da parte sua, ha voluto sottolineare che questo documento affronta "la questione dell'identità. L'identità di un cattolico si basa sull'identificazione: con chi mi identifico? Per il direttore del Dipartimento Migrazioni della CEE, "il documento si basa sul riconoscimento del contributo dei migranti alla società ed è un'alternativa al discorso del rifiuto o della paura che valorizza queste persone".

"Dobbiamo ricostruire i legami, riscoprire il valore dell'ospitalità insieme ad altre attività con un futuro", ha aggiunto Gómez. 

In relazione alla crescente percentuale di migranti, non solo tra i fedeli delle parrocchie ma anche tra il clero e la vita religiosa, Xabier Gómez ha affermato che "il futuro della Chiesa cattolica in Spagna è di razza mista. Questo dimostra la cattolicità della Chiesa ed è una buona notizia".

Al fianco dei vulnerabili

In relazione alla denuncia del documento sui CIE in Spagna, il direttore del dipartimento episcopale spagnolo per le Migrazioni, Xabier Gómez, ha ricordato che non si tratta di una nuova petizione e che la "Chiesa ha una missione di advocacy politica, abbiamo criteri che condividiamo con la società e abbiamo un track record in cui si esprime la nostra posizione: sempre dalla parte delle persone vulnerabili".

La presentazione ha visto anche la testimonianza di Melania Flores, una peruviana che vive in Spagna e lavora con i migranti nel quartiere Lavapiés di Madrid attraverso i progetti "Educatori in strada" e "Laboratori dei primi passi" gestiti dalla sua parrocchia. 

Il documento, approvato durante l'ultima Assemblea plenaria dei vescovi spagnoli, ha un carattere marcatamente pratico e mira a "servire coloro che vogliono lavorare con i migranti e, in particolare, aiutarli a vedere ogni migrante, ogni persona, così come è e ad accoglierla". 

Vangelo

Sollevare il cuore. Solennità dell'Ascensione del Signore (B)

Joseph Evans commenta le letture della Solennità dell'Ascensione del Signore (B) e Luis Herrera tiene una breve omelia video.

Giuseppe Evans-6 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Un pericolo che corriamo è quello di vedere l'Ascensione come un semplice aneddoto sulla vita di Gesù e come irrilevante per la nostra vita, un po' come la fine di una bella favola: "...".Tutti vissero per sempre felici e contenti". E poi ci si dimentica della storia e si va avanti con la vita reale.

Ma l'evento dell'Ascensione di Gesù è assolutamente essenziale per la nostra vita: per la nostra vita eterna e per la nostra vita quotidiana. È essenziale per la nostra vita eterna perché l'Ascensione di Gesù ci insegna un fatto fondamentale: l'umanità ha un posto in cielo. Possiamo entrare in cielo con la nostra anima e il nostro corpo perché Gesù lo ha fatto; e Lui è lì con la sua anima e il suo corpo, come uomo e come Dio, ora. Grazie a Lui e in Lui, grazie alla sua Ascensione, noi esseri umani in carne e ossa possiamo aspettarci di arrivare in cielo così come siamo, non come angeli, che non siamo, ma come uomini, con quei corpi glorificati che riceveremo alla fine dei tempi.

E l'Ascensione è una realtà che deve riguardare anche la nostra vita quotidiana. Se vogliamo salire al cielo al momento della morte, dobbiamo cercare di salire a Dio ogni giorno della nostra vita. Ogni giorno deve essere un'ascensione. Non possiamo sperare di ascendere a Dio quando moriamo, se per tutta la vita abbiamo guardato solo alle cose della terra. "Solleva il tuo cuore", ci dice il sacerdote durante la Messa, e noi rispondiamo: "....Lo abbiamo innalzato al Signore". Ma lo facciamo?

Nel Vangelo di oggi, Gesù ci insegna che, grazie alla potenza della sua Ascensione, possiamo scacciare i demoni, avere il dono delle lingue, catturare i serpenti, uscire indenni da veleni mortali e guarire i malati. Questo non per farci vantare stupidamente, ma per insegnarci che la grazia che Cristo ci invia dal cielo ha davvero potere sulla terra.

Come si sale a Dio nella vita di tutti i giorni? Innanzitutto desiderando di più Dio, passando da una visione terrena a una visione ascendente. Questo si traduce in azioni pratiche quotidiane: facciamo del cielo la nostra ambizione più che del successo terreno; cerchiamo la gloria di Dio più che la nostra; cerchiamo il tesoro in cielo più che la ricchezza sulla terra; aspiriamo più alla bellezza reale della virtù e dell'amore - di Dio e del prossimo - che alla bellezza vuota dei vestiti e dell'aspetto fisico. È nel ricevere l'Eucaristia che Dio ci attira maggiormente a sé. Nella confessione, siamo liberati dai peccati che ci opprimono. Nella preghiera quotidiana, il nostro cuore sale al Signore. Attraverso la lettura spirituale e la meditazione delle Scritture, lo Spirito Santo ci aiuta a dirigere il nostro sguardo verso il cielo.

Omelia sulle letture della Solennità dell'Ascensione del Signore (B)

Il sacerdote Luis Herrera Campo offre il suo nanomiliaUna breve riflessione di un minuto per queste letture domenicali.

Attualità

"Dio ci ama come amici", sottolinea domenica Papa Francesco.

Nel Regina Coeli di questa sesta domenica di Pasqua, Papa Francesco ha commentato il Vangelo di San Giovanni in cui Gesù comanda l'amore reciproco. Il Santo Padre ha detto che Dio "ci ama come amici", e gli amici vogliono sempre fare del bene e perdonare. Il Santo Padre si è unito ai suoi fratelli e sorelle ortodossi e alle Chiese cattoliche orientali, che oggi celebrano la Pasqua, pregando per la pace.  

Francisco Otamendi-5 maggio 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Il Vangelo di Giovanni (15, 9-17), in cui Gesù predica il comandamento di amarsi l'un l'altro, "come io ho amato voi", è stato oggetto della riflessione di Papa Francesco sulla Regina coeli di questo 6a domenica di Pasqua.

"Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che vi comando. Non vi chiamo più servi [...], ma amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi". È quanto si legge in un frammento di questo Vangelo, a cui il Papa ha fatto riferimento.

"Oggi il Vangelo ci dice che Gesù disse agli Apostoli: "Non vi chiamo più servi, ma amici"", ha esordito il Papa. "Che cosa significa questo? Nella Bibbia, i 'servi' di Dio sono persone speciali, a cui Dio affida missioni importanti, come Mosè, il re Davide, il profeta Elia, persino la Vergine Maria (cfr. Lc 1,38). Sono persone nelle cui mani Dio mette i suoi tesori".

I nostri amici, l'amicizia

"Ma tutto questo non basta, secondo Gesù, per dire chi siamo per Lui: occorre qualcosa di più, qualcosa di più grande, che va oltre i beni e i progetti stessi: occorre l'amicizia", ha proseguito. "Pensiamo per un momento al nostro amiciE ringraziamo il Signore! L'amicizia non è frutto di calcolo, né di costrizione: nasce spontaneamente quando riconosciamo qualcosa di noi stessi nell'altra persona. E se è vera, è così forte che non vacilla nemmeno di fronte al tradimento.

"Un amico ama in ogni occasione", dice il Libro dei Proverbi, "come ci mostra Gesù quando dice a Giuda, che lo tradisce con un bacio: 'Amico, sei qui per questo'". "Un vero amico non ti abbandona, anche quando sbagli: ti corregge, può rimproverarti, ma ti perdona e non ti abbandona".

"Siamo amici di Gesù

"E oggi Gesù, nel Vangelo, ci dice che per lui siamo proprio questo, amici: persone a lui care al di là di ogni merito e aspettativa, a cui tende la mano e offre il suo amore, la sua grazia, la sua Parola; con cui condivide ciò che ha di più caro, tutto ciò che ha udito dal Padre (cfr. Gv 15,15). Fino a farsi fragile per noi, fino a mettersi nelle nostre mani senza difese o pretese, perché ci ama, vuole il nostro bene e ci vuole rendere partecipi del suo. 

"Per lui siamo suoi amici, e lui ci ama come amici. Maria ci aiuti a crescere nell'amicizia con suo Figlio e a diffonderla intorno a noi", ha concluso il Pontefice.

Pasqua ortodossa e dialogo per la pace 

Dopo aver recitato il Regina Coeli dalla finestra del Palazzo Apostolico, e davanti a migliaia di romani e pellegrini riuniti in Piazza Pietro, il Papa si è unito alle gioiose celebrazioni pasquali dei nostri fratelli e sorelle ortodossi e delle Chiese cattoliche orientali.

Ha pregato anche per coloro che sono morti nelle alluvioni di Rio Grande do Sul (Brasile), e per le loro famiglie, in unione con tutta la Chiesa in Brasile. E ha pregato "per la pace" nelle guerre in "Ucraina martirizzata", e in Terra Santa, Israele e Palestina. "No alla guerra, sì al dialogo", ha ripetuto almeno due volte.

Ha inoltre salutato le parrocchie italiane dove i giovani ricevono il sacramento della Cresima, e ha accennato un saluto a Human Life International e all'Associazione Meter, impegnata nella lotta contro ogni forma di abuso sui minori.

L'autoreFrancisco Otamendi

Chiesa al femminile e al maschile

Affrontare il ruolo delle donne nella Chiesa, così come la loro partecipazione ai compiti di governo, è stata a lungo una questione aperta.

5 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Affrontare la presenza delle donne nella vita della Chiesa di oggi, così come i modi e i gradi della loro partecipazione ai compiti di governo, non è semplicemente una questione di sintonia con le priorità della mentalità generale. Al contrario, è una questione aperta da tempo, che sia Papa Francesco che l'attuale Sinodo hanno voluto portare alla ribalta anche nel contesto ecclesiale.

Ciò che non sarebbe appropriato è analizzarlo secondo premesse puramente umane, o analoghe a quelle che regolano l'ordine civile. Sarebbe riduttivo come affermare semplicemente una "sostituzione" degli uomini alle donne nello svolgimento di determinati compiti. Lo stesso varrebbe se questa riflessione si limitasse all'accesso o meno al sacramento dell'Ordine, riservato da Gesù Cristo stesso agli uomini: non aiuterebbe a risolvere le questioni che la vita della Chiesa solleva ogni giorno nel mondo.

È opportuno riconoscere che in più di qualche occasione le donne nella Chiesa sono state viste in modo miope, confinando il loro ruolo a un livello secondario o sussidiario; ciò può essere dovuto a un modo di fare più o meno inconsapevole, o anche come espressione di una concezione incompleta o addirittura negativamente paternalistica. Allo stesso tempo, è anche vero che tra alcune donne all'interno della Chiesa hanno preso piede parametri politici più che ecclesiastici, trasformando una giusta richiesta - quella della pari considerazione delle donne in termini di responsabilità - in una lotta ideologizzata, in cui emerge continuamente la richiesta di accesso al sacramento dell'ordinazione sacerdotale.

Interessanti in questo ambito le riflessioni e le esperienze di varie donne che, nei diversi ambiti di lavoro - le mille forme della vita quotidiana, la comprensione della responsabilità di ognuna nella missione comune, il servizio nelle istituzioni ecclesiastiche, anche in quelle vaticane, la famiglia, l'insegnamento, le iniziative rurali - danno conto dell'enorme ricchezza di quel "genio femminile" di cui parlava San Giovanni Paolo II e che milioni di donne in tutto il mondo contribuiscono alla Chiesa giorno dopo giorno. 

La Chiesa non può essere compresa senza la donnae non si comprende senza il maschio. È proprio la complementarietà dei due - che mostrano caratteristiche dello stesso Creatore - a dover guidare un rapporto di uguaglianza e di rispetto che, con un lavoro continuo, sarà l'unico modo per portare a termine la missione che è stata affidata a tutti, uomini e donne. 

Per questo motivo, affrontare questa diversificata e preziosa presenza femminile nella Chiesa è un compito sempre attuale e necessario, da cui emergono questioni fondamentali per la vita di ogni cattolico, come la vocazione e la missione dei laici, la comprensione del ministero come servizio, l'inviolabile e infinita dignità di ogni essere umano, la ricchezza della diversità dei doni, nonché la necessità di superare schemi e strutture puramente umane per entrare nel mistero della Chiesa.

L'autoreOmnes

Per saperne di più
Libri

"Per Ignacio Echeverría, Dio è sempre stato importante".

La casa editrice Palabra ha pubblicato la biografia di Ignacio Echeverría, "El héroe del monopatín". In questa intervista parliamo di Ignacio con gli autori, la curatrice Julia Moreno e Javier Segura, direttore del musical. Skate Hero.

Loreto Rios-5 maggio 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

A sette anni dalla sua morte, l'eredità di Ignacio Echeverría, l'uomo che ha affrontato i terroristi in un attacco a Londra armato solo del suo skateboard, continua a vivere. Il musical Eroe del pattinaggioche narra le ultime ore di vita di Ignazio.

L'eroe dello skateboard

AutoriJulia Moreno e Javier Segura
Editoriale : Parola
Pagine : 168
Madrid: 2024

La casa editrice Palabra si è unita a questi riconoscimenti con la biografia L'eroe dello skateboardcon un prologo dei genitori del protagonista. In Omnes abbiamo avuto l'opportunità di intervistare gli autori, la curatrice Julia Moreno e Javier Segura, regista del musical.

Come è nata l'idea di realizzare una biografia di Ignacio Echeverría?

Julia Moreno: L'idea di scrivere questo libro è nata quando Javier stava realizzando il musical "Skate Hero", che racconta le ultime 24 ore di vita di Ignacio. Fino ad allora, naturalmente, quello che si sapeva di lui era la sua morte, ma Javier ha pensato che fosse giunto il momento di raccontare la sua vita. Gli ho detto che avevo appena iniziato un master in editoria e mi ha proposto di addentrarmi nel mondo di Ignacio e di ricostruire la sua vita sulle pagine.

Qual è stato il processo di ricerca che ha portato alla stesura di questo libro?

Julia Moreno: Il tutto attraverso interviste di persona, per iscritto e per telefono. Anche le lettere scritte dalle persone vicine a Ignazio dopo la sua morte sono state una fonte importante. Con tutte queste informazioni, abbiamo cercato di ricercare sempre la massima obiettività, sempre con la sfida di trattare l'argomento con attenzione, poiché non possiamo dimenticare che questo è un libro su una persona reale, realmente esistita e morta tragicamente. Questo è un aspetto che doveva essere trattato con cura quando si contattavano le persone che facevano parte della sua vita.

Dopo aver parlato con le persone che lo conoscevano, che cosa hai appreso del carattere di Ignazio?

Julia Moreno: Tutti concordavano sul fatto che fosse una persona che lottava per ciò che riteneva giusto senza alcun timore. Amava stare con i suoi amici e la sua famiglia. Amava essere un bambino, quando era con loro era uno di loro e gli volevano molto bene. Credo che nelle parole del suo amico di sempre possiamo scoprire com'era: "Ignacio non era un suicida. Amante della vita, della natura, della sua famiglia, dei suoi amici, del suo lavoro, Ignacio non sapeva che sarebbe morto quella notte. Qui sta la sua grandezza, nel non sapere, perché non avrebbe mai potuto saperlo. Nelle persone normali, ciò che vediamo, lo elaboriamo, prima di agire, attraverso un filtro, come una sorta di istinto di sopravvivenza, in cui si mescolano le paure e le apprensioni più elementari, ma Ignacio lo ha elaborato attraverso un filtro diverso, quello della giustizia o meno. Così è sempre stato e così rimarrà per l'eternità".

Ignacio Echeverría ©OSV

Cosa sappiamo della sua vita cristiana?

Julia Moreno: Per Ignacio, Dio è sempre stato importante. Fin da piccolo i suoi genitori lo portavano a Messa e, crescendo, decise lui stesso di continuare a farlo, prendendo anche l'iniziativa di accompagnare i suoi nipoti alle lezioni di catechismo affinché potessero fare la Prima Comunione, visto che, se non l'avesse fatto lui stesso, avrebbero rischiato di ricevere il sacramento. Questa fermezza nella fede gli costò talvolta il dispiacere del padre quando questi non era d'accordo con alcuni aspetti della Chiesa che Ignazio difendeva, perché soprattutto sapeva distinguere tra la Chiesa e i peccati commessi dalle persone che la compongono. Inoltre, non aveva paura di confessare il suo cattolicesimo anche in luoghi in cui sapeva che sarebbe stato sgradito, come negli ambienti dello skateboard o nelle gite con gli amici, dove si impegnava ad andare a Messa la domenica, anche se doveva camminare a lungo per trovare una chiesa.

Javier Segura: Senza dubbio la sua fede ha plasmato tutta la sua vita. La rettitudine morale o il desiderio di essere radicalmente buoni nasceva dalla sua vita di fede. Ci sono mille semplici dettagli che ci parlano di questo. La sua esperienza e il suo apprezzamento dei sacramenti, la sua carità verso gli estranei, la sua preghiera evangelica quotidiana, la sua direzione spirituale, le sue riunioni di Azione Cattolica in parrocchia, le catechesi che teneva in Inghilterra... Potremmo definirla come la vita cristiana impegnata di un giovane laico di oggi.

Le persone che sono state attaccate prima dell'intervento di Ignacio e che sono sopravvissute hanno mai parlato di lui o ricordano quello che è successo?

Javier Segura: Ci sono state diverse reazioni. C'è una coppia di aggrediti, i Dowling, sopravvissuti all'attacco, che dopo il processo si è messa in contatto con Isabel, la sorella di Ignacio. Volevano ringraziarli, ora che sapevano chi li aveva salvati, e hanno detto loro che avrebbero ricordato Ignacio ogni giorno della loro vita. Non hanno voluto rilasciare interviste, ma hanno continuato a comunicare con la famiglia di Ignacio, inviando loro foto del matrimonio e altri momenti dall'Australia, dove vivevano. Anche diversi agenti di polizia coinvolti nell'attentato sono entrati in contatto con la famiglia, si sono fatti fotografare o hanno scritto articoli su riviste.

La famiglia è stata visitata due volte dalla polizia britannica, che ha una grande ammirazione per Ignacio. E, aggiungerei, per la sua famiglia, perché ha mostrato un gesto che gli fa onore non entrando nella corrente di diffamazione che si è creata suggerendo che la polizia britannica fosse quella che aveva ucciso Ignacio per errore.

Com'è nata l'idea del musical "Skate Hero" e come ha dato i suoi frutti?

Javier Segura: Il musical è nato dal gruppo cattolico Milicia de Santa María, fondato dal venerabile Tomás Morales S.I. È un gruppo apostolico di giovani che vogliono portare la fede ai loro coetanei. Da alcuni anni lavorano con il formato musicale come strumento utile per trasmettere i valori del Vangelo. Questo è il quarto musical di questo tipo. Il primo è stato realizzato in occasione dell'anno di San Paolo, "Figli della libertà", e successivamente un altro è stato realizzato durante l'anno della misericordia, "Con te". La vita e l'esempio di Ignacio Echeverría meritavano di essere raccontati e cantati come modello di vita cristiana per i giovani di oggi.

In che modo il coraggio di Ignazio continua a ispirare le persone oggi?

Javier Segura: Forse le prime persone che ha ispirato sono i giovani che hanno realizzato il musical. Portarlo in scena significa finire per vivere i suoi valori. Ricordo con particolare emozione la volta che l'abbiamo rappresentato a Las Rozas, da dove veniva Ignacio, quando abbiamo potuto avere sul palco lo stesso skateboard che ha usato nell'attentato. È stato davvero commovente. Un altro momento significativo è stato quando siamo stati chiamati dal programma Got Talent per aprire la stagione con la canzone "Dar la vida por amor". Vedere Risto Mejide commosso dall'esempio di Ignacio ci ha fatto capire che il suo messaggio di amore incondizionato è universale.

Per saperne di più
Vaticano

Solidarietà cristiana e umana

Papa Francesco sottolinea che nella lettura del Vangelo scopriamo l'atteggiamento di Gesù Cristo nei confronti della vulnerabilità umana. Egli ci insegna a metterci completamente al servizio degli altri, anche nella nostra attività professionale.

Ramiro Pellitero-4 maggio 2024-Tempo di lettura: 7 minuti

"Chi toglierà la pietra dal sepolcro?Chi ci libererà dalla paura e dall'amarezza, dalla sofferenza e dalla morte, e ci aprirà la strada della gioia e della speranza, ci chiediamo. La Pasqua attualizza la potenza di Dio, la vittoria della vita sulla morte, il trionfo della luce sulle tenebre, la rinascita della speranza tra le macerie del fallimento. E in questo modo inaugura il nostro cammino con Gesù risorto. Questo è ciò che il Papa ha predicato fin dalla Veglia Pasquale. Poi ci ha mostrato come fare nostri gli atteggiamenti di Gesù verso gli altri: non solo in relazione alla sofferenza e alla vulnerabilità delle persone, ma anche nel lavoro scientifico ed educativo, che deve essere svolto come servizio di solidarietà cristiana all'umanità.

Accogliere Gesù risorto

Nella sua omelia della veglia pasquale (30-III-2024), Francesco ci ha trasportato nel cuore delle donne che andarono al sepolcro nella luce dell'alba. Il loro cuore è ancora nel buio della notte, paralizzato ai piedi della Croce. I suoi occhi non vedono quasi più, offuscati dalle lacrime. Il suo pensiero è bloccato da una grande pietra: "Chi toglierà la pietra dall'ingresso del sepolcro? (Mc 16,3). Ma quando arrivarono, guardarono e videro che era già stato rimosso. 

Anche noi, dice il Papa: "A volte ci sembra che una pietra tombale sia stata posta pesantemente all'ingresso del nostro cuore, soffocando la vita, spegnendo la fiducia, chiudendoci nella tomba delle paure e dell'amarezza, sbarrando la strada alla gioia e alla speranza.".

Ma Gesù è risorto, ha vinto la morte e ha riempito la nostra vita con la luce e la potenza dello Spirito Santo.

Ed è per questo che il successore di Pietro ci consiglia di guardare a Gesù risorto e di accoglierlo: "...".Guardiamo a Lui, accogliamo Gesù, il Dio della vita, nella nostra vita, rinnoviamo oggi il nostro "sì" a Lui e nessuna pietra d'inciampo potrà soffocare il nostro cuore, nessuna tomba potrà escludere la gioia di vivere, nessun fallimento potrà portarci alla disperazione.". "Guardiamo a Lui - insiste - il Risorto, e camminiamo nella certezza che sullo sfondo oscuro delle nostre attese e della nostra morte è già presente la vita eterna che Egli è venuto a portare.".

Gesù di fronte alla sofferenza umana

Chi guarda a Cristo e vive con Lui, cammina con Lui e condivide i suoi atteggiamenti. In un discorso alla sessione plenaria della Pontificia Commissione Biblica (11 aprile 2014), il successore di Pietro ci esorta a condividere gli atteggiamenti di Gesù, soprattutto di fronte alla malattia e alla sofferenza umana. 

"Tutti noi vacilliamo sotto il peso di queste esperienze e dobbiamo aiutarci a superarle vivendo "in relazione", senza ripiegarci su noi stessi e senza che la legittima ribellione si trasformi in isolamento, abbandono o disperazione.". 

Dall'esperienza dei saggi e delle culture, sappiamo che il dolore e la malattia, soprattutto se posti alla luce della fede, possono diventare fattori decisivi nel cammino di maturazione.; Perché la sofferenza, tra le altre cose, permette di discernere ciò che è essenziale da ciò che non lo è. 

Il Papa sostiene che è soprattutto l'esempio di Gesù a indicare la strada, l'atteggiamento da tenere di fronte alla malattia e alla sofferenza, propria e altrui, e tradurlo in passi benefici: "... il Papa dice: "Dobbiamo essere capaci di prendere la strada di Gesù, la strada del Signore".Ci esorta a prenderci cura di coloro che vivono in situazioni di malattia, con la determinazione di superarla; allo stesso tempo, ci invita dolcemente a unire le nostre sofferenze alla sua offerta di salvezza, come un seme che porta frutto.". Prendersi cura e cercare di superare, unire e assumere.

In particolare, sottolinea Francesco, la visione della fede può portarci ad affrontare il dolore con due atteggiamenti decisivi: la compassione e l'inclusione.

La compassione che assume

"La compassione indica l'atteggiamento ricorrente e caratterizzante del Signore nei confronti delle persone fragili e bisognose che incontra.. Vedendo i volti di tante persone, pecore senza pastore che faticano a trovare la loro strada nella vita (cfr. Mc 6,34), Gesù si commuove. Ha compassione delle folle affamate e stremate (cfr. Mc 8,2) e accoglie instancabilmente i malati (cfr. Mc 1,32), di cui ascolta le richieste: si pensi ai ciechi che lo supplicano (cfr. Mt 20,34) e ai tanti malati che chiedono di essere curati. Si pensi ai ciechi che lo supplicano (cfr. Mt 20,34) e ai tanti malati che chiedono di essere curati (cfr. Lc 17,11-19); ha "grande compassione" - dice il Vangelo - per la vedova che accompagna il suo unico figlio al sepolcro (cfr. Lc 7,13). Grande compassione. Questa compassione si manifesta come vicinanza e porta Gesù a identificarsi con chi soffre: "Ero malato e vennero a visitarmi" (Mt 25,36).".  

Guardiamo con attenzione: Gesù si commuove, simpatizza, si avvicina al punto di identificarsi con i sofferenti.

Cosa ci rivela questo atteggiamento di Gesù? L'approccio di Gesù al dolore: non con spiegazioni - come tendiamo a fare noi - o con sterili incoraggiamenti e consolazioni, o con belle parole o con un ricettario di sentimenti, come a volte vediamo nei racconti della Sacra Scrittura, come nel caso degli amici di Giobbe, che cercano di teorizzare il dolore collegandolo alla punizione divina. 

"La risposta di Gesù è vitale, è fatta di "compassione che assume" e che, assumendo, salva l'essere umano e trasfigura il suo dolore. Cristo ha trasformato il nostro dolore facendolo suo fino in fondo: vivendolo, soffrendolo e offrendolo come dono d'amore. Non ha dato risposte facili ai nostri "perché", ma sulla croce ha fatto suoi i nostri grandi "perché" (cfr. Mc 15,34).".

Così, sottolinea Francesco, assimilando la Sacra Scrittura possiamo purificarci da alcuni atteggiamenti sbagliati e imparare a seguire la via indicata da Gesù: "... possiamo imparare a seguire la via indicata da Gesù: "... e possiamo imparare a seguire la via indicata da Gesù.Toccare con mano la sofferenza umana, con umiltà, dolcezza e serenità per portare, nel nome del Dio incarnato, la vicinanza di un sostegno salvifico e concreto. Toccare con mano, non teoricamente, la sofferenza umana.". Il Papa è chiaro e diretto.

Inclusione nella solidarietà

Senza essere una parola biblica, il termine inclusione, sottolinea Francesco, esprime bene una caratteristica saliente dello stile di Gesù: andare alla ricerca del peccatore, del perduto, dell'emarginato, dello stigmatizzato, perché sia accolto nella casa del Padre e sia guarito completamente, nel corpo, nell'anima e nello spirito (ad esempio, il figlio prodigo o i lebbrosi). Inoltre, Gesù vuole condividere questa missione e questo atteggiamento di consolazione con i discepoli: ordina loro di prendersi cura dei malati e di benedirli nel suo nome (cfr. Mt 10,8; Lc 10,9; Lc 4,18-19).

"Per questo, attraverso l'esperienza della sofferenza e della malattia, noi, come Chiesa, siamo chiamati a camminare insieme a tutti, nella solidarietà cristiana e umana, aprendo, in nome della comune fragilità, occasioni di dialogo e di speranza.". Un chiaro esempio è la parabola del Buon Samaritano, che mostra "...".con quali iniziative si può ricostruire una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non permettono di erigere una società dell'esclusione, ma che si fanno prossimo e sollevano e riabilitano i caduti, perché il bene sia comune" (enciclica Fratelli tutti, n. 67).

Il Papa individua un principio chiave: "La Parola di Dio è un potente antidoto contro ogni chiusura mentale, astrazione e ideologizzazione della fede: letta nello Spirito in cui è stata scritta, accresce la passione per Dio e per l'uomo, scatena la carità e riaccende lo zelo apostolico.". Ecco perché la Chiesa ha un costante bisogno di bere - e di dare da bere - alle sorgenti della Parola.

Agli occhi delle persone con disabilità 

Questi stessi atteggiamenti di Gesù, di cura e di inclusione, dobbiamo averli, ad esempio, nei confronti delle persone con disabilità, come ha insegnato Francesco nel suo Discorso all'Accademia delle Scienze Sociali (11-IV-2024), tenendo conto dei fattori sociali e culturali: "... dobbiamo essere consapevoli della necessità di prendere in considerazione i fattori sociali e culturali che riguardano le persone con disabilità.la loro vita è condizionata non solo da limitazioni funzionali, ma anche da fattori culturali, legali, economici e sociali che possono ostacolare le loro attività e la loro partecipazione sociale.".

Alla base di questi atteggiamenti c'è "la dignità delle persone con disabilità, con le sue implicazioni antropologiche, filosofiche e teologiche". 

Tenendo presente che "vulnerabilità e fragilitàappartengono alla condizione umana e non sono esclusivi delle persone con disabilità".Il Papa riporta il nostro sguardo ai racconti del Vangelo:

Nei numerosi incontri di Gesù con queste persone, osserva Francesco, possiamo vedere gli atteggiamenti che anche noi dobbiamo coltivare. Gesù entra in contatto con loro (non li ignora né li nega, non li emargina né li scarta); cambia anche il senso della loro esperienza di vita, con "...".un invito a tessere una relazione unica con Dio che faccia sbocciare nuovamente le persone", come vediamo nel caso del cieco Bartimeo (cfr. Mc 10,46-52).

L'attuale cultura dell'usa e getta e dello spreco, lamenta il Papa, porta facilmente queste persone a considerare la propria esistenza come un peso per sé e per i propri cari. E così questa mentalità apre la strada a una cultura di morte, all'aborto e all'eutanasia.

Per una cultura dell'inclusione

Per questo motivo, il successore di Pietro propone: ".combattere la cultura dell'usa e getta significa promuovere la cultura dell'inclusione - devono essere uniti - creare e rafforzare i legami di appartenenza alla società"lavoro, soprattutto nei Paesi più poveri".per una maggiore giustizia sociale e per la rimozione delle barriere di vario tipo che impediscono a molti di godere dei diritti e delle libertà fondamentali". I risultati di queste azioni sono più visibili nei Paesi economicamente più sviluppati.

Si comprende che questa cultura globale dell'inclusione è promossa in modo più completo".quando le persone con disabilità non sono destinatarie passive, ma partecipano alla vita sociale come protagonisti del cambiamento". Per questo motivo sostiene che "La sussidiarietà e la partecipazione sono i due pilastri di un'inclusione efficace. In quest'ottica, si comprende bene l'importanza delle associazioni e dei movimenti di persone con disabilità che promuovono la partecipazione sociale.".

Insegnare e servire l'umanità

Questo camminare con Gesù risorto, facendo nostri i suoi atteggiamenti, si riflette anche nel modo in cui affrontiamo le questioni storiche. Il Vescovo di Roma lo ha spiegato nel suo discorso al Pontificio Comitato di Scienze Storiche, nel suo settantesimo anniversario (20-IV-2024).

Sia la Chiesa che gli storici, ha osservato, sono uniti nella ricerca e nel servizio della verità.. E concretamente, come ha sottolineato San Paolo VI, il legame tra verità religiosa e verità storica è il fatto che "... la verità della storia è la verità del mondo".L'intero edificio del cristianesimo, della sua dottrina, della sua morale e del suo culto, si regge alla fine sulla testimonianza di un uomo che non è mai stato in grado di fare la differenza."(Discorso 3-VI-1967). Francesco aggiunge che, sulla base della testimonianza che gli apostoli hanno reso a Gesù risorto, la Chiesa desidera animare tutte le culture con questa testimonianza, per costruire con loro la civiltà dell'incontro. 

Questo è stato proclamato da San Paolo VI all'apertura della terza sessione del Concilio Vaticano II il 14 settembre 1964:".Non si pensi che (...) la Chiesa si fermi in un atto di autoindulgenza, dimenticando, da un lato, Cristo, da cui riceve tutto e a cui deve tutto, e dall'altro, l'umanità, al cui servizio è destinata. La Chiesa si pone tra Cristo e il mondo, non ripiegata su se stessa, né come diaframma opaco, né come fine a se stessa, ma ferventemente sollecita ad essere tutta di Cristo, in Cristo e per Cristo, e tutta ugualmente degli uomini, tra gli uomini e per gli uomini, umile e gloriosa intermediaria.".

Anche gli storici devono essere insegnanti e servitori dell'umanità..

Per saperne di più
Educazione

Mark Lewis: "Il mio obiettivo è lasciare l'università meglio di come l'ho trovata".

A maggio entrerà in vigore il nuovo statuto della Pontificia Università Gregoriana. In questa occasione, Omnes ha parlato con padre Mark Lewis, rettore dell'Università Gregoriana dal settembre 2022.

Andrea Acali-4 maggio 2024-Tempo di lettura: 7 minuti

Si avvicina la Pentecoste, il 19 maggio, data in cui si celebra la nuova nuovi statuti dell'Università Pontificia Gregoriana. È la più antica e prestigiosa istituzione accademica della Chiesa. Fu fondato da Sant'Ignazio di Loyola nel 1551, come Collegio Romano, e nel 1873, per volere di Papa Pio IX, assunse il nome attuale. Oggi conta quasi 3.000 studenti provenienti da oltre 125 Paesi di tutto il mondo. Non solo sacerdoti diocesani, seminaristi, religiosi e religiose, ma anche, in più di 21%, laici. Nel 1928, Papa Pio XI volle associare alla Gregoriana il Pontificio Istituto Biblico e il Pontificio Istituto Orientale.

Abbiamo parlato padre Mark Lewis, originario di Miami, dove è nato nel 1959, docente di Storia, rettore della Gregoriana dal settembre 2022, che ci riceve nel suo studio in piazza della Pilotta, nel cuore di Roma.

Quali sono le novità principali dei nuovi statuti e cosa comporteranno?

«Il cambio più importante è l’unificazione dell’Istituto Biblico, dell’Orientale e dell’attuale Gregoriana in una nuova Università integrata, in modo da rendere più agevoli le loro tre missioni. In particolare con l’organizzazione di un’economia di scala, una diversa organizzazione di carattere amministrativo, con la riduzione delle cariche, per esempio un solo rettore invece di tre».

Dunque oltre a facilitare la missione dell’Università ci sarà anche un risparmio economico?

«Speriamo. All’inizio probabilmente no, perché ci sono dei costi di integrazione. Ma per esempio pensiamo di risparmiare a livello di acquisti. Per esempio, abbiamo tre biblioteche, che rimangono con i loro spazi, ma ora ci sono sempre più libri e riviste elettronici; dunque, se possiamo acquistare un unico abbonamento per tutti sarà molto più conveniente. Come pure il fatto di avere un solo economo, con gli acquisti centralizzati. Poco a poco pensiamo di arrivare a questo risparmio necessario».

Lei è rettore della Gregoriana da un anno e mezzo. Quali sono i principali obiettivi del suo mandato?

«Il mio obiettivo, l’ho detto appena nominato, è di lasciare l’Università meglio di come l’ho trovata. Penso che il ruolo del rettore sia quello di guardare al futuro, a distanza di dieci anni, perché il mondo universitario è molto lento, non si cambia direzione immediatamente, e occorre pensare quali sono i bisogni dell’epoca e andare in questa direzione. All’inizio dell’anno ho usato un’immagine rubata dall’hockey ma che si può applicare anche al calcio. Mi hanno parlato di Messi, che ora gioca al Miami; dicono che lui nel primo periodo cammina per il campo e guarda. Dopo un po’ sa più o meno dove arriverà il pallone. E si fa trovare lì. Non è facile, non dico che posso fare questo ma questa è la sfida, pensare dove va la Chiesa, dove va il mondo e come possiamo aiutare entrambi nel futuro. Questo è l’obiettivo».

E le maggiori difficoltà?

«Probabilmente il fatto che un’istituzione accademica come questa, come dicevo, è molto lenta, molto tradizionale. Si dice che la preghiera e la Chiesa sono le cose più lente a cambiare ma penso che il mondo accademico sia sul podio! Si tratta di invitare i docenti e gli studenti a pensare in un altro modo. È una sfida ma se ci riusciremo sarà un’ottima cosa per il futuro».

La Gregoriana è la più antica università pontificia. Forma studenti da tutto il mondo. Come si pone oggi di fronte alle sfide della cultura contemporanea e alla globalizzazione?

«Nel 1551, quando fu fondata, era vista come un collegio, un’università per tutte le nazioni; ma in quell’epoca si parlava di Europa: Germania, Inghilterra, questa era la frontiera.
Poi poco a poco con il successo missionario è venuto un po’ tutto il mondo e adesso abbiamo tanti Paesi da cui provengono gli studenti. Questa è una sfida: creare una comunità universitaria con tante culture. Io vivo qui nella comunità gesuita e anche qui veniamo da tutto il mondo: penso che il nostro esempio, il fatto che siamo abbastanza felici insieme, sia un buon modello per tutti, davvero vediamo il mondo da varie angolazioni e questo è molto importante anche per l’università. È importante per gli studenti venire a Roma e vivere questa esperienza al centro della Chiesa ma anche, tramite i loro compagni di studio, conoscere tutta la Chiesa. Penso che magari qualcuno che viene dagli Stati Uniti può conoscere qualcun altro che viene dal Burundi e poi quando sente notizie di quel paese può dire di conoscere una persona di quel luogo, che dà un po’ più di realtà alla storia e non fa pensare soltanto a un posto lontano. Penso che sia molto importante questo modo di contestualizzare.
L’altra sfida è l’insegnamento della teologia a varie culture. Storicamente era in latino, era eurocentrico ma ora per forza dobbiamo insegnare teologia della liberazione dall’America Latina, la teologia che dialoga con tante religioni orientali, e questo è necessariamente nostro compito. Mi piace questo perché siamo “costituzionalmente” un’università internazionale. Sento tante università degli Stati Uniti che desiderano avere più studenti da tutto il mondo, noi siamo così fin dall’origine».

E come vi trovate ad affrontare il calo demografico e di vocazioni?

«È un’altra sfida perché c’è un calo demografico in Europa e in Nord America ma qui è molto graduale perché accogliamo studenti di tutto il mondo e ci sono Paesi che risentono meno di questo fenomeno. Per esempio, abbiamo sempre più iscritti dal Brasile, in Vietnam pure ci sono molte vocazioni e per questo non ne risentiamo in modo così notevole come qualche seminario nazionale. Però dobbiamo pensare anche che il numero dei seminaristi tende a scendere. La percentuale dei laici non può crescere molto di più semplicemente perché vivere a Roma è un po’ caro per i nostri studenti. Di italiani ne abbiamo, possiamo ospitarli abbastanza bene ma è un po’ più difficile invitare qualcuno dai Paesi in via di sviluppo. Possiamo dare borse di studio ma per vivere non è sufficiente per tanti di loro».

Il Papa ha indicato la strada di una riforma delle università ecclesiastiche e in particolare ha chiesto qui a Roma una maggiore collaborazione e sinergia tra le università pontificie. A che punto è questo lavoro e quali sono le prospettive?

«A febbraio dello scorso anno studenti e docenti dei 22 istituti pontifici a Roma si sono riuniti con il Papa e l’immagine che mi è piaciuta più di tutte è che dobbiamo cantare come un coro, non come solisti. Adesso con questa integrazione di Pentecoste saranno due in meno.
Ma ovviamente l’altra faccia della medaglia è cercare maggiore collaborazione. Penso che sia molto importante che la CRUIPRO, l’organizzazione dei rettori dei vari istituti pontifici, abbia già cominciato prima a cercare situazioni in cui collaborare. Abbiamo per esempio la possibilità di scambiare studenti tra le università per i corsi del primo ciclo e questo permette loro di conoscere più posti di Roma e un altro modo di studiare.
Certo, come gesuiti abbiamo fatto questo accorpamento e qualcuno dice che è un modello da seguire ma è molto più facile quando c’è un unico generale, siamo tutti gesuiti, ed è già abbastanza difficile così, ma questa è la sfida per gli altri. Sappiamo che le sei università pontificie hanno già iniziato a razionalizzare un po’. Non sappiamo ancora quale sarà il modello ma stiamo facendo passi avanti in questa direzione».

Lei ha insegnato negli Stati Uniti dove ha avuto un’esperienza diversa del modo di fare lezione. Ce ne vuole parlare? È una modalità applicabile anche qui? E in generale, come si può innovare la didattica mantenendo uno standard qualitativo elevato?

«È la priorità del nostro piano strategico. Abbiamo avuto la visita di Avepro, l’agenzia per la valutazione della qualità delle università pontificie, e abbiamo deciso che dobbiamo cercare di approfondire la qualità dell’educazione. Non dire che siamo bravi ma studiare e pensare altri metodi didattici. Stiamo per attivare un centro di didattica per i nostri docenti che sarà aperto anche ad alcuni nostri dottorandi per esplorare altre modalità di insegnamento. Le università pontificie hanno una tradizione molto forte, come il sistema italiano, di lezione frontale con esame orale alla fine. Per molti anni ha funzionato molto bene e il vantaggio per il docente è di poter avere 40, 50 o 60 studenti ma nell’epoca delle tecnologie, dove gli studenti sono molto più abituati a un’istruzione individualizzata, dobbiamo ripensare questo. Una delle cose che ho provato negli Stati Uniti, e anche qui finché non ho dovuto lasciare il corso, è di capovolgere l’aula. Siamo abituati ad andare in aula, sentire la lezione, andare a casa e fare i compiti scritti. Con l’intelligenza artificiale questo è sempre più problematico. Capovolgere significa mettere a disposizione on line la lezione frontale, con un esame di comprensione, che può essere pure elettronico e verificato automaticamente, in modo da arrivare in aula con le domande, le discussioni e anche con i compiti da fare in piccoli gruppi. Questa è una possibilità, più intensiva dal punto di vista del docente e sappiamo che non tutti seguiranno questa modalità, ma è mia intenzione esplorare questa strada con il corpo docente».

La collaborazione e gli scambi anche internazionali sono un elemento importante della conoscenza e della divulgazione accademica. C’è un piano in questo senso? È possibile arrivare ad una specie di Erasmus anche per le università pontificie?

«Al momento, come si sa, l’Erasmus non è disponibile per le università pontificie. Noi abbiamo una rete di università gesuite e ne possiamo approfittare e poi la Federazione delle università europee ha un programma di intercambio di cui pure possiamo approfittare. Per noi l’ostacolo principale è che i seminaristi devono essere qui per la formazione sacerdotale. Anche i laici sono venuti per stare a Roma: essendo studenti internazionali, è un po’ meno utile per noi. Allo stesso tempo, ospitiamo tanti che vengono da fuori ma anche lì la sfida è trovare un posto per vivere. È un peccato che noi non abbiamo una residenza come altri atenei, quello è un aiuto importante».

A che punto è il nodo dell’equipollenza dei titoli con lo Stato italiano?

«Ci sono stati passi avanti. Avremo un incontro nel Dicastero per l’educazione nelle prossime settimane ma dal concordato di Bologna era molto importante per la Chiesa avere le università come parte del sistema universitario europeo. Siamo e non siamo… finalmente lo Stato italiano ha cominciato a riconoscere l’equivalenza dei corsi; non è il riconoscimento del titolo ma consente di andare avanti negli atenei statali».

La Chiesa si prepara a vivere due grandi appuntamenti mondiali: la seconda parte del Sinodo sulla sinodalità e il Giubileo del 2025. La presenza di studenti da tutto il mondo offre alla Gregoriana la possibilità di avere una visione molto ampia in questa prospettiva. Quale può essere il contributo del mondo accademico a questi due eventi?

«Tanti nostri docenti partecipano al Sinodo come membri, esperti e facilitatori. All’inizio della sessione dell’anno scorso abbiamo fatto un convegno sulla teologia sinodale, alla fine prevediamo di fare qualcosa basato su questa esperienza. Penso che sia un modo per aprire e chiudere il Sinodo con un taglio accademico e teologico. Il Giubileo poi è un’occasione che mi piace molto perché è un’opportunità di accogliere persone da ogni parte. Sto pensando di fare qualcosa qui con alcune ambasciate per condividere l’arte e l’esperienza della Chiesa nel loro paese, forse nel quadriportico, in modo da celebrare anzitutto il Giubileo ma anche celebrare qui, al centro, la Chiesa presente in tutto il mondo, approfittando di questo movimento dalla periferia al centro. Senza dimenticare che abbiamo un diploma in beni culturali che prepara le guide che eventualmente possono essere utilizzate nell’Anno Santo».

L'autoreAndrea Acali

-Roma

Per saperne di più
Vocazioni

Joseph Dinh Quang Hoan: "In Vietnam ci sono molti giovani disposti a servire la Chiesa".

Questo sacerdote vietnamita della diocesi di Thai Binh si trova attualmente a Roma, dove studia grazie a una borsa di studio della Fondazione CARF per poter formare futuri sacerdoti nel suo Paese d'origine.  

Spazio sponsorizzato-3 maggio 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Originario del nord del Vietnam, Joseph è nato in una famiglia cattolica multigenerazionale che fa parte di una comunità religiosa di circa 100 cristiani. Quando aveva 12 anni, l'esempio di un seminarista venuto nella sua comunità lo ha commosso e lo ha portato al discernimento vocazionale. Ora, come sacerdote, vuole servire la gente nella terra in cui è nato e cresciuto. 

Com'è la convivenza con persone di altre religioni in Vietnam? 

-In Vietnam ci sono attualmente 54 gruppi etnici diversi. Il mio Paese ha una lunga storia di diversità religiosa, con varie religioni e sistemi di credenze che coesistono da secoli. Da antiche forme religiose come il totemismo, lo sciamanesimo e l'animismo al cattolicesimo, al buddismo, al protestantesimo e all'islam. Questo contesto storico ha contribuito a creare un atteggiamento relativamente tollerante nei confronti delle diverse fedi. Devo dire che, sebbene il cristianesimo sia una religione di minoranza, tendiamo a partecipare ad attività sociali e caritatevoli a beneficio della comunità in generale, indipendentemente dalla nostra appartenenza religiosa. Questo favorisce una buona impressione da parte degli altri sulle comunità cristiane, in particolare su quella cattolica. 

So che la situazione è molto diversa in ogni regione del Vietnam. Nel mio caso, la mia famiglia viveva in una piccola comunità cristiana in una piccola città e non abbiamo avuto conflitti con i nostri vicini che non condividono lo stesso credo. Inoltre, siamo orgogliosi di essere cattolici, ma rispettiamo anche il credo degli altri. 

Quali sono le sfide che la Chiesa cattolica deve affrontare in un Paese come il Vietnam?

-Oggi si può dire che la Chiesa in Vietnam affronta ancora molte sfide e difficoltà sotto diversi aspetti, come l'ideologia atea, i pregiudizi verso i cattolici e la comprensione imprecisa della dottrina della Chiesa. Nonostante le difficoltà e le persecuzioni, la Chiesa in Vietnam cresce di giorno in giorno.

Inoltre, l'economia di mercato e la teoria sociale relativista hanno indotto molti giovani cattolici ad avere pensieri sbagliati, portandoli ad adorare i valori materiali e a dimenticare la fede che i nostri antenati ci hanno trasmesso con il loro prezioso sangue. 

Credo che, a prescindere dalle sfide che dovrà affrontare, la Chiesa in Vietnam sarà sempre fedele alla fede e alla nostra Madre Chiesa.

Come vede il futuro della Chiesa nel suo Paese? 

-In Vietnam ci sono circa 7 milioni di cattolici, che rappresentano il 7,4 % della popolazione totale. Ci sono 27 diocesi (comprese tre arcidiocesi) con 2.228 parrocchie e 2.668 sacerdoti, e la Chiesa in Vietnam sta crescendo rapidamente.

In effetti, il numero di vocazioni nella Chiesa vietnamita è molto alto. Molti giovani sono disposti a impegnarsi nel cammino religioso, diventando sacerdoti e religiosi per servire la terra del Vietnam, ma anche per intraprendere missioni missionarie in tutto il mondo. Nella mia diocesi di Thai Binh, una piccola diocesi, abbiamo attualmente circa 100 seminaristi e molti religiosi, suore e fratelli. Sono il futuro della Chiesa.

Che contributo dà al suo ministero la formazione ricevuta a Roma?

-Venire a Roma per studiare non è solo il mio sogno, ma anche quello di molti fedeli vietnamiti. Nella mia diocesi si sta costruendo il seminario maggiore del Sacro Cuore di Thai Binh, quindi c'è bisogno di insegnanti. Voglio studiare il più possibile per poter tornare a servire la formazione intellettuale nella mia diocesi.

Cosa ha apprezzato di più del suo soggiorno a Roma?

Vivendo e studiando a Roma sento più chiaramente una Chiesa viva, multietnica, multiculturale e reciprocamente rispettosa. Vivo in un collegio di sacerdoti provenienti da molti Paesi diversi. Questo mi aiuta a capire l'integrazione culturale, la bellezza della fraternità e lo scambio di conoscenze ed esperienze pastorali.

Sono molto grata alla Fondazione CARF per avermi permesso di studiare alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma. Prego e ricordo sempre coloro che mi hanno aiutato nella mia vocazione e nello studio.

Per saperne di più
Attualità

Le donne nella Chiesa, il tema del numero di maggio della rivista Omnes

La rivista cartacea di maggio 2024 si concentra sul ruolo delle donne nella Chiesa e sul dibattito sul sacerdozio femminile attraverso vari contributi e interviste. La rivista presenta anche la Giornata mondiale dell'infanzia e l'ultimo Forum Omnes.

Maria José Atienza-3 maggio 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Le donne nella Chiesa sono al centro del numero di maggio 2024 della rivista Omnes. Un approccio all'insondabile ricchezza che milioni di donne apportano alla vita della Chiesa in molti ambiti diversi.

Speciale sulle donne nella Chiesa

La presenza delle donne nella Chiesa è un lavoro sempre attuale e necessario, da cui emergono questioni fondamentali per la vita di ogni cattolico, come la vocazione e la missione dei laici.

Questo dossier di Omnes contiene interviste a due donne che hanno studiato questo ruolo femminile nella Chiesa e lo hanno vissuto in prima persona. Prima di tutto, Marta Rodríguez Díaz, specialista in teorie di genere e

Professore presso la Facoltà di Filosofia dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, dove coordina l'area accademica dell'Istituto di Studi Femminili, che evidenzia, tra l'altro, come le donne nella Chiesa abbiano la sfida di incarnare una femminilità luminosa, dalla quale aprire percorsi profetici per la Chiesa che rispondano ai segni dei tempi odierni. Da parte sua, María García Nieto, giurista e autrice di La presencia de la mujer en el gobierno de la Iglesia. Una prospettiva giuridica sottolinea la necessità di comprendere il significato di un'istituzione gerarchica come la Chiesa e il ruolo di uomini e donne laici nel suo governo.

Oltre all'esempio di santi di tutti i continenti e di tutte le epoche, Omnes raccoglie in questo dossier la testimonianza di Lidia Quispe e Frankie Gikandi, l'una dagli altopiani boliviani e l'altro da una zona rurale del Kenya, che attraverso il loro lavoro quotidiano, la loro collaborazione nella comunità e le loro iniziative stanno costruendo la società e la Chiesa nelle aree remote del nostro pianeta.

Il teologo Philip Goyret approfondisce anche l'eterno dibattito sul sacerdozio femminile per completare questo dossier sulle donne nella Chiesa.

La Giornata mondiale dei bambini e il Papa a Pasqua

La celebrazione della prima Giornata Mondiale del Bambino, indetta da Papa Francesco per il 25 e 26 maggio, è l'epicentro dell'articolo scritto da Roma dal nostro redattore, Giovanni Tridente, autore di un'interessante intervista a Fay Enzo Fortunato, che, insieme a un team di collaboratori, sta coordinando l'organizzazione di questa giornata. Il religioso sottolinea che questa prima giornata sarà "un'esperienza formativa per i bambini e i loro accompagnatori, e una giornata storica per la Chiesa". Uno degli eventi più significativi sarà senza dubbio il dialogo dei bambini con Papa Francesco nello Stadio Olimpico e, il giorno successivo, la Santa Messa in San Pietro officiata dal Santo Padre.

Gli insegnamenti del Papa di questo mese si concentrano sulle parole del Papa che, durante il mese di aprile, hanno ruotato intorno alle letture del periodo pasquale e si sono concentrate sulla compassione per i più poveri e vulnerabili o per le persone con disabilità.

Vietnam

La Chiesa in Vietnam apre la sezione mondiale di questa rivista. Una Chiesa segnata dal martirio - fin dalle origini e ancora oggi - e, allo stesso tempo, dalla fede salda dei cattolici vietnamiti e dalla loro attenzione a mantenere viva l'eredità di tante persone che hanno dato la vita per la fede.

La fede nell'Università e il Forum Omnes

La fede nell'università è il tema che Juan Luis Lorda affronta in Teologia nel XX secolo. Un rapporto intrinseco che non si è inaridito, dal momento che, come sottolinea l'autore, oggi la teologia svolge un ruolo molto importante nell'università, con la quale è nata.

Gerolamo Leal, da parte sua, propone la lettera che papa Clemente I scrisse ai cristiani di Corinto per placare la rivolta di alcuni giovani contro i presbiteri o gli anziani della comunità. Un documento interessante che contiene elogi per i Corinzi e avverte della gravità della divisione e dell'invidia.

Il Forum Omnes, tenutosi in collaborazione con il Master di Formazione Permanente in Diritto Matrimoniale e Procedura Canonica della Facoltà di Diritto Canonico dell'Università di Navarra il 15 aprile, è al centro del reportage di questa rivista sulle Ragioni.

In questo numero, Omnes presenta anche un'interessante riflessione di José Ramón Amor-Pan, direttore accademico della Fondazione Paolo VI, sull'ultimo documento del Dicastero per la Dottrina della Fede, Dignitas Infinita.

Il contenuto del rivista per il mese di aprile 2024 è disponibile in versione digitale (pdf) per gli abbonati alle versioni digitale e cartacea.

Nei prossimi giorni verrà recapitato anche all'indirizzo abituale di coloro che hanno il abbonamento stampato.

Mondo

Il Cardinale Pizzaballa: "Guardare il volto di Dio e dell'altro per costruire la pace"

Il 2 maggio, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, ha tenuto una conferenza alla Pontificia Università Lateranense in cui ha chiesto la pace in Terra Santa.

Giovanni Tridente-3 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Il giorno dopo aver preso possesso della parrocchia di Sant'Onofrio a Roma, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemmeè stato invitato a tenere una Lectio magistralis alla Pontificia Università LateranenseL'evento faceva parte del corso di studi in Scienze della Pace e Cooperazione Internazionale dell'Istituto Pastorale Redemptor Hominis.

Tragedia senza precedenti

Un grido di dolore e un appello per la pace di fronte alla tragica situazione che sta dilaniando la Terra Santa si è potuto percepire sin dalle prime battute del suo intervento. “Quanto sta avvenendo è una tragedia senza precedenti”, ha esordito. “Oltre alla gravità del contesto militare e politico, sempre più deteriorato, si sta deteriorando anche il contesto religioso e sociale. Un panorama desolante”.

Di fronte a questa crisi profonda, che vede disgregati persino i pochi contesti di convivenza interreligiosa, il Patriarca ha richiamato la Chiesa a rifondare la sua azione di pace su due pilastri evangelici fondamentali.

Guardare il volto di Dio

Il primo è “guardare il volto di Dio”, poiché la pace prima di essere un progetto umano “è un dono di Dio, anzi, dice qualcosa di Dio stesso”. Citando il celebre discorso di Paolo VI alle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965, Pizzaballa ha ribadito che “l’edificio della moderna civiltà deve reggersi su principi spirituali, capaci non solo di sostenerlo ma di illuminarlo e animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principi, essi non possono non fondarsi sulla fede in Dio”.

Guardare il volto dell’altro

Il secondo pilastro è “guardare il volto dell’altro”. Come ha spiegato il Patriarca, “la pace, anche a livello antropologico, non è solo convenzione sociale o assenza di guerra, ma si fonda sulla verità della persona umana”. Solo nel contesto di uno sviluppo integrale dell’uomo e nel rispetto dei suoi diritti “può nascere una vera cultura della pace”. Facendo riferimento al filosofo Lévinas, ha insistito che “nel volto dell’Altro si gioca l’assoluto” e che “il mondo è mio nella misura in cui posso condividerlo con l’Altro”.

Di fronte al deterioramento della situazione e all'inerzia delle istituzioni internazionali, “sempre più deboli” e impotenti, il Patriarca ha evidenziato anche la mancanza di leadership locale capace di realizzare gesti che costruiscano fiducia e di fare “scelte coraggiose di pace”. Ha però avvertito la Chiesa e tutti i soggetti pastorali a vari livelli a non cedere alla “tentazione di colmare il vuoto lasciato dalla politica” entrando in dinamiche di negoziazione che non le appartengono.

Unico riferimento è il Vangelo

Il compito della Chiesa, ha ribadito con forza, è “rimanere sé stessa, comunità di fede” il cui unico “riferimento è il Vangelo”. La sua missione è "creare nella comunità il desiderio, la disposizione e l’impegno sincero di incontro con l’altro, nel saperlo amare nonostante tutto”. Un cammino che passa attraverso “l’ascolto della Parola di Dio” e la testimonianza del mistero pasquale di Cristo, “l’unico che ha abbattuto la barriera tra gli uomini, il muro d’inimicizia”.

L'autoreGiovanni Tridente

Per saperne di più
Iniziative

Preghiera del Santo Rosario dal santuario di Loreto

Ogni giorno a mezzogiorno il Santo Rosario può essere recitato con i fedeli che si recano al Santuario della Santa Casa di Loreto, in Italia.

Paloma López Campos-3 maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Con l'inizio del mese di maggio, è consuetudine per i cattolici pregare con maggiore frequenza il Santo Rosariouna preghiera tradizionale dedicata alla Vergine Maria. Alcuni la recitano da soli, altri con la famiglia o con gli amici, ma può essere recitata anche accompagnati dai fedeli che si recano al Santuario della Santa Casa di Loreto, in Italia.

Ogni giorno a mezzogiorno vengono trasmessi in diretta l'Angelus (o Regina Caeli) e il Santo Rosario. Chiunque può partecipare alla pratica di questa devozione tramite YouTube, la radio o il sito web di Vatican News.

La staffetta per unirsi alla preghiera del Rosario a Loreto è iniziata nel pieno della pandemia COVID-19, il 6 aprile 2020. Come riportato all'epoca Notizie dal VaticanoFabio Dal Cin, arcivescovo delegato pontificio, ha spiegato che "la Santa Casa di Loreto ci invita a invocare Maria, per non perdere la speranza nel Dio della vita".

Perché a Loreto?

Il Santuario della Santa Casa di Loreto è un luogo speciale per i cattolici. Secondo la tradizione, qui è conservata la casa in cui la Vergine Maria ricevette l'arcangelo Gabriele al momento dell'Incarnazione.

Questa piccola casa in Terra Santa cominciò a essere in pericolo al tempo delle Crociate. Fu allora che un membro della famiglia Angeli finanziò il trasferimento, pezzo per pezzo, della casa di Santa Maria. All'inizio la casa si trovava in Croazia, fino al 1294, quando decisero di trasferirla a Loreto, in Italia.

Questa prima casa della Sacra Famiglia ha un significato speciale per i cattolici. Non sorprende quindi che unirsi alla preghiera del Santo Rosario a Loreto sia un buon modo per avvicinarsi alla Vergine Maria.

Facendo clic su QUI è possibile accedere al canale YouTube dove si può assistere in diretta alla recita del Santo Rosario e dell'Angelus o Regina Caeli a Loreto. La domenica è consuetudine unirsi a Papa Francesco, che prega dalla sua finestra a mezzogiorno con tutti i fedeli che si uniscono alla trasmissione o che si trovano in Piazza San Pietro.

Facciata della Basilica della Santa Casa di Loreto (Wikimedia Commons / Termauri)
Per saperne di più
Mondo

La Turchia: un vicino scomodo. Terza parte

Con questo articolo, lo storico Gerardo Ferrara conclude una serie di tre studi in cui approfondisce la cultura, la storia e la religione della Turchia.

Gerardo Ferrara-3 maggio 2024-Tempo di lettura: 7 minuti

In un precedente articolo parliamo del Medz Yeghern (armeno: "grande male"), il primo genocidio del XX secolo, una serie di brutali campagne condotte contro l'etnia armena, prima dal sultano Abdülhamid II tra il 1894 e il 1896, poi dal governo dei Giovani Turchi tra il 1915 e il 1916, che portarono alla morte di circa 1,5 milioni dei due milioni di armeni che vivevano nei territori della Sublime Porta.

In un precedente articolo abbiamo parlato del Medz Yeghern (in lingua armena: grande male), il primo genocidio del XX secolo, una serie di brutali campagne condotte contro i cittadini turco/ottomani di etnia armena prima da parte del sultano Abdülhamid II, tra il 1894 ed il 1896, e poi dal governo Giovani Turchi, tra il 1915 e il 1916, che portarono alla morte di circa un milione e mezzo dei due milioni di armeni che vivevano nei territori della Sublime porta.

Nonostante gli storici di tutto il mondo concordino sull’atrocità e i numeri di questo genocidio, la Turchia si rifiuta di riconoscerlo ed è ancora grande il rischio che corrono gli intellettuali turchi che osano parlarne in patria. Persino il premio Nobel per la letteratura nel 2006, Orhan Pamuk, della Turchia, è stato accusato di “vilipendio dell’identità nazionale turca” secondo l’articolo 301 del Codice Penale turco che riguarda la libertà di espressione (o, in questo caso, la mancanza di libertà di espressione), come chiunque osi parlarne. Lo stesso era avvenuto a Hrant Dink, giornalista turco di origine armena già condannato nel 2005 a sei mesi di reclusione per suoi articoli sul Genocidio armeno. Dink, più volte minacciato di morte, fu infine ucciso nel 2007 mentre usciva dalla redazione del suo giornale Agos (il processo al suo assassino portò alla luce tutta una serie di legami occulti tra lo Stato, i servizi segreti e gruppi ultranazionalisti in un’organizzazione segreta chiamata Ergenekon che sarebbe stata legata anche all’omicidio di don Andrea Santoro del 2006).

Altra questione rovente e irrisolta è quella dei curdi, popolo di lingua indoeuropea (la lingua curda è molto vicina al persiano), che vive tra l’Anatolia orientale, l’Iran occidentale, il nord dell’Iraq, la Siria, l’Armenia ed altre zone adiacenti, un’area generalmente conosciuta come Kurdistan. Si stima che i curdi siano oggi tra i 30 e i 40 milioni.

Popolo in origine nomade, i curdi divennero stanziali dopo la Prima guerra mondiale (furono indotti dai Giovani Turchi a partecipare ai genocidi armeno, greco e assiro e stanziarsi proprio sulle proprietà dei deportati e degli uccisi), quando i trattati internazionali posero delle frontiere all’interno del vasto territorio nel quale essi si erano mossi liberamente fino ad allora per consentire le migrazioni stagionali delle greggi. Nonostante il Trattato di Sèvres, redatto nel 1920 e mai ratificato, prevedesse la creazione di un Kurdistan indipendente, il successivo Trattato di Losanna (1923) non tornò a menzionare l’argomento e la patria storica dei curdi si presenta tuttora divisa tra vari Stati, contro i quali sono sorti nel tempo diversi movimenti separatisti curdi.

I cittadini turchi di etnia curda sono stati sempre discriminati dai governi di Ankara, che hanno cercato di privarli della loro identità culturale designandoli come “turchi di montagna”, bandendo la loro lingua (a volte definita un semplice dialetto turco) e vietando loro di indossare abiti tradizionali. Le varie amministrazioni turche hanno anche soppresso – il più delle volte violentemente – ogni spinta autonomista nelle province orientali (continuano, ad esempio, a intervenire escludendo i candidati esponenti di partiti curdi alle elezioni amministrative, comprese le ultime di marzo 2024), incoraggiando altresì la migrazione dei curdi verso la parte occidentale e urbanizzata del Paese, in modo da consentire una diminuzione della concentrazione di questa popolazione nelle regioni montane e rurali.

Nel corso del XX secolo, si sono verificati diversi episodi di insubordinazione e ribellione da parte della popolazione curda e, nel 1978, Abdullah Öcalan costituì il Kurdistan Workers Party (Partito dei Lavoratori Curdi, conosciuto con il suo acronimo curdo, PKK), un partito di ispirazione marxista il cui obiettivo dichiarato è la creazione di un Kurdistan indipendente.

Dalla fine degli anni ‘80, i militanti del PKK, attivi principalmente in Anatolia orientale, sono costantemente impegnati in operazioni di guerriglia contro il governo centrale ed in frequenti atti di terrorismo.

Gli attacchi del PKK e le rappresaglie del governo si intensificarono negli anni ‘80 fino a scatenare una vera e propria guerra civile nella Turchia orientale. Dopo la cattura del leader Ocalan nel 1999, le attività del PKK si sono drasticamente ridotte.

Dal 2002, per via delle pressioni da parte dell’Unione europea, Ankara ha autorizzato l’utilizzo della lingua curda nelle trasmissioni televisive e nell’insegnamento. Tuttavia, la Turchia continua a condurre operazioni militari contro il PKK, comprese delle incursioni nel nord dell’Iraq, fino ad oggi.

I greci anatolici

Prima della Prima guerra mondiale, i greci erano una fiorente comunità in Asia Minore, una terra che avevano abitato fin dai tempi di Omero. Si stima che fossero circa 2,5 milioni, con almeno 2.000 chiese greco-ortodosse, specialmente a Costantinopoli, lungo la costa egea (in particolare a Smirne) e nel Ponto (regione settentrionale dell’Anatolia lungo la costa del Mar Nero la cui capitale, Trebisonda, fu il centro dell’Impero omonimo, con a capo la dinastia dei Comneni, l’ultimo a cadere sotto il dominio degli ottomani).

L’ascesa del nazionalismo turco all’inizio del XX secolo acuì il sentimento anti-greco già strisciante nell’Impero Ottomano, tanto che il regime dei Giovani Turchi, guidato dai Tre Pascià (i massoni Ismail Enver, Ahmed Jemal e Mehmed Talat) ordì, e nella fattispecie ne fu Enver il principale responsabile, i tre grandi genocidi (armeno, assiro e greco) proprio per “ripulire” l’Impero da tutte le minoranze cristiane. Enver, già responsabile del massacro degli armeni, dichiarò all’ambasciatore britannico sir Henry Morgenthau di prendersi tutta la responsabilità di milioni di morti cristiani.

Per quanto riguarda i greci, la catastrofe assunse la forma di un aperto genocidio nel Ponto tra il 1914 e il 1923, quando la popolazione greca locale fu massacrata o deportata, con marce forzate, nelle regioni interne dell'Anatolia e della Siria (un evento raccontato in un bel libro scritto dalla figlia di una delle vittime: "...").Nemmeno il mio nome"di Thea Halo"). Si stima che almeno 350.000 greci, circa la metà della popolazione, siano morti, mentre i sopravvissuti furono deportati.

In Asia Minore, invece, si verificò quella che è conosciuta dagli storici greci come “Catastrofe dell’Asia Minore”, una serie di eventi che portò all’abbandono definitivo della regione da parte della quasi totalità della popolazione greca che aveva vissuto, prosperato e abitato la Ionia fin dall’XI sec. a.C. Tali eventi sono anzitutto la sconfitta della Grecia nella Guerra greco-turca (1919-1922), con i massacri che ne seguirono, e l’incendio e della grande città di Smirne (1922) in cui perirono tra le fiamme, o gettandosi in mare, circa 30 mila greci e armeni cristiani, mentre in 250 mila lasciarono definitivamente la città distrutta.

La conseguenza di ciò fu lo scambio di popolazioni tra Grecia e Turchia, sancito dal Trattato di Losanna del 1923 che, di fatto, ripristinava le relazioni diplomatiche tra le due nazioni: da un milione e mezzo a tre milioni di greci furono costretti ad abbandonare il territorio turco per insediarsi in Grecia (secondo un censimento greco del 1928 si erano insediati solamente in Grecia 1.221.849 profughi su un totale di 6.204.684 abitanti, il 20% della popolazione del Paese!), mentre dai 300 mila ai 500 turchi lasciarono la Grecia per insediarsi in Turchia.

Gli ebrei in Turchia

Prima del 1492, data dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna e dal Portogallo, vi era in Turchia una comunità ebraica conosciuta come romaniota, perché di cultura mista greco-ebraica. Gli ebrei che giunsero dalla penisola iberica contribuirono enormemente al miglioramento della situazione economica e culturale della comunità intera.

A differenza dei cristiani, nel 1908, la comunità ebraica in Turchia sembrò conoscere un miglioramento della propria condizione con la rivoluzione dei Giovani Turchi ma va detto che, almeno fino al 1923, anno della proclamazione della Repubblica turca, solo pochissimi cittadini di fede israelitica, nonostante i secoli di permanenza nell’Impero ottomano dopo l’esilio dalla Spagna, conoscevano la lingua turca, avendo continuato a parlare orgogliosamente la loro lingua madre, il giudeo-spagnolo, parlato ancora oggi da poche persone.

Tra alti e bassi, fino alla proclamazione dello Stato d’Israele, la comunità ebraica di Turchia ha continuato a rimanere nel Paese fino all’emigrazione di massa, che vide circa 33 mila ebrei turchi trasferirsi nel neonato Stato ebraico solo tra il 1948 e il 1952, per la crescente instabilità della sua condizione ma ancor più per le aspettative di vita nel nuovo Paese. Oggi, dei circa 100 mila ebrei presenti in Turchia nel XIX secolo, ne rimangono circa 26.000 (la seconda più grande comunità ebraica in un paese musulmano dopo l’Iran), concentrati per lo più a Istanbul.

La minoranza cristiana in Turchia

È ben nota l’importanza dell’Anatolia per il cristianesimo. Qui, infatti, a Tarso, nacque San Paolo; qui si tennero i primi sette Concili ecumenici della Chiesa; qui, tradizionalmente, Maria, madre di Gesù, visse gli ultimi anni della sua vita (a Efeso, ove è stata rinvenuta quella che per molti è la casa in cui abitò con il discepolo Giovanni).

Tuttavia, se prima della caduta dell’Impero ottomano solamente a Costantinopoli i cristiani erano circa la metà della popolazione, e il 16,6% in Anatolia, oggi se ne contano solamente 120 mila (lo 0,2%), un calo drammatico più che in qualunque altro Paese islamico, soprattutto a causa dei genocidi armeno, greco e assiro, delle deportazioni di massa e degli scambi di popolazione tra Grecia e Turchia. Di essi, 50 mila sono armeni apostolici, 21 mila circa cattolici (tra latini, armeni, siri, caldei), solamente 2 mila greci ortodossi, 12 mila siro-ortodossi e 5 mila protestanti.

La vita dei cristiani nel Paese non è sempre facile. Difatti, se, con il Trattato di Losanna (1923) la Turchia si era impegnata formalmente a garantire completa tutela della vita, della libertà e dell’uguaglianza giuridica a tutti i suoi cittadini, indipendentemente dal credo religioso, e “completa protezione alle chiese, le sinagoghe, i cimiteri ed altre istituzioni religiose delle minoranze non musulmane” (art. 42, par. 3, riga 1), di fatto non ha riconosciuto alcuno statuto alle proprie minoranze religiose che non siano quella armena, quella bulgara, quella greco-ortodossa e quella ebraica (queste ultime considerate, tuttavia, solamente “confessioni ammesse”). Di conseguenza, non è consentito alle comunità religiose non islamiche possedere beni né acquistarli (solamente mantenere chiese, sinagoghe, monasteri e seminari già esistenti e in uso nel 1923, ma di fatto molti beni sono stati confiscati e nazionalizzati dallo Stato turco). Essendo poi il regime delle millet stato abolito, non è più consentito ai capi religiosi di rappresentare le rispettive comunità (fino al 2011 non si è avuto in Turchia neppure un parlamentare cristiano).

Oggi si parla di una crescente “cristianofobia” in Turchia, dato un numero crescente di musulmani che chiede di essere battezzato in qualche Chiesa cristiana (numero in realtà alquanto esiguo, almeno ufficialmente), in un Paese in cui l’islamismo, il nazionalismo o entrambi sono sempre più in voga.

L'autoreGerardo Ferrara

Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.

Per saperne di più

Spagna, una famiglia normale?

Attualmente ci troviamo di fronte a una società spagnola piuttosto disperata, come indicano i nostri indici di salute mentale, e polarizzata in due metà molto mal assortite.

2 Maggio 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

Qualche tempo fa ho sentito una madre ridere quando mi ha detto che il figlio adolescente le diceva di tanto in tanto che avrebbe voluto che fossero una "famiglia normale". Con questo intendeva dire che avrebbe voluto poter entrare in casa quando voleva nel fine settimana, utilizzare il mobile e cose del genere, tipiche della sua età. Questo mi ha portato a pensare che queste "famiglie normali", come le immaginava il ragazzo, non esistono. In tutte ci sono, in misura maggiore o minore, problemi, gioie, dolori, errori, successi, grandezza, cattiveria, diversità di caratteri, temperamenti, situazioni di vita, crisi, ecc.

Pensare a questa figura mi ha portato a una visione della Spagna come una grande famiglia, ma non una famiglia utopica, bensì una famiglia reale: con la sua storia, con i suoi successi e i suoi errori, con la sua diversità di approcci alla vita, con i suoi santi e i suoi criminali, con le sue miserie e le sue grandezze, e anche con le sue situazioni di vita e le sue crisi. Come le famiglie, se vogliono andare avanti e non saltare in aria e finire a schiaffi in faccia o in tribunale, le persone devono cercare di pensare al bene comune e vedere il positivo negli altri, riconoscere i propri errori e correggere quelli degli altri con affetto e al momento giusto.

La Spagna ha una lunga storia che si spinge nelle profondità del tempo dove c'è stato di tutto: questa famiglia è stata celtica e iberica, romana, visigota, musulmana, sefardita e mudéjar e, ora monarchica e cattolica, si spinge a ovest, a sud e a est fino all'America e alle Filippine raggiungendo la sua massima influenza, essendo la madre della grande famiglia ispanica. Nel frattempo, a nord e a est, si lottava per l'indipendenza dai vicini francesi (si dice che ciò abbia avvicinato questa famiglia), lasciandoci indipendenti in casa ma non altrettanto nelle idee; e così arrivarono l'Illuminismo e la rivoluzione francese, che qui fu giustamente chiamata "liberale", dai cui echi la famiglia divenne repubblica, in due esperienze di breve durata, con il loro tentativo di "modernizzare la Spagna", intervallate dalle dittature di Primo de Rivera e Franco. Questi cambiamenti non sono stati incruenti, gentili o civili, e ci sono state molte guerre interne, quella che ha lasciato il segno più grande sulla famiglia che siamo oggi è la cosiddetta guerra civile.

In pace da allora (senza dimenticare i decenni di terrorismo dell'ETA, anche se non si dimentica l'attuale oblio nei confronti delle sue vittime) e con una transizione che altre famiglie hanno ammirato e ammirano, la famiglia ha vissuto questi ultimi 45 anni di democrazia in cui la cultura e l'educazione sono state progettate dai cosiddetti progressisti, con le brevi parentesi dei governi dei cosiddetti conservatori, questi ultimi dediti più che altro all'economia familiare e assumendo in pratica la leadership culturale di chi si sedeva a mangiare a sinistra alla tavola comune.

Penso che tutti gli spagnoli potrebbero provare a fare, oggi e in futuro, un esercizio come quello che ho raccomandato all'inizio ai membri di qualsiasi famiglia, cercando di riconoscere i nostri errori e quelli degli altri, e cercando di correggerli allo stesso modo, vedendo il positivo negli altri e cercando di cercare il bene comune.

Farò un tentativo (non senza rischi e senza voler essere esaustivo):

Possiamo riconoscere che nei secoli della monarchia cattolica ci sono stati grandi successi ed errori. Tra i successi, vorrei sottolineare l'espansione del cristianesimo e della visione della dignità umana propria di questa religione in tutto il mondo, così come la creazione dell'università, delle cattedrali e di tante meraviglie artistiche, la trasmissione della cultura attraverso i codici, le opere di misericordia, ecc. Tra gli errori, chiaramente la commistione tra politica e religione, la persecuzione e l'eliminazione dei dissidenti e degli eterodossi, le guerre per motivi religiosi, il clericalismo, la copertura degli abusi per preservare il prestigio dell'istituzione, ecc.

Nel progressismo liberale, tra i successi posso vedere nobili desideri di giustizia sociale e di uguaglianza e un sano laicismo. Tra gli errori, la convinzione che il fine giustifichi i mezzi, la persecuzione religiosa della Seconda Repubblica e la guerra civile, la consacrazione del diritto all'aborto per migliaia di nascituri, il suicidio tramite eutanasia per i malati gravi e incurabili, la cosiddetta autodeterminazione di genere (che sta causando tanti danni irreversibili a giovani e adolescenti), il continuo declino della qualità e delle esigenze della nostra istruzione, la convivenza e persino la complicità con terroristi di epoche diverse, la colonizzazione delle istituzioni pubbliche, il settarismo ideologico, lo sperpero del denaro di tutti, ecc.

Per quanto riguarda i liberalconservatori, tra i successi penso che abbiano gestito l'economia in modo più austero e abbiano capito meglio che le entrate devono essere bilanciate con le uscite per la sostenibilità del sistema, e che dopo la Costituzione siano stati più rispettosi della libertà religiosa dei cittadini, oltre a credere di più nello Stato di diritto e nella legge. Tra gli errori, lasciandosi alle spalle i 36 anni di Franco (con le sue esecuzioni, gli esili del dopoguerra e la persecuzione dei dissidenti), credo che fondamentalmente non siano stati abbastanza fermi nel difendere le loro giuste convinzioni (la difesa della vita dei nascituri e dei malati terminali, la qualità dell'istruzione, l'uguaglianza degli spagnoli senza privilegi regionali o economici, ecc.)

Tra i nazionalisti, vedo tra i loro successi la difesa della propria lingua e cultura. Tra i loro errori, ovviamente la simpatia o l'equidistanza nei confronti del terrorismo dell'ETA e la mancanza di collaborazione e sensibilità nei confronti delle vittime innocenti (tutte) di tanti anni di assassinii, sequestri ed estorsioni, l'insistenza sul fatto che gli ex assassini abbiano il diritto di partecipare alla vita politica del loro popolo (cosa diversa dal reinserimento), la loro errata convinzione di essere superiori al resto della Spagna e del mondo, l'ottenimento di privilegi ingiusti da parte dei diversi governi centrali (colpa condivisa da conservatori e progressisti, ovviamente), ecc. Potremmo anche includere il nazionalismo spagnolo in ciò che condivide con l'esclusione delle virtù di altri Paesi.

Nella Chiesa, accanto all'immenso bene che è stato fatto in tanti secoli da tanti pastori e fedeli laici, da tante istituzioni religiose, dobbiamo riconoscere gli abusi e talvolta un uso carente del grande potenziale educativo di tante scuole e università della Chiesa che non hanno saputo o non sono state in grado di trasmettere pienamente ai loro studenti una vera formazione cristiana con la capacità di trasformare in meglio la società.

Potremmo continuare con i re, i vari governi, gli scrittori, gli artisti, i vescovi e tutti coloro che fanno parte o hanno fatto parte di questa "normale" famiglia che è la Spagna. Ma mi sembra che questo breve riassunto sia sufficiente per lo scopo di questo modesto articolo.

E ora ci troviamo nel presente, con una società spagnola piuttosto disperata, come indicano i nostri indici di salute mentale, soprattutto tra i giovani (e questo non è dovuto solo alla pandemia ma a un problema culturale più fondamentale, mi sembra) e ancora una volta polarizzata in due metà molto mal assortite.

Forse potremmo cercare di vederci più come una vera grande famiglia, con i suoi problemi e i suoi momenti felici e difficili, riconoscere i nostri errori e cercare di vedere le virtù degli altri. Potremmo cercare di allearci con tutte le persone oneste e di tutte le ideologie per lavorare insieme a una Spagna migliore da lasciare ai nostri successori, che non sembrano troppo contenti del Paese che stiamo lasciando loro. Non si tratta di fare leggi di memoria, ma di vera concordia.

Penso a Sant'Agostino quando, nel suo attualissimo "La città di Dio", diceva che "tra i pagani ci sono i figli della Chiesa e all'interno della Chiesa ci sono i falsi cristiani". Non importa quali etichette diamo a noi stessi o agli altri. Ciò che conta è l'unione di tutte le persone oneste che vivono in Spagna e vogliono renderla davvero migliore per tutti. Non dobbiamo mai stancarci di fare il bene e di combattere il male, in noi stessi e nella nostra società. Dobbiamo allearci con tutti coloro che continuano a credere che il pluralismo sia salutare finché condividiamo un minimo etico comune: non possiamo uccidere, mentire o rubare.

Per saperne di più
Mondo

Il cardinale Bechara Boutros Rai: "La Chiesa soffre accanto al popolo libanese".

Il Patriarca maronita di Antiochia e d'Oriente è la figura cristiana più importante del Libano e svolge un ruolo centrale nella vita pubblica della società. Omnes ha intervistato il cardinale Bechara Boutros Rai in un periodo difficile ma fondamentale della sua storia attuale.

Bernard Larraín-2 Maggio 2024-Tempo di lettura: 7 minuti

Ponte tra Oriente e Occidente, tra Islam e Cristianesimo, il Libano è un Paese che riconosce 18 comunità religiose nel suo piccolo territorio, tra le montagne e il Mediterraneo.

In questo mosaico di fedi, la Chiesa maronita ha svolto un ruolo di primo piano. Da sempre uniti al Papa, il Vescovo di Roma, i cristiani maroniti sono cattolici di rito orientale e rappresentano la più grande e influente comunità cattolica del Medio Oriente. Alla loro testa c'è il Patriarca maronita di Antiochia e di tutto l'Oriente. È la figura cristiana più importante del Paese e svolge un ruolo centrale nella vita pubblica della società. 

Dal 2011, il Patriarca maronita è Sua Beatitudine Bechara Boutros Rai. Nato nel 1940, monsignor Rai è un religioso dell'ordine mariamita, ordinato sacerdote nel 1967, consacrato vescovo nel 1986 ed eletto patriarca nel 2011. Nel 2012, Papa Benedetto XVI lo ha nominato cardinale della Chiesa.

La sua leadership alla guida dei maroniti è stata caratterizzata da posizioni forti sull'identità e l'unità del Libano e sulla neutralità nelle relazioni internazionali. 

Per il suo posto speciale nella storia dell'umanità e della religione cristiana in particolare, i Papi hanno sentito il Libano come un Paese molto presente nelle loro preghiere e preoccupazioni. Joaquín Navarro-Valls, storico portavoce, consigliere diplomatico e amico di Papa Giovanni Paolo II, racconta nelle sue memorie come il Papa polacco abbia tenuto la testa e il cuore in Libano. Paese dei cedri durante i terribili anni della guerra civile, che ha visto anche scontri tra gruppi cristiani.

È stato San Giovanni Paolo II a dare al Libano il nome di "Paese del messaggio". Papa Benedetto XVI ha compiuto una visita storica nel 2012 e Papa Francesco ha espresso la volontà di visitare il popolo libanese e cita spesso il Libano nei suoi discorsi e nelle sue preghiere. 

Per decenni il Libano ha vissuto un periodo di grande sviluppo culturale ed economico che gli è valso il soprannome di "Svizzera del Medio Oriente", ma da diversi anni è impantanato in una crisi politica, sociale ed economica senza precedenti.

Questa delicata situazione è stata aggravata dalla guerra nella parte meridionale del territorio: dal 7 ottobre 2023, con l'inizio del conflitto in Palestina, sono riprese le ostilità nel sud del Libano tra le milizie di Hezbollah e Israele. 

In questo contesto, i cristiani del Libano giocano un ruolo molto particolare e il Patriarca Rai non ha smesso di alzare la voce, richiamando con forza l'identità libanese. 

Situata a 25 chilometri a nord di Beirut, sulle montagne libanesi, Bkerke è la sede del Patriarcato maronita dal 1823. In questo luogo storico con un'incredibile vista sul Mediterraneo, ci accoglie Sua Beatitudine Bechara Boutros Rai. Non è la prima volta che ospita Omnes, poiché nel 2017 l'allora rivista Palabra pubblicò un'intervista a Sua Beatitudine. 

Il Libano sta attraversando una crisi molto grave: da oltre un anno non è stato nominato un Presidente della Repubblica, l'inflazione ha raggiunto livelli senza precedenti, mancano i servizi di base e, dal 7 ottobre 2023, nel sud del Paese si minaccia la guerra. Qual è la sua diagnosi della situazione?

-Purtroppo il nostro Paese è malato perché ha perso il senso della sua missione nel mondo. Giovanni Paolo II diceva che il Libano è più di un Paese, è un "messaggio", e questa è la sua missione: mostrare al mondo che cristiani e musulmani possono e devono vivere insieme, come fratelli. L'identità del nostro Paese è così particolare che un leader di un Paese arabo ha detto "se il Libano non esistesse, bisognerebbe crearlo". 

Esistono due principi importanti dell'identità libanese: il principio della separazione tra Stato e Chiesa e quello della molteplicità culturale. 

Dal primo principio consegue il principio di cittadinanza: si è libanesi non per religione o etnia, ma attraverso questo principio: se si è cittadini, allora si è libanesi. Ciò implica che non si è cristiani, musulmani o drusi, e quindi si ha accesso alla cittadinanza. Questo principio è stato sancito fin dalla creazione dello Stato del Grande Libano, nel 1920, ed è essenziale perché permette a cristiani e musulmani di vivere in pace, senza temere che altri impongano la loro religione nella vita politica. 

Il cardinale Bechara Boutros Rai: "La Chiesa soffre accanto al popolo libanese".
Il cardinale Bechara Boutros Rai con il corrispondente di Omnes Bernard Garcia Larrain

Questo principio si è concretizzato nel 1943 con la firma del cosiddetto Patto nazionale in cui i poteri dello Stato erano divisi in base alle diverse confessioni. L'idea era quella di dare garanzie concrete a ciascun gruppo.

Così, il Presidente della Repubblica deve essere un cristiano maronita, il capo del governo (primo ministro) è un musulmano sunnita e il Presidente della Camera dei Deputati è un musulmano sciita. Questo sistema è stato confermato dagli Accordi di Taëf, che hanno posto fine alla guerra civile degli anni Novanta. 

Il secondo principio è quello della molteplicità culturale: il Libano è un Paese democratico e aperto al mondo, dove convivono diverse sensibilità culturali e dove si privilegiano il dialogo e la neutralità nelle relazioni internazionali. 

Oggi il nostro Paese è malato perché al suo interno ci sono gruppi che ne hanno deformato la fisionomia e non rispettano questi principi fondamentali. Non sono fedeli al Libano. Non rispettano la sua neutralità. Oggi abbiamo una guerra nel sud del nostro Paese, una guerra che i libanesi non vogliono, ma che alcuni gruppi sono determinati a provocare. Questo ha reso il nostro Paese isolato dal resto del mondo. 

Cosa sta facendo la Chiesa per cercare di porre rimedio a questa situazione?

-La Chiesa soffre insieme al popolo libanese, che in questa crisi sta perdendo forza ed elementi dinamici: non solo molti giovani lasciano un Paese che non vedono con ottimismo, ma anche molti professionisti, già formati e integrati nella vita economica e sociale, hanno trovato o stanno cercando un futuro migliore all'estero. La perdita è immensa. 

La nostra popolazione si è estremamente impoverita. L'inflazione è una delle più alte del mondo. Di fronte a questo dramma, la Chiesa apre le sue porte a tutti: le nostre scuole, le università, i centri sociali (che aiutano le persone a trovare lavoro) rimangono aperti e attivi, anche se spesso la gente non può permetterseli. 

I beni della Chiesa sono a disposizione della nostra gente e migliaia di persone beneficiano dei vari aiuti. Cerchiamo di creare opportunità di lavoro per tutti. Tuttavia, la situazione sta peggiorando ed è per questo che continuo a gridare ai nostri leader attraverso i media: "Siete dei criminali, state distruggendo lo Stato, state impoverendo il nostro popolo!

I libanesi amano la loro terra, la loro cultura e la loro patria. Oggi i libanesi che vivono all'estero, che sono la maggioranza, sostengono economicamente il Paese. E se la situazione permetterà loro di tornare, torneranno, perché amano il Libano. 

Ha speranza per il futuro del Paese? 

-Siamo cristiani e abbiamo speranza. Altrimenti non saremmo cristiani e non saremmo qui, dove siamo da molti secoli. 

Il sistema politico libanese è unico al mondo nel senso che la rappresentanza politica e le alte cariche sono distribuite su base religiosa. C'è chi sostiene che questo sistema sia giunto al capolinea e che sia giunto il momento di cambiarlo, di riformare la Costituzione. Lei cosa ne pensa? 

-Il nostro sistema politico, incarnato dalla nostra Costituzione, è magnifico e unico al mondo. Il problema non è il sistema, ma il fatto che alcuni non lo rispettano. Mi piace paragonarlo a un matrimonio: un'unione unica tra cristiani e musulmani. 

Il Libano non può essere solo cristiano o solo musulmano, non sarebbe il Libano. Un divorzio, come alcuni vorrebbero imporre, sarebbe fatale. Questo, ovviamente, genera tensioni e disordini. 

Come definirebbe il suo compito di Patriarca maronita nella società libanese? 

-I Patriarchi maroniti hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia del Libano: sono stati loro a guidare la creazione dello Stato del Libano nel 1920, un processo in cui il Patriarca Elias Hoyek ha avuto un ruolo di primo piano. 

Il Patriarca maronita è un punto di riferimento nel nostro Paese, un'autorità ascoltata e apprezzata, per il significato storico che ha avuto. L'articolo 9 della Costituzione libanese stabilisce il principio dello status personale, che rispetta non solo la cosiddetta legge naturale, ma anche le convinzioni di ogni individuo in questo Paese. 

La nostra voce non è quella di una politica tecnica, ma quella di ricordare i principi morali che dovrebbero guidarci. In Occidente, purtroppo, governiamo senza tener conto di Dio, e così abbiamo leggi sull'aborto, sull'eutanasia e sulle unioni omosessuali. 

La Chiesa è indipendente dai partiti politici e parla alla coscienza del popolo. Per queste ragioni non ho smesso di denunciare il crimine di non aver eletto un Presidente per il nostro Paese e di aver mantenuto la situazione attuale che genera l'impoverimento del nostro popolo. 

Ci sono priorità o sensibilità diverse rispetto alla Chiesa latina? Recentemente i vescovi africani hanno dichiarato che non avrebbero attuato il documento Fiducia Supplicans che permette ai sacerdoti di benedire, al di fuori di qualsiasi forma liturgica, le coppie in situazione irregolare. 

-Innanzitutto, dobbiamo ricordare che nella Chiesa cattolica esiste la libertà di espressione; è un diritto che la Chiesa difende e promuove. 

Per quanto riguarda il documento Fiducia SupplicansMi sembra che in Europa ci siano situazioni che non si presentano a noi nello stesso modo.

I vescovi del Libano lavorano collegialmente, ci riuniamo il primo mercoledì di ogni mese. Abbiamo quindi deciso di istituire un comitato di vescovi per studiare il documento e, a seconda di ciò che questo gruppo di lavoro consiglierà, decideremo se è necessario emettere un documento ufficiale da parte nostra. 

San Charbel, il principale santo libanese, è conosciuto in tutto il mondo e riconosciuto per i suoi numerosi miracoli. Il 19 gennaio è stata installata una sua immagine in Vaticano. Perché, secondo lei, la devozione a San Charbel si è diffusa così tanto? 

-In effetti, San Charbel è molto attivo e molto conosciuto, e la risposta alla sua domanda non si può spiegare: è un mistero. Forse, da buon libanese, Charbel sa negoziare molto bene con Dio per ottenere innumerevoli favori per chi lo prega con fede. 

Il mosaico di San Charbel nella Cattedrale di San Patrizio a New York ©CNS photo/Gregory A. Shemitz
L'autoreBernard Larraín

Vangelo

"Amatevi gli uni gli altri". Sesta domenica di Pasqua (B)

Joseph Evans commenta le letture della Domenica di Pasqua VI e Luis Herrera tiene una breve omelia video.

Giuseppe Evans-2 Maggio 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

"Questo vi ordino: che vi amiate gli uni gli altri.". È così che Nostro Signore conclude il bel Vangelo che abbiamo ascoltato oggi, e la seconda lettura di oggi, sempre da San Giovanni, insiste sulla stessa idea: "...".Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio.".

Ma anche la logica di Gesù è preziosa, come scopriamo nel testo evangelico di oggi. Amare gli altri comincia con il sapere che siamo amati da Dio: "...".Come il Padre ha amato me, anch'io ho amato voi.". Inizia anche con la nostra esperienza dell'amore del Padre, attraverso quello del Figlio: "...".Rimani nel mio amore".

L'amore non è solo un sentimento. È fare costantemente la volontà di Cristo e seguire i suoi comandamenti: "...".Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore.". E questo porta alla gioia. La gioia di vivere nell'amore di Cristo dà gioia agli altri quando condividiamo questo amore con loro. "Vi ho detto questo perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.".

L'amore per Cristo comporta non solo amare gli altri, ma anche cercare di amare al livello di Cristo: "...".Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi.". Questo include la disponibilità a sacrificarsi per gli altri, anche fino alla morte, dando la vita per i nostri amici. E dovremmo sforzarci di essere amici di tutti, al meglio delle nostre possibilità.

Infatti, l'amore a cui aspiriamo è l'amore dell'amicizia, che eleva tutti intorno a noi da servi ad amici: "... l'amore a cui aspiriamo è l'amore dell'amicizia, che eleva tutti intorno a noi da servi ad amici: "...".Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; vi chiamo amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.". Questa amicizia implica la condivisione con gli altri della nostra fede, di tutto ciò che abbiamo imparato dal Padre. Un'amicizia che non comprende la condivisione di Dio con gli altri è solo un'amicizia superficiale.

Potremmo anche dire che il vero amore comporta un "invio", come Cristo invia noi. "Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi e vi ho stabilito che andiate e portiate frutto e che il vostro frutto rimanga.". L'amore dà forza, fa emergere il meglio degli altri e sviluppa le loro qualità e i loro talenti: non si riduce mai alla passività. Il nostro amore deve portare gli altri a portare frutto in Cristo. "Perciò qualsiasi cosa chiederete al Padre nel mio nome, egli ve la darà."Il nostro amore finirà per collegare gli altri a Dio Padre, affinché anche loro possano pregarlo nel nome di Cristo.

Omelia sulle letture della domenica 6 di Pasqua (B)

Il sacerdote Luis Herrera Campo offre il suo nanomiliaUna breve riflessione di un minuto per queste letture domenicali.

Vaticano

"Signore, aumenta la nostra fede", prega il Papa

All'udienza generale di oggi, il Papa ha tenuto una catechesi sulla virtù della fede. Ha inoltre ricordato le vittime delle guerre e delle inondazioni in Kenya.

Loreto Rios-1° maggio 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Papa Francesco ha proseguito mercoledì la sua catechesi sulle virtù. In questo caso, si è concentrato sulla virtù della fede: "Come la carità e la speranza, questa virtù è chiamata "teologale" perché possiamo viverla solo grazie al dono di Dio. Le tre virtù teologali sono i grandi doni di Dio alla nostra capacità morale. Senza di esse, potremmo essere prudenti, giusti, forti e temperati, ma non avremmo occhi che vedono anche al buio, non avremmo un cuore che ama anche quando non è amato, non avremmo una speranza che osa contro ogni speranza".

Il Santo Padre ha poi definito la fede e ha portato esempi di persone che l'hanno vissuta, a partire dal nostro padre nella fede, Abramo, fino a Mosè e alla Vergine Maria: "In questa fede, Abramo è stato il nostro grande padre. Quando accettò di lasciare la terra dei suoi antenati per andare nella terra che Dio gli avrebbe mostrato, probabilmente fu giudicato pazzo: perché lasciare il conosciuto per l'ignoto, il certo per l'incerto? Ma Abramo si mette in cammino, come se vedesse l'invisibile. Ed è ancora l'invisibile che lo fa salire sul monte con il figlio Isacco, l'unico figlio della promessa, al quale solo all'ultimo momento verrà risparmiato il sacrificio. Con questa fede, Abramo diventa padre di una lunga serie di figli. Anche Mosè è stato un uomo di fede che, accogliendo la voce di Dio anche quando più di un dubbio poteva assalirlo, è rimasto saldo nella fiducia nel Signore, difendendo anche il popolo che spesso mancava di fede. Una donna di fede sarebbe la Vergine Maria, che, ricevendo l'annuncio dell'Angelo, che molti avrebbero liquidato come troppo impegnativo e rischioso, rispose: "Eccomi, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola" (Lc 1,38). Con il cuore pieno di fiducia in Dio, Maria intraprende un cammino di cui non conosce né il percorso né i pericoli.

Citando il Vangelo della tempesta calma, il Papa ha indicato il principale nemico della fede: "Non l'intelligenza, non la ragione, come purtroppo alcuni continuano a ripetere ossessivamente, ma semplicemente la paura. Per questo la fede è il primo dono da accogliere nella vita cristiana: un dono che dobbiamo accettare e chiedere ogni giorno, perché si rinnovi in noi. Può sembrare un piccolo dono, ma è quello essenziale". Infatti, ha ricordato Francesco, il giorno del battesimo il sacerdote chiede ai genitori: "Cosa chiedete alla Chiesa di Dio?", e loro rispondono: "La fede, il battesimo". "Per un padre cristiano, consapevole della grazia che gli è stata data, questo è il dono che deve chiedere anche per il suo bambino: la fede. Con essa, un padre sa che, anche in mezzo alle prove della vita, suo figlio non annegherà nella paura. Sa anche che, quando non avrà più un padre su questa terra, avrà ancora Dio Padre in cielo, che non lo abbandonerà mai. Il nostro amore è fragile, solo l'amore di Dio vince la morte", ha continuato il Papa.

Al termine, il Papa ha invitato tutti i presenti a dire: "Signore, aumenta la nostra fede".

Al termine dell'udienza, il Santo Padre non ha dimenticato di chiedere preghiere per la pace, ricordando le guerre in Ucraina, Israele, Palestina e i Rohingya in Myanmar, così come le vittime delle alluvioni in Kenya.

Ha anche chiesto l'intercessione di San Giuseppe Lavoratore per aumentare la nostra fede.

Per saperne di più
Iniziative

Paul Christian Tsotie: "Le cure palliative sono urgentemente necessarie in Africa centrale".

L'Associazione camerunese di cure palliative "Soigner la Vie" (SLV) è stata presentata all'Hospital de Cuidados Laguna di Madrid, alla presenza dell'ambasciatore camerunese in Spagna, Paulin Godfried Yanga, e di rappresentanti di Congo, Nigeria e Gambia. Paul Christian Tsotie, presidente di SLV, spiega a Omnes che le cure palliative sono necessarie in Camerun e in Africa centrale e che l'eutanasia è vista come un "sacrilegio".

Francisco Otamendi-1° maggio 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

La Repubblica del Camerun è uno Stato dell'Africa centrale di quasi mezzo milione di chilometri quadrati, con 28 milioni di abitanti, il 40% cristiani (cattolici e protestanti), il 20% musulmani e circa il 40% animisti. Il Paese confina a ovest con la Guinea Equatoriale, il Gabon, la Repubblica del Congo, la Repubblica Centrafricana, il Ciad e la Nigeria.

Conosciuta per la sua diversità geologica e per la sua cultura, ad esempio la musica, ma anche per lo sport, avendo vinto per cinque volte la Coppa d'Africa delle NazioniSecondo solo all'Egitto (7), il Camerun è una delle sole quattro squadre africane, insieme a Ghana, Sudafrica e Marocco, ad aver raggiunto i quarti di finale della Coppa del Mondo di calcio.

In occasione dell'evento di lancio a Madrid di "Soigner la Vie  ("Prendersi cura della vita"), hanno partecipato persone provenienti da una mezza dozzina di Paesi africani. Oltre all'ambasciatore del Camerun, hanno partecipato rappresentanti del Congo, della Nigeria, del Gambia e persone provenienti dal Senegal e dal Marocco, tra gli altri Paesi. L'ambasciatore camerunense in Spagna, Paulin Godfried Yanga, ha voluto sostenere l'iniziativa con la diffusione dell'Associazione tra la comunità camerunense in Spagna, come veri protagonisti per aiutare i propri connazionali in situazioni più precarie..

Un'altra "Lagune" in Camerun

Il padrone di casa, Direttore Generale dell'Hospital de Cuidados LagunaDavid Rodríguez-Rabadán, ha spiegato il legame tra Laguna e "Soigner la Vie" nell'aiuto e nella formazione per garantire che in futuro ci sarà un'altra "Laguna" in Camerun tra qualche anno. 

Encarnación Pérez Bret, dottore di ricerca in infermieristica e antropologia sociale, infermiera Lo specialista in cure palliative della Laguna ha spiegato "la necessità di promuovere le cure palliative come primo modo per combattere l'eutanasia" e l'urgenza di promuovere "la cultura delle cure palliative" in Africa, dove sono ancora agli inizi. 

Alla presentazione, condotta dall'attrice e scrittrice Eva Latonda, sono intervenuti anche il rappresentante di Soigner La Vie in Spagna, Pablo Pérez-Tomé, il medico Javier Sánchez Ayuso, e i volontari Steve Kommengne e Juan Luis García Hermoso, volontario da quasi 25 anni, che per la prima volta nella sua vita, all'età di 70 anni, si è recato a Yaoundé per aiutare per un paio di mesi. La testimonianza dello scrittore Isabel Sanchez dalla Colombia. Autore del libro "Prenditi cura di noi".ha voluto sostenere l'iniziativa. 

Per spiegare il lavoro svolto finora da SLV, il presidente di Soigner La Vie, Paul Christian Tsotie (Yaoundé, 1989), è intervenuto dal Camerun e ha parlato a Omnes delle cure palliative nel suo Paese e in Africa. Tsotie è un infermiere specializzato in cure palliative e gestione del dolore con 10 anni di esperienza e professore associato presso la Scuola di Scienze della Salute dell'Università Cattolica dell'Africa Centrale (ESS-UCAC).

Quali sono gli obiettivi di SLV in Camerun?

- Diffondere la cultura della medicina del dolore e delle cure palliative in Camerun e in Africa centrale attraverso la formazione/educazione e la promozione dell'offerta di cure palliative, e prevenire le malattie croniche, soprattutto i tumori.

Il bisogno globale di cure palliative.

- Secondo l'Atlante globale delle cure palliative, ogni anno più di 56,8 milioni di persone nel mondo hanno bisogno di cure palliative, di cui 31,1 milioni prima e 25,7 milioni alla fine della vita. La maggior parte (67,1 %) sono adulti di età superiore ai 50 anni e almeno 7 % sono bambini. La maggior parte (54,2 %) sono persone non decedute che necessitano di cure palliative prima dell'ultimo anno di vita.

Il peso delle malattie gravi e delle sofferenze legate alla salute, e il corrispondente bisogno di cure palliative, è immenso. Tuttavia, la maggior parte delle persone bisognose non ha accesso alle cure palliative, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito (LMIC). La maggior parte degli adulti che necessitano di cure palliative (76 %) vive nei Paesi a basso reddito e la percentuale maggiore si trova nei Paesi a basso reddito. Le malattie non trasmissibili rappresentano quasi il 69 % dei bisogni degli adulti.

Quali sono le malattie e le aree del mondo che richiedono più cure palliative?

- Tra gli adulti, le malattie e le condizioni che richiedono interventi di cure palliative sono il cancro, l'HIV/AIDS, le malattie cerebrovascolari, la demenza e le malattie polmonari.

Le regioni del Pacifico occidentale, dell'Africa e del Sud-Est asiatico rappresentano oltre 64 % di adulti che necessitano di cure palliative, mentre le regioni europee e americane rappresentano 30 % e la regione del Mediterraneo orientale 4 %.

Il fabbisogno maggiore per popolazione si registra nella regione africana (in relazione all'elevata incidenza dell'HIV/AIDS), seguita dalle regioni europee e americane con popolazioni più anziane.

In quasi tutte le regioni del mondo, gli adulti il cui bisogno di cure palliative è generato da patologie non maligne costituiscono il bisogno maggiore, seguito dal cancro. Solo nella regione africana l'HIV/AIDS prevale sulle malattie maligne e non maligne.

E in Camerun?

- Secondo il Piano strategico nazionale per la lotta contro il cancro (PSNLCa) 2020-2024, ci sono 15.700 nuovi casi all'anno, di cui 9.335 sono donne; l'80 % dei nuovi casi viene diagnosticato in ritardo e quasi tutti moriranno entro un anno; ci sono 10.533 decessi all'anno; secondo "ecancermedicalscience", ci sono 78.125 persone che hanno bisogno di cure palliative, cioè 3.100 pazienti affetti da HIV e 75.000 casi di cancro. Inoltre, ci sono poche organizzazioni impegnate in questo campo della medicina, il che non è molto attraente.

L'ambasciatore del Camerun in Spagna (al centro) alla presentazione di Soigner La Vie @Carlos de la Calle

Come vede la sensibilizzazione e la formazione in cure palliative?

- L'Associazione Soigner La Vie, insieme ad altre associazioni come Vopaca, Adespa, Alternative Santé e Santo Domingo, svolge attività di sensibilizzazione, formazione ed educazione, nonché campagne nelle scuole, nelle famiglie e nelle comunità per informare le masse sul tema delle cure palliative.

L'accesso agli oppioidi e ad altri farmaci per il dolore è un problema...

- L'accesso agli oppioidi, come la morfina, è un problema reale in Camerun. Si stanno compiendo sforzi in questo senso. La morfina in soluzione orale è disponibile da qualche mese, ma questo analgesico rimane inaccessibile, data la necessità espressa. Questo non è solo il caso del Camerun, ma dell'Africa in generale. L'accesso ad altri farmaci antidolorifici è relativo.

L'Africa rifiuta l'eutanasia, è vero?

- In Africa, la vita ha un carattere culturalmente sacro e tutti i Paesi africani considerano la questione dell'eutanasia un vero e proprio sacrilegio.

Si conclude la breve conversazione con Paul Christian Tsotie. Vale la pena ricordare che alcuni enti hanno contribuito alla presentazione della SLV in Spagna, come ad esempio l'associazione Fondazione Amici di Monkolecon il suo direttore, Enrique Barrio, la Fondazione Vianorte-Laguna e la Fondazione La Vicuña ARBOR VITAE e IDOC i FTIH. Anche la Fondazione Adeste, la Fondazione Recover e la Fondazione francese Adespa erano in qualche modo presenti con il loro sostegno. 

L'autoreFrancisco Otamendi

La Vergine Maria, una figura chiave nella storia della salvezza

Nella Vergine Maria inizia la storia della salvezza del Nuovo Testamento e in lei siamo trasportati anche alla fine della storia, poiché è in grado di testimoniare ciò che l'angelo le ha promesso: che il Regno di suo figlio non avrà mai fine.

1° maggio 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Quando una persona cara se ne va, riflettiamo sulla sua eredità e coloro che gli sono più vicini ricevono i suoi beni in un testamento legale o in un accordo implicito. Arrivando al Calvario, spogliato persino delle sue vesti, senza un luogo di sepoltura assicurato (solo quello prestato da Giuseppe d'Arimatea), che cosa avrebbe potuto fare un testamento scritto da Gesù di Nazareth? La volontà di Gesù è scritta in Giovanni 1926-27: "Donna, guarda tuo figlio. Figlio, guarda tua madre".

Le ricchezze della Vergine Maria

Nel Vangelo di Luca, capitolo 1, versetto 26, l'angelo Gabriele viene inviato a Nazareth per interrompere 400 anni di silenzio di Dio, con le parole: "Rallegrati, Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Non temere, perché hai trovato grazia presso Dio. Concepirai e partorirai un figlio, lo chiamerai Gesù e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo". 

A Maria sarebbe stato affidato l'essere più importante della creazione per concepirlo, nutrirlo, proteggerlo, formarlo e avviarlo al suo destino soprannaturale. Durante tutti quegli anni ella conservò nel suo cuore un diario di memorie che in seguito sarebbe stato consultato da discepoli, evangelisti e storici. 

Ricordiamo ciò che dice Luca 1,3: "Avendo esaminato attentamente ogni cosa fin dall'inizio, ho deciso di scrivere questo racconto in modo ordinato, caro Teofilo. In questo modo sarà possibile verificare la fondatezza degli insegnamenti che abbiamo ricevuto". 

Luca, autore di questo Vangelo tra il 59 e il 63 d.C., ha certamente intervistato coloro che conoscevano personalmente Maria per arrivare all'origine della storia di Gesù e per avvalorarne la validità. Leggendo il Vangelo di Luca, 1, 26-28, ci rendiamo conto che nella visita dell'angelo a Maria di Nazareth si rivela la grande importanza dell'inserimento di Maria nella storia della salvezza: è lei la testimone originale dell'origine divina di Gesù.

Senza la testimonianza di Maria, non avremmo la prova che questo Gesù, nato a Betlemme, che predicò con prodigi e miracoli in tutta la regione, non era un profeta qualsiasi, non era un uomo giusto o prodigioso qualsiasi, ma l'unico e vero Figlio di Dio. Senza la testimonianza di Maria, la nostra fede nella vera essenza e identità di Gesù Cristo vacilla. Nessun altro poteva testimoniare che Gesù era il Figlio di Dio, se non la madre che aveva concepito il Figlio di Dio.

Abbiamo bisogno della Vergine Maria

Dio incontra la sua fanciulla nella terra arida dell'alta Galilea. L'angelo Gabriele interrompe la sua vita di ricerca spirituale per introdurla a una vita di grandi incontri soprannaturali. 

La presenza di Maria nei Vangeli si legge come i versetti dei salmi: ogni versetto ci dice molto. Ogni intervento di Maria afferma un momento profetizzato: lei è l'anello di congiunzione tra l'anelito messianico e la promessa del Padre; l'anello di congiunzione tra l'antica alleanza e la nuova alleanza, tra i figli della legge e i figli della grazia. 

Se seguiamo le orme di Maria e la sua presenza nel Vangelo, notiamo segni profetici che indicano in suo figlio il Messia tanto atteso. 

La storia inizia con il miracolo a Santa Elisabetta, che rappresentava i figli della vecchia alleanza, dell'Antico Testamento, i cui cuori erano grembi sterili che non potevano ottenere o concepire la grazia di Dio. 

Maria rappresenta i figli della Nuova Alleanza, cuori fertili e docili al "seme di Dio", la rinascita di una nuova storia. 

"Benedetta sei tu tra le donne e benedetto è il frutto del tuo grembo". Luca 1:42. "Beati voi perché credete che le promesse di Dio si realizzeranno in voi". Questo è un annuncio delle grazie che verranno. Maria rappresenta coloro che crederanno anche senza aver visto.

Il Vangelo della gioia

Maria evangelizza con il suo esempio, insegnandoci ad avere una fiducia incondizionata in Dio, rispondendo ad ogni invito e ad ogni proposta: "avvenga per me secondo la tua parola"; così come 30 anni dopo suo figlio ci insegna a pregare, dicendo: "Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra".

In Maria inizia la storia della salvezza del Nuovo Testamento e in lei siamo tradotti alla fine della storia della salvezza, poiché è in grado di testimoniare ciò che l'angelo le ha promesso: che il Regno di suo Figlio non avrà fine. In altre parole, sarà incoronato Re dei re e Signore dei signori!

Da Maria impariamo a vivere una fede senza limiti né ostacoli. Se c'è qualcuno che può affermare che per il nostro Dio non esistono impossibilità, è proprio lei. Per questo dobbiamo osare fare passi di fede in piena fiducia. Il sì di Maria vince il no di tanti che hanno rifiutato la chiamata di Dio nella loro vita. 

Maria ci evangelizza anche nel suo Magnificat di Luca 1, 46-55 assicurandoci che i nostri vuoti saranno trasformati in favori, i nostri dolori in gioie, la fame degli affamati sarà saziata, i caduti saranno sollevati con un braccio forte e gli umili saranno esaltati.

La presenza di Maria 

Ancora oggi abbiamo bisogno della presenza e della visita di Maria, affinché i bambini possano saltare di gioia nel grembo delle loro madri e vivere. 

Continuiamo ad avere bisogno della presenza e del discernimento di Maria per percepire le nostre carenze esterne e i nostri vuoti interiori e, attraverso la sua intercessione, per trasformare l'acqua in vino. 

Continuiamo ad avere bisogno della presenza e della saggezza di Maria per continuare ad evangelizzarci con la parola e con il silenzio, affinché, come lei, possiamo sentire la speranza piena, manifestare l'abbandono incondizionato, la fede inesauribile, il coraggio nella sofferenza, la pace nelle avversità, il senso di guadagno nella perdita e lo scopo soprannaturale della vita.

L'autoreMartha Reyes

Dottorato di ricerca in psicologia clinica.

Per saperne di più

Riforme "San José".

In questa festa di San Giuseppe Lavoratore, penso alla mancanza di rinnovamento nella mia casa interiore: alla necessità di riparare le schegge che la vita mi ha lasciato.

1° maggio 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Il Primo Maggio, Giornata Internazionale dei Lavoratori, dal 1955 la Chiesa celebra la Giornata di San Giuseppe Lavoratore, che tradizionalmente viene identificato con un falegname, ma che era molto di più: era un "τέκτων". Sapete cosa significa?

Per conoscere l'ufficio di San Giuseppe, il marito di Maria, dobbiamo cercare il riferimento nel Vangelo secondo Matteo, che racconta come, dopo aver sentito la gente della sua città parlare di Gesù con tale unzione e saggezza, non potevano crederci e si chiedevano: "Non è costui il figlio del falegname? È così che è stato tradizionalmente tradotto il termine greco "τέκτων (tekton)", in cui sono stati scritti i Vangeli, che era la lingua comune del Mediterraneo orientale al tempo di Gesù.

La domanda è: definiremmo tekton quello che oggi intendiamo come falegname? La risposta è un no assoluto e clamoroso. Un falegname, oggi, lo identificheremmo come qualcuno che si occupa esclusivamente di lavori in legno. E distingueremmo un falegname (che costruisce strutture, lavora con grandi travi, ecc.), da un falegname di mobili (che costruisce e installa porte, armadi, mobili da cucina...), da un ebanista (che intaglia, modella e trasforma il legno...).

A tekton era tutto questo, ma anche molto di più, perché la parola designa una persona che svolge un'ampia gamma di lavori manuali, che oggi rientrerebbero nella categoria dei lavori di muratura, comprendendo tutti i lavori di costruzione e persino l'intaglio della pietra. È, come diremmo oggi, un tuttofare, un artigiano, una persona con grandi conoscenze e abilità nei mestieri manuali legati all'edilizia.

Ma che dire di Gesù, anche lui era un tuttofare? Una sentenza rabbinica affermava che "chi non insegna a suo figlio un mestiere manuale gli insegna a rubare", quindi possiamo supporre che Gesù abbia seguito le usanze del suo popolo e abbia imparato il mestiere da suo Padre. E intendo suo Padre, con la maiuscola, visto che (coincidenza!) anche il suo vero Padre è presentato nella Genesi come un artigiano che, con l'abilità delle sue mani, ha costruito l'universo e ha plasmato uomini e animali.

È facile immaginare Giuseppe e Gesù, nella loro officina, che segano una grossa trave e, subito dopo, Giuseppe che cerca di togliere con delicatezza il granello di segatura caduto accidentalmente nell'occhio del ragazzo; è facile vedere il ragazzo che spazzola e leviga un giogo, come gli aveva insegnato il padre, perché sia liscio e non ferisca il collo del bue del vicino o che scolpisce una pietra che gli architetti avevano scartato perché non era del tutto perfetta per trasformarla, con due colpi di scalpello, nella pietra angolare di un nuovo edificio; È facile vedere Gesù adulto e Giuseppe che, mazza alla mano, abbattono la facciata della sinagoga di Nazareth, marcita dall'umidità, e la ricostruiscono, come avevano chiesto i farisei, con una porta più ampia, perché l'originale era troppo stretta perché potessero entrare comodamente con le loro vesti sontuose.

La tradizione della Chiesa ha anche visto Gesù Cristo lavorare fianco a fianco come tekton, questa volta accanto a suo Padre Dio e come seconda persona della Trinità, nel seguente passo del libro dei Proverbi: "Quando egli pose i cieli, io ero là; quando pose la volta sulla faccia degli abissi; quando fissò le nubi in alto e fissò le sorgenti profonde; quando pose un confine al mare, le cui acque non trapassano il suo comando; quando pose le fondamenta della terra, io ero accanto a lui, come un architetto, e di giorno in giorno lo rallegravo, tutto il tempo giocavo alla sua presenza: giocavo con la palla della terra, e le mie delizie sono con i figli degli uomini".

In questa festa di San Giuseppe Lavoratore, penso alla mancanza di ristrutturazioni nella mia casa interiore: la necessità di riparare quelle schegge che la vita mi ha lasciato, l'urgenza di abbattere quei muri che ho costruito contro gli altri, di aprire una finestra in quella stanza che è un po' triste e di fare delle buone mensole che mi permettano di riordinare il disordine che a volte provoco. Conosco un paio di bravi tuttofare che possono sicuramente aiutarmi. Se siete come me, vi ho lasciato qui il loro numero. Chiamateli. Sono affidabili.

L'autoreAntonio Moreno

Giornalista. Laurea in Scienze della Comunicazione e laurea in Scienze Religiose. Lavora nella Delegazione diocesana dei media di Malaga. I suoi numerosi "thread" su Twitter sulla fede e sulla vita quotidiana sono molto popolari.

Vaticano

Il Papa prega per la formazione di religiosi e seminaristi

Papa Francesco vuole che i cattolici preghino durante il mese di maggio per la formazione di religiose, seminaristi e religiosi in tutto il mondo.

Paloma López Campos-30 aprile 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Papa Francesco chiede ai cattolici di unirsi a lui nella preghiera per la formazione "umana, pastorale, spirituale e comunitaria" di religiosi e laici durante il mese di maggio. seminaristi.

Come di consueto, il Rete mondiale di preghiera del Papa ha reso pubblica l'intenzione di preghiera del Pontefice. Dopo il mese di aprile dedicato alle donne, il Santo Padre vuole concentrarsi sul "cammino vocazionale" di religiose, seminaristi e religiosi.

Grazie a un'adeguata formazione in tutti gli ambiti della persona, il Vescovo di Roma vuole che coloro che hanno donato completamente la propria vita a Cristo siano "testimoni credibili del Vangelo". Perché, insiste il Papa, "un buon sacerdote, una suora, devono essere prima di tutto un uomo, una donna, formati, lavorati dalla grazia di Dio". In questo modo, continua nel suo messaggio, saranno "persone consapevoli dei propri limiti e pronte a condurre una vita di preghiera, di dedizione alla testimonianza del Vangelo".

Formazione orientata al futuro

La formazione è una delle chiavi su cui Francesco insiste spesso, e avverte che "non finisce in un momento particolare, ma continua per tutta la vita". È un aspetto che sottolinea molto, soprattutto quando i seminaristi visitano il Vaticano e lo incontrano.

È consuetudine che l'agenda del Pontefice comprenda udienze con i giovani che si preparano al sacerdozio. Il 20 aprile 2024, durante un ricevimento con la comunità del seminario di Siviglia (Spagna), il Santo Padre ha consigliato ai seminaristi di "fare buon uso di questo intenso tempo di formazione, con il cuore di Dio, con le mani aperte e un grande sorriso per diffondere la gioia del Vangelo".

Allo stesso modo, il Papa riceve anche le visite di religiosi e religiose, ai quali chiede di curare la formazione, che serve anche a preparare alla vita comunitaria, che è "arricchente", dice Francesco nel suo messaggio per il mese di maggio, "anche se a volte può essere difficile".

Grazie alla cura della formazione, afferma il Papa nel suo messaggio, è possibile "lucidare" e "lavorare", dando "forma da ogni lato" a ogni vocazione, che definisce "un diamante grezzo".

Per saperne di più
Libri

"Saggezza e innocenza", una biografia di Chesterton

Ediciones Encuentro ha pubblicato "Saggezza e innocenza", una biografia di Chesterton del convertito Joseph Pearce.

Loreto Rios-30 aprile 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

In occasione del 150° anniversario della nascita di G. K. Chesterton, Edizioni Encounter ha lanciato una nuova edizione della biografia scritta dal professor Joseph Pearce, con un'introduzione dello scrittore Enrique García-Máiquez.

La biografia è interessante soprattutto per l'autore, convertito al cattolicesimo dopo aver letto, tra gli altri, Newman, Chesterton, Hilaire Belloc, C. S. Lewis e J. R. R. Tolkien. Non è la sua unica incursione in questo genere: ha firmato anche lo studio "C. S. Lewis e la Chiesa cattolica" e un'importante biografia di Aleksandr Solzhenitsyn, che ha avuto modo di incontrare personalmente a Mosca e che ha approvato il libro dopo il suo completamento.

G. K. Chesterton. Saggezza e innocenza

AutoreGiuseppe Pearce
EditorialeIncontro
Pagine: 604
Madrid: 2024

"Saggezza e innocenza" è quindi uno studio rigoroso su Chesterton che, inoltre, mette in primo piano la sua fede cristiana, anziché relegarla sullo sfondo, come avviene in alcune biografie di personaggi cristiani.

Inoltre, Pearce non si limita a raccontare la vita del famoso scrittore inglese, ma approfondisce anche alcune delle sue opere più importanti.

Di grande interesse sono i frammenti che trattano del suo processo di conversione, perché sebbene Chesterton sia diventato cattolico nel 1922, quando aveva 48 anni, dal momento in cui ha iniziato a credere nel cristianesimo era alle porte della Chiesa. Infatti, la prima raccolta di storie di Padre Brown, il famoso prete e detective cattolico inventato da Chesterton (basato su Padre John O'Connor, che anni dopo avrebbe ascoltato la sua confessione generale), fu pubblicata nel 1910, anni prima della sua conversione, così come la sua famosa "Ortodossia" del 1908.

D'altra parte, il testo è arricchito da lettere e scritti, sia dello stesso Chesterton che di persone a lui vicine, che offrono prospettive diverse sul personaggio. A titolo di esempio, una lettera che lo scrittore inviò alla madre dopo essersi convertito al cattolicesimo, passo in cui lo aveva preceduto il fratello minore Cecil: "Ti scrivo per dirti una cosa prima di dirla a chiunque altro, una cosa che probabilmente ci metterà nella situazione di due inseparabili amici di Oxford che 'non differivano mai in nulla se non nelle loro opinioni'. [...] La storia risale a molto tempo fa, in una certa misura, perché sono giunto alla stessa conclusione di Cecil [...] e ora sono cattolico, come lo era lui, dopo aver rivendicato a lungo questo titolo in senso anglo-cattolico. [...] Queste cose non guastano i rapporti tra chi si ama come noi; e tanto meno quando non comportavano la minima differenza di affetto tra Cecil e noi. [...] L'altra cosa che volevo dirvi è che tutto questo è venuto da me, e non è stato un impulso improvviso e sentimentale. [...] Credo che sia la verità" ("Saggezza e innocenza", pp. 350-351).

In breve, questa biografia è interessante non solo per i lettori abituali di Chesterton, ma anche per coloro che vogliono saperne di più su di lui, sulla società inglese dell'epoca e sul suo processo di conversione al cattolicesimo.

Per saperne di più
Cultura

Il campo santo teutonico a Roma

Da quando Carlo Magno fondò una "Schola Franconia" accanto a San Pietro, il cimitero ha attraversato molte vicissitudini e oggi ospita non solo un cimitero, ma anche gli edifici dell'Arciconfraternita, del Pontificio Collegio dei Sacerdoti Tedeschi e dell'Istituto Romano della Società Scientifica di Görres.

José M. García Pelegrín-30 aprile 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Il Campo Santo Teutonico (o Fiammingo, come viene ufficialmente chiamato) non solo ospita il cimitero "tedesco" completamente murato di Roma, ma anche una serie di edifici associati. La sua storia risale all'epoca di Carlo Magno, quando papa Leone IV donò questo terreno al re franco in occasione della sua incoronazione imperiale a Roma nel Natale dell'800.

Carlo Magno istituì a Roma la "Schola Franconia", una delle tante organizzazioni regionali che offrivano ospitalità ai pellegrini e ai connazionali provenienti da una determinata regione o area linguistica, che erano distribuiti in tutta la città e in particolare intorno alla Basilica di San Pietro. Questa Schola si fuse presto con il cimitero che esisteva all'interno delle mura vaticane per i pellegrini di lingua tedesca dalla fine dell'VIII secolo.

È importante notare che parlare di una lingua "tedesca" nell'VIII e IX secolo è anacronistico, poiché i "Franchi", all'origine del regno e dell'impero di Carlo Magno, in quei secoli erano distribuiti su gran parte degli attuali territori di Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Italia settentrionale (ex regno langobardo). Pertanto, il termine "teutonico" è più preciso e comprende non solo gli attuali tedeschi (tedeschi in italiano, tudesco in inglese antico), ma anche tutti coloro che vivono nell'area culturale storica di lingua tedesca; a sua volta, il termine italiano "fiamminghi" comprende gli attuali fiamminghi e olandesi.

La stretta relazione tra i "tedeschi" e Roma iniziò, tuttavia, e doveva continuare quando, dopo la divisione dell'Impero carolingio in tre regni con il Trattato di Verdun nell'843, il regno dei Franchi orientali divenne l'Impero romano-germanico all'inizio del X secolo sotto i cosiddetti Ottoni: con Ottone I (re dal 936, imperatore dal 962) inizia la tradizione del re tedesco incoronato dal Papa come imperatore del (Sacro) Impero Romano-Germanico, tradizione che continuerà fino al 1530: Carlo V (Carlo I di Spagna) fu l'ultimo re tedesco a ricevere la corona imperiale dal Papa, anche se l'incoronazione avvenne a Bologna e non a Roma.

14° - 16° secolo

L'istituzione del "Campo Santo Teutonico" comprendeva non solo il cimitero, ma anche una chiesa e gli edifici adiacenti. Tuttavia, durante lo Scisma d'Occidente (1378-1417), il complesso subì notevoli danni. Solo a metà del XV secolo Friedrich Frid, nativo di Magdeburgo, fece rivivere la tradizione di seppellire i pellegrini di origine tedesca nel Campo Santo Teutonico e riparò gli edifici esistenti.

Radunò intorno a sé un gruppo di aiutanti tedeschi e fiamminghi, che portarono alla fondazione di una Confraternita delle Povere Anime nel 1454, incentrata sull'offerta di un luogo di riposo dignitoso per i pellegrini, oltre che sulla commemorazione cristiana dei defunti, sul mantenimento del servizio religioso, sulla cura dei pellegrini e sull'assistenza ai connazionali bisognosi e malati.

Il terreno appartenente ai canonici di San Pietro fu trasferito alla confraternita. L'attuale chiesa di Santa Maria della Pietà fu consacrata nell'anno giubilare del 1500. Nel 1579, Papa Gregorio XIII elevò la confraternita al rango di Arciconfraternita dell'Addolorata Madre di Dio nel "Campo Santo degli Alemani e Fiamminghi".

XIX - XX secolo

Quando, nel XIX secolo, cominciarono ad apparire a Roma numerosi ostelli non ecclesiastici, la necessità di ostelli per pellegrini cessò di esistere, almeno nella stessa misura di prima. Si pose quindi la questione di un uso moderno del "Campo Santo". Allo stesso tempo, l'archeologia cristiana divenne una disciplina scientifica e conobbe una notevole crescita. Inoltre, con il Kulturkampf (o "battaglia culturale") della Prussia contro il cattolicesimo, Roma divenne un rifugio per i chierici tedeschi che non potevano lavorare nel Reich tedesco.

Nel 1876, sotto il rettorato di Anton de Waal (1873-1917), fu fondato a Campo Santo il Collegio dei Sacerdoti come centro di studi con una biblioteca e una collezione paleocristiana. Pochi anni dopo, nel 1888, vi stabilì la propria sede anche l'Istituto Romano della Società di Ricerca Görres. Gli edifici occupati da entrambe le istituzioni furono messi a disposizione gratuitamente dall'Arciconfraternita. Con la fondazione dello Stato Vaticano nel 1929 con i Trattati Lateranensi, il Campo Santo ottenne lo status extraterritoriale. Nel 1943/44, durante l'occupazione tedesca di Roma, vi trovarono rifugio circa 50 persone.

Dopo la seconda guerra mondiale, l'Arciconfraternita, il Collegio dei Sacerdoti e l'Istituto Görres ripresero la loro lunga collaborazione. Il Campo Santo conobbe un rapido boom, che si tradusse in una ristrutturazione e in un ampliamento su larga scala degli edifici negli anni Sessanta e Settanta. Sotto il lungo rettorato di Erwin Gatz (1975-2010), che fu anche direttore dell'Istituto Görres, iniziò una fase di consolidamento istituzionale e di profilazione accademica.

Il campo santo teutonico a Roma
Papa Francesco celebra la Messa nella cappella del Campo Santo Teutonico in occasione della festa di Tutte le Anime ©CNS photo/Vatican Media

Il Campo Santo Teutonico oggi

Oggi, oltre al "cimitero tedesco" completamente murato, il cimitero ospita la chiesa di Santa Maria della Pietà, sede dell'Arciconfraternita di Nostra Signora dei Dolori (Mater Dolorosa) dei tedeschi e dei fiamminghi, proprietaria del Campo Santo Teutonico, nonché il Pontificio Collegio dei Sacerdoti Tedeschi e l'Istituto Romano della Società Scientifica di Görres.

Sebbene sia l'unico cimitero all'interno delle mura della Città del Vaticano e si trovi proprio accanto alla Basilica di San Pietro, non fa parte del Vaticano ma del territorio italiano: i Trattati Lateranensi del 1929 lo hanno reso un possedimento extraterritoriale della Santa Sede. Tuttavia, è accessibile solo attraverso il territorio vaticano.

Sia il cimitero che la chiesa del Campo santo teutonico È possibile visitare la chiesa tutti i giorni dalle 9.00 alle 12.00 (tranne il mercoledì, durante l'udienza papale). È inoltre possibile assistere alla Santa Messa celebrata nella chiesa - tranne nel mese di agosto - tutti i giorni alle 7.00 (la domenica alle 10.00).

Per saperne di più
Cultura

José Tolentino Mendonça o le condizioni dell'esistenza

Sebbene nessun editore spagnolo abbia finora pubblicato un campione minimo della poesia di Tolentino Mendonça, egli è una delle voci più rappresentative della lirica portoghese più recente, al pari dei più prestigiosi poeti di lingua portoghese. In Spagna è noto per i suoi saggi, alcuni dei quali sono stati pubblicati in diverse edizioni.

Carmelo Guillén-30 aprile 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

"Non teorizzo: osservo. Non immagino: descrivo. Non scelgo: ascolto".Questo approccio costituisce il punto di partenza per la poesia di Tolentino Mendonçache affronta, secondo le sue stesse parole, ".le condizioni di esistenza".. Rivendico così la sua lirica che, con una base colta, stupisce per lo stile eloquente e preciso, per l'uso di immagini visive e per la capacità di integrare nei suoi componimenti elementi provenienti da fonti molto diverse, nonché di incorporare aspetti della propria vita, senza che il nome di Dio - cosa che spesso ci si aspetta quando si conosce la sua biografia - compaia o dia adito all'idea che possa essere considerato un poeta manifestamente religioso, tanto meno a scopo moraleggiante. 

Inoltre, alla domanda sul perché nei suoi versi non ci siano quasi mai riferimenti espliciti alla divinità - che pure ci sono -, ha risposto: "... non ci sono riferimenti espliciti alla divinità nei suoi versi.Credo che Dio sia ovunque. Quanto più materiale, tanto più spirituale. Preferisco sempre un linguaggio aperto, anche a rischio di ambiguità, a un linguaggio ristretto e incapace di esprimere la complessità. Confesso che a volte la mia più grande difficoltà è trovare una traccia di Dio nei discorsi spirituali tipizzati. Tutto ciò che tenta di addomesticare Dio si allontana da lui". Pertanto, se dovessi definire la sua poesia, direi che è l'espressione umanistica di un credo poetico singolare, illuminato dalla lettura dei suoi saggi, in cui, come un palinsesto, si sovrappongono molteplici strati culturali con i quali dialoga costantemente, ed è per questo che è così suggestiva di possibilità interpretative.

Come una singola fiamma

Questo mondo intertestuale è uno strumento retorico sul quale egli elabora una poetica fondata sul frastuono della vita quotidiana, con una "speciale".attenzione alla realtà, un'attenzione incessante, sensibile al visibile e all'invisibile, all'udibile e all'innominabile".In breve, la sua opera lirica è uno sguardo profondo sugli enigmi, le cicatrici e le speranze dell'intricata esistenza dell'uomo. Per questo, leggendo le sue poesie, si sa che parlano di temi cruciali legati alla condizione umana e che abbracciano il materiale e lo spirituale in completa interrelazione, dimostrando così che la poesia è uno spazio dove non ci sono confini e dove il sublime e l'umile, il naturale e l'artificiale, ciò che era e ciò che è, si integrano: "...".La poesia può contenere: cose giuste, cose sbagliate, veleni da tenere fuori dalla portata / escursioni in campagna [...] / una guerra civile / un disco degli Smiths / correnti oceaniche invece di correnti letterarie".scrive in Grafiteun esempio, tra i tanti, in cui Tolentino Mendonça dà visibilità al suo modo di procedere quando intraprende una poesia. 

Lo stesso titolo della sua raccolta di poesie, La notte mi apre gli occhisi riferisce all'ampiezza di visione offerta dalla creazione poetica; un titolo che, come ha dichiarato lo stesso poeta, riflette la sua "dialetto transfrontaliero, perché fonde un riferimento ad una canzone degli Smiths [Tolentino Mendonça si riferisce senza dubbio alla canzone C'è una luce che non si spegne maiC'è una luce che non si spegne mai"]. con una chiara evocazione della teologia della "notte oscura" di San Giovanni della Croce. Il profano e il sacro sorgono come un'unica fiamma".

Un viaggiatore immobile

Per questa incursione letteraria, il poeta di Madeira si presenta come un viaggiatore immobile: "Da fermi facciamo i grandi viaggi".. Tuttavia, sebbene scriva le sue poesie dall'immobilità, dimostra un'acuta capacità di discernere ciò che alla fine svanisce con il tempo: "... la poesia del poeta è una poesia della stessa qualità.Improvvisamente cessiamo di percepire / le profondità dei campi / i grandi misteri / le verità che abbiamo giurato di preservare". di ciò che lascia un segno indelebile nell'anima: "Ma ci vogliono anni / per dimenticare qualcuno / che ci ha appena guardato".Questo fa sì che la sua attività poetica possa essere percepita come una ricerca di sé, decisamente arricchita dall'interazione con gli altri nella costruzione della propria identità. 

Questa interazione coinvolge lo sguardo dell'altro, che non solo guarda ma è anche altro. In questo senso, si manifesta come un mezzo per condividere, confrontarsi e comprendere l'esperienza umana, contribuendo al contempo alla co-creazione dell'universo delle sue poesie, aggiungendo strati di oscurità e bellezza. È senza dubbio un'idea capitale, che getta luce su molte delle sue composizioni, molto simile a quella del compianto Papa Benedetto XVI quando affermava che: "...la poesia non è una poesia, è una poesia.Solo servizio agli altri aprire gli occhi [enfasi aggiunta dall'autore dell'articolo]. quello che Dio fa per me e quanto mi ama".anche se Tolentino Mendonça la presenta in modo più sottile, intessuta nella retorica dei versi e utilizzando "la notte" come soggetto della frase grammaticale.

Vivere il corpo

In ogni caso, se la poesia è per lui una ricerca che richiede l'immobilità - e faccio, anche se molto brevemente, un passo ulteriore nello sviluppo della sua poetica - questa ricerca è possibile solo a partire dal corpo. O per dirla in altro modo: il corpo è il luogo o la situazione in cui ogni persona è più vicina a se stessa. Anche se non siamo solo il corpo, Tolentino Mendonça ritiene che in esso e attraverso di esso "... siamo il corpo.viviamo, ci muoviamo ed esistiamo".inoltre: "I sensi del nostro corpo ci aprono all'esperienza di Dio in questo mondo", o come annuncia nella poesia Ciò che un corpo può: "Viviamo il corpo, coincidiamo / in ognuno dei suoi poteri: muoviamo le mani / sentiamo il freddo, vediamo il bianco delle betulle / sentiamo sull'altra riva / o sopra i noccioli / il gracchiare dei corvi".. Questa consapevolezza corporea sottolinea l'importanza di essere pienamente connessi alle sensazioni e alle esperienze somatiche, sia attraverso la respirazione sia semplicemente essendo consapevoli delle sensazioni interne. Ci sono molte composizioni che abbondano in questo senso, soprattutto nella sua raccolta di poesie Teoria del confine (2017), dove afferma: "Il corpo sa leggere ciò che non è stato scritto". o "Il corpo è lo stato in cui ognuno / respira più vicino a sé".

La scuola del silenzio

Ma non è questa la fine del suo universo lirico. Come il corpo, anche il silenzio è un altro dei suoi grandi temi. Infatti, nella raccolta di poesie Il papavero e il monaco (2013) gli dedica addirittura una serie di brevi testi dal titolo La scuola del silenzio. Si legge: "Tacere per far dire". o "Che il tuo silenzio sia tale / che nemmeno il pensiero di esso".dimostrando così che esistono altri mondi oltre a quello della dittatura del rumore, e che il silenzio è una forma di resistenza alla frenesia della vita".un luogo di lotta, di ricerca e di attesa.dice in uno dei suoi saggi. "A poco a poco ci uniamo alla possibilità di dare spazio, di aprire la nostra vita all'altro, lasciandoci abitare dalla rivelazione dell'alterità". Ed è lì, nell'alterità, che converge tutta la sua opera lirica, sia dal silenzio, sia dal corpo, sia dall'immobilità, sia dall'intertestualità culturale in cui si muove questa poesia, che ha tanto bisogno di una pronta traduzione in spagnolo.

Per saperne di più
Vaticano

Il Papa alla Biennale di Venezia

Rapporti di Roma-29 aprile 2024-Tempo di lettura: < 1 minuto
rapporti di roma88

Papa Francesco ha visitato la Biennale di Venezia il 28 aprile 2024. La Santa Sede ha un padiglione in questa mostra con il titolo "Con i miei occhi".

Papa Francesco ha spiegato perché: perché tutte le persone hanno bisogno di essere "guardate e riconosciute".


AhOra potete usufruire di uno sconto di 20% sull'abbonamento a Rapporti di Roma Premiuml'agenzia di stampa internazionale specializzata nelle attività del Papa e del Vaticano.
Libri

Una luce nelle nebbie. "Teologie dell'occasione", di Henri de Lubac

"Teologie dell'Occasione", un volume di ventiquattro articoli del teologo Henri de Lubac, è stato recentemente pubblicato dalla Biblioteca de Autores Cristianos (BAC).

Juan Carlos Mateos González-29 aprile 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

Forse la prima cosa che colpisce l'occhio del questo libro Perché "teologie dell'occasione"? Il volume recentemente pubblicato dalla BAC è composto da ventiquattro opere molto disomogenee che Henri de Lubac (1896-1991) ha scritto nell'arco di quasi mezzo secolo. Nel 1984, su richiesta dei suoi lettori, il gesuita francese decise di pubblicare questa raccolta di brevi scritti: "Tutti i testi qui riprodotti hanno un intento teologico. Non provengono, tuttavia, né da un insegnamento organico su qualche punto centrale del dogma o della sua storia, né da una ricerca prolungata su un argomento particolare". In un altro libro confessa anche che "il lettore ha potuto rendersi conto che quasi tutto ciò che ho scritto è stato funzione di circostanze, spesso impreviste, all'interno di una certa dispersione e senza preparazione tecnica". Come sottolinea giustamente l'amico H. U. von Balthasar, la vasta produzione di H. de Lubac è "un'opera che si apre liberamente in tutte le direzioni".

Teologie dell'occasione

AutoreHenri de Lubac
Editoriale: BAC
Pagine: 640
Madrid: 2023

Il nome di H. de Lubac è familiare nel mondo teologico, ma per più di uno questo libro può essere una buona occasione per avere una "visione del mondo" molto completa del pensiero del gesuita francese. Nella teologia di H. de Lubac si percepisce un vivo interesse per la storia e per gli aspetti sociali del cristianesimo. Laddove la storia era tragica e dolorosa, il giovane professore di Lione cercava di offrire una parola di discernimento. Così, molti degli eventi di cui H. de Lubac fu testimone caratterizzarono il corso del suo lavoro teologico, e questo spiega la grande varietà della sua produzione - nei temi e nelle opere - una disparità che si riflette anche in questo libro. Per questo motivo, cercheremo di descrivere i nuclei tematici di ciascuno dei capitoli, tenendo conto dell'"ordine lubacano" dei capitoli.

Per approssimazione, esamineremo solo la prima e l'ultima parte del libro "Teologie dell'Occasione", poiché entrambe sono molto rappresentative dell'intero contenuto.

La prima parte, intitolata "Teologia e spiritualità", è composta da sei capitoli di natura teologica e spirituale. Tre di essi affrontano direttamente questioni di natura ecclesiologica e sacramentale, altri due si occupano di teologia spirituale e l'ultimo è un prezioso contributo al lavoro della teologia fondamentale:

"Sanctorum communio". Nel primo capitolo, de Lubac esamina il significato che l'espressione "comunione dei santi" ha acquisito nella tradizione cristiana nel corso dei secoli. Il gesuita francese analizza le vicissitudini dell'espressione "corpo mistico" e le sue ripercussioni sul rapporto tra Chiesa ed Eucaristia. Per l'autore, la "comunione dei santi" significa soprattutto che tra tutti coloro che appartengono a Cristo, tra tutte le membra del suo corpo, esiste una comunione di vita, che è ciò che costruisce e sostiene la Chiesa.

Teologie dell'occasione può aiutarci a rispondere ad alcune domande spirituali del nostro tempo.

"Mistica e mistero". L'interesse di De Lubac per la mistica divenne una fonte di ispirazione da cui discernere molte altre questioni teologiche. Poiché non è frutto di ignoranza, ma di adorazione, nella mistica cristiana "il silenzio non è all'inizio, ma alla fine". A differenza di altre possibili vie, la mistica cristiana è una mistica della somiglianza, che guarda al Dio che chiama l'uomo dalla sua natura più profonda per orientarlo verso se stesso: "Dio non è ineffabile nel senso che è inintelligibile: è ineffabile perché rimane sempre al di sopra di tutto ciò che si può dire di lui".

"Comunità cristiana e comunione sacramentale". In modo simile al primo capitolo, presenta la storia della comprensione della nozione di communio-κοινωνία in relazione alla Chiesa, ma, in questo articolo, H. de Lubac cerca di contrastare coloro che temevano che il recupero del senso biblico e patristico della nozione implicasse un abbassamento dell'affermazione della presenza reale di Cristo nel sacramento. Con quest'opera, H. de Lubac invita il cristiano a immergersi sempre di nuovo "nelle origini sacramentali della comunità cristiana, nelle fonti mistiche della Chiesa".

L'ultima parte, "In memoriam", contiene due articoli che "ringraziano" i suoi grandi amici e maestri per tutto ciò che aveva ricevuto. Quelli intitolati "Filosofo e apostolo" e "L'amore di Gesù Cristo" sono dedicati alla memoria di A. Valensin, suo insegnante di filosofia presso le Facoltà cattoliche di Lione. Auguste Valensin (1879-1953) fu uno degli attori coinvolti nei dibattiti del mondo intellettuale cattolico tra le due guerre, sulla scia della crisi modernista. Fu senza dubbio Valensin stesso a far conoscere al giovane Lubac il pensiero di M. Blondel. Un altro fronte comune che rafforzò ulteriormente la loro amicizia fu l'opposizione al totalitarismo. Gran parte della loro corrispondenza epistolare fu pubblicata postuma dallo stesso H. de Lubac, su richiesta dei suoi superiori.

Gli ultimi tre articoli di questa ultima parte sono dedicati all'eccezionale scrittore e diplomatico francese P. Claudel: "Su un credo di Claudel", "Claudel teologo" e "Il dramma della chiamata". Dopo la sua conversione religiosa, avvenuta il 25 dicembre 1886, alla vigilia di Notre-Dame de Paris, Claudel ha sviluppato una prolifica carriera letteraria, tanto da essere considerato uno dei principali poeti e drammaturghi cattolici del XX secolo.

H. de Lubac aveva iniziato a leggere le sue opere già durante gli studi secondari. Infatti, P. Claudel era, insieme a Ch. Péguy, uno dei poeti preferiti di H. de Lubac fin dal suo ingresso nella Compagnia di Gesù. Claudel e Péguy: due poeti teologi di eccezionale levatura, troppo spesso dimenticati nella Chiesa. Fin dal loro primo incontro, nel 1942, H. de Lubac e P. Claudel condivisero un interesse reciproco per la dimensione spirituale dell'interpretazione della Bibbia, basata sulla lettura dei Padri della Chiesa.

Forse il modo migliore per collocare il testo intitolato "Su un Credo Claudeliano" è quello di guardare indietro alla sua Memoria, dove spiega: "Nella prefazione che ho posto una volta davanti a una selezione di testi claudeliani sul Credo, ho cercato di mostrare, per mezzo di rari esempi tratti da questa selezione, quali ricchezze offre l'opera di Claudel per la riflessione dottrinale, quali prospettive, a volte insospettate [...]. Stupirà per la sua audacia e per la forza viva di rinnovamento che ispira".

Il capitolo intitolato "Claudel teologo" è il testo di una conferenza tenuta all'Institut Catholique di Parigi nel dicembre 1968. Il retrogusto pessimistico di alcune note è forse dovuto più ai tumulti e alle polemiche dell'immediato post-concilio e del maggio 1968 che al genio del Lubacian. Infatti, il suo lamento non è per l'eclissi di Claudel, ma dei valori religiosi e cristiani su cui si basava la sua opera.

Infine, l'articolo "Il dramma della chiamata" è nato da una recensione che il gesuita ha scritto su un libro di A. Becker con lo stesso titolo. Il libro cercava di mettere in luce il rapporto dell'opera e del pensiero di P. Claudel con la fede e la spiritualità cristiana, illustrando come il poeta avesse affrontato il tema della chiamata divina nella sua opera lirica e drammatica, confrontandosi con questioni profondamente esistenziali e spirituali.

Al termine del nostro percorso tematico attraverso i ventiquattro studi che compongono il presente volume, possiamo vedere la grandezza di quest'opera, costruita al ritmo del lavoro e dei giorni, in un'ampia gamma di contesti e occasioni in cui il teologo francese si sente chiamato a offrire una parola specifica al suo lavoro. In questo senso, i capitoli di "Teologie d'occasione" possono aiutarci a rispondere ad alcune delle domande spirituali del nostro tempo. La loro lettura e il loro studio saranno di grande utilità per il lettore, per lo specialista - e anche per il dilettante - delle questioni teologiche. Una lettura profonda e confortante, vitale e serena, accademica e spirituale. Ringraziamo la BAC e la Fundación Maior per il loro impegno a pubblicarlo in spagnolo.

L'autoreJuan Carlos Mateos González

Per saperne di più
Iniziative

Ave Maria, la città "su misura" della Florida per i cattolici

In Florida c'è una città chiamata Ave Maria, che mira a rendere più facile per tutti i suoi abitanti vivere la fede cattolica in comunità.

Paloma López Campos-29 aprile 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Non molti conoscono il nome di Tom Monaghan, ma uno dei suoi progetti è ben noto: "Domino's Pizza". Tuttavia, questo franchising non è l'unica eredità dell'imprenditore americano. All'inizio del XX secolo, Monaghan vendette la sua azienda di pizza e si dedicò alla promozione di Ave Maria, una comunità non incorporata ispirata al cattolicesimo. Il termine "comunità non incorporata" si riferisce a un territorio non organizzato con un governo locale e, nel caso della Florida, appartiene giurisdizionalmente a una contea ma mantiene una certa indipendenza.

Dopo essersi convertito in seguito alla lettura di "Mere Christianity" di C.S. LewisTom Monaghan voleva usare il suo denaro per "portare in paradiso quante più anime possibile". Investì la sua fortuna nella costruzione di una grande chiesa che sarebbe stata il centro di questa nuova comunità. Il progetto iniziale di Monaghan era di costruire una città esclusivamente per i cattolici. Ma il tempo dimostrò che era meglio aprire le porte a persone di altre fedi.

Nonostante ciò, tutto ciò che è stato costruito in città mira a rendere più facile la pratica della fede cattolica per i suoi abitanti. Il piano urbanistico è organizzato in modo tale che sia facile camminare e raggiungere il centro per andare in chiesa. D'altra parte, le strade sono intitolate a santi o ad altri elementi della fede.

Il Centro Ave Maria

La Chiesa dell'Ave Maria, nel cuore del territorio, vuole essere "una luce nelle tenebre che illumina la strada verso Gesù Cristo attraverso i sacramenti", come recita il suo sito web. L'obiettivo della chiesa è quello di promuovere la vita comunitaria tra i cattolici, con un'enfasi particolare sul dono agli altri, come dimostra il museo della chiesa dedicato a Santa Teresa di Calcutta.

Vicino all'edificio c'è una cappella di adorazione perpetua dove è possibile pregare davanti a Gesù sacramentato 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Inoltre, la parrocchia offre diversi corsi di formazione per adulti, giovani e bambini e incoraggia la creazione di gruppi come Emmaus, la Legione di Maria o gli studi biblici.

Interno della parrocchia di Ave Maria in Florida (Flickr / Steve Knight)

Istruzione all'Ave Maria

Nelle vicinanze della comunità ci sono diverse scuole, tre private e quattro pubbliche. Inoltre, il fondatore di "Domino's Pizza" ha aperto anche la università Ave Maria per offrire ai cittadini un'istruzione superiore basata sul magistero della Chiesa cattolica.

L'università vuole trasformare "i suoi studenti nella prossima generazione di santi". Sul loro sito web spiegano che, accanto all'importanza della formazione accademica, l'obiettivo è quello di nutrire l'intera persona, assicurando a studenti e professori l'accesso ai sacramenti in modo che possano "dare gloria a Dio".

Per quanto riguarda l'offerta accademica, l'Ave Maria non è molto diversa da qualsiasi altra università. Sebbene offra corsi che potrebbero essere definiti confessionali, come Family Studies o Catholic Studies, permette agli studenti di iscriversi anche a corsi come Ingegneria informatica, Lingue classiche, Infermieristica, Fisica, Biochimica o Storia.

Equilibrio difficile

Nonostante l'orientamento cattolico di questa comunità della Florida, nella città possono vivere anche persone di fedi diverse, tanto che nel 2017 è stata inaugurata la prima chiesa battista. L'idea originaria di Monaghan di imprimere la cultura cattolica ad Ave Maria in modo tale che non ci fosse modo di separarsene è stata abbandonata da tempo e oggi l'imprenditore afferma che Ave Maria è aperta a tutti.

Tuttavia, questo progetto su larga scala ha sollevato dubbi tra molte persone. Sorvolando su alcune dichiarazioni controverse rilasciate da Monaghan nel corso degli anni, c'è chi ritiene che una comunità come questa in Florida offuschi i confini tra religione e politica. La costruzione di una città basata sulla fede cattolica solleva questioni come la possibilità di vendere contraccettivi in farmacia o di condannare l'accesso alla pornografia.

Al di là di queste decisioni, che Ave Maria ha cercato di risolvere, c'è anche chi si chiede se la creazione di una comunità di questo tipo non faccia crescere i bambini in un ambiente chiuso e troppo protetto che non li prepara adeguatamente alla società di oggi.

Con queste domande sul tavolo, Ave Maria continua ad andare avanti e sta addirittura crescendo, poiché il progetto attira investitori che vogliono costruire sul territorio. Per il resto, le risposte alle domande del futuro, come in tutti i casi, le dirà solo il tempo.

Per saperne di più
Vaticano

Il Papa ci invita a trasformare il mondo attraverso l'arte

Durante il suo viaggio a Venezia, Papa Francesco ha tenuto diversi incontri in cui ha sottolineato l'importanza della bellezza e dell'arte per trasformare il mondo.

Paloma López Campos-28 aprile 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Durante il suo viaggio a VeneziaPapa Francesco ha avuto diversi incontri con i giovani, gli artisti e i fedeli che hanno partecipato alla Santa Messa in Piazza San Marco. Il Santo Padre ha approfittato di queste occasioni per rivolgere alcune parole ai presenti, soffermandosi sull'importanza della bellezza e dell'arte per trasformare il mondo.

Rivolgendosi ai giovani, Francesco ha voluto ricordare "il grande dono che abbiamo ricevuto, quello di essere figli amati da Dio, e quindi siamo chiamati a realizzare il sogno di Dio". Questo desiderio del Padre per i suoi figli, ha spiegato il Papa, "è che noi siamo testimoni e viviamo la sua gioia".

Per realizzare questo sogno di Dio, il Santo Padre sottolinea che è essenziale "riscoprire nel Signore la nostra bellezza e gioire nel nome di Gesù, un Dio dallo spirito giovane che ama i giovani e che ci sorprende sempre".

Per riscoprire questa bellezza, continua Francesco, è essenziale "staccarsi dalla tristezza" e ricordare "che siamo fatti per il cielo". Per fare questo, il Papa ci incoraggia a non soffermarci sulle nostre miserie e sui nostri peccati, ma a rivolgerci alla misecordia di Dio, "che è nostro Padre" e che quando cadiamo "ci tende la mano". Solo così possiamo "accettarci come un dono" e guardarci non con i nostri occhi, "ma con gli occhi di Dio".

L'arte di donarsi agli altri

Una volta raggiunto questo obiettivo, il Pontefice sottolinea l'importanza della perseveranza e di perdere la paura di "andare controcorrente". In questo senso, il Papa sottolinea anche che non possiamo camminare da soli, ma dobbiamo cercare di essere accompagnati da altri che desiderano vivere la loro vita con Cristo.

Nella stessa dinamica di accompagnamento, Francesco ha voluto ricordare ai giovani che "siamo chiamati a donarci agli altri". "La precarietà del mondo in cui viviamo", dice il Vescovo di Roma, "non può essere una scusa per stare fermi e lamentarsi". "Siamo in questo mondo per raggiungere coloro che hanno bisogno di noi", ha sottolineato il Papa.

Il Santo Padre spiega che "la vita si possiede solo quando si dona", per questo ci invita a sfuggire alle domande sul "perché" e a sostituirle con "per chi". In questo modo possiamo entrare nella dinamica creativa di Dio, una creatività "libera" in un mondo "che persegue solo il profitto".

Arte e sguardo contemplativo

Allo stesso modo, nel suo discorso agli artisti, Papa Francesco ha invitato i suoi ascoltatori a lottare con l'arte contro "il rifiuto dell'altro", rendendo così le persone "fratelli ovunque" grazie all'universalità dell'arte.

Questo può diventare una realtà, dice il Pontefice, perché "l'arte ci educa a uno sguardo non possessivo, non significante, ma anche non indifferente, superficiale". L'arte, continua il Papa, "ci educa a uno sguardo contemplativo". Per questo afferma che "gli artisti sono nel mondo, ma sono chiamati ad andare oltre".

Questo sguardo verso l'esterno si può trovare anche in carcere, come ha detto Francesco durante la sua visita alle donne detenute. Lì, il Papa ha sottolineato che "paradossalmente, la permanenza in carcere può segnare l'inizio di qualcosa di nuovo, attraverso la riscoperta di una bellezza insospettata in noi stessi e negli altri, come simboleggia l'evento artistico che accoglie e al cui progetto contribuisce attivamente".

Il Santo Padre ha colto l'occasione per chiedere che "il sistema penitenziario offra ai detenuti anche strumenti e spazi di crescita umana, spirituale, culturale e professionale, creando le condizioni per un loro sano reinserimento".

Restare in Cristo

Infine, nell'omelia pronunciata dal Papa durante la Messa celebrata in Piazza San Marco, Francesco ha sottolineato che "l'essenziale è rimanere nel Signore, dimorare in Lui". Qualcosa che non è statico, ma che implica "crescere nella relazione con Lui, dialogare con Lui, accogliere la sua Parola, seguirlo nel cammino del Regno di Dio".

"Rimanendo uniti a Cristo", dice il Papa, "possiamo portare i frutti del Vangelo nella realtà in cui viviamo". Questi frutti includono, tra gli altri, la giustizia, la pace, la solidarietà e la cura reciproca. Frutti di cui, insiste il Santo Padre, il mondo ha bisogno e che le comunità cristiane devono offrire al mondo.

Per saperne di più
America Latina

Monsignor René Rebolledo: "Con una testimonianza di vita, saremo in grado di attirare altri a Gesù Cristo".

Monsignor René Rebolledo, arcivescovo di La Serena dal 2013, è stato eletto nuovo presidente della Conferenza episcopale cilena il 17 aprile.

Pablo Aguilera-28 aprile 2024-Tempo di lettura: 6 minuti

Nato a Cunco, monsignor René Osvaldo Rebolledo Salinas sarà a capo dell'episcopato cileno per i prossimi tre anni rinnovabili. Monsignor Rebolledo è stato ordinato sacerdote nel 1984. La sua attività pastorale è iniziata nella parrocchia Inmaculada Concepción di LoncocheSi è poi trasferito in Italia per conseguire il dottorato. Al suo ritorno si è dedicato in modo particolare alla formazione presso il Seminario Maggiore di San Fidel.

La formazione dei seminari è stata una delle aree principali del suo lavoro, infatti ha presieduto l'Organizzazione dei Seminari Cileni (OSCHI) e ha fatto parte del consiglio di amministrazione dell'Organizzazione Latinoamericana dei Seminari (OSLAM). San Giovanni Paolo II lo ha nominato vescovo di Osorno l'8 maggio 2004 e nel 2013 Papa Francesco lo ha nominato arcivescovo di La Serena. Il neoeletto presidente ha rilasciato un'intervista a Omnes in cui riflette sulla necessità di promuovere la pastorale vocazionale e su questioni come l'immigrazione.

Nel recente Messaggio della Conferenza episcopale del CileAl termine dell'assemblea plenaria, i vescovi hanno espresso la loro preoccupazione per la carenza di vocazioni al sacerdozio in Cile e hanno invitato i cattolici a intensificare le loro preghiere per questa intenzione. Quali sono le cause principali di questo netto calo nell'ultimo decennio? 

- Nel Paese si registra un notevole avanzamento della secolarizzazione, con un progressivo allontanamento degli adulti in generale e dei giovani in particolare dalle comunità ecclesiali. A questo si aggiunge la crisi istituzionale che abbiamo vissuto a tutti i livelli a causa di situazioni di abuso.

Tuttavia, in questo ambito, apprezzo il serio lavoro di prevenzione svolto a livello nazionale. Migliaia di operatori pastorali sono stati formati in tutte le circoscrizioni ecclesiastiche per contribuire a creare ambienti sani e sicuri, oltre che per accompagnare le vittime.

E quali potrebbero essere le iniziative per migliorare questa urgente necessità?

- Innanzitutto, intensificare la nostra preghiera. Consapevoli del grande bisogno di pastori per le nostre comunità, siamo invitati a fare nostri i sentimenti di Gesù, che "vedendo le folle, fu mosso a compassione per loro, perché erano vessate e indifese, come pecore senza pastore" (Mt 9,36). Anche oggi dobbiamo ascoltare ciò che il Signore disse ai suoi discepoli: "La messe è abbondante, ma gli operai sono pochi". Perciò, per riprendere - con ancora maggiore perseveranza - l'imperativo di "pregare il Signore dei campi perché mandi operai per la sua messe" (Mt 9,37-38).

Ho detto a vari livelli nell'Arcidiocesi: "La preghiera è l'unico strumento capace di agire sia nel campo della grazia che in quello della libertà, permettendo all'uomo di discernere la chiamata e di rispondere a Dio. Nutrita dalla Parola, apre il cuore del credente ad approfondire la verità più profonda di se stesso. In un cammino di fede, la preghiera permette di abbandonarsi alla volontà di Dio e di dare una risposta generosa a un particolare progetto di vita a cui Egli ci chiama.

Allo stesso modo, dobbiamo raccogliere la sfida - come ci hanno invitato a fare San Giovanni Paolo II, Benedetto e Francesco - di creare una "cultura delle vocazioni" a tutti i livelli, rivolgendoci ad alcune aree prioritarie in questo senso, come: le famiglie e i giovani, i chierichetti e, nel nostro ambiente, i tanti giovani che partecipano alle danze religiose, tra gli altri.

Inoltre, su richiesta dei giovani, il Prima Giornata Nazionale della Gioventù (NYD 2025), dal 21 al 26 gennaio 2025, con il motto: "Giovani pellegrini della speranza", in relazione al motto scelto per il Giubileo straordinario della Redenzione - 2025: Pellegrini della speranza. Questo incontro si ispira alla frase del Salmo119, 105: "La tua parola è una lampada per i miei piedi, una luce per il mio cammino". 

La preghiera che i giovani stanno recitando in preparazione alla Prima GMG afferma che i giovani "sono l'ora di Dio" e chiede al Signore che i giovani "pellegrini della speranza, animati dallo Spirito, contribuiscano a rinnovare la Chiesa e a costruire un Paese più giusto e solidale, curando la casa comune, abbracciando i poveri e gli emarginati, essendo testimoni dell'amore del Signore".

Penso che questo YWY sia un dono del Signore. È decisivo che i partecipanti aprano il loro cuore a Cristo che incanta la vita. In questo modo, questo incontro può essere un'opportunità per ascoltare la sua chiamata.

Ovviamente, la sfida della carenza di vocazioni deve essere affrontata dai vescovi con grande senso di corresponsabilità insieme ai laici, alle persone consacrate, ai diaconi e ai sacerdoti".

Nel Messaggio i vescovi cileni invitano ad accogliere i migranti nel nostro Paese. Il Indagine sul Bicentenario dell'Università Cattolica ha indicato che, nel 2022, l'82 % dei cileni considerava eccessivo il numero di immigrati. Inoltre, a causa del coinvolgimento di immigrati clandestini che hanno commesso gravi crimini, c'è una crescente sfiducia nei loro confronti da parte della cittadinanza. Come rendere comprensibile ai cileni questa richiesta dei vescovi?

- È necessaria una riflessione personale e comunitaria, che esprimo in sintesi: siamo tutti migranti! Questa nostra patria è molto bella, sotto molti aspetti, ma non è definitiva. Una percentuale significativa di cileni crede in Dio. Una parte dei credenti professa la fede cattolica. Lasciare la propria terra e vivere da stranieri risale alle origini della razza umana, come attestano le Sacre Scritture, così come la vita familiare di nostro Signore. È quindi necessario guardare alla testimonianza biblica.

Dall'altro lato, per restituire una mano. In tempi difficili della nostra storia, centinaia di uomini e donne cileni sono stati accolti in altre latitudini, rispettati nella loro dignità e trattati con riconoscenza.

Non è giusto collegare criminalità e migrazione. In realtà, migliaia di migranti sono arrivati nel nostro Paese con il desiderio di un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie. Stanno contribuendo alla crescita del Paese e condividono nelle nostre comunità la loro fede, le loro tradizioni religiose e la loro speranza.

Cerchiamo di aiutarci a vicenda per costruire la città terrena in comunione e corresponsabilità, contribuendo ciascuno con i propri doni e la ricchezza della propria cultura, ma sempre consapevoli di essere un popolo pellegrino. In questo senso, faccio mio l'appello di Papa Francesco a accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migrantiCiò implica anche il dovuto accompagnamento e sostegno alle comunità che hanno accolto l'arrivo di un gran numero di persone, soprattutto nelle città di confine e nelle grandi città.

L'indagine mostra che dopo il grande calo di fiducia nella Chiesa cattolica nel 2018, c'è stato un lento e costante miglioramento. Da quell'anno, c'è stato un notevole aumento del silenzio dei pastori cattolici. Secondo lei, quanto l'opinione pubblica dovrebbe influenzare i vescovi nel trasmettere il messaggio cristiano?

- Sono consapevole che abbiamo espresso il nostro punto di vista su diverse questioni importanti per il Paese e per la Chiesa. Naturalmente, ci sono i messaggi delle Assemblee della Conferenza episcopale degli ultimi anni, così come i pronunciamenti su questioni specifiche e urgenti o su sfide particolari. Tuttavia, è evidente che molte di queste parole pubbliche sono passate inosservate all'opinione pubblica di fronte alla crisi ecclesiale vissuta e al conseguente calo di fiducia nella Chiesa e nei suoi pastori.

In questo senso, penso che, con una testimonianza di vita coerente e vera di tutto il Popolo di Dio, saremo in grado di attirare altri a Gesù Cristo e al suo messaggio. Allo stesso modo, essere attenti e presenti alla realtà della vita delle persone, ai loro dolori e alle loro gioie, ci permetterà di affrontare i problemi e le difficoltà, di cercare insieme agli altri i modi per risolverli, e quindi di avanzare verso un cammino che permetta alla società di avere nuovamente fiducia. 

A marzo, le principali confessioni religiose cilene - compreso il cattolicesimo - hanno espresso la loro preoccupazione per il deterioramento delle relazioni civili, la crescente insicurezza, la corruzione e l'incapacità degli attori politici di raggiungere accordi. Hanno chiesto un accordo nazionale per risolvere i gravi problemi del Paese. Quali sono le vostre aspettative in merito?

- Un accordo nazionale sarebbe un'istanza privilegiata e urgente per affrontare le grandi sfide che abbiamo come Paese.

Il bene comune ci chiama ad agire in modo corresponsabile di fronte alle enormi sfide che si pongono per quanto riguarda le questioni sopra citate: il deterioramento delle relazioni civili, la crescente insicurezza, la corruzione, l'incapacità degli attori politici di raggiungere un accordo, tra le altre cose.

Il bene del Paese esige che coloro che sono stati investiti di autorità dal popolo siano all'altezza del compito, anteponendo il benessere del popolo ai calcoli elettorali.

Vaticano

Il messaggio del Papa a migliaia di nonni a Roma: "L'amore ci rende migliori".

Papa Francesco ha tenuto un incontro festoso con migliaia di nonni, nipoti e anziani in cui ha sottolineato che "l'amore ci rende migliori, ci arricchisce e ci rende più saggi". Lo ha detto "con il desiderio di condividere la fede sempre giovane che unisce tutte le generazioni, che ho ricevuto da mia nonna, dalla quale ho conosciuto Gesù".  

Francisco Otamendi-27 aprile 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

In un'Aula Paolo VI gremita da migliaia di nonni, anziani e nipoti, nel giorno in cui la Chiesa celebra il decimo anniversario della canonizzazione dei Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, il Santo Padre ha detto che "l'amore ci rende migliori. Lo dimostrate anche voi, che vi rendete migliori amandovi a vicenda".

"E ve lo dico da "nonno", con il desiderio di condividere la fede sempre giovane che unisce tutte le generazioni. L'ho ricevuto anche da mia nonna, dalla quale ho conosciuto per la prima volta Gesù, che ci ama, che non ci lascia mai soli, e che ci incoraggia a essere vicini gli uni agli altri e a non escludere mai nessuno".

Il Pontefice ha poi raccontato una storia familiare di sua nonna. "Da lei ho sentito la storia di quella famiglia in cui c'era un nonno che, siccome non mangiava più bene a tavola e si sporcava, lo hanno buttato fuori, lo hanno messo a mangiare da solo. Non era una cosa bella da fare, anzi era molto brutta! Così il nipote passò qualche giorno con il martello e i chiodi e quando il papà gli chiese cosa stesse facendo, lui rispose: "Sto costruendo un tavolo per farti mangiare da solo quando sarai vecchio!". Questo è ciò che mi ha insegnato mia nonna e da allora non l'ho mai dimenticato. 

La povertà della frammentazione e dell'egoismo

"Non dimenticatelo nemmeno voi, perché solo stando insieme con amore, senza escludere nessuno, si diventa migliori, più umani", ha continuato. "E non solo, ma si diventa anche più ricchi. La nostra società è piena di persone specializzate in molte cose, ricca di conoscenze e di mezzi utili per tutti. Tuttavia, se non viene condivisa e ognuno pensa solo per sé, tutta la ricchezza si perde, anzi, diventa un impoverimento dell'umanità".

"E questo è un grande rischio per il nostro tempo: la povertà della frammentazione e dell'egoismo. Pensiamo, ad esempio, ad alcune espressioni che usiamo: quando parliamo del "mondo dei giovani", del "mondo dei vecchi", del "mondo di questo vecchio"... Ma il mondo è uno solo! Ed è fatto di tante realtà che sono diverse proprio perché possano aiutarsi e completarsi a vicenda: le generazioni, i popoli. Tutte le differenze, se armonizzate, possono rivelare, come le facce di un grande diamante, il meraviglioso splendore dell'uomo e della creazione".

Attenzione agli atteggiamenti che creano solitudine

In un clima di affetto e di particolare emozione per il Papa, Francesco ha ricordato che "a volte sentiamo frasi come "pensa a te stesso, non hai bisogno di nessuno!". Sono frasi false, che ingannano le persone facendo credere che sia bene non dipendere dagli altri, vivere da soli come isole, mentre sono atteggiamenti che creano solo molta solitudine. Come ad esempio quando, a causa della cultura dell'usa e getta, gli anziani rimangono soli e devono trascorrere gli ultimi anni della loro vita lontano da casa e dai loro cari". 

Riflettiamo un attimo, ha incoraggiato: "Ci piace questo? Non è forse molto meglio un mondo in cui nessuno debba temere di finire i propri giorni da solo? È chiaro che lo è. Allora costruiamolo insieme questo mondo, non solo elaborando programmi di cura, ma coltivando progetti di esistenza diversi, in cui gli anni che passano non siano visti come una perdita che sminuisce qualcuno, ma come una risorsa che cresce e arricchisce tutti".

Ai nipoti: i nonni, la memoria del mondo

Cari nipoti, i vostri nonni sono la memoria di un mondo senza memoria, e "quando una società perde la memoria, è finita". Ascoltateli, soprattutto quando vi insegnano con il loro amore e la loro testimonianza a coltivare gli affetti più importanti, che non si ottengono con la forza, non appaiono con il successo, ma riempiono la vita".

Il Papa ha concluso. "Non è un caso che siano stati due anziani, mi piace pensare a loro come a due nonni, Simeone e Anna, a riconoscere Gesù quando fu portato al Tempio di Gerusalemme da Maria e Giuseppe (cfr. Lc 2,22-38). Lo accolsero, lo presero in braccio e capirono - solo loro - cosa stava accadendo: che Dio era lì, presente, e li guardava con gli occhi di un bambino. Solo loro capirono, quando videro il piccolo Gesù, che era venuto il Messia, il Salvatore che tutti aspettavano".

"Gli anziani vedono lontano, perché hanno vissuto tanti anni", ha concluso, "e hanno molto da insegnare: per esempio, quanto è brutta la guerra. Io, tanto tempo fa, l'ho imparato da mio nonno, che aveva vissuto la Prima guerra mondiale e che, attraverso i suoi racconti, mi ha fatto capire che la guerra è una cosa orribile. Cercate i vostri nonni e non emarginateli, per il vostro bene: "L'emarginazione degli anziani [...] corrompe tutte le stagioni della vita, non solo la vecchiaia" (Catechesi, 1 giugno 2022)".

Il Papa, "nonno" del mondo

L'evento è iniziato un'ora e mezza prima dell'arrivo del Papa, con la testimonianza del cosiddetto "nonno d'Italia", l'attore Lino Banfi, e del cantante Al Bano, insieme a monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che ha presieduto la Commissione italiana per la riforma dell'assistenza sanitaria e sociale agli anziani (o Terza età), creata nel 2021 dal Ministero della Salute del Governo italiano. 

Questa commissione ha lanciato un Lettera sui diritti degli anziani e i doveri della comunità, su cui ha riferito Omnes. Monsignor Paglia ha definito oggi Lino Banfi il nonno dell'Europa, che a sua volta ha definito Papa Francesco il "nonno del mondo".

Umanizzare il mondo

"Vogliamo cercare di umanizzare il mondo con l'affettività, per curarci dall'isolamento e dalla solitudine", ha detto questa settimana, nel presentazione Mario Marazziti, presidente della Fondazione Italiana Età Grande che, ispirandosi ai valori cristiani ed evangelici, si propone di promuovere e garantire i diritti degli anziani e i correlativi doveri della comunità.  

"Con l'iniziativa vogliamo dare una nuova visione della vecchiaia", ha detto monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita. La vecchiaia "non è uno spreco, un peso, ma una risorsa e non è estranea a tutte le altre età della vita. Vogliamo partire da qui per riscoprire il patrimonio della terza età, dando la parola a nonni e nipoti, tra i quali c'è una speciale sintonia, complicità e dimensione affettiva che non esiste tra le altre generazioni". 

Maggiore attenzione agli anziani

"Gli anziani devono capire che possono ancora dare molto", ha aggiunto, spiegando che "in Italia, ad esempio, sono 14 milioni, ma per loro non c'è una riflessione politica, economica, religiosa e culturale". E se il Papa, con un ciclo di diciannove catechesi, ha indicato come vivere la terza età e ha istituito la Giornata mondiale dei nonni, mentre lo Stato italiano, con la legge 33 del 2023 sulla riforma della non autosufficienza, si è impegnato a riorganizzare l'assistenza agli anziani, la speranza è che anche in altre nazioni cresca l'attenzione verso le generazioni più anziane. 

Nonni e nipoti, il calore tra le generazioni

"La dimensione della vecchiaia", a suo avviso, "diventa decisiva per riprendere, attraverso il legame con i nipoti, il calore con le altre generazioni", ha detto monsignor Paglia. "Nonni e nipoti sono le due generazioni estreme che non possono vivere senza quelle intermedie. Questo è un insegnamento che adulti e giovani devono ascoltare".

L'autoreFrancisco Otamendi