Vaticano

"Porte aperte", l'augurio del Papa per la festa dei Santi Pietro e Paolo

Alla vigilia dell'Anno Giubilare 2025, nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo, Papa Francesco ha invitato "il Signore ad aprire le porte del nostro cuore - a volte bloccate dalla paura, chiuse dall'egoismo, sigillate nell'indifferenza o nella rassegnazione - per aprirci all'incontro con Lui". E anche a "costruire una Chiesa e una società con le porte aperte", mentre imponeva il pallio a 42 nuovi arcivescovi metropoliti.  

Francisco Otamendi-29 giugno 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Oggi, in occasione della solennità di Nostra Signora degli Angeli, il Santo Padre Francesco ha incoraggiato santi apostoli Pietro e PaoloDobbiamo lasciarci "ispirare dalle loro storie, dallo zelo apostolico che ha segnato il cammino della loro vita". Nell'incontro con il Signore hanno vissuto una vera e propria esperienza pasquale: sono stati liberati e si sono aperte davanti a loro le porte di una nuova vita. 

E li ha descritti così: San Pietro, "il pescatore di Galilea che Gesù ha reso pescatore di uomini". San Paolo, "il fariseo persecutore della Chiesa trasformato dalla grazia in evangelizzatore delle genti".

Alla solenne celebrazione eucaristica nella Basilica Vaticana con i cardinali, i nuovi arcivescovi metropoliti, ai quali ha consegnato il pallio, con i vescovi, i sacerdoti e i fedeli, e con una delegazione del Patriarcato di Costantinopoli presente alla Santa Messa, il Papa ha fatto riferimento nell'omelia a omelia alla liberazione di Pietro dal carcere e al prossimo Giubileo, che inizierà nella Chiesa il 24 dicembre.

Dio apre le porte

"La prima lettura descrive l'episodio della liberazione di Pietro dalla prigionia (...). Quello che ci viene narrato, dunque, è un nuovo esodo; Dio libera la sua Chiesa, il suo popolo, che è in catene, e si mostra ancora una volta come il Dio della misericordia che sostiene il loro cammino. In quella notte di liberazione accadde che, prima di tutto, le porte della prigione si aprirono miracolosamente. Di Pietro e dell'angelo che lo accompagnava si dice poi che "giunsero alla porta di ferro che conduceva alla città. La porta si aprì da sola davanti a loro". Non furono loro ad aprire la porta, ma essa si aprì da sola". 

"È Dio che apre le porte", ha sottolineato il Pontefice. È Lui che libera e spiana la strada". A Pietro - come sentiamo nel Vangelo - Gesù aveva affidato le chiavi del Regno. Ma Pietro sperimenta che è il Signore ad aprire per primo le porte, perché ci precede sempre. 

L'itinerario dell'apostolo Paolo è anche, prima di tutto, un'esperienza pasquale, ha sottolineato il Papa. "Egli, infatti, è stato prima trasformato dal Signore risorto sulla via di Damasco e poi, nella contemplazione incessante di Cristo crocifisso, ha scoperto la grazia della debolezza; quando siamo deboli, diceva, in realtà, proprio allora, siamo forti perché non ci aggrappiamo più a noi stessi, ma a Cristo. Aggrappato al Signore e crocifisso con Lui, Paolo scriveva: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me"".

Il Giubileo e le porte dell'evangelizzazione

"Soffermiamoci a considerare proprio l'immagine della porta. Il GiubileoAnzi, sarà un tempo di grazia in cui apriremo le porte della nostra vita. Porta Santaaffinché tutti abbiano la possibilità di varcare la soglia di quel santuario vivente che è Gesù e, in Lui, sperimentare l'amore di Dio che rafforza la speranza e rinnova la gioia. Anche nella storia di Pietro e Paolo ci sono porte che si aprono. Meditiamo su questo.

"Fratelli e sorelle, i due apostoli Pietro e Paolo hanno fatto questa esperienza di grazia", ha proseguito. "Essi, in prima persona, hanno sperimentato l'opera di Dio, che ha aperto loro le porte della loro prigione interiore e anche delle prigioni reali in cui erano imprigionati per amore del Vangelo. Ha anche aperto loro le porte dell'evangelizzazione, affinché potessero sperimentare la gioia dell'incontro con i fratelli e le sorelle delle comunità appena nate e portare a tutti la speranza del Vangelo".

"Così, mentre ci prepariamo ad aprire la Porta Santa, questo messaggio è anche per noi. Anche noi abbiamo bisogno che il Signore apra le porte del nostro cuore - a volte bloccate dalla paura, chiuse dall'egoismo, sigillate nell'indifferenza o nella rassegnazione - per poterci aprire all'incontro con Lui", ha detto il Papa. "Anche noi abbiamo bisogno di uno sguardo capace di riconoscere quali porte il Signore apre per l'annuncio del Vangelo, per riscoprire la gioia di evangelizzare e superare i sentimenti di sconfitta e pessimismo che contaminano l'azione pastorale".

Messaggio sull'imposizione del pallio

In conclusione, Francesco ha fatto riferimento all'imposizione del pallio "agli arcivescovi metropoliti nominati nell'ultimo anno. In comunione con Pietro e sull'esempio di Cristo, porta delle pecore, essi sono chiamati a essere pastori diligenti che aprono le porte del Vangelo e che, con il loro ministero, contribuiscono a costruire una Chiesa e una società con le porte aperte.

Il Pontefice ha anche salutato "con affetto fraterno la Delegazione del Patriarcato Ecumenico: grazie per essere venuti ad esprimere il comune desiderio di piena comunione tra le nostre Chiese. I Santi Pietro e Paolo ci aiutino ad aprire la porta della nostra vita al Signore Gesù; intercedano per noi, per la città di Roma e per il mondo intero. Amen.

Angelus: l'autorità è servizio, liberazione dei prigionieri

Alle dodici, il Papa si è affacciato alla finestra del Palazzo Apostolico e ha recitato l'Angelus con i fedeli. Nella sua breve meditazione, Francesco ha richiamato alcuni spunti dell'omelia del mattino e ha sottolineato, considerando la promessa di Gesù di dare a Pietro le chiavi del Regno dei Cieli, che "l'autorità è un servizio. Altrimenti è una dittatura".

Ha anche sottolineato che la sua missione non era quella di chiudere le porte della casa, ma di aiutare tutti a trovare la strada per entrare, "tutti, tutti", e che non gli ha affidato le chiavi perché non era un peccatore, ma "perché era umile e onesto". 

Infine, ha ricordato le famiglie, gli anziani soli, gli ammalati, e ha chiesto di pregare per coloro che soffrono a causa delle guerre, per la pace nel mondo e per la liberazione di tutti i prigionieri, rallegrandosi al contempo per l'arrivo di una nuova famiglia. rilascio di due sacerdoti greco-cattolici.

L'autoreFrancisco Otamendi

Mondo

Il "Consiglio sinodale" tedesco deve cambiare nome

È quanto emerso da una sessione di lavoro tra una delegazione della Conferenza episcopale tedesca e vari dicasteri della curia, tenutasi venerdì a Roma.

José M. García Pelegrín-29 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Il principale risultato dell'incontro tenutosi il 28 giugno in Vaticano, che ha proseguito i colloqui iniziati al visita ad limina dei vescovi tedeschi nel novembre 2022 e continua il 22 marzo 2024, come evidenziato in un "...".Comunicato stampa congiunto della Santa Sede e della Conferenza episcopale tedesca (DBK)". è che, per i rappresentanti della Curia romana, ci sono due "aspetti importanti".

Il primo è che il nome del "Consiglio sinodale" dovrebbe essere cambiato e "diversi aspetti della proposta precedentemente formulata per un possibile organismo sinodale nazionale" dovrebbero essere modificati.

In secondo luogo, sia la Curia che la DBK "concordano sul fatto che non è né al di sopra né allo stesso livello della Conferenza episcopale".

Ciò è di particolare rilevanza, poiché finora il "corpo sinodale" finale che si stava preparando nel "Comitato sinodale" era destinato a essere un organo di governo congiunto tra i vescovi e i laici del "Comitato centrale dei cattolici tedeschi" ZdK, che in ultima analisi avrebbe supervisionato il lavoro della DBK a livello nazionale e del vescovo in ogni diocesi.

Secondo il comunicato, i vescovi tedeschi hanno riferito sull'ultima riunione del "Comitato sinodale", che il comunicato definisce "organo di lavoro temporaneo".

Partecipanti alla riunione

All'incontro hanno partecipato - dalla Curia romana - i cardinali Victor Manuel Fernandéz, Kurt Koch, Pietro Parolin, Robert F. Prevost OSA e Arthur Roche, oltre all'arcivescovo Filippo Iannone O.Carm.

A nome dei vescovi tedeschi sono stati Mons. Georg BätzingStephan Ackermann, Mons. Bertram Meier e Mons. Franz-Josef Overbeck, alla presenza del Segretario Generale della DBK Beate Gilles e del portavoce della DBK Matthias Kopp.

Il tema principale dell'incontro è stato il rapporto tra l'esercizio del ministero episcopale e la promozione della corresponsabilità di tutti i credenti.

Secondo il comunicato stampa, "è stata posta particolare enfasi sugli aspetti del diritto canonico per l'istituzione di una forma concreta di sinodalità nella Chiesa in Germania".

Da quanto precede si evince che il La Curia romana frena ancora una volta un "Concilio sinodale". che ha chiesto la creazione di un organo di governo congiunto tra i vescovi e i laici della ZdK, più volte vietato dal Vaticano: in due lettere dal 16 gennaio 2023 e del 16 febbraio 2024inviata dai principali cardinali della Santa Sede con l'esplicita approvazione del Papa, ha ricordato che un Concilio sinodale "non è previsto dal diritto canonico vigente e, pertanto, una risoluzione in tal senso della DBK sarebbe invalida, con le relative conseguenze giuridiche".

Ritornando nell'incontro di venerdì agli "aspetti di diritto canonico" in relazione alla "forma concreta di sinodalità" della Chiesa in Germania, è chiaro che la Curia romana si aspetta che la DBK proceda in questo ambito in accordo con il Vaticano.

Secondo il comunicato, una commissione del "Comitato sinodale", che si occuperà della "struttura di un organismo sinodale", lo farà "in stretto contatto con la commissione corrispondente, composta da rappresentanti dei dicasteri interessati"; il "progetto" di tale organismo sarà quindi redatto solo in accordo con il Vaticano.

I colloqui tra la Curia e la DBK continueranno "dopo la conclusione del Sinodo mondiale, per affrontare altre questioni di natura antropologica, ecclesiologica e liturgica".

I vescovi dovranno ora trasmettere ai membri laici del "Comitato sinodale" questi due punti fondamentali discussi a Roma: il cambio di nome e il fatto che il "corpo sinodale nazionale" da preparare non può essere un "corpo sinodale". né al di sopra né allo stesso livello del DBK. La prossima riunione del Comitato è prevista per il 13 e 14 dicembre.

Cultura

Scienziati e credenti. Le ragioni della loro posizione di fede

Questo interessante volume raccoglie i contributi di 26 autori universitari che smontano l'idea, oggi così diffusa, che i professionisti della scienza non possano - o non debbano - avere convinzioni religiose.

Manuel Alfonseca-29 giugno 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Nel 2014, quando è stato pubblicato questo libro, l'idea che la scienza e la fede siano compatibili, che la scienza, la ragione e la fede debbano collaborare per ampliare la portata della nostra conoscenza, era abbastanza nuova nel mercato bibliofilo spagnolo. Su proposta dell'Editorial Stella Maris, Francisco José Soler Gil e io (Manuel Alfonseca) abbiamo deciso di affrontare il compito di costruire un libro che riunisse i contributi di un numero considerevole (26) di autori universitari che, con la loro partecipazione, avrebbero confutato l'idea, oggi così diffusa, che i professionisti della scienza non possano - o non debbano - avere convinzioni religiose.

Nel corso del XX secolo e finora nel XXI secolo, l'inarrestabile ascesa dell'ateismo si è arrestata. Le previsioni del XIX secolo sulla morte di Dio e sull'imminente fine della religione non si sono avverate.

60 domande su scienza e fede a cui rispondono 26 professori universitari

AutoriManuel Alfonseca (Coord)
EditorialeStella Maris
Pagine: 414
Anno: 2016

Le ultime scoperte della scienza, soprattutto in campo cosmologico, hanno smentito la previsione positivista secondo cui il pensiero religioso sarebbe morto per mano della scienza. Quella previsione non si è avverata, perché era sbagliata.

Lo scientismo mainstream si basa sull'affermazione che solo la scienza può portare a una conoscenza valida. È curioso che chi la pensa così non si renda conto che questa affermazione deve essere falsa. Da dove viene? È stata dimostrata da qualche scienza? Chiaramente no. Allora, se fosse vera, dovrebbe essere falsa, perché è proprio quello che sostiene, e si arriverebbe a una contraddizione.

Pertanto, l'obiettivo di questo libro è quello di contribuire alla pulizia e alla riabilitazione della parte di pensiero al confine tra scienza e fede, che è stata devastata dallo scientismo. 

Le sessanta domande contenute nel libro sono raggruppate tematicamente in dieci suddivisioni:

  1. Problemi chiaveSi tratta di dieci domande che chiedono se la scienza ha dei limiti; cosa la scienza deve alla cultura cristiana; se esistono prove dell'esistenza di Dio o se, al contrario, come sostengono gli atei, Dio è un'ipotesi superflua; se la scienza è uno stadio più avanzato rispetto a quello "infantile" della fede religiosa; se può esistere una conoscenza scientifica di Dio.
  2. Lo scontro tra scienza e fede nel corso della storia del storia: principali argomenti del materialismo: Queste sette domande esaminano se la scienza può fornire risposte a tutte le domande dell'uomo, emarginando Dio; se è vero che la Chiesa cattolica si è sistematicamente opposta alla scienza; se il dibattito è correttamente sollevato dai media; se tutto è materia, come sostengono i materialisti; se la nozione di anima è diventata obsoleta; e il problema del male, come affrontato dalla scienza contemporanea.
  3. Evoluzione: Altre nove domande, sulla compatibilità di concetti come creazione ed evoluzione, caso e disegno; il darwinismo è necessariamente ateo? design intelligenteCosa si sa dell'origine della vita e dell'origine dell'uomo? La natura è amorale?
  4. Neuroscienze: Sette domande che sollevano i problemi della mente e della coscienza, della libertà umana, dell'esperienza religiosa, dei giudizi morali, senza dimenticare di rivedere gli esperimenti di Libet sulla libertà.
  5. Fisica quantistica: Tre domande affrontano questo difficile tema per chiedersi se la meccanica quantistica sia rilevante per la comprensione scientifica della mente; se possiamo ancora parlare di realtà; e se questa branca della fisica possa contribuire alle discussioni tra scienza e religione.
  6. Cosmologia: Queste sei domande sollevano la questione dell'origine dell'universo (il Big Bang), se ha avuto davvero un inizio, se può essersi creato da solo e come le teorie del multiverso influenzano l'idea della creazione.
  7. Sintonizzazione fine: Questa sezione è sufficientemente importante da meritare uno studio a parte. Nelle quattro domande corrispondenti, questo problema, uno dei più spinosi che gli atei incontrano oggi, viene affrontato da diversi punti di vista, e che è fondamentalmente una versione moderna della quinta via di San Tommaso d'Aquino.
  8. Il matematica e religioneQuattro domande che sollevano l'annoso problema se la matematica sia una costruzione della mente umana o un riflesso di una dimensione essenziale della realtà, nonché se esista una relazione tra la statistica e la teoria dei giochi e il problema della libertà.
  9. Aspetti etici della scienza: Sei domande sempre più attuali: se la scienza debba essere soggetta a controlli etici; se tutto ciò che è tecnicamente fattibile debba essere eticamente permesso; quali sono i limiti etici della ricerca sugli embrioni, della clonazione, delle cellule staminali, della manipolazione genetica, della terapia genica e di altri interventi sulla vita umana nascente; e quali sono le conseguenze etiche dell'inquinamento ambientale.
  10. Considerazioni finali: Il ce ultime quattro domande chiedono come si applica il metodo scientifico e quale conoscenza della realtà esso fornisce; c'è spazio per la finalità in un mondo descritto dalla scienza; un cristiano può essere uno scienziato; uno scienziato può essere cristiano; uno scienziato può essere cristiano?

Le 60 domande incluse nel libro non coprono tutti i punti controversi del rapporto tra scienza e fede, ma la loro lettura può chiarire alcuni dubbi al lettore e formarlo al tipo di riflessioni necessarie per dipanare gli aspetti filosofici e scientifici delle controversie sul rapporto tra scienza e fede.

Crediamo che un'opera con queste caratteristiche non faccia altro che testimoniare il ruolo della fede cristiana come motore del pensiero filosofico e scientifico e come generatore di riflessione e cultura.

La sola esistenza di un libro collettivo di questa portata, in cui 26 fisici, chimici, ingegneri, matematici, medici, biologi, filosofi, ecc. di varie università spagnole e latinoamericane collaborano per chiarire il rapporto tra scienza e fede, è qualcosa di insolito.

In un'epoca come la nostra, in cui le conoscenze individuali tendono a essere scollegate l'una dall'altra e si sta perdendo la visione d'insieme, non è facile per un grande gruppo di specialisti in diverse aree del sapere sforzarsi di articolare una prospettiva comune.

Ecco perché questo lavoro è un esercizio del più genuino spirito universitario. Uno spirito che, come si potrebbe sospettare alla fine della lettura, ha a che fare con la prospettiva cristiana.

Elenco degli autori: Miguel Acosta, Manuel Alcalde, Manuel Alfonseca, Juan Arana, Emilio Chuvieco, Santiago Collado, Ignacio García Jurado, Julio Gonzalo, David Jou, Nicolás Jouve, Javier Leach, Agustina Lombardi, Alfredo Marcos, Carlos Marmelada, Juan Carlos Nieto, Javier Pérez Castells, Miguel Pérez de Laborda, Aquilino Polaino, Francisco Rodríguez Valls, Javier Sánchez Cañizares, Francisco José Soler Gil, Fernando Sols, Ignacio Sols, Pedro Jesús Teruel, Claudia Vanney e Héctor Velázquez. 

Gli autori provengono da dieci università spagnole, una dall'Argentina, una dal Messico e una da Roma.

Poiché l'Editoriale Stella Maris, che ha pubblicato questo libro, non esiste più, il libro è stato ripubblicato dall'Editoriale Schedas con un titolo simile: Le domande su scienza e fede sono state risposte da docenti universitari. La ragione delle differenze è che questa nuova versione non contiene le stesse domande della prima (uno degli autori, Javier Leach, è morto e le sue risposte sono state ritirate).

L'autoreManuel Alfonseca

Società degli scienziati cattolici di Spagna

Cultura

San Pietro e San Paolo si "incrociano" ancora a Roma

La celebrazione di San Pietro e San Paolo ricorda due grandi pilastri della fede. A Roma, luogo del martirio di entrambi gli apostoli, questa data viene celebrata con diverse iniziative speciali.

Andrea Acali-29 giugno 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

Chi decide di visitare la Basilica di San Pietro in questo periodo dell'anno si imbatte nelle imponenti impalcature erette per il restauro del baldacchino del Bernini. 

Laggiù, perpendicolare all'altare, c'è la tomba dell'apostolo a cui Gesù diede il comando di confermare i fratelli nella fede. 

Il 29 giugno è la solennità che ricorda i due principi della Chiesa: Pietro, l'umile pescatore di Galilea che divenne vicario di Cristo, e Paolo, il dotto fariseo, originario della Cilicia, che crebbe alla scuola di Gamaliele e si trasformò da feroce persecutore della Chiesa nascente in instancabile apostolo delle genti.

I due santi patroni della città eterna vengono ricordati insieme e quest'anno saranno celebrati con una serie di iniziative promosse dai Vicariati delle diocesi di Roma e Città del Vaticano, in collaborazione con il Ministero dei Beni Culturali e il Comune di Roma e il Panathlon International. 

In particolare, sabato 29 è in programma "Quo Vadis", una passeggiata-evento che tocca le tappe storiche della presenza dei due apostoli nella capitale dell'impero; domenica 30 giugno, invece, è in programma "Pietro e Paolo a Roma", uno spettacolo teatrale di e con Michele La Ginestra.

La passeggiata Quo Vadis

Particolarmente degna di nota è la passeggiata Quo Vadis che, secondo le intenzioni degli organizzatori, dovrebbe diventare un appuntamento annuale fisso. Secondo la tradizione, quando Pietro stava fuggendo dalla persecuzione di Nerone a Roma, Gesù gli apparve sulla Via Appia. L'apostolo gli chiese dove stesse andando ("Quo vadis Domine?") e Cristo rispose: "Vado a Roma, per essere crocifisso di nuovo". A quel punto Pietro tornò, per essere martirizzato nel circo di Nerone, crocifisso a testa in giù e poi sepolto nella vicina necropoli dell'Ager Vaticanus. 

La tomba divenne subito un luogo di pellegrinaggio, ancor prima della costruzione della primitiva basilica costantiniana. Ma solo nel XX secolo la tomba di Pietro è stata identificata con certezza, grazie agli scavi ordinati da Pio XII tra il 1939 e il 1958 e alle ricerche della nota archeologa Margherita Guarducci. 

Se la tomba è stata identificata con certezza dove si trova il famoso trofeo di Gaio e il muro rosso con i graffiti, tra cui il famoso "Petros eni" (presumibilmente "Pietro è qui" in greco), rimangono alcuni dubbi sulla posizione esatta delle ossa. Tuttavia, la fede può ampiamente compensare le incertezze della scienza.

Il crocevia tra Pietro e Paolo

Oggi, sulla Via Appia - la "Regina Viarum" degli antichi romani - vicino alle catacombe di San Callisto, si trova una piccola chiesa che ricorda la "Regina Viarum".Quo vadis Domine?È stata visitata anche da San Giovanni Paolo II nel 1983. E la stessa strada "incrocia" il cammino di Pietro e Paolo, che da qui giunsero a Roma, furono imprigionati e poi trovarono il martirio lì, secondo la tradizione, dove oggi sorge l'abbazia di Tre Fontane. 

Chiesa di Santa Maria in Palmis o Chiesa del Quo Vadis sulla Via Appia

Fra Agnello Stoia, parroco di San Pietro, spiega che l'idea di fondo delle iniziative è "restituire a Roma la permanenza dei suoi patroni, che danno un carattere di universalità a questa città". 

Arresti domiciliari a San Pietro 

Le storie umane di Pietro e Paolo, a Roma, si intersecano, si incrociano, si separano, si uniscono, nelle strade di Roma e come le strade di Roma". La passeggiata urbana toccherà tutti i luoghi legati ai due apostoli.

Tra le altre - oltre alle basiliche di San Paolo fuori le Mura e di San Pietro in Vaticano - San Sebastiano fuori le Mura, dove le reliquie di Pietro e Paolo sarebbero state trasferite nel 258 prima di tornare in Vaticano, e all'Ostiense, nonché una delle Sette Chiese tradizionalmente visitate dai pellegrini in occasione del Giubileo; Santa Prisca, la splendida basilica sull'Aventino, dedicata alla figlia martire di Aquila e Priscilla, amici di Paolo che qui vivevano; il Carcere Mamertino, dove i due apostoli furono imprigionati; e ancora Santa Maria in Via Lata, dove Paolo avrebbe trascorso i due anni di "arresti domiciliari".

Il percorso prevede due sentieri, uno più lungo e uno più breve, al termine dei quali si riceve una "pietruzza", una piccola pietra che simboleggia il cammino percorso. È proprio il "sanpietrino", evocato nel logo "Quo Vadis", a collegare Pietro, Roma e le sue strade. 

Un'occasione per cittadini, turisti, famiglie e fedeli di riscoprire o visitare per la prima volta tanti luoghi - tra cui il Parco Archeologico del Colosseo, visitabile gratuitamente in esclusiva per i partecipanti - chiese, tesori d'arte e storia affascinante. Il programma è disponibile sul sito https://sanpietroquovadis.it/

Per quanto riguarda San Pietro, è interessante ricordare un'antica usanza. Nella navata centrale della Basilica Vaticana, a destra, prima del transetto, si trova una grande statua in bronzo del primo Papa. San Pietro in cattedra" è un'opera attribuita allo scultore del XIII secolo Arnolfo di Cambio (anche se alcuni studiosi la fanno risalire al V secolo, commissionata da San Leone Magno, che fece fondere una statua di Giove).

Fu Paolo V Borghese, pontefice tra il 1605 e il 1621, a ordinare la collocazione della statua nella basilica, dopo che per lungo tempo era stata nel chiostro di San Martino. La statua si trova su un trono di marmo di epoca rinascimentale, mentre nel 1871 Pio IX fece realizzare il baldacchino che la ricopre. 

La statua raffigura San Pietro sulla cattedra episcopale. La sua mano destra benedice alla maniera greca, cioè con due dita, mentre nella mano sinistra tiene le chiavi del Regno dei Cieli. I paramenti sono classici: una tunica fino ai piedi e, sopra le spalle, il mantello maschile. La particolarità della festa è che, il 29 giugno, la statua è vestita con la tiara e i paramenti pontificali, un lungo mantello rosso e oro, che serve anche a sottolineare il potere universale del Vicario di Cristo.

Il piede destro della statua è visibilmente consumato da secoli di devozione popolare. Con la costruzione della basilica costantiniana, infatti, la tomba di Pietro era diventata inaccessibile, per cui è ancora tradizione che i fedeli bacino o accarezzino il piede della statua come atto di venerazione.

Alcune curiosità

Nel 2020, durante la pandemia, le celebrazioni nella basilica vaticana per la festa dei Santi Pietro e Paolo si svolsero a porte chiuse, ma Papa Francesco si recò a venerare personalmente la statua del primo Pontefice.

Santa Maria in Via Lata

Un'altra particolarità, forse poco conosciuta ma che può essere "scoperta" attraverso la passeggiata "Quo Vadis", è legata alla basilica di Santa Maria in via Lata. Sorge su quella che oggi è la centrale via del Corso e che un tempo costituiva il primo tratto della via Flaminia. Secondo la tradizione, San Paolo visse nella cripta della chiesa durante la sua prigionia a Roma.

La casa sarebbe stata quella di San Luca Evangelista, che qui avrebbe scritto gli Atti degli Apostoli, e avrebbe ospitato anche Pietro. Sopra l'ingresso della cripta, una targa marmorea reca l'iscrizione, in latino, "Oratorio di San Paolo Apostolo, San Luca Evangelista e Marziale Martire, dove fu ritrovata l'immagine ritrovata della Beata Vergine Maria, una delle sette dipinte dal Beato Luca", a ricordo della presenza qui di alcuni dei primi e più importanti testimoni della fede cristiana.

L'autoreAndrea Acali

-Roma

Vaticano

Cosa sono i concistori dei cardinali?

Rapporti di Roma-28 giugno 2024-Tempo di lettura: < 1 minuto
rapporti di roma88

Il Papa può convocare due tipi di concistori: ordinario e straordinario.

Alle prime partecipano normalmente i cardinali residenti a Roma, mentre quelle straordinarie sono convocate per affrontare questioni di particolare importanza.

In alcuni casi, le concistoriali possono essere pubbliche, vale a dire che alcuni non cardinali possono entrare. 


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Zoom

Processione eucaristica lungo il fiume

Processione eucaristica sul fiume Ohio nell'ambito del percorso Seton del pellegrinaggio eucaristico nazionale. Dalla barca, il vescovo Mark E. Brennan di Wheeling-Charleston offre la benedizione eucaristica ai fedeli riuniti al molo di Wellsburg.

Maria José Atienza-28 giugno 2024-Tempo di lettura: < 1 minuto
Ecologia integrale

Intelligenza artificiale, padrona dell'umanità

L'intelligenza artificiale non solo solleva questioni di carattere etico, ma apre anche profondi interrogativi sugli esseri umani e sui loro desideri più intimi.

Javier Sánchez Cañizares-28 giugno 2024-Tempo di lettura: 9 minuti

Il titolo di questo contributo può sorprendere. Gli enormi progressi compiuti negli ultimi anni nel campo dell'Intelligenza Artificiale (IA) l'hanno resa una realtà in quasi tutti i settori dell'attività umana. Dal riconoscimento delle immagini alla generazione di testi, fino alla capacità di identificare modelli nascosti in una moltitudine di dati, l'IA è oggi uno strumento indispensabile per la società. La sua capacità di trovare nuove strategie di risoluzione dei problemi attraverso l'apprendimento profondo e la sua crescente velocità di elaborazione delle informazioni la rendono un compagno di viaggio sicuro per gli esseri umani di oggi e di domani.

Tuttavia, nonostante i suoi occasionali successi, non sembra che l'Intelligenza Artificiale possa mai sviluppare un'intelligenza generale simile a quella naturale di cui godiamo noi umani. Attualmente, l'Intelligenza Artificiale è piuttosto un insieme di "Intelligenze Artificiali" al plurale: vari algoritmi supportati da diverse reti neurali artificiali, ognuna specializzata nella risoluzione di problemi simili ma specifici.

Umanizzare l'intelligenza artificiale

Quindi, al di là di trovare soluzioni ingegnose a determinati compiti, l'intelligenza artificiale ha qualcosa da dire su ciò che significa essere umani? Può essere una maestra di umanità? A questo punto, verranno sicuramente in mente i problemi generati da un uso immorale di questa tecnologia. Non dovremmo piuttosto concentrarci su quei valori umani che dovrebbero essere inclusi, per quanto possibile, nelle diverse intelligenze artificiali?

Certamente l'uso dell'Intelligenza Artificiale deve essere umanizzato. Ben vengano le direttive e le iniziative che, a livello personale, sociale e politico, possono essere messe in atto per limitare le conseguenze di un uso improprio di questo potente strumento. Proteggiamo i nostri dati personali, combattiamo la pirateria e mettiamo dei filtri su Internet per evitare che i più vulnerabili accedano a contenuti dannosi. C'è una crescente consapevolezza di questo aspetto in quasi tutti i settori e si stanno compiendo passi nella giusta direzione. Allo stesso tempo, la definizione di quadri giuridici per i potenziali rischi dell'intelligenza artificiale, pur essendo necessaria ed essenziale, non deve farci perdere di vista la posta in gioco. Per quanto ben intenzionata, la legalità da sola non può impedire l'uso improprio dell'Intelligenza Artificiale ad ogni costo.

Tuttavia, questo non è direttamente l'obiettivo delle riflessioni. Affermando che l'Intelligenza Artificiale è una maestra dell'umanità, le considerazioni si spingono a un livello più profondo: cosa ci insegna l'Intelligenza Artificiale sul nostro nucleo umano più profondo? La contemplazione dei progressi tecnologici può aiutarci a ripensare e rivalutare ciò che significa essere umani? Credo di sì, anche se le conseguenze pratiche non sono immediatamente visibili.

Artificiale e naturale

L'intelligenza artificiale è un prodotto dell'intelligenza umana. Esiste un'opposizione frontale tra naturale e artificiale che ci permette di capire meglio noi stessi rispetto alle macchine? È dubbio, perché in un certo senso è naturale per gli esseri umani produrre artefatti. L'artificiale è in molti casi uno sviluppo e un completamento del naturale. Inoltre, il confine tra le due aree non è sempre chiaro: un essere vivente concepito artificialmente, modificato geneticamente, curato o migliorato da protesi o prodotti artificiali è artificiale? I confini possono essere sfumati. Tuttavia, il mito del mostro di Frankenstein dovrebbe ricordarci che la biologia negli esseri umani non sembra essere casuale.

Inoltre, e in modo più radicale, il fatto che l'uomo derivi da un'evoluzione naturale che dura da milioni di anni può suggerire perché non sia così facile "produrre" persone. La necessità dell'evoluzione per la comparsa di esseri intelligenti sulla Terra (e non sappiamo se su altri pianeti) è un segno evidente che il carattere biologico degli esseri umani non è un mero oggetto di scena, come vorrebbero pensare alcuni transumanisti radicali, ma una condizione necessaria e determinante.

Per vedere se un'Intelligenza Artificiale prodotta può aspirare ad avvicinarsi agli esseri umani, sarebbe necessario "lasciarla evolvere" senza ostacoli o restrizioni di alcun tipo. Ma questo non sembra essere ciò che vogliamo con l'Intelligenza Artificiale. L'intelligenza artificiale è sempre qualcosa che viene sottratto al flusso evolutivo della natura per raggiungere fini specifici. Le chiediamo al nostro tostapane e al nostro smartphone, ognuno al proprio livello. In questo senso, l'artificiale non è mai naturale.

La questione dei fini

Le considerazioni precedenti ci portano a un secondo punto, spesso dimenticato dagli strenui sostenitori di un'IA in grado di superare l'essere umano: la questione dei fini. Che cos'è un fine? Cosa significa avere dei fini? Sebbene la scienza moderna abbia accantonato la questione dello scopo in natura, paradossalmente gli scopi riappaiono quando cerchiamo di comprendere il comportamento degli esseri viventi, che agiscono quasi sempre in vista di qualcosa.

Negli esseri viventi, gli scopi nascono naturalmente: sono inscritti nella loro natura, si potrebbe dire. L'intelligenza artificiale, invece, opera sempre sulla base di uno scopo esterno imposto dai programmatori. A prescindere dal fatto che, attraverso l'apprendimento profondo, possano apparentemente emergere nuovi "fini" nelle varie Intelligenze Artificiali, nessun prodotto porta in sé l'inclinazione verso uno scopo.

Nel caso dell'essere umano, la questione dei fini appare più chiaramente in relazione alla capacità di canalizzare il proprio desiderio di completamento. La persona ha desideri naturali che mirano a fini che la completano e la completano. Ora, qual è il fine ultimo dell'uomo? La risposta generica a questa domanda è la felicità (prospettiva etica classica), la santità o la comunione con Dio (prospettiva credente) o l'aiuto generico agli altri (prospettiva filantropica). Il punto chiave è che tale fine non è predeterminato in modo concreto. Piuttosto, a seconda delle fasi della vita e dei contesti in cui una persona vive, il modo di concepire il fine generale viene interpretato e sviluppato in modi diversi. Non esiste quindi un determinismo teleologico.

Intelligenza artificiale, determinismo e libertà

Qualcuno potrebbe obiettare che, in futuro, se avremo una versione quantistica dell'IA, anche questa potrebbe non avere questo determinismo. Ma ciò significherebbe non cogliere il punto dell'argomento, che non riguarda tanto i processi deterministici quanto la vita. Vivere significa essere in grado di stabilire nuovi fini in nuovi contesti, dati dall'ambiente, e di concatenare i nuovi fini con quelli precedenti, nella storia singolare e irripetibile di ogni essere vivente.

Questo processo è particolarmente vero per gli esseri umani, perché implica l'uso della libertà come autodeterminazione: la capacità di volere in modo coerente con la propria storia personale ciò che l'intelligenza presenta come bene.

Il processo teleologico nell'uomo è massimamente creativo, perché ogni persona è in grado di riconoscere e volere come bene umano ciò che è sotteso e nascosto in ogni situazione di vita. È la libertà creativa di un essere spirituale che, vivendo nel "qui e ora", è in grado di trascenderlo: è in grado di mettere il "qui e ora" in relazione con l'intera vita, anche se in modo imperfetto. Questo è vivere umanamente e questo, in ultima analisi, è crescere come individuo della specie umana. Non sembra che l'IA, indipendentemente dal suo supporto fisico, funzioni in questo modo. Nessuna IA vive, perché risolvere problemi concreti, imposti dall'esterno, non è la stessa cosa che vivere e porsi problemi.

intelligenza artificiale
Robot dotato di intelligenza artificiale (foto OSV News/Yves Herman, Reuters)

I limiti della conoscenza

La questione dei fini e della vita è strettamente legata alla conoscenza. Infatti, molti autori hanno difeso una continuità di fondo nella natura, una proporzionalità diretta tra vita e conoscenza. Il modo di percepire il mondo è specifico e particolare per ogni essere vivente, in quanto parte essenziale del suo modo di vivere, di essere nel mondo.

Nel caso degli esseri umani, il loro essere nel mondo raggiunge un'estensione praticamente illimitata. Sebbene i sensi esterni funzionino entro una certa gamma di stimoli, gli esseri umani sono in grado di andare oltre, grazie alla loro intelligenza, e sanno che ci sono più cose di quelle immediatamente percepite. Ad esempio, siamo in grado di "vedere" oltre lo spettro visibile delle radiazioni elettromagnetiche o di "sentire" oltre lo spettro delle frequenze udibili da un essere umano. Inoltre, senza possedere alcun senso di gravità, possiamo rilevare le increspature nello spazio prodotte dalle interazioni tra buchi neri nella notte dei tempi.

Mentre ogni esperimento deve finire per offrire qualcosa di sensato allo sperimentatore, gli esseri umani sono in grado di rintracciare correlazioni fisiche in natura fino a limiti insospettabili. Gran parte di questa capacità si manifesta nei progressi della scienza, una delle conquiste più spirituali della nostra specie.

Tuttavia, una componente essenziale della conoscenza umana è la consapevolezza di essere limitata. Quella che può sembrare una contraddizione non lo è affatto. Il nostro desiderio di conoscere è potenzialmente illimitato, ma ne siamo consapevoli perché di solito sperimentiamo la conoscenza come limitata. Una conseguenza decisiva di ciò è ciò che comporta essere una persona integra: qualcuno che non confonde la propria conoscenza della realtà con la realtà stessa.

Intelligenza artificiale e malattia mentale

La conoscenza si riferisce alla realtà, ma non la esaurisce. Insieme ad altre capacità, la conoscenza umana è destinata ad estendersi in modo illimitato, ma non è mai illimitata nel presente. Ciò che si conosce, si sente o si sperimenta non è la realtà, dicono molti psicologi ai loro interlocutori. Non solo per riconoscere la loro finitudine, ma per ricordare loro che non sono i creatori della verità, nemmeno della verità sulla propria vita. Questo è il cuore di molte malattie mentali.

Può un'intelligenza artificiale ammalarsi in questo modo? No. Per la semplice ragione che nessuna Intelligenza Artificiale distingue tra la sua "conoscenza" e la realtà stessa. Qualcuno potrebbe obiettare che esistono Intelligenze Artificiali che "sentono": hanno sensori che ricevono informazioni sulla realtà e addirittura "scelgono" quali informazioni elaborare e quali no. Ma non è questo il problema. Il problema è che lo schema "input-processing-output" di un'IA è sempre chiuso in se stesso. Anche se si rende flessibile il contenuto di tale schema in modo che possa cambiare nelle iterazioni successive, in ogni momento esiste solo una triade di questo tipo per l'IA (o per l'hardware che esegue l'algoritmo, se si preferisce vederla in questo modo).

Rappresentazione e realtà

Non può esistere una differenziazione specifica per l'uomo tra conoscenza e realtà, per la semplice ragione che ogni essere umano nasce con un interesse per l'intera realtà, mentre l'IA viene prodotta con uno scopo particolare, anche se si tratta di simulare un certo "interesse" per i dati non elaborati, che finiscono per diventare un nuovo input nelle iterazioni degli algoritmi.

In larga misura, il successo dell'Intelligenza Artificiale contemporanea deriva dal superamento dei limiti di una prima IA che identificava rigidamente simboli e regole logiche con processi hardware fisici. È stato necessario un allentamento di questa identificazione perché l'Intelligenza Artificiale migliorasse drasticamente. Ma le Intelligenze Artificiali non saranno mai in grado di essere "sane di mente", di avere quello che Brian Cantwell Smith chiama "buon giudizio" ("...").La promessa dell'intelligenza artificiale: la resa dei conti e il giudizio"L'obiettivo è conoscere i suoi limiti e stabilire il corretto rapporto tra la conoscenza, in quanto rappresentazione, e la realtà. I sistemi che non sono in grado di comprendere il significato delle loro rappresentazioni non si relazionano autenticamente con il mondo nel modo in cui le loro rappresentazioni lo rappresentano. Quest'ultima è una cosa che può avvenire solo a livello personale.

intelligenza artificiale

La dimensione religiosa

Infine, è interessante considerare la questione dei limiti della conoscenza potenzialmente illimitata nella sfera religiosa. I pensatori classici ritenevano che esistesse un desiderio umano naturale di vedere Dio, un paradosso che ha causato non pochi problemi alla teologia dei due ordini: naturale e soprannaturale. Questo paradosso ha causato non pochi problemi alla teologia dei due ordini: naturale e soprannaturale. Come combinare i due ordini? Come può esistere un desiderio naturale per una realtà soprannaturale?

Una teologia più incentrata sulle dinamiche delle relazioni personali che sulla concettualizzazione degli ordini sta facendo luce su questo problema classico. Questo problema rivela la curiosa combinazione di finitudine e infinito nella persona creata e, incidentalmente, ci ricorda che la dimensione religiosa è una componente intrinseca della natura umana. Il desiderio di infinito non sembra essere completamente spento nell'uomo, di dignità infinita, nonostante i tentativi delle filosofie nichiliste.

L'intelligenza artificiale ci insegna qualcosa sulla religiosità umana? Oggi le intelligenze artificiali specializzate nell'elaborazione del linguaggio sono in grado di fare grandi riassunti dei contenuti delle religioni, di costruire magnifiche omelie o di ricercare quasi istantaneamente i passi della Bibbia. Bibbia che meglio si adattano al nostro stato d'animo. Ma non hanno alcuna risposta sulla loro "propria" religiosità al di là di ciò che è permesso, direttamente o indirettamente, dai loro programmatori.

Alla ricerca di una vita piena

Anche se le Intelligenze Artificiali non ci istruiscono direttamente sul rapporto con Dio, le proiezioni umane che cercano di percorrere la strada che porterebbe all'umanizzazione delle macchine passano spesso attraverso la religione. Come dimenticare qui le scene finali del primo Blade Runner, quando il replicante Roy Batty inizia a prendere coscienza di sé e cerca il suo creatore per chiedere più vita? Roy è comprensibilmente deluso quando interroga il suo programmatore e si rende conto che il creatore umano non è così potente, non arriva a tanto. Decide quindi di metterlo a morte.

Perché Roy cerca l'immortalità? Perché ha vissuto e visto "cose che non potremmo nemmeno credere": una vita, la sua storia personale, piena di ricordi che restano con lui. Ma se ha una data di scadenza, tutti quei ricordi non solo "si perderanno come lacrime nella pioggia", ma diventeranno indistinguibili da qualsiasi altro processo naturale. Roy cerca quella vita piena e abbondante, in cui tutto ciò che ha vissuto non va perso, non è indifferente, e può acquisire il suo significato ultimo. Non è un insegnamento da poco su cosa significhi vivere umanamente.

L'autoreJavier Sánchez Cañizares

Ricercatore del gruppo "Mente-Cervello" presso l'Istituto di Cultura e Società dell'Università di Navarra.

Vaticano

Il Papa collega la salvezza umana alla cura del creato

Nel suo messaggio per la Giornata di preghiera per la cura del creato, Papa Francesco ha voluto sottolineare il rapporto tra la virtù della carità e il rispetto della natura e di tutte le creature di Dio.

Paloma López Campos-27 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Il 1° settembre 2024 la Chiesa celebra la Giornata di preghiera per la cura del creato. Quest'anno, il motto scelto da Papa Francesco è "Attendere e agire con il creato". Come spiega il Pontefice nella messaggio pubblicato per l'occasione, il motivo principale "si riferisce alla Lettera di San Paolo ai Romani 8, 19-25, dove l'apostolo chiarisce cosa significa vivere secondo lo Spirito e si concentra sulla speranza sicura della salvezza attraverso la fede, che è la vita nuova in Cristo".

Prendendo questi versetti dal Bibbiadice il Papa, possiamo partire "da una semplice domanda": "Come mai abbiamo la fede? E risponde che "non è tanto perché 'crediamo' in qualcosa di trascendente che la nostra ragione non può capire", ma "è perché lo Spirito Santo abita in noi".

Francesco approfondisce questa affermazione dicendo che "lo Spirito è ora veramente "l'anticipo della nostra eredità", come una pro-vocazione a vivere sempre orientati ai beni eterni". È proprio per questo che "lo Spirito rende i credenti creativi, proattivi nella carità". E, con questa carità, i cristiani vengono introdotti "in un grande cammino di libertà spirituale" che li porta a rendersi conto di "essere figli di Dio e di potersi rivolgere a Lui chiamandolo 'Abbà, cioè Padre'".

Questo, dice il Santo Padre, dovrebbe riempirci di speranza, perché "l'amore di Dio ha vinto, vince e continuerà sempre a vincere". Nonostante la prospettiva della morte fisica, per l'uomo nuovo che vive nello Spirito il destino di gloria è già certo.

La fede come compito

Di conseguenza, afferma il Papa, "l'esistenza del cristiano è una vita di fede, diligente nella carità e traboccante di speranza". Tuttavia, questo non è un motivo per il discepolo di Cristo di diventare compiacente. "La fede è un dono", spiega il Papa, "ma è anche un compito, che deve essere svolto nella libertà, in obbedienza al comandamento d'amore di Gesù".

Questo si realizza "nei drammi della carne umana sofferente", sottolinea il Vescovo di Roma. "La salvezza cristiana entra nella profondità del dolore del mondo, che non riguarda solo gli esseri umani, ma l'intero universo.

Pertanto, continua Francesco, "tutta la creazione è coinvolta in questo processo di nuova nascita". In questo modo, la carità del cristiano "deve estendersi anche alla creazione, in un 'antropocentrismo situato', nella responsabilità per un'ecologia umana e integrale, cammino di salvezza della nostra casa comune e di noi che la abitiamo".

Liberazione dell'uomo, cura del creato

Il Santo Padre sottolinea nel suo messaggio che "la liberazione dell'uomo comporta anche la liberazione di tutte le altre creature che, in solidarietà con la condizione umana, sono state sottoposte al giogo della schiavitù". In questo senso, "nella redenzione di Cristo è possibile contemplare con speranza il legame di solidarietà tra l'uomo e tutte le altre creature".

Per questo motivo, continua il Papa, "lo Spirito Santo mantiene vigile la comunità dei credenti e la istruisce continuamente, chiamandola alla conversione degli stili di vita, affinché si opponga al degrado umano dell'ambiente".

È importante, quindi, che l'uomo sia docile allo Spirito Santo, poiché l'obbedienza a Lui "cambia radicalmente l'atteggiamento dell'uomo da 'predatore' a 'coltivatore' del giardino". In questo modo, l'uomo è in grado di evitare quella "forma di idolatria" che consiste nel "pretendere di possedere e dominare la natura, manipolandola a piacimento".

"Perciò", dice Francesco, "la cura del creato non è solo una questione etica, ma anche eminentemente teologica, poiché riguarda l'intreccio del mistero dell'uomo con il mistero di Dio". Allo stesso modo, "c'è una motivazione trascendente (teologico-etica) che impegna il cristiano a promuovere la giustizia e la pace nel mondo, anche attraverso la destinazione universale dei beni: si tratta della rivelazione dei figli di Dio che la creazione attende, gemendo come nelle doglie del parto".

Con e per la creazione

Il Papa conclude il suo messaggio riassumendo chiaramente il motto della Giornata di preghiera per la cura del creato. "Sperare e agire con il creato significa, dunque, vivere una fede incarnata, che sa entrare nella carne sofferente e speranzosa degli uomini, partecipando all'attesa della risurrezione corporea a cui i credenti sono predestinati in Cristo Signore".

I cattolici, conclude il Santo Padre, devono aspirare a "una vita santa", "una vita che diventa un canto d'amore per Dio, per l'umanità, con e per il creato, e che trova la sua pienezza nella santità".

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Gesù nel Nuovo Testamento alla luce dell'Antico Testamento

Tutta la Sacra Scrittura guarda a Cristo e prepara il popolo alla sua venuta e al suo riconoscimento. Per questo, per ogni cristiano, conoscere i libri dell'Antico Testamento è un esercizio fondamentale per comprendere appieno la vita e il messaggio di Gesù.

Francisco Varo-27 giugno 2024-Tempo di lettura: 8 minuti

L'Antico e il Nuovo Testamento si completano a vicenda. Non sono due blocchi di libri in conflitto tra loro, ma una testimonianza comune di un unico piano salvifico che Dio ha progressivamente svelato.

Non si tratta di due tappe successive ed esclusive in cui, una volta raggiunto l'obiettivo, i primi passi perderebbero il loro interesse. Sono invece due momenti di uno stesso piano, dove il primo prepara la strada al secondo e definitivo. 

Anche dopo aver raggiunto l'obiettivo, la preparazione è essenziale perché il risultato finale funzioni correttamente. I libri del Antico Testamento non sono come le gru e le impalcature, che sono necessarie per costruire un edificio ma vengono rimosse una volta terminati i lavori.

È un po' come gli studi di medicina per un medico: un momento prima di esercitare la professione, ma una volta qualificati, la pratica medica si basa sulle conoscenze acquisite. È sempre necessaria una formazione continua, un ritorno allo studio. Qualcosa di simile avviene nel rapporto tra Antico e Nuovo Testamento.

L'Antico Testamento è una preparazione al Nuovo, ma una volta raggiunta la pienezza della rivelazione nel Nuovo, la sua comprensione accurata richiederà una conoscenza approfondita dell'Antico. Allo stesso tempo, l'Antico Testamento continuerà a offrire riferimenti permanenti ai quali sarà conveniente tornare più volte, soprattutto quando sarà necessario affrontare nuove sfide nell'interpretazione del Nuovo Testamento.

Agostino, nel suo commento a Esodo 20, 19 (PL 34, 623), ha espresso la relazione tra i due in una frase concisa: "Il Nuovo Testamento è latente nell'Antico e l'Antico è brevettato nel Nuovo".

Con la consueta brillantezza retorica, esprime la convinzione che la lettura dei libri dell'Antico Testamento da sola, per quanto comprensibile, non ci permette di coglierne il pieno significato. Questo si raggiunge pienamente solo quando viene integrato con la lettura del Nuovo Testamento. 

Allo stesso tempo, indica che il Nuovo Testamento non è estraneo all'Antico Testamento, perché è latente in esso, all'interno del saggio piano di rivelazione di Dio.

Spiegare nel dettaglio le citazioni, le allusioni o gli echi dell'Antico Testamento che permeano i passi del Nuovo Testamento richiederebbe molte pagine, che supererebbero la portata limitata di questo saggio. Pertanto, ci limiteremo a segnalare alcuni semplici esempi tratti dal Vangelo secondo Matteo per aiutarci a comprendere l'importanza di conoscere a fondo le storie e le espressioni dell'Antico Testamento. Essi ci indicano la strada per riconoscere Cristo nella lettura dei Vangeli.

La genealogia di Gesù

Il Vangelo secondo Matteo inizia mostrando che Gesù è pienamente integrato nella storia del suo popolo: "Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo". (Mt 1,1). Da qui, vengono elencati tre gruppi di quattordici generazioni, in cui ci sono numerosi punti di contatto con personaggi e testi della storia di Israele. 

Particolarmente significativi sono i suoi rapporti con i due personaggi citati nel titolo: Davide e Abramo. Il fatto che siano elencati quattordici generazioni tre volte è significativo perché, in ebraico, quattordici è il valore numerico delle consonanti della parola Davide (DaWiD: D è 4, W è 6 e l'altra D è ancora 4). Questo indica che Gesù è il Messia, l'atteso discendente di Davide.

L'annuncio a Giuseppe

Alla fine della genealogia, un angelo del Signore spiega a Giuseppe il concepimento verginale di Gesù e gli dà istruzioni precise: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere Maria come tua sposa, perché ciò che è stato concepito in lei è opera dello Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e lo chiamerai Gesù, perché egli salverà il suo popolo dai suoi peccati". (Mt 1, 20-21). 

L'angelo usa le stesse parole che furono usate per annunciare ad Abramo che Sarah "partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco". (Gen 17,19). In questo modo, l'evangelista delinea la figura di Gesù con allusioni a tratti letterari tipici della letteratura biblica su Isacco.

Betlemme, i Magi, Erode, Egitto

Per quanto riguarda Davide, è importante notare che Gesù è nato a Betlemme, la città di Davide: Dopo la nascita di Gesù a Betlemme di Giuda, al tempo del re Erode, i Magi vennero dall'Oriente a Gerusalemme, chiedendo: "Dov'è il Re dei Giudei che è nato? -Dov'è il Re dei Giudei che è nato? Perché abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo". All'udire ciò, il re Erode si turbò e con lui tutta Gerusalemme. Chiamò a raccolta tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo e chiese loro dove sarebbe nato il Messia. -A Betlemme di Giuda", gli dissero, "perché così è scritto nel profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei certo l'ultima tra i capoluoghi di Giuda, perché da te uscirà un capo che pascerà il mio popolo Israele. Allora Erode convocò segretamente i Magi e si informò accuratamente sull'ora in cui era apparsa la stella; poi li mandò a Betlemme dicendo loro: "Andate e informatevi sul bambino; e quando l'avrete trovato, fatemelo sapere perché anch'io possa venire ad adorarlo". (Mt 2,1-8). 

Il testo è molto espressivo, poiché, in occasione della domanda dei Magi, viene utilizzata una citazione della Scrittura per mostrare che Gesù è il Messia atteso, il discendente che il Signore aveva promesso a Davide, e a questo scopo viene citata la profezia di Michea (Michea 5, 1). 

Poco dopo che i magi avevano adorato il bambino, si dice che Giuseppe sia stato avvertito in sogno dei piani di Erode per ucciderlo. Giuseppe obbedì immediatamenteSi alzò, prese il bambino e sua madre di notte e fuggì in Egitto. Lì rimase fino alla morte di Erode, affinché si adempisse ciò che il Signore aveva detto per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato mio figlio" (Mt 2, 14-15).

Anche in questo caso, si nota che ciò che è accaduto era già stato anticipato nell'Antico Testamento, anche se i lettori non se ne erano accorti prima. Infatti, la frase "Dall'Egitto ho chiamato mio figlio". è in Osea 11, 1, anche se nel libro del profeta questo "figlio" è il popolo d'Israele che Dio ha portato fuori dall'Egitto verso la terra promessa.

Questo gioco di citazioni e allusioni, che può essere percepito solo da chi conosce a fondo l'Antico Testamento, è ricco di significato. 

È significativo che Matteo presenti Gesù come perseguitato alla sua nascita da un re, Erode, che vuole metterlo a morte e che, una volta salvato da quella persecuzione dopo la morte di Erode, dall'Egitto si rechi nella terra d'Israele. 

In questo modo Gesù si presenta come un nuovo Mosè. Nell'ordine di Erode di mettere a morte tutti i bambini al di sotto dei due anni (Mt 2,16) si concretizza nuovamente la persecuzione che il faraone aveva dettato contro tutti i bambini israeliti (Es 1,16) e, come Mosè sfuggì prodigiosamente a morte certa, anche Gesù riuscì a sfuggire alla spada di Erode. 

Poi si sarebbe incamminato dall'Egitto verso la Terra Promessa.

Il battesimo di Gesù nel Giordano

L'idea di Gesù come nuovo Mosè risuona in diversi modi all'inizio della sua vita pubblica. Gesù si reca al Giordano vicino a Gerico, dove si trova Giovanni Battista, per farsi battezzare da lui. Inizia la sua vita pubblica dopo essere uscito dalle acque del fiume (Mt 3,13-17). 

Secondo il libro del Deuteronomio, Mosè condusse il popolo d'Israele dall'Egitto al Giordano passando per Gerico (Dt 34,3) e, prima di attraversare il fiume, morì dopo aver ammirato la terra promessa dal monte Nebo.

Gesù, come nuovo Giosuè, successore di Mosè, inizia la sua predicazione dalle rive del Giordano nello stesso luogo in cui era arrivato Mosè, di fronte a Gerico. È Gesù che porta veramente a compimento ciò che Mosè aveva iniziato.

Raccontando il battesimo di Gesù, si dice che "E quando Gesù fu battezzato, uscì dall'acqua; poi i cieli gli si aprirono ed egli vide lo Spirito di Dio scendere in forma di colomba e posarsi su di lui. E una voce dal cielo disse: "Gesù uscì dall'acqua". Questo è il mio Figlio, l'Amato, nel quale mi sono compiaciuto." (Mt 3, 16-17). Questa frase "mio figlio, l'amato", che si sente anche nella trasfigurazione di Gesù (Mt 17,5), è un'eco di quella in cui Dio si rivolge ad Abramo per chiedergli di sacrificargli il figlio Isacco: prendi "tuo figlio, l'amato" (Gen 22:2).

Il parallelo tra Gesù e Isacco, già delineato nell'annuncio dell'angelo a Giuseppe (Mt 1,20-21; Gen 17,19), assume di nuovo un rilievo molto espressivo. Questo modo di presentare Gesù indica il parallelo tra la drammatica scena della Genesi in cui Abramo è pronto a sacrificare Isacco, che lo accompagna senza opporre resistenza, e il dramma che si è consumato sul Calvario, dove Dio Padre ha offerto suo Figlio come sacrificio volontario per la redenzione del genere umano.

La predicazione di Gesù

Anche Matteo parla della predicazione di Gesù, presentandolo come il nuovo Mosè, che continua a dettagliare i precetti della Legge in un lungo discorso da un monte (Mt 5,1), alludendo al Sinai.

Lì cita alcuni dei comandamenti tramandati da Mosè e fornisce alcuni dettagli sul loro adempimento, assumendo un'autorità che non lasciava indifferenti coloro che lo ascoltavano. 

Gesù non solleva un conflitto riguardo all'accettazione della Legge di Moi.Al contrario, ne conferma il valore: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolirli, ma a dare loro pienezza. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà la più piccola lettera o tratto della Legge, finché non sia tutto compiuto". (Mt 5, 17-18). Ma spiega in dettaglio il significato e i modi di mettere in pratica i principali comandamenti della Torah. 

La "pienezza" di cui si parla non è quella di un semplice adempimento di ciò che viene comandato, ma un approfondimento dell'insegnamento della Legge che va ben oltre la rigorosa osservanza di ciò che essa esprime nella sua più pura letteralità.

Lo schema delle parole di Gesù (Mt 5,43-45) corrisponde a una spiegazione dei comandamenti secondo le procedure ordinarie dei maestri d'Israele di quel tempo. Prima viene citato il testo della Legge da commentare, poi viene indicato il modo di adempiere secondo lo spirito di questi comandi divini. Gli ascoltatori di Gesù avrebbero così ascoltato un discorso strutturato in modo a loro familiare.

In questo caso, le spiegazioni sono introdotte in modo particolare, quasi provocatorio, dal maestro di Nazareth. Non si tratta di un normale contrasto di vedute. Egli inizia dicendo: "Avete sentito che è stato detto...."e cita parole della Legge a cui tutti riconoscono un'origine e un'autorità divine, per aggiungere: "ma io vi dico...".Chi è questo insegnante che osa correggere con la sua interpretazione ciò che dice la Legge di Mosè?

Questo modo di presentare la spiegazione dei comandamenti è tipico dello stile di Gesù. Egli rivendica per sé un'autorità con la quale si pone accanto a Mosè, e addirittura si eleva al di sopra di lui.

Da un lato, Gesù accetta la Legge di Israele, ne riconosce l'autorità e insegna che ha un valore perenne. Ma allo stesso tempo, questa perennità va di pari passo con il raggiungimento di una pienezza che egli stesso è venuto a darle, non abrogandola per sostituirla con un'altra, ma portando al suo culmine l'insegnamento su Dio e sull'uomo che essa contiene. Non vi ha aggiunto nuovi precetti, né ha svalutato le sue esigenze morali, ma ne ha estratto tutte le potenzialità nascoste e ha portato alla luce nuove esigenze di verità divina e umana che erano latenti in essa.

Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo.

Ripercorrere con attenzione le pagine del Vangelo, prestando attenzione ai dettagli che una buona conoscenza dell'Antico Testamento apporta alla sua comprensione, è un esercizio affascinante, ma che richiederebbe tempo e spazio oltre i limiti di un semplice saggio come questo. Tuttavia, gli esempi sopra riportati possono servire a scoprire quale contributo può dare alla conoscenza di Gesù Cristo una lettura del Nuovo Testamento alla luce della Bibbia ebraica.

La convinzione espressa nella predicazione apostolica che l'Antico Testamento si comprende pienamente solo alla luce del mistero di Cristo e, a sua volta, che la luce dell'Antico Testamento fa risplendere le parole del Nuovo Testamento in tutto il loro splendore, è rimasta immutata nella teologia patristica.

È nota l'annotazione di San Girolamo nel prologo del suo Commento a Isaia: "Se, come dice l'apostolo Paolo, Cristo è la potenza di Dio e la sapienza di Dio, e chi non conosce le Scritture non conosce la potenza di Dio né la sua sapienza, ne consegue che ignorare le Scritture significa ignorare Cristo".

Una buona conoscenza dell'Antico Testamento è necessaria per conoscere a fondo Cristo, poiché è indispensabile per cogliere tutti i dettagli che il Nuovo Testamento evidenzia sulla persona e sulla missione del Figlio di Dio fatto uomo.

L'autoreFrancisco Varo

Professore di Sacra Scrittura, Università di Navarra

Vangelo

Fare il bene al ritmo di Dio. 13ª domenica del Tempo Ordinario (B)

Joseph Evans commenta le letture della 13ª domenica del Tempo Ordinario e Luis Herrera tiene una breve omelia video.

Giuseppe Evans-27 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Nostro Signore mostra una notevole miscela di determinazione, flessibilità e pazienza nella sua missione. Questo è particolarmente evidente nel Vangelo di oggi, dove vediamo costantemente Gesù disposto ad andare dove gli viene chiesto, adattando i suoi piani, senza la minima fretta, ma tutto ispirato da un chiaro senso di seguire la volontà del Padre. 

Gesù sa cosa vuole fare e lo fa con calma, senza mai agitarsi. Eppure, le folle gli ronzano intorno, la gente reclama la sua attenzione o lo tocca, i discepoli rispondono nervosamente, la gente piange e si lamenta ad alta voce o ride di lui. 

Gesù ha appena scacciato migliaia di demoni da una persona: una battaglia dura ed estenuante. Mentre attraversa in barca l'altra sponda, una grande folla si raduna intorno a lui. In mezzo alla folla, con Gesù senza dubbio pronto a insegnare, un certo Giairo lo prega di venire a curare sua figlia. Gesù lo segue senza fare domande. 

Durante il tragitto si verifica un'altra interruzione. Una donna che soffriva da dodici anni di una dolorosa emorragia lo tocca. Sentendo che le sue forze si stanno esaurendo, Gesù si ferma: guarire la donna non è sufficiente, vuole aiutarla a crescere nella fede. Per questo la mette alla prova prima di guarirla; c'è anche il tempo per una discussione con i suoi discepoli. Possiamo immaginare l'impazienza di Giairo mentre tutto questo accadeva. E poi i suoi peggiori timori vengono confermati. Gli viene detto che sua figlia è morta.

Gesù gli dice: "Non abbiate paura, abbiate fede".. Si attarda ancora di più, impedendo a tutti gli altri di accompagnarlo e permettendo solo a Pietro, Giacomo e Giovanni di farlo. Dopo aver scacciato dalla casa tutti coloro che piangevano (si prende altro tempo), Gesù guarisce finalmente il bambino con grande pazienza e dolcezza: "Sto parlando con te, ragazza, alzati".. Lo fa, e ci viene detto che Gesù pensa addirittura di dire loro di dargli qualcosa da mangiare.

Questa è una grande lezione per noi. Essere determinati a fare del bene e non lasciare che nulla ci scoraggi, ma con calma, pazienza e flessibilità. 

Uno dei motivi per cui manchiamo di misericordia - e questo potrebbe essere un difetto particolare delle persone laboriose e motivate - è che abbiamo un sacco di cose da fare, magari molto buone per il servizio di Dio, e non ci piace essere interrotti. 

Quello che dovremmo imparare è che quelle interruzioni potrebbero essere il Signore che ci dice cosa vuole che facciamo.

Omelia sulle letture di domenica 13a domenica del Tempo Ordinario (B)

Il sacerdote Luis Herrera Campo offre il suo nanomiliaUna breve riflessione di un minuto per queste letture domenicali.

Spagna

La Caritas sostiene 2,5 milioni di persone e l'esclusione sociale aumenta

"La crisi economica e sociale sta spingendo 26% della popolazione in situazioni sempre più complesse di esclusione sociale", ha riferito oggi la Caritas, che lo scorso anno ha aiutato più di 2,5 milioni di persone in Spagna e all'estero, con un investimento di 486,5 milioni di euro, 6,4% in più rispetto all'anno precedente. La metà di loro si è rivolta alla Caritas pur avendo un lavoro.  

Francisco Otamendi-26 giugno 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

Il susseguirsi di crisi economiche e sociali sta spingendo 26% cittadini "in situazioni di esclusione sociale sempre più complesse". La perdita della funzione protettiva del lavoro, l'aumento del costo degli alloggi e l'irregolarità amministrativa di cui soffrono molti migranti impediscono a gran parte della popolazione di raggiungere condizioni di vita dignitose. 

Questo è quanto si legge nel rapporto confederale di CaritasLa confederazione ufficiale delle organizzazioni caritative e di azione sociale della Chiesa cattolica, che è stata presentata questo mercoledì a Madrid dal suo presidente, Manuel Bretón, e dal segretario generale, Natalia Peiroche hanno riferito sul lavoro della Caritas nel 2023.

Lo scorso anno, la Caritas ha investito la cifra record di 486,5 milioni di euro - 29,3 milioni di euro (6,4 %) in più rispetto all'anno precedente - nelle sue diverse risorse e progetti all'interno della Spagna e nelle azioni di cooperazione internazionale nei Paesi terzi. 

Ritorno ai livelli pre-pandemici ed esaurimento dei richiedenti

Grazie a queste risorse disponibili, Caritas è riuscito a sostenere 2.567.680 persone dentro e fuori i nostri confini. Di queste, 1.327.298 all'interno della Spagna e 1.240.382 nella Cooperazione internazionale. I dati del Rapporto riflettono che il numero di persone assistite nel nostro Paese è tornato a livelli simili a quelli del 2019, l'anno precedente alla pandemia (1.403.299). 

"Nel 2023, nei nostri servizi di accoglienza e in altre risorse abbiamo visto che le persone che si rivolgono a noi hanno sempre più difficoltà ad accedere ai loro diritti. Sono persone con un accumulo di bisogni, con un senso di stanchezza e di logoramento dovuto al continuo sforzo nella ricerca di come risolvere questi bisogni primari", ha spiegato Natalia Peiro durante la presentazione del bilancio delle attività.

L'80% degli aiuti è destinato alle necessità di base.

Nell'ultimo anno, una persona assistita su tre si trovava in una situazione amministrativa irregolare, mentre 50 % lavoravano in condizioni di povertà o avevano serie difficoltà di accesso o mantenimento dell'alloggio. 

Nei programmi Shelter e Assistance, l'80% degli aiuti richiesti dalle famiglie riguardava il pagamento delle utenze e dell'affitto, cioè i bisogni primari. "Il miglioramento del tasso di attività e la diminuzione della disoccupazione nel corso del 2023 non si sono tradotti in un aumento della qualità dell'occupazione, soprattutto per le persone in situazione di esclusione sociale. Con un tasso dell'11,9%, la Spagna continua a essere uno dei Paesi dell'UE con il più alto tasso di povertà lavorativa a causa del lavoro part-time, dei bassi salari e dell'occupazione temporanea", ha dichiarato Natalia Peiro.

La realtà di esclusione e povertà vissuta dalle persone che si rivolgono alla Caritas, secondo i responsabili, non è ciclica e quindi non è associata a una crisi specifica, "ma strutturale e generata da sviluppi sociali ed economici, nonché da politiche che si sono susseguite per decenni". La complessa situazione delle persone richiede periodi di accompagnamento più lunghi. Nel caso di persone in situazione amministrativa irregolare, questo processo può durare in media da uno a due anni. "Questi dati dimostrano che abbiamo bisogno di processi di accompagnamento più complessi, più lunghi e più costosi", ha sottolineato Peiro.

Più fondi per l'occupazione

Poiché l'occupazione è uno dei principali fattori di integrazione, la Caritas ha aumentato ancora una volta i fondi investiti nei programmi di Economia Solidale. Con uno stanziamento totale di 136,8 milioni di euro (21,3 milioni in più rispetto all'anno precedente), lo sforzo finanziario per gli itinerari di inserimento socio-lavorativo e le imprese di inserimento ha superato ancora una volta i programmi di accoglienza e assistenza (96,7 milioni di euro). Con queste risorse sono state assistite 4,9 % di persone in cerca di lavoro in più rispetto al 2022. 

"Nella nostra vita quotidiana incontriamo molte persone che fanno grandi sforzi per migliorarsi, per imparare, per acquisire nuove competenze, per superare il digital divide e per affrontare le loro paure e la moltitudine di ostacoli che incontrano lungo il cammino. Tuttavia, in molti casi, questo non è sufficiente per ottenere un lavoro decente. Questo perché il nostro sistema socio-economico, basato sulla redditività economica, l'accumulo, l'individualismo, la competizione e il consumo eccessivo, continua a portare a una crescente disuguaglianza, a un aumento della precarietà del lavoro e al degrado ambientale, che sono incompatibili con la giustizia sociale e la parità di accesso ai diritti", ha dichiarato Natalia Peiro.

Gli altri programmi che hanno utilizzato più risorse lo scorso anno sono stati quelli per gli anziani (42,9 milioni), per i senzatetto (41,3 milioni) e per la famiglia, i bambini e i giovani (28,5 milioni), per citare i più rilevanti. 

Emergenze umanitarie fuori dalla Spagna

Rispondere ai bisogni umanitari di migliaia di persone al di fuori dei nostri confini è stato uno dei compiti principali della Caritas per tutto il 2023. I diversi progetti di cooperazione internazionale hanno avuto un investimento totale di 25,2 milioni di euro e hanno assistito 1.240.382 persone. 

Nell'ambito dell'azione umanitaria, spiccano soprattutto il lavoro svolto in Marocco, Turchia e Siria a seguito dell'emergenza causata dai terremoti che hanno colpito i tre Paesi, il sostegno in Terra Santa e la continuità del lavoro svolto in Ucraina. Tutto questo senza dimenticare la situazione di altri Paesi con crisi dimenticate come Mozambico, Etiopia e Libano. 

Il significativo sforzo finanziario (circa 29,3 milioni in più rispetto al 2022) compiuto dalla Caritas lo scorso anno è stato possibile grazie al generoso sostegno di migliaia di partner, donatori e collaboratori privati, che hanno contribuito con oltre 327 milioni, 6,9% in più rispetto all'anno precedente. "Apprezziamo l'impegno di oltre 230.000 donatori e partner che collaborano con noi nel compito di costruire un mondo più giusto", ha dichiarato il Segretario generale. 

Inoltre, sono degni di nota gli sforzi delle diverse Amministrazioni pubbliche, che hanno contribuito ai programmi Caritas per un totale di 159,4 milioni di euro. Il bilancio complessivo delle entrate di quest'anno è stato di 67.22% da fonti private e 32.78% da amministrazioni pubbliche.

Massima austerità con meno mezzi

Anche se negli ultimi due anni la Caritas nel suo complesso ha messo in gioco un significativo aumento delle risorse finanziarie a causa dell'impatto della crisi inflazionistica, è stato possibile mantenere l'obiettivo di austerità nella sezione Gestione e amministrazione. È addirittura sceso a 5,72 %. 

In altre parole, su 100 euro investiti in azioni di lotta alla povertà, solo 5,7 euro sono stati spesi per i costi di gestione. "Sono 20 anni che abbiamo questa percentuale di costi di gestione", ha sottolineato Natalia Peiro. Il rapporto contiene anche dati sulle persone che stanno dietro a tutta questa attività confederale, sostenuta grazie a 71.437 volontari e 5.871 lavoratori a contratto.

Aggiunta di testamenti 

Durante la presentazione del bilancio delle attività, il presidente di Caritas Española ha invitato tutta la società a "unire le forze per trasformare l'opera a favore degli invisibili e degli scartati in un luogo d'incontro e in uno spazio di armonia, in questi tempi di preoccupante polarizzazione sociale e di peggioramento delle condizioni di vita di molte persone, che vedono come il loro accesso ai diritti fondamentali continui a essere molto precario". 

Nel suo discorso, Manuel Bretón ha colto l'occasione per ringraziare "l'instancabile sostegno" di aziende, singoli donatori, amministrazioni pubbliche e migliaia di volontari "nel compito di garantire la dignità di tutte le persone, la tutela dei diritti umani e l'impegno per la giustizia sociale". "Ci sono molte mani che si uniscono per portare avanti questo compito. Per questo motivo, vorrei ringraziare, a nome mio e di Cáritas Española, questa somma di impegni e solidarietà che tessono una rete di sostegno senza la quale non saremmo stati in grado di accompagnare più di due milioni e mezzo di persone dentro e fuori il nostro Paese nel 2023".

L'autoreFrancisco Otamendi

Vaticano

Il Papa chiede di prendersi cura di chi soffre di abuso di droghe

Papa Francesco ha invitato tutti i cattolici ad aiutare a combattere la "piaga" dello spaccio e della dipendenza, in occasione della Giornata internazionale contro l'abuso e il traffico illecito di droga.

Paloma López Campos-26 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Durante il suo pubblico Papa Francesco ha parlato dei danni causati dalle droghe, in occasione della Giornata internazionale contro l'abuso e il traffico illecito di droga.

Citando San Giovanni Paolo II, il Santo Padre ha spiegato che "l'abuso di droga impoverisce ogni comunità in cui si manifesta". Tuttavia, dietro questa affermazione non si può dimenticare "che ogni tossicodipendente porta con sé una storia personale diversa, che deve essere ascoltata, compresa, amata e, per quanto possibile, curata e purificata".

Di fronte al dolore individuale causato dal rapporto con la droga, Francesco ha detto che "non possiamo ignorare le intenzioni e le azioni malvagie degli spacciatori e dei trafficanti di droga".

Il Papa ha poi sconsigliato la liberalizzazione del consumo di queste sostanze come mezzo per ottenere "una riduzione della tossicodipendenza". Per questo motivo, il Vescovo di Roma si è detto "convinto che sia moralmente giusto porre fine alla produzione e al traffico di queste sostanze pericolose".

Le droghe, una piaga

Con parole dure, Francesco ha descritto coloro che gestiscono il business della droga come "trafficanti di morte", "spinti dalla logica del potere e del denaro ad ogni costo". Ha indicato l'abuso e il profitto attraverso le sostanze stupefacenti come una "piaga che produce violenza e semina sofferenza e morte".

Di fronte a questi fatti, il Papa ha chiesto di investire nella "prevenzione, che si fa promuovendo una maggiore giustizia, educando i giovani ai valori che costruiscono la vita personale e comunitaria, accompagnando chi ha bisogno e dando speranza per il futuro".

Il Santo Padre ha anche elogiato le "comunità di recupero ispirate dal Vangelo". Queste, ha detto, "sono una testimonianza forte e piena di speranza dell'impegno di sacerdoti, consacrati e laici a mettere in pratica la parabola del Buon Samaritano". D'altra parte, ha ringraziato "gli sforzi intrapresi da varie Conferenze episcopali per promuovere una legislazione e politiche eque per il trattamento dei tossicodipendenti e la prevenzione per arginare questo flagello".

Azione e prevenzione

Francesco ha citato alcuni esempi di istituzioni o gruppi che lavorano in modo eccezionale per aiutare i tossicodipendenti, come "la Rete Pastorale Latinoamericana di Accompagnamento e Prevenzione delle Dipendenze (PLAPA)" o "i vescovi dell'Africa del Sud, che nel novembre 2023 hanno convocato una riunione sul tema 'Empowering Drug Addicts'". giovani come agenti di pace e di speranza".

In conclusione, Papa Francesco ha esclamato che "di fronte alla tragica situazione di tossicodipendenza di milioni di persone in tutto il mondo, di fronte allo scandalo della produzione e del traffico illecito di queste droghe, non possiamo rimanere indifferenti". "Siamo chiamati", ha insistito il Pontefice, "ad agire, a fermarci davanti alle situazioni di fragilità e di dolore, a saper ascoltare il grido di solitudine e di angoscia, a chinarci per rialzare e riportare alla vita chi cade nella schiavitù della droga".

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Vocazioni

Judita Velziene: "Nell'Opus Dei ho riscoperto il mio rapporto personale con Dio".

Questa giovane soprannumeraria dell'Opus Dei spiega come ha scoperto la sua vocazione alla santificazione in mezzo al mondo, nella sua nativa Lituania.

Maria José Atienza-26 giugno 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Sposata e madre di 4 figli, Judita Velziene è psicologa e vive a Kaunas, una delle principali città del Paese. Lituania. Attualmente, la maggior parte dei membri del Opus Dei è costituito da soprannumerari come Judita, in tutto il mondo.

Judita sottolinea che "l'essenza della vocazione è l'identità, non il merito". Non si tratta di fare cose, ma della propria identità personale e della propria relazione unica con Dio. Una vocazione che vive nella sua vita quotidiana, nella sua famiglia e nel suo lavoro professionale di psicoterapeuta.

Come ha scoperto la sua vocazione all'Opus Dei?

-Avevo già messo su famiglia, avevo dei figli e lavoravo con successo in una grande azienda, quando ho sentito che la mia fede mancava di vita. Vivevo sotto pressione, mi destreggiavo tra la famiglia e gli impegni di lavoro, e la mia fede mancava di qualsiasi tipo di sostegno e nutrimento. Poi mio fratello mi ha fatto conoscere una persona del Opus Dei che è diventata una grande amica. Poco dopo, mi invitò a partecipare a un corso di ritiro. Lì, l'armatura che avevo costruito nel corso della mia vita, che avrebbe dovuto proteggermi e rafforzarmi, ma che invece racchiudeva e induriva la mia anima, cominciò lentamente a disintegrarsi. Tutta la formazione spirituale del Opus Dei Mi ricordava molto gli insegnamenti che avevo ricevuto da mia nonna e dai miei genitori su Dio e sulla Chiesa.

Ho riscoperto quanto sia grande l'amore di Dio e quanto sia bella e personale la sua relazione con me. Questo mi ha aiutato a riportare lo sguardo sulla famiglia, evitando un'eccessiva immersione nella mia carriera professionale, ristabilendo così l'equilibrio nella mia vita. Quando ho iniziato a considerare seriamente se Dio mi stesse chiamando all'Opus Dei, mi sono reso conto che fin dall'inizio mi sono sentito a casa.

Per me è molto importante avere un rapporto costante con Dio nella mia vita quotidiana, perché è come un asse attorno al quale ruota la mia vita familiare e professionale. Mi accorgo subito quando mi allontano da quell'asse e so dove devo andare per tornare al mio posto.

Cosa significa avere una vocazione e non solo "fare cose buone"?

-Mi sembra che l'essenza della vocazione sia l'identità, non il merito. La domanda non è cosa fai, ma chi sei. Quando si risponde alla domanda su chi si è, si fa il bene in modo molto diverso. Diventa la vostra firma e non un dovere faticoso. Anche con i limiti, che cerchi di vedere in te stesso con gli occhi di Dio, con la misericordia di Dio e l'insegnamento paziente di Dio, per essere più in linea con la tua vera identità.

In che modo questa vocazione influenza il suo lavoro?

-Sono una psicoterapeuta e nel mio lavoro mi occupo quotidianamente delle difficoltà psicologiche, del dolore e della sofferenza delle persone. Una volta, durante una meditazione, un sacerdote ha sottolineato che dove c'è sofferenza, c'è sempre Cristo. Questo mi ha colpito e da allora, ogni giorno al lavoro, mi ricordo che quando ho a che fare con la sofferenza umana, sono molto vicino a Cristo, perché Lui è sempre lì. Questo mi stupisce e allo stesso tempo mi costringe a fare il mio lavoro al meglio delle mie possibilità.

Recito il Rosario mentre vado al lavoro e prego sempre un mistero per i clienti del giorno e le loro intenzioni. L'Opera mi ha aiutato molto a guarire dal perfezionismo, che era un grande ostacolo all'inizio della mia carriera.

Spesso vedevo le cose in bianco e nero, mi sentivo sopraffatto e cominciavo a rifiutare il lavoro in generale. Ma l'Opus Dei mi ha insegnato, con pazienza e costanza, a santificare il mio lavoro, a cercare di farlo nel miglior modo possibile, poco a poco. Questo mi aiuta molto.

Oggi la maggior parte dei membri dell'Opus Dei sono soprannumerari, ma è una vocazione ancora poco conosciuta. Come spiega la sua vocazione ai suoi amici?

-Sento di essere soprannumerario da troppo poco tempo per poter spiegare bene la mia vocazione. Ma poiché vivo in mezzo alla gente, ogni volta che si presenta questa domanda, posso imparare a rispondere meglio, e allo stesso tempo ripensare alla mia comprensione di essa. Di solito dico che si tratta di continuare a cercare Dio nella vita quotidiana, ovunque ci si trovi: nelle persone che ci circondano, nel lavoro che svolgiamo, a casa e nella vita professionale.

La vostra vita quotidiana si svolge nella vostra famiglia e nella vostra parrocchia. Collaborate alla comunità parrocchiale a cui appartenete?  

-La parrocchia a cui apparteniamo io e la mia famiglia è molto forte e molto viva. Nella scelta della casa, tra le altre cose pratiche, ci siamo preoccupati anche di avere una chiesa nelle vicinanze. Quando ci siamo trasferiti, abbiamo trovato una comunità così forte che non possiamo smettere di gioire e ringraziare Dio per questo. Quando possiamo, cerchiamo anche di contribuire alla vita della parrocchia aiutando le coppie di fidanzati a prepararsi al sacramento del matrimonio.

Come soprannumerario, cosa riceve dall'Opus Dei?

-Ricevo molte cose: formazione spirituale, formazione umana e amici. Ma apprezzo soprattutto l'unità nella preghiera.

Un mese fa, uno dei miei figli ha avuto un incidente e ha subito un trauma cranico, che è stato uno shock per tutta la nostra famiglia. Nonostante lo stress e le difficoltà, le preghiere di tutti ci hanno mantenuto fiduciosi e forti. Questo è davvero un legame speciale tra i fedeli dell'Opus Dei.

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Attualità

50° anniversario della visita di San Josemaría Escrivá a Cañete

In occasione della festa di San Josemaría Escrivá (26 giugno) e del 50° anniversario della visita del santo, la Prelatura di Yauyos e la società civile di Cañete hanno organizzato una serie di attività.

Jesus Colquepisco-26 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

La Prelatura di Yauyos (Perù), una giurisdizione ecclesiastica a sud di Lima con sede episcopale nella città costiera di San Vicente de Cañete, celebrerà il 50° anniversario della visita di San Josemaría Escrivá a Cañete il 13 luglio 1974.

In occasione della festa di San Josemaría Escrivá (26 giugno) e del 50° anniversario della visita del santo, la Prelatura di Yauyos e la società civile di Cañete hanno organizzato una serie di attività.

Il volto della statua di San Josemaría

Come di consueto, nella Chiesa Cattedrale di San Vicente de Cañete si terrà una Novena, offerta da istituzioni e famiglie, e una Messa solenne il 26, presieduta da Monsignor Ricardo García, Vescovo Prelato di Yauyos. Inoltre, dal 26 al 13 luglio si terrà una mostra fotografica su "San Josemaría e Cañete" nella Plaza de Armas di San Vicente.

Il 13 luglio 2024, nel 50° anniversario della visita, un'immagine a figura intera di San Josemaría sarà installata nella Plaza de Armas per il ricordo e la devozione di tutti gli abitanti di Cañete.

L'opera d'arte, realizzata dall'artista Fredy Luque, è un pezzo a grandezza naturale, rivestito in bronzo, che sarà trasportato dalla città meridionale di Arequipa e sarà collocato di fronte alla Chiesa Cattedrale. La scultura, offerta dal vescovato, da istituzioni e da privati cittadini, è un riconoscimento della società di Cañete al santo sacerdote che aveva Yauyos e Cañete nel cuore.

San Josemaría Escrivá e Cañete

Il santo sacerdote spagnolo ebbe un rapporto speciale con la Prelatura di Yauyos fin dai suoi inizi, poiché fu Papa Pio XII che nel 1957 creò la Prelatura e chiese al fondatore dell'Opus Dei che la sua istituzione si facesse carico di una delle nuove giurisdizioni ecclesiastiche che stavano nascendo in Perù. Monsignor Escrivá ricevette la Prelatura che gli altri non volevano, la Prelatura di Yauyos.

Yauyos è una città incastonata nelle Ande a 2874 metri sul livello del mare ed è stata la prima sede prelatizia; anche la provincia andina di Huarochirí faceva parte della Prelatura.

Il 2 ottobre 1957 entrò in carica Il vescovo Ignacio María de OrbegozoEscrivá de Balaguer, insieme ad altri cinque sacerdoti spagnoli, membri della Società Sacerdotale della Santa Croce. In seguito, nel 1962, fu annessa anche la provincia di Cañete.

Nel luglio del 1974, monsignor Josemaría Escrivá si trovava in Perù e il 13 visitò Cañete, dove ebbe un incontro indimenticabile con molti parrocchiani della Provincia di Cañete, che il santo "battezzò" all'epoca con il soprannome di "Valle Bendito de Cañete", per via della sua terra fertile e dell'ampia costa in cui si svolgeva una redditizia attività di pesca; un'espressione che è ancora oggi popolare per indicare la provincia di Cañete.

San Josemaría visse molto da vicino l'opera di evangelizzazione nella Prelatura di Yauyos, manifestando nelle sue lettere e attraverso la preghiera la sua vicinanza ai primi sacerdoti e al Prelato di Yauyos, oltre a incoraggiarli a formare famiglie e a cercare vocazioni native.

Nel 1964 ha iniziato il Seminario Minore, i cui primi studenti sono stati gli accoliti delle parrocchie, e nel 1971 il Seminario Maggiore "San José", con le prime vocazioni autoctone.

Madre dell'amore giusto
Madre dell'Amore Giusto donata da San Josemaría

San Josemaría era molto affezionato agli abitanti di Cañete e, a riprova di ciò, nel 1964 regalò l'immagine di "Santa Maria, Madre del Buon Amore", che si trova nel suo Santuario a San Vicente.

Allo stesso modo, San Josemaría era molto interessato allo sviluppo umano, economico, sociale e culturale della Prelatura di Yauyos, che si è concretizzato attraverso due progetti a San Vicente de Cañete, gli istituti "Valle Grande" e "Condoray", gestiti fin dall'inizio da laici professionisti dell'Opus Dei. Oggi questi due istituti sono punti di riferimento a Cañete.

San Josemaría continua a intercedere dal cielo per i suoi numerosi fedeli devoti nella Prelatura di Yauyos, alcuni dei quali hanno ancora il ricordo vivo di quella visita del 13 luglio 1974.

L'autoreJesus Colquepisco

Vangelo

La vera forza della Chiesa. Santi Pietro e Paolo (B)

Joseph Evans commenta le letture proprie della Solennità dei Santi Pietro e Paolo

Giuseppe Evans-26 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

I santi Pietro e Paolo sono particolarmente uniti dal loro martirio a Roma. Entrambi hanno dato la vita per Cristo in questa città e la Chiesa di Roma è considerata fondata sul loro sangue. "O Roma felix, quae tantorum principum es purpurata pretioso sanguine", canta un inno liturgico: "O Roma felice, arrossata dal sangue prezioso di così grandi condottieri".

La Chiesa celebra oggi la morte di questi grandi apostoli; in termini umani, il loro fallimento. Infatti, le prime due letture della Messa di oggi si concentrano sulla debolezza degli apostoli piuttosto che sulla loro forza. 

La prima lettura mostra Pietro imprigionato, trattenuto dal re Erode con l'intenzione di decapitarlo. Ma nella sua prigionia e nelle sue catene, espressione della sua debolezza, Dio agisce per salvarlo, inviando un angelo per condurlo fuori dalla prigionia passando oltre, ci viene detto, "Due posti di guardia uno dopo l'altro".

Poi lo riporta in città, lasciandolo libero di trovare la strada per una comunità cristiana, la casa di Maria, madre di San Marco, dove tutti avevano pregato per lui. 

Tuttavia, qualche decennio dopo, Nerone avrebbe fatto ciò che Erode non era riuscito a fare: non solo avrebbe decapitato l'apostolo, ma lo avrebbe crocifisso.

Colpisce lo sforzo con cui i Vangeli sembrano mostrare la debolezza di San Pietro: come potrebbero essere dei falsi se mostrano deliberatamente il primo Papa in una luce così scarsa? Un uomo che spesso sbaglia, che ha una grande intuizione di Cristo, ma che poi viene chiamato da lui "Satana", e che rinnega il Signore per tre volte nel momento in cui Cristo ha bisogno di lui. Questo è il Papa. E anche dopo la risurrezione avrà ancora bisogno della correzione pubblica di San Paolo (cfr. Gal 2,11-14).

La seconda lettura mostra San Paolo nella sua debolezza: "Perché sto per essere versato in libagione e il tempo della mia partenza è imminente".. Non è più l'apostolo dinamico ed energico, ma un vecchio in catene in attesa della morte. Sia in Pietro che in Paolo vediamo la debolezza trasformarsi in forza. 

Aveva ragione San Paolo quando scriveva: "Perché quando sono debole, allora sono forte" (2 Cor 12, 10). 

La "forza" della Chiesa non si basa sul potere umano. Piuttosto, è forte quando i suoi membri si rendono conto della loro debolezza e lasciano che Dio agisca attraverso di loro. Come ci insegna il Vangelo di oggi, Pietro aveva ragione sullo status divino di Cristo non grazie alla "carne e al sangue", cioè non grazie ai suoi poteri di osservazione, ma perché il Padre celeste glielo aveva rivelato. 

La festa dei Santi Pietro e Paolo ci insegna dove trovare la forza: non in noi stessi o nelle strutture visibili, ma in Dio, che agisce attraverso i deboli quando sono umili.

Cultura

Marcela Duque: "La poesia è un modo di essere attenti".

Marcela Duque si è fatta conoscere nel 2018 con Bello è il rischiouna raccolta di poesie che gli è valsa il prestigioso Premio Adonáis, con la quale si è distinto come una delle giovani voci più emotivamente intense della lingua spagnola. Sei anni dopo pubblica la sua seconda opera, Un enigma davanti agli occhiche ne ribadisce la qualità letteraria.  

Carmelo Guillén-25 giugno 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

Come ha scritto Arnord Bennett a proposito di William Butler Yeats: ".È uno dei grandi poeti della nostra epoca perché una mezza dozzina di lettori sa che lo è".. Da questa stirpe proviene Marcela Duque, una donna a cui non è stato negato il dono della poesia.

A differenza del nostro più famoso autore spagnolo, Cervantes, per questa colombiana la creazione poetica è una grazia concessa dal cielo, come dimostrano le due raccolte di poesie che ha pubblicato finora: Bello è il rischio e Un enigma davanti agli occhi, entrambi basati sui libri.

La prima, risolta come un omaggio a Socrate, il maestro dell'esistenza, i cui ultimi giorni si riflettono nel dialogo platonico Fedonein cui la poetessa è ispirata a dare il titolo al suo libro e a cantare la gioia e l'incoraggiamento di sapere di essere viva; il secondo, motivato dalla Confessioni di Sant'Agostino, un meritato omaggio allo scrittore e teologo africano, al quale attinge per riferirsi a specifici episodi autobiografici.

Imparare ad amare

Nella sua breve carriera poetica, Marcela Duque è molto chiara su ciò che la spinge sia verso la filosofia che verso la poesia: "In entrambe le attività, per strade diverse, non voglio altro che affinare lo sguardo e accogliere la gioia e la bellezza - che non sono estranee al dolore - della vita ordinaria e degli incontri con le circostanze e le persone. La poesia è un modo di essere attenti, di saper guardare e, in questa misura, di imparare ad amare: Ubi amor, ibi oculus", Scriveva secoli fa un filosofo e mistico medievale: "Dove c'è amore, c'è visione". Non è solo l'espressione di un fatto vero, ma un programma di vita: imparare a guardare e imparare ad amare, con la poesia come radiosa compagna di viaggio"..

Come risultato di questo modo di intendere la creazione letteraria, il lettore nota che la sua opera lirica è folgorante, a volte con radici culturali e classiche, legate a letture filosofiche e ad alcuni poeti contemporanei per i quali sente una certa predilezione, ma, soprattutto, di grande forza intima, che le conferisce quell'aria fresca, con un tratto chiaro e ampio, molto incline alla musica. È segnata da una ricerca di senso, per questo è piena di inquietudine, desiderio di bellezza, lirismo e, come lei stessa esprime, attenzione alla realtà, sia esteriore che interiore.

Bello è il rischio

La giuria del 72° Premio Adonáis gli ha assegnato all'unanimità il premio per la sua prima raccolta di poesie, Bello è il rischio, "per l'apparente facilità di trasformare una solida formazione filosofica classica in una poesia emozionante e fresca, grazie a un costante istinto per il linguaggio e a un orecchio poetico infallibile".Ciò rende evidente che la sua è una poesia in cui tradizione e voce personale si fondono, dando luogo, nella prima delle tre sezioni del libro, a varie considerazioni sullo stupore e il godimento della natura, segnata dal passare del tempo, e ai rapporti, pieni di gratitudine, con nonne, genitori e maestri; nella seconda, come anello di congiunzione tra le altre due sezioni, a Dio, datore di senso all'esistenza e alla creazione; e nella terza, a moti o desideri dell'anima, come la scoperta dell'amore, della poesia, o la gioia di poter ricordare il paradiso dell'infanzia. In questo intreccio tematico, la poetessa è consapevole che la sua attività poetica è un "nel frattempo"È anche una ricerca, cioè un modo di affrontare l'esistenza fino a quando non avviene l'agognato e cruciale passaggio alla patria finale, qualunque essa sia.

La tua poesia E anche la poesia (poetica) esprime egregiamente questo ragionamento, molto nell'orbita del mito allegorico della caverna di Platone, dove si percepisce l'intreccio tra il mondo sensibile, colto attraverso i sensi, e quello delle idee, sperimentato attraverso la conoscenza, la realtà e il senso della vita: "...il mondo delle idee, sperimentato attraverso la conoscenza, la realtà e il senso della vita: "...il mondo delle idee, sperimentato attraverso la conoscenza, la realtà e il senso della vita: "...il mondo delle idee e il mondo delle idee...".E mi ritrovo in una terra sconosciuta, di nuovo, / Nessun posto è casa, è sempre una ricerca, / Non so cosa sia casa, ma non è questa, / Ma so che è vero perché mi manca, / E che non è ancora qui, perché fa ancora male, / Voglio tornare a casa un giorno, / Ecco perché - nel frattempo - la poesia". 

Un enigma davanti agli occhi 

Come ho notato in precedenza, la sua seconda raccolta di poesie ha il Confessioni di Sant'Agostino come sfondo. In effetti, Marcela Duque ha dichiarato in un'intervista: "Agostino è una sorta di primo amore e di maestro. Anche il mio approccio a Platone è molto agostiniano, e la mia 'casa' nella storia della filosofia è la tradizione agostiniana del cuore inquieto: Platone, Pascal, Kierkegaard, Simone Weil".. Detto questo, è facile scoprire spesso un dialogo vivace tra il poeta e il santo. Paragrafi agostiniani come quello ben noto: "Tardi ti ho amato, bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco, tu eri dentro di me, e io ero fuori, e fuori ti cercavo, e su quelle bellezze che tu hai creato, mi sono gettato deforme". (cfr. Confessioni10, 27, 38) sono facilmente visibili nell'autore colombiano attraverso questi endecasillabi bianchi: "...".Ti ho cercato fuori e ti ho perso, / non ti ho trovato né ho trovato me, / vuoto di bellezza mi sono gettato / in ogni altra bellezza, solo un'eco / di quella bellezza antica e sempre nuova / che ha conquistato tutti i miei sensi [...] E ti ho amato troppo tardi! Vieni, corriamo". (cfr. la poesia La mia gioia tardiva). 

Tuttavia, l'invio di Un enigma davanti agli occhi da questa piccola considerazione sarebbe come dire, ad esempio, che la Terreno di scarto di T. S. Eliot è un elenco disarticolato di citazioni di vari autori.

Nel caso della nostra poetessa, la ricchezza lirica e tensiva dei suoi componimenti, al di là di un'arguta approssimazione ai diversi episodi della vita che rivelano la Confessionisono il punto di partenza per dare libero sfogo a profonde riflessioni incentrate, in primo luogo, sulla conoscenza dell'Amore divino e, da questa prospettiva, su quella di se stessa e di ciò che la circonda. Da lì in poi, il volume è da scoprire come una raccolta di poesie scrutatrici e indagatrici, molto in linea con quelle in cui si utilizza la risorsa letteraria della distanziazione e in cui il punto di partenza è un personaggio poetico concreto su cui, questa volta, la poetessa, sedotta dalla scoperta e dall'incontro con Dio - tenendo conto, insisto, della vita di Sant'Agostino come fonte di ispirazione - riversa la propria esperienza. 

L'attenzione, la porta della meraviglia

Giovane autrice da non trascurare, la poesia di Marcela Duque ci invita a guardare alla trascendenza, al significato ultimo dell'essere umano. A tal fine, l'autrice ci ricorda che per raggiungere "all'intimo / dell'anima". (cfr. la poesia Il porto di Ostiain Un enigma davanti agli occhi), "L'attenzione è la porta della meraviglia". (cfr. la poesia Conversazione con il mistero, ibidem) e che questo, attenzione, contiene: "...".Una domanda / a cui la bellezza risponde". (cfr. la poesia Conversazione con il mistero, ibidem), rivelando così gradualmente che il suo lavoro poetico, ancora sulla linea di partenza e da cui ci si aspetta molto di più, costituisce un'affascinante avventura introspettiva di fronte all'eccitante rischio che comporta l'enigma della bellezza.

Chiunque si addentri nella sua poesia se ne accorgerà facilmente, apprezzando la sua abilità lirica, che si riflette nello sguardo di stupore che mostra in ogni suo componimento, così pieno di vivacità e abilità letteraria.

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Comunione e corresponsabilità

La comunione e il modo di viverla tra cristiani adulti, che è la corresponsabilità, richiede un costante atteggiamento di conversione personale e di formazione permanente per tutti.

24 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Il prossimo ottobre, la seconda fase del Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità. Il lavoro dovrebbe concentrarsi principalmente sulla corresponsabilità ecclesiale, che è differenziata nella Chiesa. 

Ciò significa insistere sulla responsabilità cristiana di ogni battezzato e sulla formazione permanente che deriva dal battesimo e dalla cresima. Il Sinodo La necessità di una tale corresponsabilità e formazione nella Chiesa di oggi deve essere motivata teologicamente in modo dettagliato. 

La corresponsabilità si basa sui principi dell'Antico e del Nuovo Testamento, sulla Tradizione, sul Magistero, in particolare sul Concilio Vaticano II e sul Magistero successivo. 

La Chiesa nasce dalla volontà di Cristo di evangelizzare. L'evangelizzazione è il compito fondamentale della Chiesa: "... la Chiesa è nata per evangelizzare.La Chiesa ha ricevuto dagli Apostoli il solenne comando di Cristo di proclamare la verità che ci salva e di portarla fino ai confini della terra." (LG, 17).

Ma l'evangelizzazione è impensabile senza la comunione ecclesiale. Una comunità divisa si sfalda da sola: "Ogni regno diviso contro se stesso viene distrutto, e ogni città o casa divisa contro se stessa non resterà in piedi." (Mt 12,25). 

La corresponsabilità è legata alla comunione; è il modo di vivere la comunione tra cristiani adulti. Comunione, corresponsabilità ed evangelizzazione sono quindi intimamente legate.

La comunione e il modo di viverla tra cristiani adulti, che è la corresponsabilità, richiede un costante atteggiamento di conversione personale e di formazione permanente per tutti (vescovi, sacerdoti, religiosi, laici), poiché tutti abbiamo difficoltà a condividere e ad esporre le nostre opinioni e il nostro modo di vedere le cose alle opinioni e al consenso degli altri.

Nel fondamento teologico e pastorale della corresponsabilità, vanno sottolineati questi due aspetti fondamentali. 

La corresponsabilità nell'evangelizzazione implica avere chiara in mente la struttura della Chiesa voluta da Cristo e trasmessa dalla Tradizione, dalla Sacra Scrittura e dal Magistero.

Non si tratta di trasformare la Chiesa in una democrazia alla maniera degli Stati moderni, dove il voto della maggioranza è quello che conta.

Cristo ha voluto per la sua Chiesa una struttura di comunione, di pari dignità dei battezzati, ma con pastori e fedeli: "...".Tutti i discepoli di Cristo sono stati incaricati di diffondere la fede secondo le loro possibilità. Ma... è proprio del sacerdote consumare l'edificazione del Corpo con il sacrificio dell'Eucaristia." (LG, 17).

Deve essere chiaro a tutti che una struttura del genere non può essere cambiata, ma questo non toglie nulla alla corresponsabilità. È un modo diverso, non democratico, di vivere una corresponsabilità autentica e sincera. 

La corresponsabilità richiede quindi l'apertura allo Spirito Santo, che guida la Chiesa e l'evangelizzazione, come risulta dagli Atti degli Apostoli.

Richiede un dialogo e un ascolto costanti, il rispetto e la considerazione di tutte le opinioni, anche quelle minoritarie, nella misura in cui non contraddicono le verità di fede e di morale contenute nella Sacra Scrittura ed esposte dal Magistero, distinguendone i diversi gradi di certezza e il loro costante aggiornamento e fedeltà.

La corresponsabilità richiede discernimento, essendo consapevoli a tutti i livelli ecclesiali che l'istanza ultima di discernimento nelle questioni che riguardano la Chiesa universale e la sua missione appartiene al Magistero autentico. 

Abbiamo già strutture di corresponsabilità. È urgente che, a tutti i livelli, funzionino e funzionino bene.

I vari consigli parrocchiali, presbiterali ed episcopali non possono essere semplici organismi che sono sulla carta ma che al momento della verità non funzionano come previsto. Abbiamo un intero compito davanti a noi.

Non possiamo dimenticare, anche se è più difficile, che la formazione dei fedeli laici deve cercare il loro coinvolgimento in tutti gli ambiti della società civile.

La Chiesa, nella sua struttura fondamentale, è una combinazione di fedeli laici e sacerdoti. Questa combinazione, per funzionare bene per la santificazione e l'evangelizzazione, richiede che ogni fedele sappia stare al suo posto, senza clericalizzare i laici e senza secolarizzare i sacerdoti.

L'autoreCelso Morga

Arcivescovo emerito della diocesi di Mérida Badajoz

Ecologia integrale

Anne Schaub: "Ogni embrione si attacca naturalmente alla madre che lo porta in grembo". 

"Un bambino non può mai essere oggetto di una transazione a pagamento per soddisfare i desideri degli adulti, anche se la tecnologia medica lo rende possibile".afferma la psicologa belga Anne Schaub. In questa intervista passa in rassegna alcune delle gravi conseguenze psicologiche ed emotive che la maternità surrogata infligge alle madri surrogate e, soprattutto, ai bambini i cui diritti vengono violati. 

Maria José Atienza-24 giugno 2024-Tempo di lettura: 12 minuti

Con oltre 25 anni di pratica, la psicologa belga Anne Schaub-Thomas ha accompagnato e curato centinaia di donne e coppie che non sono riuscite a realizzare il loro desiderio di avere un figlio naturalmente.

Per Schaub-Thomas, il dibattito sulla maternità surrogata ha completamente dimenticato il diritto del bambino "creato" e le chiavi psicologiche, affettive e fisiche che madre e figlio sviluppano nel periodo prenatale. 

Esiste un diritto alla maternità al di sopra di tutto? C'è davvero chi non può vivere senza "realizzarsi" come madre o padre?

-Nel caso di una donna, il suo corpo e il suo cuore sono naturalmente costituiti e preparati per il parto. La chiamata alla maternità è forte per una donna. Di fronte all'infertilità o alla sterilità (personale o coniugale), le donne sono spesso immerse in un sentimento di mancanza essenziale che può essere difficile da sopportare. Non riuscire a rendersene conto è qualcosa che va ascoltato, accompagnato, per poter raccogliere tutta la profondità dei sentimenti di dolore, frustrazione e sofferenza. Alla fine, e in assenza di una soluzione per ripristinare la fertilità naturale, è prezioso per la donna e la coppia trovare un aiuto per dare un senso alla situazione di sterilità, fino a poter passare, se possibile, ad altre modalità di donazione e di "maternità/genitorialità".

L'adozione rimane per la donna (e per la coppia) una forma di realizzazione genitoriale che non solo riempie la "culla del cuore", ma restituisce al bambino ciò che ha perso per le disgrazie della vita: una madre e un padre.

Il maternità surrogata Il bambino riempirà il vuoto a qualsiasi prezzo e a qualsiasi costo allo stesso modo? La possibilità di concepire il figlio desiderato, per sé, fuori di sé e senza di sé, lascia la donna psicologicamente indenne? Cosa significa per lei ricorrere a una madre surrogata?

Innanzitutto, la tecnica cambia profondamente il rapporto tra la donna e la maternità, perché il bambino non è più il risultato di un incontro intimo tra due esseri che si amano, ma il risultato di un atto medico-tecnico. È a dir poco rivelatore sentire uno dei primi medici che hanno praticato la fecondazione affermare che in vitro di chiamarsi "padre" di Amandine.

Nella fertilizzazione in vitro Per una donna, la maternità non consiste semplicemente nell'accogliere nel proprio corpo un embrione proveniente dall'esterno. L'intervento preventivo della tecnica si intromette e modifica intensamente il corpo della donna e lo spazio privato della coppia. L'azione tecnica induce nella donna una forte risonanza psichica che non si sperimenta nella maternità naturale. Una grande quantità di stress circonda la donna che finalmente "riesce" a soddisfare il suo bisogno di maternità.

Così, a essere modificato è soprattutto l'intero spazio intimo, relazionale, carnale e privato. Questo scompare a favore di un contesto medico "disaffezionato" (privo di affetto), in cui il materiale genetico - un essere umano in divenire, va ricordato - viene estratto e manipolato nelle mani asettiche di anonimi genetisti e tecnici di laboratorio. L'uso della tecnologia priva la donna (e la coppia) del calore del vissuto, dell'abbraccio intimo per concepire, nel segreto del loro legame, la carne della loro carne.

Passiamo poi ad esaminare estrinsecamente il processo: la selezione dei gameti di qualità, il terreno di coltura e la piastra di Petri, le provette di incubazione, l'embrione "ideale" da "scegliere" e la madre surrogata. Togliendo il vivente (gameti) dal corpo, il rapporto della donna con la maternità cambia profondamente. Non fraintendetemi: una donna che lascia l'attesa del "suo" bambino nelle mani di un'altra donna si priva di una parte di sé, e lo sa, lo sente in tutto il suo essere. Ma l'argomento rimane tabù e a volte, alla fine, si rivela nelle pratiche psicoterapeutiche.

La donna deve affrontare una serie di sentimenti di impotenza e umiliazione, di incapacità di concepire e partorire naturalmente, subendo trattamenti restrittivi ed eminentemente invasivi, rischiosi e dolorosi; sentimenti di colpa, paura di non amare più il figlio che tanto desidera ma che tanto la fa soffrire, ecc. Per non parlare del partner, che raramente esce indenne da una simile prova.

Cosa succede all'attaccamento durante il periodo gestazionale? Qual è il rapporto della madre incinta con il bambino?

-Una donna che porta in grembo un bambino che sa di dover consegnare a qualcun altro alla nascita è molto probabile che sviluppi meccanismi paragonabili a quelli che si riscontrano nelle situazioni di rifiuto della gravidanza.

La negazione della gravidanza toglie alla donna la consapevolezza di portare in grembo un nuovo essere da proteggere e amare. Se la madre surrogata è perfettamente consapevole di essere incinta, scegliere di portare in grembo il figlio di qualcun altro, e destinato a qualcun altro, la costringe a dividersi e a spogliarsi della parte più emotivamente e psichicamente intima del suo essere. 

Quale madre si unirà al bambino che non ha mai voluto per sé, che sa di portare in grembo con l'intenzione di separarsene alla nascita? A maggior ragione se si tratta di un bambino che non è geneticamente legato a lei.

Nel maternità surrogata la donna incinta porta nel suo grembo un contratto da rispettare piuttosto che un bambino da amare. La madre surrogata ha un "lavoro", con l'obbligo di rispettare il contratto che deve rispettare: quello di far nascere un bambino, integro e sano.

Rari sono i madri surrogate che decidono a tutti i costi di tenere il bambino che portano in grembo. Quando ciò accade, è sempre fonte di controversie legali e di tragico strazio umano. Oggi, una madre surrogata non può gestare un bambino per un'altra persona con i propri gameti, proprio per evitare questo tipo di inversione.

L'attaccamento, che è un processo biologico naturale, prende più facilmente il sopravvento su tutti i costrutti mentali e le risoluzioni intorno a un contratto a pagamento quando il bambino atteso è quello della donna che lo ha gettato, cioè quando è stato concepito dal suo ovulo. 

Le gravidanze organizzate dall'agenzia sono ordinate in modo da garantire il minor rischio di attaccamento madre-bambino, nonostante il fatto che il principale problema psicologico per lo sviluppo futuro del bambino sia proprio quello di favorire un attaccamento di qualità con la madre biologica. 

Si tratta infatti di una violenza estrema, da un lato nei confronti della donna, costretta a lavorare contro il suo naturale istinto materno, e dall'altro nei confronti del bambino, sottoposto fin dall'inizio della sua vita a condizioni emotive che sono l'antitesi dei suoi bisogni primordiali.

Quali sono le conseguenze psicologiche e fisiche di un bambino separato dalla madre alla nascita?

-L'essere umano è un essere relazionale. Il bisogno di connessione è una delle caratteristiche umane più antiche e profonde; è un'aspettativa ontologica e vitale di cui ogni essere umano è "geneticamente" dotato.

Come la falda acquifera comune alla nostra umanità, ogni embrione, ogni feto si attacca naturalmente alla madre che lo porta in grembo. Se l'attaccamento è un processo biologico fisiologicamente programmato, è importante considerare i nove mesi di gravidanza come molto di più della semplice crescita degli organi per rendere vitale un piccolo corpo. Gli inizi della vita relazionale ed emotiva sono già stabiliti durante il periodo prenatale e il contenuto emotivo dell'esperienza intrauterina e della nascita lascerà un'impronta duratura su ogni persona.

Il feto possiede una competenza sensibile e affettiva molto fine e altamente sviluppata. Naturalmente curioso di relazioni, capta gli impulsi relazionali, i desideri, i pensieri e lo stato psicologico della madre che lo porta in grembo. Il contesto e l'atmosfera della gravidanza sono tutt'altro che indifferenti per lui. La nascita, la prima esperienza di separazione del bambino dal corpo della madre che lo ha nutrito, avvolto e amato per nove mesi, è la prima prova naturale della vita che proietta il bambino in un nuovo ambiente.

Il bambino compie questo percorso dall'interno all'esterno del corpo della madre, quindi è meglio che sia tenuto vicino a lei. È importante che il neonato trovi alla nascita i marcatori sensoriali con cui la sua memoria è completamente impregnata e che lo legano a colei che rappresenta la vita per lui: la voce della madre, l'odore, il tatto, il sapore del latte materno, ecc.

Numerose dimostrazioni delle neuroscienze evidenziano l'importanza biopsicologica del periodo prenatale per il bambino. Queste prime fasi della vita rappresentano il terreno di base in cui vengono seminate le prime esperienze sensoriali, relazionali ed emotive inconsce, con connotazioni di unità, tenerezza, gioia e serenità, oppure di distanza e distacco, di tenace ambivalenza o confusione emotiva.

L'estremo stress generato nel neonato in caso di separazione materna lascia un'impronta duratura legata all'ansia da separazione. Il bisogno del bambino di continuità e stabilità del legame con la madre biologica ne risente profondamente. 

Infatti, qualsiasi situazione che imponga al neonato, anche involontariamente, la separazione dalla madre che lo ha portato in grembo per nove mesi, provoca, a seconda del contesto e in misura diversa, una ferita di abbandono che può arrivare fino all'angoscia di morte. 

È vero che il bambino sente di esistere grazie alla presenza in qualità e quantità della madre, che conosce con tutti i suoi sensi e alla quale è attaccato da diversi mesi.

Diciamo che l'embrione si innesta nel corpo e nel cuore della madre che lo porta in grembo, in una maglia relazionale molto intima. Questo periodo nel grembo materno è fondamentale per il bambino, avrà un'influenza duratura sulla sua vita. A volte senza che ce ne rendiamo conto.

Così, l'organizzazione di una maternità, di una parentela scissa dal concepimento fino a dopo la nascita, carica il bambino di un bagaglio psico-affettivo segnato da rotture, perdite e confusione affettiva, e lo fa precipitare in una situazione di filiazione offuscata.

Se una donna, una madre, per qualsiasi motivo, può decidere di non legarsi al bambino che aspetta, il bambino non può farlo. Il processo che crea questo legame di attaccamento tra il bambino e la madre è un "riflesso" di sopravvivenza programmato. È un meccanismo biofisiologico e psicologico che non può essere ignorato. 

Nessun contratto tra genitori intenzionali e madre surrogata, nessun pensiero adulto, anche se desidera con tutto il cuore il bambino atteso, ma a distanza, ha il potere di diminuire o cancellare, da un lato, questa esperienza umana di attaccamento gestazionale, fondamentale per il futuro del bambino e che si intreccia con grande sottigliezza nel feto per nove mesi, e, dall'altro, l'esperienza angosciante dell'allontanamento del bambino dalla sua madre biologica.

Pertanto, il processo procreativo della FGC espone il giovane bambino a danni fisici e psicologici de facto. I rischi medici fisici sono associati alla fecondazione. in vitrobasso peso alla nascita e prematurità. Più in profondità, il bambino è esposto a una memoria somato-psichica di dissociazione imposta tra la dimensione genetica, corporea ed educativa. 

Per la maggior parte degli psicologi e psichiatri infantili, si tratta infatti di un contesto d'origine suscettibile di provocare nel bambino disturbi sensoriali e intrapsichici, con il rischio di alterare la sua futura vita emotiva e il suo ancoraggio identitario.

La ferita più profonda che il bambino surrogato dovrà senza dubbio risolvere - e che non esiste nel bambino adottato - è la consapevolezza, un giorno, che sono i suoi genitori ad aver creato la situazione di dissociazione e rottura con la madre naturale. 

È probabile che questo conflitto intrapsichico rimanga nel bambino per tutta la vita, con interrogativi identitari ed esistenziali schiaccianti. Tanto più che la società nel suo complesso avrà permesso che ciò accadesse, avrà sostenuto ed evitato di riconoscere a livello statale i vari rischi e le sofferenze che la GPA comporta per il più vulnerabile: il bambino.

Nel dibattito sulla maternità surrogata è urgente riportare il bambino al centro del dibattito. Per sua stessa natura, ogni embrione, feto e neonato è vulnerabile. Io lo chiamo "il bambino senza voce". Facciamo uscire il bambino dall'ombra, per denunciare le potenziali cicatrici che, nella maternità surrogata gestazionale, gli vengono imposte all'inizio della sua vita.

Infatti, "fabbricare" un figlio per qualcun altro significa correre il rischio di generare ogni tipo di sofferenza, come conflitti emotivi, patologia relazionale, vari disturbi somatici e cognitivi, nonché sequele sociali.

In generale, il rischio di un rapporto inquieto, persino tormentato, con la vita per chi si troverà di fronte a domande sulla parentela, senza risposte possibili.

Come gestirà il bambino il suo diritto di conoscere la propria ascendenza?

-In realtà, non lo so. Come psicologa, trovo che ogni essere umano abbia bisogno di sentirsi parte di una storia familiare, che non si limita alla cerchia dei parenti più stretti. I familiari stretti e allargati, così come gli antenati ancora in vita o scomparsi, rappresentano spesso importanti punti di riferimento per tutti.

La famiglia biologica "vive" in un certo modo dentro di noi e ci permette di forgiare un'identità, di basarci, consciamente o inconsciamente, sulle somiglianze o, al contrario, sulle differenze sentite o osservate.

Ogni essere umano ha il bisogno vitale di sentirsi legato a una famiglia, a una doppia genealogia, materna e paterna. Sapere da dove veniamo ci permette, in generale, di sapere/capire/scegliere meglio dove andare.

L'assenza e l'anonimato di tutti coloro che compongono la famiglia e che ci hanno preceduto nella doppia linea materna e paterna, e che costituiscono il terreno delle nostre radici identitarie, può diventare problematica per lo sviluppo dell'identità di alcuni bambini, fino a diventare fonte di una serie di comportamenti negativi.

Le ferite psicologiche causate da separazioni imprevedibili alla nascita o provocate dalle miserie e dalle disgrazie della vita sono situazioni di sofferenza oggi ben note.

Lavorare sulla prevenzione per evitare e poi affrontare queste situazioni di vita che hanno causato varie perdite e sradicamenti umani nella prima infanzia è un'opera di umanità che ogni Stato ha il dovere di attuare e sostenere nel proprio Paese. 

Al contrario, qualsiasi Stato che permetta a ricchi e influenti promotori del mercato della riproduzione umana di lavorare instancabilmente per promuovere e legalizzare la vendita di bambini attraverso la maternità surrogata è complice della violenza medica, psicologica ed economica inflitta a donne e bambini.

È urgente sancire nel diritto internazionale la divieto dell'AAPI diritti dei bambini non devono essere lasciati ai bambini cresciuti per proteggere le generazioni future da un male disastroso che attualmente colpisce il settore riproduttivo. Non si deve lasciare ai bambini cresciuti il compito di garantire il rispetto dei loro diritti. 

I bisogni profondi che la vita a volte ci impone, le perdite dolorose subite e i dispiaceri, per quanto grandi, degli adulti non devono mai essere presi a pretesto per "usare" la vita di un bambino come oggetto di consolazione e riparazione. La vita di un bambino si riceve. Non viene presa o fabbricata artificialmente per soddisfare le esigenze degli adulti.

La vita di un bambino è fondamentalmente un dono. Un bambino non può mai essere oggetto di una transazione a pagamento per soddisfare i desideri degli adulti, anche se la tecnologia medica li rende possibili.

La realizzazione dei progetti, dei desideri e delle fantasie degli adulti avviene ormai senza linee guida morali e confini etici. Anche il buon senso umano è uscito dalla scena individuale e collettiva.

Il bambino, un piccolo essere vulnerabile, malleabile a piacimento e senza voce propria, sembra essere diventato una facile preda a disposizione di tutti i desideri dei genitori.

Uno degli argomenti spesso utilizzati è che questi bambini "saranno più amati". Pensate che questo cosiddetto "amore massimo" possa essere considerato un argomento a favore di questa pratica?

-Questo è l'argomento "standard" che nessuno sembra in grado di confutare. Parliamoci chiaro: ogni singolo, ogni coppia, sia eterosessuale che omosessuale, è in grado di amare al massimo un bambino e di crescerlo con cuore, pedagogia e intelligenza.

Il bambino nato da una GPA che finisce tra le braccia dei genitori beneficerà il più delle volte di un legame affettivo di qualità, a immagine e somiglianza della forza del desiderio che ne ha permesso la nascita.

Ma che dire della nicchia affettiva di cui ogni bambino ha bisogno durante la vita nel grembo materno e che è alla base della sua sicurezza di base, della sua futura vita emotiva e della sua fiducia negli altri, nella vita?

Cosa succede a questo "vuoto" di attaccamento amorevole madre-bambino che si costruisce nei nove mesi di vita prenatale e che deve essere prolungato in modo duraturo oltre la nascita? Cosa succede alla ferita della separazione, al trauma dell'abbandono che provano i bambini che vengono separati dalle loro madri biologiche? 

È possibile creare intenzionalmente situazioni di rottura filiale e di perdita umana all'inizio della vita di un bambino, offuscare deliberatamente i legami di filiazione e creare così rischi programmati di sofferenza di ogni tipo?

Chi può credere che la progettazione di tali situazioni di coming-of-age rimanga "neutra", senza creare aree di vulnerabilità nell'equilibrio psicologico, somatico e spirituale di questi piccoli? I ricercatori e gli specialisti della prima infanzia che, da più di un secolo, esaminano l'estrema sensibilità del mondo infantile non sono sufficientemente espliciti e convincenti sui bisogni fondamentali degli esseri umani che, se soddisfatti, permettono loro di sentirsi autenticamente amati e offrono loro migliori possibilità di realizzazione nella vita?

I media ci accecano con storie sdolcinate di amore, sorrisi e risate di bambini nati da maternità surrogata. 

In psicologia sappiamo che l'infanzia è l'età dell'adattamento. Per sopravvivere e, soprattutto, per vivere, il bambino, a prescindere dalle possibili disgrazie della vita, dalle difficoltà o dalle particolarità che possono averlo colpito fin dalla nascita, mostra generalmente una straordinaria forza di adattamento e di resilienza, soprattutto se è amato. Tuttavia, se le acque dell'inconscio tacciono durante l'adattamento infantile, possono diventare tsunami psichici nell'età del risveglio.

Una situazione di perdita o di lutto, l'adolescenza, il matrimonio, la prima esperienza sessuale, l'attesa di un bambino, un cambiamento di vita importante... tutte queste situazioni possono vedere emergere, come un geyser contenuto per troppo tempo, ferite molto precoci che sono rimaste represse e inconsce, negate o non visitate. Gli scompensi psichiatrici sono piuttosto rari durante l'infanzia. Sono invece più frequenti nell'adolescenza e nella prima età adulta.

Le situazioni complicate e complesse create dalla tecnica della procreazione preannunciano un vero e proprio caos emotivo e stati psicologici frammentati nella vita di alcuni di questi bambini, anche se sono amati. La società nel suo complesso ne soffrirà.

Sebbene i costumi e la cultura cambino, i bisogni fondamentali dei bambini non sono cambiati da migliaia di anni. La loro situazione di estrema vulnerabilità richiede cure e protezione speciali fin dalle prime fasi di sviluppo delle loro cellule.

Siamo noi adulti che dobbiamo prenderci cura di loro e adattarci alle loro esigenze, non il contrario. Non è forse questo che significa amare veramente un bambino... anche se significa accettare di rinunciare ad averne uno a tutti i costi se la natura lo impedisce?

Vaticano

Papa Francesco: "Gesù 'addormentato' rafforza la fede degli Apostoli".

La preghiera dell'Angelus del 23 giugno è stata caratterizzata dall'insegnamento del passo evangelico in cui Gesù "dorme" nella barca di Pietro.

Maria José Atienza-23 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Papa Francesco ha presieduto il discorso prima di recitare l'Angelus in questa 12ª domenica del Tempo Ordinario. In una Roma nuvolosa e ventosa, dove l'estate si sta ancora un po' trattenendo, migliaia di persone hanno accompagnato Papa Francesco in questa giornata.

Facendo riferimento al brano evangelico di Marco, che fa parte delle letture di oggi e che mostra Gesù "addormentato nella barca" mentre gli Apostoli temono per la loro vita a causa di una tempesta.

Francesco ha spiegato che "sembra che Gesù voglia metterli alla prova. Tuttavia, non li lascia soli, rimane con loro nella barca, con calma, persino dormendo. E quando scoppia la tempesta, con la sua presenza li rassicura, li incoraggia, li incita ad avere più fede e li accompagna oltre il pericolo".

Possiamo chiederci, ha proseguito il Papa, il motivo del comportamento di Gesù e la risposta è chiara: "Rafforzare la fede dei discepoli e renderli più coraggiosi. Essi escono da questa esperienza più consapevoli della potenza di Gesù e della sua presenza in mezzo a loro". Un'esperienza che darà loro le basi per affrontare, per la causa di Cristo, "fino alla croce e al martirio".

Il pontefice ha sottolineato che "Gesù fa lo stesso con noi, in particolare nell'Eucaristia: ci riunisce attorno a sé, ci dona la sua Parola, ci nutre con il suo Corpo e il suo Sangue, e poi ci invita a prendere il largo, a trasmettere ciò che abbiamo ascoltato e a condividere con tutti ciò che abbiamo ricevuto, nella vita di tutti i giorni, anche quando è difficile".

La vita cristiana non è una vita facile o comoda, ma è una vita di fiducia in Cristo, ha spiegato il pontefice, che ha incoraggiato i fedeli a chiedersi "nei momenti di prova, posso ricordare i momenti della mia vita in cui ho sperimentato la presenza e l'aiuto del Signore?

Petizione per la pace e ricordo del suo confessore

Come ogni domenica, il ricordo e la preghiera del Papa sono stati rivolti alle nazioni e ai luoghi della terra dove imperversano conflitti e guerre. Francesco ha pregato per la pace in Ucraina, Palestina e Israele. "Preghiamo per la pace! Palestina, Gaza, Congo settentrionale... Preghiamo per la pace! E pace in Ucraina, che soffre tanto, che ci sia pace! Lo Spirito Santo illumini le menti di coloro che sono al potere, infonda loro saggezza e senso di responsabilità, affinché evitino qualsiasi azione o parola che alimenti lo scontro, e puntino invece con decisione a una soluzione pacifica dei conflitti", ha concluso il Papa.

Poco prima di congedarsi e di recitare l'Angelus, il Papa ha rivolto un commosso ricordo al suo confessore per molti anni, il francescano Manuel Blanco, morto pochi giorni fa. Prendendo esempio da questo sacerdote, il Papa ha ringraziato l'opera di "tanti fratelli francescani, confessori, predicatori, che hanno onorato e onorano la Chiesa di Roma".

Iniziative

Javier Sánchez-Cervera, organizzatore della "macroboda": "Queste persone non si sarebbero sposate se non avessimo fatto qualcosa di diverso".

Una ventina di coppie si daranno il Se voglioin modo sacramentale in un'originale macro matrimonio che si terrà il 29 agosto nella chiesa di San Sebastián de San Sebastián de los Reyes.

Maria José Atienza-23 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

La primavera e l'estate sono il periodo dei matrimoni. Dei preparativi, dell'acquisto di abiti, del pagamento di inviti, cartelli, partecipazioni personalizzate e appuntamenti dal parrucchiere..., ma è davvero questo il senso di un matrimonio? Sì... e no.

Non è un male che tutto questo faccia parte di un matrimonio, ma nella parrocchia di San Sebastián, nella città madrilena di San Sebastián de los Reyes, hanno deciso di andare alle basi e chiedere a molte delle persone che si sono recate in parrocchia i motivi per cui non si sono sposate... e dare loro una soluzione.

È così che è nato il macro-matrimonio. Una celebrazione in cui quasi venti coppie, con più di 5 anni di convivenza o matrimonio civile, contrarranno un matrimonio sacramentale e lo celebreranno nelle feste locali.

"Pazzesco, sì", dice il parroco Javier Sánchez-Cervera ma non dobbiamo avere paura di fare cose nuove, perché se non cambiamo molte delle nostre dinamiche, non ne verrà fuori nulla".

Come è nata l'idea di un macro-matrimonio?

-Il punto interessante è quella linea che ci ricorda tante volte la Papa Francesco di "Preferisco una Chiesa ammaccata, ferita e macchiata dall'uscire per le strade, piuttosto che una Chiesa ammalata dal confino e dalla comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze".

 Quando sono arrivato in parrocchia, quattro anni fa, la gente mi diceva: "Ops, qui non si sposa nessuno". Ed era vero, tra i genitori dei bambini che frequentavano i corsi di catechismo, quasi nessuno era sposato. Ma, di fronte a questa situazione, non possiamo stare fermi e non fare nulla. Dobbiamo macchiaBisogna fare qualcosa per far sì che coloro che "non si sposano" prendano almeno in considerazione l'idea di sposarsi! Ed è quello che abbiamo fatto.

Si rischia, perché si cambiano le abitudini, le maniere..., o si mette su una tela che potrebbe non essere la più bella (ride). Esci da te stesso e dalla tua routine. E si vede che le persone non si sposano perché, a volte, non sanno come reagire alle situazioni che si presentano.

Non siete un po' eccitati all'idea di fare questo "esperimento"?

-È strano che non sia stato fatto prima, ma a volte, anche all'interno della Chiesa, troviamo difficile uscire dai cliché.

Vediamo che i matrimoni stanno diventando un business sempre più grande e, poiché siamo in questa dinamica, molte persone non si sposano e noi non rispondiamo: cosa facciamo? Andiamo avanti sapendo che non possono fare la comunione?

Mi fa arrabbiare il fatto che, per paura di esporsi, di sbagliare, non corriamo rischi. Non so davvero come andrà a finire. macro matrimonioMa so che queste persone non si sarebbero sposate se non avessero fatto qualcosa di diverso.

Come sono arrivate le coppie in parrocchia?

-Quando abbiamo iniziato a pubblicizzarlo, non sapevamo cosa sarebbe successo. Abbiamo appeso uno striscione gigante sul campanile della parrocchia con lo slogan "Il sogno può diventare realtà, con un codice QR che rimandava al sito dove spiegavamo tutto e dove le coppie potevano iscriversi. Il risultato è stato che due coppie si sono iscritte.

Un'altra ne è stata informata da un funzionario del Comune perché l'ha sentita parlare mentre aspettava delle pratiche, un'altra ancora ne è stata informata al lavoro... e così via, fino ai 18 che hanno partecipato al corso prematrimoniale nel fine settimana del 16 giugno.

Avevano qualcosa in comune?

-Sognavano tutti di sposarsi. Questo è certo. Alcuni stavano ancora cercando un modo per realizzare il matrimonio, altri lo avevano escluso, soprattutto per la questione economica.

Tutte le coppie che si sposano hanno figli (dovevano vivere insieme da almeno cinque anni), alcune sono più anziane e molte provengono da Paesi dell'America Latina.

Ha appena concluso il corso pre-matrimoniale... Com'è stata l'esperienza?

Quando ci siamo riuniti per il corso prematrimoniale, è stato molto bello. Non era un "normale" corso prematrimoniale. Erano persone che volevano davvero sposarsi in Chiesa, con una disposizione molto attiva e bella.

Fin dal primo momento in cui una coppia si presentava in parrocchia per iscriversi al grande matrimonio, le veniva assegnato un tutor, fondamentale. Questo tutor aveva il compito di aiutarli a sbrigare le formalità, a conoscerli... e quando arrivavano al corso prematrimoniale, erano tutti collegati tra loro.

Tutti hanno convenuto di aver sentito una chiamata. È il Signore che mette questo "granello di senape" nei loro cuori e hanno sentito che Egli ha risposto loro quando hanno saputo dell'iniziativa.

Cosa farete il 29 agosto a questo macro-matrimonio?

-La data è stata scelta perché si trovava nel bel mezzo dei festeggiamenti della città. Abbiamo parlato con la sindaca che, non lo nego, era un po' sorpresa del giorno. Glielo abbiamo spiegato e l'idea le è piaciuta molto.

Così, dopo la celebrazione del sacramento, le coppie possono scendere alla fiera del villaggio e festeggiare lì: con un'orchestra, con giochi e balli...

Al mattino la sala parrocchiale si trasformerà in un grande salone di bellezza: truccatori, parrucchieri...

Molte persone partecipano per assicurarsi che questo giorno si svolga senza intoppi e che le coppie abbiano il matrimonio davanti a Dio che hanno sognato per tanto tempo.

Spagna

L'arcivescovo di Burgos decreta la scomunica per 10 suore di Belorado

10 suore di Belorado hanno firmato un burofax in cui non riconoscono l'autorità episcopale e in cui sottolineano il loro desiderio di lasciare la Chiesa.

Maria José Atienza-22 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

L'arcivescovado di Burgos, in Spagna, ha comunicato la firma del "Decreto di dichiarazione di scomunica e della Dichiarazione di dimissione (espulsione) ipso facto dalla vita consacrata a ciascuna delle dieci sorelle che sono incorse nello scisma". Si tratta di 10 delle 15 religiose che attualmente vivono nella Monastero di Santa Clara de Belorado.
Le cinque sorelle che non sono coinvolte in questo scisma sono le sorelle più anziane, che sono sempre state al di fuori del processo e che sono al centro delle preoccupazioni sia della Federazione delle Clarisse di Nostra Signora di Aránzazu, a cui appartiene il monastero di Belorado.
La nota pubblicata dal arcivescovado di Burgos, pubblicato dopo la riunione del comitato di gestione creato su indicazione della Santa Sede, afferma che "in considerazione di questa dichiarazione di "separazione volontaria" di ognuno di loro, ricevuta da burofax il 21 giugno 2024, che ratifica quanto avevano già dichiarato in precedenza in modo attendibile in vari modi, il 22 giugno l'Arcivescovo di Burgos, Commissario Pontificio e Rappresentante Legale dei Monasteri di Belorado, Orduña e Derio, ha comunicato il Decreto di dichiarazione di scomunica e la Dichiarazione di dimissioni (espulsione) ipso facto dalla vita consacrata a ciascuna delle dieci sorelle che sono incorse nello scisma".
Questo decreto non è "l'ultima parola" poiché, come sottolinea lo stesso documento, "la dichiarazione di scomunica è un'azione giuridica considerata dalla Chiesa come una misura medicinale, che incoraggia la riflessione e la conversione personale".
La nota ricorda anche che la comunità di Belorado non è estinta, poiché "esiste ancora una comunità monastica composta dalle sorelle che non sono incorse nella scomunica, in quanto non hanno appoggiato lo scisma: si tratta delle cinque sorelle più anziane e di altre tre sorelle che, pur non essendo al momento nel monastero, appartengono alla comunità in quanto incardinate in essa".
Da questo momento, i 10 firmatari del burofax sono incorsi nella scomunica e, quindi, nell'espulsione dalla vita religiosa e non possono più occupare il monastero di Belorado. Rimane anche la strada della causa civile intentata dalle Clarisse di Vitoria per recuperare la proprietà del monastero di Orduña. Una delle chiavi di questo pasticcio, con più domande che risposte.

Evangelizzazione

Linda Ghisoni: "La Chiesa è essa stessa sinodale e missionaria".

Linda Ghisoni, sottosegretario per i fedeli laici presso il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, sottolinea in questa intervista a Omnes il successo dell'incontro annuale con i moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità che si è svolto in Vaticano.

Federico Piana-22 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

"Un grande successo", così Linda Ghisoni, sottosegretario per i fedeli laici del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, sintetizza l'evento. riunione Il 13 giugno si è svolto in Vaticano l'incontro annuale con i moderatori delle associazioni di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità.

L'incontro di quest'anno, a cui hanno partecipato 200 persone provenienti da tutto il mondo, ha avuto come tema la sfida della sinodalità e della missione, in piena sintonia con il sinodo che la Chiesa universale sta vivendo in un clima di dialogo fraterno e di ascolto reciproco. Linda Ghisoni parla con Omnes dei temi discussi durante la giornata.

Alta partecipazione

"Siamo soddisfatti del successo di questo evento non solo per l'alta partecipazione, ma anche perché abbiamo potuto rispondere alle numerose richieste provenienti da più parti di organizzare altri incontri di questo tipo", afferma Ghisoni, secondo cui questa esigenza nasce dal fatto che ogni realtà ha una propria missione distinta, ma "ha anche molti punti in comune con le altre". E quindi condividere le sfide comuni che queste realtà devono affrontare può essere utile per camminare insieme e sostenersi a vicenda".

Esperienze sinodali

I lavori dell'incontro sono serviti a mettere in luce alcune esperienze sinodali, già in uso presso associazioni, movimenti e nuove comunità, che possono essere condivise con tutta la Chiesa universale. E non solo. È stato posto l'accento anche sulla condivisione della vita di fede nelle piccole realtà, sulla corresponsabilità dei laici e dei ministri ordinati nell'assunzione di ruoli di governo, sul coinvolgimento delle coppie di sposi e di giovani nell'evangelizzazione e nell'azione caritativa e sociale.
"Anche la relazione introduttiva del nostro prefetto, il cardinale Kevin Farrel, si è soffermata sulle dinamiche che dobbiamo seguire per essere veramente una Chiesa sinodale", ha aggiunto il sottosegretario del Dicastero. 

Condividere le buone pratiche

Nel pomeriggio della giornata di lavoro di questo incontro internazionale, si sono svolti gli interventi liberi dei moderatori: una fase molto dinamica in cui, rivela Ghisoni, "hanno condiviso le pratiche sinodali che queste aggregazioni di fedeli, composte per lo più da laici, vivono al loro interno e nelle loro attività. Vale a dire, tutti quegli aspetti della loro vita che vanno dai momenti di vita spirituale ai vari modi di vivere la missione, compresa la gestione del governo della loro realtà. Insomma, pratiche di sinodalità che devono essere sempre più condivise".

Rapporto tra sinodalità e missione

Il rapporto tra sinodalità, missione e associazioni di fedeli, movimenti ecclesiali e nuove comunità è insito nel DNA stesso della Chiesa. "Infatti", spiega il sottosegretario del Dicastero, "la Chiesa è di per sé il cammino insieme del popolo di Dio, e quindi è essa stessa sinodale e missionaria". Lo sottolinea anche il Papa quando dice che bisogna essere discepoli missionari e non discepoli e poi missionari. La sfida è proprio quella di capire che i movimenti sono chiamati a essere Chiesa e devono essere chiamati a essere realtà in cui la propria missionarietà è vissuta ad intra e ad extra con una prospettiva sinodale".

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Stati Uniti

"Ascoltare, insegnare e inviare", il quadro pastorale per la pastorale giovanile negli Stati Uniti

Il nuovo documento della Conferenza episcopale statunitense per la pastorale giovanile mira a rivitalizzare il ministero e a rinnovare l'accompagnamento intergenerazionale nelle famiglie.

Gonzalo Meza-22 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

I vescovi statunitensi hanno approvato un nuovo quadro pastorale per la pastorale giovanile durante la riunione della primavera 2024. Il documento, intitolato "Ascoltare, insegnare e vivere"(EEV), è una risposta al Sinodo sui giovani che si è svolto a Roma nel 2019 e alla sua esortazione apostolica post-sinodale "Christus Vivit" di Papa Francesco. EEV mira a rivitalizzare la pastorale degli adolescenti, dei giovani e dei giovani adulti, nonché a rinnovare l'accompagnamento intergenerazionale nelle famiglie.

Il testo prende come punto di riferimento la storia della strada per Emmaus (Lc, 24, 13-35) "Gesù ci ha dato un esempio di come accompagnare i giovani adulti nel loro cammino di vita. Come il Signore, per prima cosa ascoltiamo le storie, le gioie e le preoccupazioni di coloro che incontriamo lungo la strada. Poi rispondiamo con un insegnamento dinamico e infine creiamo le condizioni per inviare i giovani a seguire la chiamata di Dio nella loro vita, in modo che possano trasformare il mondo con l'amore", ha detto monsignor Robert Barron, vescovo di Winona-Rochester e presidente della Commissione per i Laici, Il matrimonioIl documento è stato preparato dal Programma Vita Familiare e Giovani dell'USCCB, l'organismo incaricato di redigerlo.

Oltre alla prefazione e all'introduzione, EEV contiene tre parti definite intorno a tre temi: ascoltare, insegnare e inviare. Nella prima sezione, il testo afferma che la Chiesa è chiamata ad ascoltare i giovani, a comprendere le loro storie e ad essere attenta ai loro bisogni. Il testo mette in guardia dai rischi che i giovani devono affrontare oggi, tra cui la secolarizzazione, le divisioni razziali e culturali, il divorzio, l'attacco alla famiglia tradizionale, così come "l'aumento della tecnologia mobile, la prevalenza dei social network (con il loro impatto sulla salute e sul benessere mentale), la diffusa cultura del relativismo e le crisi degli abusi sessuali nella società e nella Chiesa stessa".

Assenza di giovani

Uno dei punti di allarme sottolineati dai vescovi è l'assenza dei giovani dalla Chiesa e l'abbandono della fede, che ha implicazioni per le vocazioni: "Negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento statisticamente significativo del numero di persone che non si identificano più con alcuna tradizione religiosa o comunità di fede (spesso chiamati "nones"). Siamo anche rattristati dal fatto che sempre meno giovani adulti cercano il matrimonio nella Chiesa, il sacerdozio o la vita consacrata". Di fronte a questa realtà, i vescovi sottolineano l'importanza della famiglia e dei genitori nel contrastare questa tendenza. Essi, affermano i vescovi, sono i "primi catechisti dei loro figli" e sono quindi di importanza cruciale nel trasmettere la fede di generazione in generazione. In questo senso, l'EEV sottolinea l'importanza di evangelizzare prestando particolare attenzione al linguaggio e allo stile di comunicazione, in modo che le nuove generazioni possano comprenderlo.

Nel secondo capitolo, dedicato al tema dell'"insegnamento", l'EEV propone l'incontro o il re-incontro con Cristo attraverso i sacramenti, che dissipano le tenebre e accrescono la gioia, permettendo a Gesù di trasformare la loro vita attraverso la conversione del cuore: "apritevi alla conversione del cuore, alla via di Gesù, per diventare discepoli missionari, infuocati dalla fede, testimoniando Cristo, accompagnando gli altri e dando la vostra vita al Signore per gli altri", esortano i presuli. Tuttavia, i vescovi riconoscono che questo può essere difficile: "Gli insegnamenti di Cristo sono controculturali e trasformativi in quanto implicano la ricerca prima di tutto del Regno di Dio, l'amore per i nemici, la vita morale e il sacrificio per il bene degli altri (specialmente di coloro che sono emarginati e dimenticati).

I giovani come protagonisti

I giovani devono essere protagonisti nel compito dell'evangelizzazione, come afferma la sezione chiamata "invio": "La Chiesa deve inviare i giovani come testimoni evangelizzatori per promuovere la carità, la giustizia e metterli in grado di essere protagonisti nelle loro comunità". I vescovi nordamericani riconoscono che la pastorale giovanile non sarà sempre facile né potrà cambiare le cose da un giorno all'altro, ma "con il Signore al nostro fianco, attraverso la guida dello Spirito Santo e con l'intercessione della nostra Madre, siamo ansiosi di percorrere questo sacro cammino di accompagnamento pastorale".

Sebbene questo testo venga pubblicato nel quinto anniversario di "Christus vivit", non è la prima volta che i vescovi statunitensi si esprimono sulla pastorale giovanile. Tra i documenti precedenti che hanno affrontato il tema ci sono: "A Vision for Youth Ministry" (1976); "Empowered by the Spirit" (1985) sulla pastorale dei campus; "Sons and Daughters of the Light" (1996) sulla pastorale dei giovani adulti; e "Renewing the Vision" (1997). L'USCCB ha anche scritto una sezione dedicata alla pastorale giovanile ispanica nel testo "Missionary Disciples Moving Forward with Joy: A National Plan for Hispanic/Latino Ministry" (2023).

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Vaticano

I temi dell'ultimo Consiglio cardinalizio

Rapporti di Roma-21 giugno 2024-Tempo di lettura: < 1 minuto
rapporti di roma88

I nove cardinali che compongono il Pontificio Consiglio hanno dedicato l'ultima riunione a una serie di questioni.

Il primo giorno ha affrontato nuovamente il tema delle donne nella Chiesa con la presenza di tre donne.

Il secondo giorno, il cardinale O'Malley ha fornito un aggiornamento sul lavoro della Commissione per la protezione dei minori. Ha anche parlato delle preoccupanti prospettive internazionali, dato l'aumento dei conflitti in tutto il mondo.


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Zoom

Una chiesa bizantina in Terra Santa

Gli archeologi hanno trovato il sito di una chiesa di epoca bizantina nel Negev settentrionale. Un segno dei pellegrini cristiani che visitavano la Terra Santa 1.500 anni fa.

Maria José Atienza-21 giugno 2024-Tempo di lettura: < 1 minuto
Mondo

José María Gallardo: "La Chiesa è la prima ad aprire le porte quando c'è un'emergenza umanitaria".

Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN) ha pubblicato il suo rapporto di attività per l'anno 2023. In questa occasione, Omnes ha intervistato José María Gallardo, direttore di ACN Spagna, che ci ha parlato, tra l'altro, della situazione in Ucraina e in Africa, della generosità dei benefattori e dei progetti di ricostruzione delle chiese.

Loreto Rios-21 giugno 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

Aiuto alla Chiesa che Soffre ha reso pubbliche le sue Rapporto di attività 2023. L'anno scorso è stato segnato da donazioni record, soprattutto grazie alla generosità dei benefattori in seguito al terremoto in Siria.

In Omnes abbiamo intervistato José María GallardoIl direttore di ACN Spagna, che ha parlato degli aiuti all'Ucraina, all'Africa e del sostegno a ACN Spagna alla formazione dei laici, oltre ad altri temi interessanti.

Nell'ultimo anno si è registrato un numero record di donazioni ad ACN Spagna. Perché?

-Prima di tutto, questo record di donazioni è dovuto all'immensa generosità di tutti i nostri sostenitori, che hanno risposto alle campagne che abbiamo lanciato per tutto il 2023. Quest'anno le nostre entrate da donazioni sono aumentate rispetto all'anno precedente. Dai 13,5 milioni del 2022 siamo passati a 15,8 milioni.

Ciò è dovuto principalmente a questa grande generosità e ad alcune campagne, come quella della Terremoto in SiriaIl terremoto, che è stato terribile e ha devastato il luogo nel febbraio 2023, e dove migliaia di spagnoli hanno sentito la chiamata a sostenere la Chiesa locale affinché potesse aprire i suoi templi e aiutare tutte le persone colpite dal sisma. Sappiamo che la Chiesa è sempre la prima ad aprire le sue porte quando c'è un disastro naturale o un'emergenza umanitaria.

In secondo luogo, la nostra fondazione ha il privilegio di essere una delle istituzioni cattoliche in cui molte persone scelgono di fare un lascito dopo la loro morte. È questa combinazione di generosità che ci ha portato ad avere un numero record di donazioni nel 2023.

L'Ucraina è stato il Paese più assistito in questo periodo. Quali programmi di aiuto vengono attuati in quel Paese?

-Ucraina è uno dei Paesi che ACN sostiene maggiormente da molti anni. Sosteniamo sia la Chiesa cattolica di rito latino che quella di rito greco-cattolico, con contributi per oltre 15 milioni di euro e più di 600 progetti dal febbraio 2022.

È stato un Paese prioritario per noi e ci sono tre programmi principali su cui stiamo lavorando. Il primo è la gestione dei traumi, per aiutare tutte quelle persone che stanno vivendo una situazione difficile, formando sacerdoti e religiosi che si prendano cura delle persone che soffrono a causa della guerra, ma anche affinché i sacerdoti e i religiosi stessi possano gestire i traumi che stanno vivendo.

In secondo luogo, la sostenibilità e il sostentamento di sacerdoti, religiosi e seminaristi. Abbiamo avuto aiuti di emergenza per oltre 223 sacerdoti, per i Fratelli Albertini, che aiutano anche i senzatetto, o per le suore benedettine, ecc.

Non dimentichiamo che in una guerra, oltre agli sfollati, ci sono persone a rischio di esclusione sociale che si trovavano lì prima dell'insorgere del conflitto, e molte congregazioni cattoliche aiutano queste persone da prima che la guerra iniziasse. Quindi il programma di sostentamento sostiene non solo coloro che aiutano, ma anche i più svantaggiati.

Infine, la formazione dei seminaristi. Che ci crediate o no, la guerra non ha rallentato le vocazioni, e gli oltre 1.128 seminaristi di entrambi i riti sono sostenuti dalla nostra fondazione affinché possano mantenersi e continuare i loro studi nonostante la terribile situazione in cui vivono.

Come sta aiutando l'ACN in Africa, dove c'è una forte espansione dell'estremismo islamico?

-L'ACN sta aiutando fortemente a continuare a portare il Vangelo nelle zone più remote dell'Africa, affinché l'avanzata del fondamentalismo islamico possa essere combattuta con la Parola e non con le armi.

Un esempio è la Nigeria, dove abbiamo svolto la campagna lo scorso Natale e dove purtroppo abbiamo visto come ci siano diversi gruppi che esercitano una terribile pressione sui cristiani. In particolare, dalla Nigeria sono arrivati anche padre Fidelis e Janada, una vittima di Boko Haram che era con noi e che ha portato la sua testimonianza in molte diocesi della Spagna.

I principali gruppi violenti sono tre: In Nigeria, Boko Haram, lo Stato Islamico in Africa Occidentale, e lo Stato Islamico in Africa Occidentale. fulaniche sono pastori nomadi musulmani. A causa loro, a causa dell'imposizione della Sharia, la legge islamica, essere cristiani è già un rischio in circa dodici Stati.

Perché abbiamo sostenuto l'Africa, non solo la Nigeria, ma anche altri Paesi come la Tanzania o la Repubblica Democratica del Congo? Perché, affinché il Vangelo continui ad avanzare e a permeare la società, i sacerdoti devono essere sostenuti e protetti.

Questo è ciò che noi di ACN stiamo cercando di sostenere in Africa e in quei Paesi dove la pressione della persecuzione è maggiore.

Forse è meno noto, ma l'ACN sostiene anche la formazione dei laici...

-Sappiamo tutti che le vocazioni sono sempre meno in tutto il mondo, ma in alcuni dei Paesi in cui lavoriamo, dove c'è anche molta persecuzione, le vocazioni sacerdotali stanno fiorendo.

Ma noi, dal 2022 al 2023, abbiamo aumentato il nostro sostegno di circa 3 %, poco più di 17 milioni di euro, per la formazione dei laici. Perché anche il laico è una figura fondamentale per sostenere il sacerdote nell'evangelizzazione.

I catechisti sono un elemento essenziale in molte zone remote dell'Africa o dell'America Latina, ad esempio nell'area amazzonica. L'aumento dei progetti di sostegno ai laici è una realtà che abbiamo cercato di coprire anche in linea con il Santo Padre, che ci dice che i laici devono avere un ruolo maggiore nell'evangelizzazione all'interno della nostra Chiesa.

Come si svolge il processo di aiuto alla ricostruzione della chiesa?

-È dove c'è un disastro naturale o una guerra che gli elementi di costruzione o ricostruzione sono più necessari. Soprattutto nelle zone in cui poi c'è la pace: non si può iniziare a ricostruire in una zona di conflitto se la guerra è ancora in corso. Prendiamo ad esempio l'Ucraina orientale.

Ma dove c'è stato un livello di pace o dove c'è stato un disastro naturale, come in Siria con il terremoto dello scorso anno, abbiamo sostenuto la costruzione e la ricostruzione di chiese.

Sono stato in Ucraina per una decina di giorni poco prima di Pasqua e ho potuto vedere un importante progetto di ricostruzione della cattedrale di Ternopil. Abbiamo anche parlato con l'architetto, che ci ha mostrato i progetti dei grandi lavori di ricostruzione che stanno facendo, dove vogliono collocare le aule per la catechesi, per la Caritas, ecc. Questo è un esempio di come l'ACN investa i suoi fondi anche per sostenere strutture che servano a continuare ad annunciare la Parola di Dio ovunque ce ne sia bisogno.

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Vangelo

Guardare avanti con Dio. Natività di San Giovanni Battista

Joseph Evans commenta le letture della Natività di San Giovanni Battista

Giuseppe Evans-21 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

I nomi nella Bibbia hanno un grande significato. Spesso indicano la missione a cui quella persona è stata chiamata.

Così, a San Giuseppe viene detto di chiamare il figlio di Maria "Gesù", "perché salverà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,21). Il nome "Gesù" significa proprio "Yahweh salva". 

Ma, almeno ai tempi di Nostro Signore, era già consuetudine che un bambino prendesse il nome del padre. Il significato del nome era meno importante; ciò che contava era la continuazione della discendenza. 

Così, nel Vangelo di oggi, in occasione della festa di San Giovanni Battista, apprendiamo che quando giunse il momento di circoncidere il bambino, "Volevano chiamarlo Zaccaria, come suo padre"..

C'era un problema: l'angelo Gabriele aveva già detto a Zaccaria di chiamare il bambino Giovanni (Lc 1,13).

La differenza è significativa: Zaccaria significa "Dio si ricorda", Giovanni significa "Dio è misericordioso". Quindi il nome Zaccaria suggerisce di guardare indietro, di ricordare tutte le grandi azioni di Dio a favore di Israele. Questo di solito è positivo, ma non quando Dio introduce una novità radicale. 

Quando Dio fa questo, è il momento di guardare avanti, non indietro. Dio stava per essere misericordioso con l'umanità, per darci il proprio Figlio come Emmanuele, Dio con noi, Dio fatto uomo.

Dio stava per incarnarsi come Gesù Cristo "pieno di grazia e di verità"(Gv 1,14) e Giovanni doveva essere il grande profeta che preparava la sua venuta.

È evidente che a un certo punto Zaccaria aveva informato Elisabetta di questo nome, senza dubbio per iscritto, dato che non poteva parlare. Così lei ha coraggiosamente parlato per insistere: "No! Si chiamerà Juan".

Gli amici e la famiglia, che non si fidavano di lei perché era una donna, chiesero a Zaccaria una tavoletta sulla quale scrisse: "Giovanni è il suo nome". La sua lingua fu sciolta, parlò e lodò Dio. Infatti, la sua preghiera, nota come Benedictus - che sacerdoti, religiosi e altri pregano ogni mattina durante l'Ufficio divino - è una riflessione particolarmente bella, perché guarda indietro per guardare avanti. 

Zaccaria ricorda tutto ciò che Dio ha fatto per Israele, ma capisce, con quei mesi di raccoglimento concessi dal silenzio imposto, che Dio può davvero fare cose radicalmente nuove.

Prima ne aveva dubitato, chiedendosi come Dio potesse dare a lui e a sua moglie, entrambi ormai anziani, un figlio dopo tanti anni di assenza.

Dio era misericordioso e suo figlio Giovanni sarebbe "andato davanti al Signore per preparare le sue vie, dichiarando la salvezza al suo popolo".

Zaccaria ha appreso che Dio, in Gesù, avrebbe fatto qualcosa di veramente nuovo e pieno di grazia, tra cui, non dimentichiamolo, una comunità che valorizzava le donne e la loro opera di salvezza e poi, al suo apice, come prime testimoni della risurrezione, l'opera più piena di grazia di Dio.

Cultura

Scienziati cattolici: George John, autore del più bel trattato navale d'Europa

Jorge Juan y Santacilia è passato alla storia come uno dei modernizzatori della marina spagnola e il fondatore dell'Osservatorio astronomico reale di Madrid. Omnes propone questa serie di brevi biografie di scienziati cattolici grazie alla collaborazione della Società degli scienziati cattolici di Spagna.

Juan Meléndez Sánchez-21 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Jorge Juan y Santacilia (5 gennaio 1713 - 21 giugno 1773) fu un uomo di mare spagnolo che si distinse come scienziato, ingegnere navale e funzionario pubblico.

Rimase orfano all'età di tre anni e lo zio si occupò della sua educazione. All'età di 12 anni fu inviato a Malta, dove fu ammesso come paggio del Gran Maestro dell'Ordine. All'età di 16 anni fu ammesso come cavaliere a pieno titolo, il che implicava il voto perpetuo di celibato.

Tornato in Spagna, entrò nell'Accademia dei Guardiamarina di Cadice, dove dimostrò un grande talento per la matematica e partecipò ad azioni militari, come la presa di Orano. Appena diplomato, fu scelto insieme a un altro giovane marinaio, Antonio de Ulloa, come membro della spedizione geodetica con cui l'Accademia delle Scienze di Parigi voleva determinare la forma della Terra.

Si trattava di decidere tra le due teorie rivali della gravitazione proposte da Cartesio e Newton. La prima attribuiva la gravità all'effetto di vortici di materia sottile che riempivano lo spazio e prevedeva una Terra allungata dai poli, mentre la seconda la spiegava come un'azione a distanza che agisce attraverso il vuoto e sosteneva che la Terra sarebbe stata dilatata dall'equatore e appiattita dai poli.

La spedizione durò quasi dieci anni e confermò definitivamente la teoria di Newton. George John ne scrisse in un libro, Osservazioni astronomiche e fisiche nei regni del Perù, che lo portò alla nomina a membro dell'Accademia delle Scienze di Parigi.

Per il resto della sua vita Jorge Juan lavorò instancabilmente al servizio della corona spagnola: introdusse nuove tecniche di costruzione navale, modernizzò cantieri, miniere e arsenali, riformò l'insegnamento dell'Accademia dei guardiamarina, fondò il Reale Osservatorio Astronomico di Madrid.

Infine, in tarda età, scrisse il miglior trattato di costruzione navale e di navigazione dell'epoca: la Esame marittimo, che fu studiato in tutta Europa, e per la prima volta applicò la fisica newtoniana e il calcolo differenziale e integrale alla progettazione navale.

L'autoreJuan Meléndez Sánchez

Professore ordinario, Universidad Carlos III de Madrid. Società degli scienziati cattolici di Spagna

Spagna

Siria e Ucraina, i paesi più assistiti dall'ACN nel 2023

Nell'anno 2023, la Fondazione Pontificia è stata in grado di distribuire 143,7 milioni di euro da più di 350.000 benefattori in tutto il mondo.

Maria José Atienza-20 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Il direttore di ACN Spagna, José María Gallardo e Carmen Conde, responsabile delle Finanze e dei lasciti, hanno presentato a Madrid i dati relativi all'ultimo anno finanziario di Aiuto alla Chiesa che Soffre nel mondo.

José María Gallardo ha dato il via alla presentazione del progetto Rapporto di attività di Aiuto alla Chiesa che Soffre 2023 ringraziando la generosità di tutti i benefattori e il lavoro dei volontari di ACN in tutto il mondo.

Ha anche avuto un ricordo speciale per Javier Menéndez Ros ed Ernesto Saiz de Vicuña, ex direttore e presidente della Fondazione fino alla fine del 2023.

Dati ACN 2023

Il direttore di ACN Spagna ha illustrato le principali cifre della Fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre nel mondo durante l'ultimo anno finanziario.

Ucraina è stato il Paese che ha ricevuto più aiuti da questa fondazione, con oltre 7,5 milioni di euro. Questi aiuti sono destinati principalmente al clero ucraino, compresi i cappellani di guerra, e alla cura spirituale e pastorale dei rifugiati nella parte occidentale del Paese.

Come ha sottolineato lo stesso Gallardo, nel caso dell'Ucraina c'è "una grande incognita su ciò che accadrà nei prossimi mesi in Ucraina". Quando c'è una crisi, è necessario aspettare la pace per iniziare la ricostruzione, e la Chiesa è chiara su questo. Per il momento, dall'Ucraina, chiedono aiuto e sostegno nell'ovest dove si trova la popolazione sfollata (donne, bambini)".

Il terremoto in Siria è stato un altro punto di attenzione per la fondazione pontificia. La campagna lanciata in seguito a questa catastrofe ha avuto un'ampia risposta, con aiuti per oltre 7,4 milioni di euro.

Il Libano e l'India, dove le leggi anti-conversione e la persecuzione della Chiesa sono molto diffuse, sono stati i Paesi in cui l'ACN ha potuto aiutare con più di 6 milioni di euro ciascuno.

Oltre a questi, la fondazione ha sostenuto progetti in diversi Paesi africani, come Congo, Tanzania e Nigeria.

Il direttore di ACN Spagna ha voluto sottolineare la caratteristica della fondazione, che è quella di sostenere il lavoro pastorale e catechistico, nonché la presenza di cristiani di tutte le confessioni.

Non sorprende quindi che la maggior parte dei suoi beneficiari siano sacerdoti, diocesi e vescovi, anche se, come ha sottolineato Gallardo, "arrivano sempre più richieste per progetti di formazione di laici".

Tra i progetti sostenuti, il 26,8% delle donazioni è stato destinato alla costruzione e alla ricostruzione di chiese, oltre che al pagamento degli stipendi dei sacerdoti per il loro mantenimento e alla formazione di religiosi e catechisti.

Spagna: aumentano le donazioni e i benefattori

Carmen Conde ha spiegato il ruolo di ACN Spagna in questo anno. In Spagna, 27.017 benefattori hanno donato risorse ad Aiuto alla Chiesa che Soffre nel 2023, con un aumento di 17% rispetto all'anno precedente.

L'importo delle donazioni, delle eredità e dei lasciti ricevuti dall'ACN è stato di 18.432.320 euro, con una diminuzione di 4,6% rispetto all'anno precedente, dovuta a una diminuzione delle eredità e dei lasciti, mentre le donazioni regolari sono aumentate di 17,2%.

Interrogato su questa cifra, Conde ha spiegato che nel 2022 c'è stata un'eredità particolarmente forte che ha portato a questo aumento, ma che, in realtà, il numero di persone che scelgono questo modo di sostenere i cristiani perseguitati e bisognosi in tutto il mondo continua a crescere.

Conde ha anche sottolineato che "su 100 euro che vengono donati all'ACN in Spagna, 90,7 vanno alle finalità proprie della fondazione e solo 9 euro ad altre spese".

Inoltre, dei 23 uffici di ACN in tutto il mondo, quello spagnolo ha contribuito al 12,8% delle entrate totali di ACN nel 2023.

Spagna

Valeska Ferrer: "L'appello di fronte agli abusi è di rompere il silenzio".

Più di 300 persone - di persona e online - provenienti da 27 Paesi hanno partecipato al Congresso internazionale Jordan della Provincia spagnola della Compagnia di Gesù e delle Università dei Gesuiti (UNIJES) a Madrid per esaminare le cause dell'abuso di potere nella Chiesa. Valeska Ferrer, la sua coordinatrice, parla con Omnes degli abusi.

Francisco Otamendi-20 giugno 2024-Tempo di lettura: 6 minuti

Convocato dal Progetto GiordaniaNei giorni scorsi, esperti internazionali hanno riflettuto su numerose questioni sul tema "Abuso di potere nella Chiesa: cause strutturali e possibili soluzioni dal dialogo tra teologia e altre discipline". La ricerca ha fatto riferimento ai diversi tipi di abusoIl potere, spirituale e sessuale, all'interno della Chiesa.

La cerimonia di chiusura è stata presieduta dall'arcivescovo di Madrid, Il cardinale José CoboHa annunciato che l'arcidiocesi di Madrid ospiterà un incontro di riparazione e preghiera con le vittime di abusi sessuali all'interno della Chiesa, che si terrà all'inizio del prossimo anno a Madrid.

La presidente del comitato organizzativo del congresso, Valeska Ferrer, ha conseguito un dottorato di ricerca in Diritto canonico presso l'Università Pontificia Comillas ed è coordinatrice del progetto di ricerca gesuita Jordán de la Compañía de Jesús-Provincia de España. Nell'intervista rilasciata a Omnes, Valeska Ferrer commenta alcuni dei lavori del congresso.

Lei sottolinea che ci sono relazioni di potere e modi di procedere nelle strutture ecclesiali che favoriscono gli abusi. Può spiegarlo un po'?

- L'idea era piuttosto quella di concettualizzare l'abuso di potere come qualcosa che riguarda molte cose. Il Il PapaNelle due lettere, sia in quella al Popolo di Dio che in quella al Popolo di Dio che cammina in Cile, ha introdotto una sorta di triade, ma diversa in ciascuna delle lettere. L'abuso di potere compare in entrambe le lettere.

Questo è ciò che abbiamo delineato: l'abuso di potere è tutto. Tutti noi abbiamo un potere su altre persone, frutto di relazioni asimmetriche, e questo esercizio del potere, quando è esercitato male..... Penso che la presentazione di Gabino [Uríbarri] sia stata spettacolare, il potere che Gesù esercita, il potere di Dio è un potere che genera vita, che è creativo, e che allo stesso tempo è capace di ritirarsi quando non è necessario, quando sono altre persone che in qualche modo esercitano questo potere di creazione, di co-creazione, in modo buono.

Questo potere, se ne facciamo un uso improprio, può riguardare ambiti diversi a seconda della sfera in cui abbiamo in qualche modo un impatto. Se incidiamo nell'ambito del processo decisionale in atti specifici, si tratta di abuso di autorità; se si tratta solo dell'ambito decisionale, si tratta di abuso di coscienza; se ci riferiamo e incidiamo sulla corporeità, si tratta di abuso sessuale. E credo che forse la cosa più grave sia quando l'incidenza di questo abuso è nell'area più intima della persona, dove essa è costruita come credente, immagine di Dio, allora si parla di abuso spirituale.

Il primo giorno hanno lavorato sul concetto di potenza...

- Sì, in questi anni di lavoro è stato progressivamente formulato ciò che è l'abuso di potere e, da lì, diversi tentacoli che raggiungono diverse aree o dimensioni della persona. Il primo giorno abbiamo voluto concentrarci su questo, su cosa sia il potere, perché la parola "dynamis" appare costantemente nei Vangeli, il potere, l'autorità di Dio, di Gesù.

È stato importante partire dal potere che ha, in modo positivo, per poi introdurre cosa succede quando se ne abusa a livello spirituale, che è la costituzione come credente. In questo senso, è stata straordinaria anche la presentazione di María Dolores López Guzmán su come presentare il danno che si genera e come rompere, e la necessità di rompere il silenzio per non decostruire la persona e l'immagine di Dio: "Non nominerai il nome di Dio invano", ha detto.

Hanno anche analizzato alcuni aspetti delle strutture della Chiesa che hanno facilitato gli abusi.

- Credo che ci siano due cose diverse. Una è a livello teologico, ovvero la presentazione di Diego [Molina], un gesuita, che è anche membro del team del progetto Jordan, che ha raccolto una serie di elementi, come l'autoconsapevolezza della Chiesa come santa, cosa intendiamo quando parliamo della Chiesa come santa. Non significa che non sia peccaminosa. Quando facciamo la confessione del Credo, una, santa, apostolica... Questo riferimento alla santità della Chiesa è stato oggetto di una domanda da parte dell'uditorio: dovremmo allora eliminare l'espressione che la Chiesa è santa? E lui ha risposto: no, non è così, è fatta di persone, di peccatori, ma noi siamo chiamati a questa santità, è lì che stiamo andando.

Il clero è stato spesso assunto come rappresentante di Cristo, come se non ci potessero essere difetti nel clero; è l'idealizzazione del clero.

Quali sono gli elementi che avete individuato e che giocano un ruolo evidente nell'abuso?

- A livello teologico più canonico, ci sono elementi che abbiamo rilevato che hanno un chiaro impatto sull'abuso: sono il silenzio e la paura di rappresaglie.

Questo è stato registrato sia nel questionario che abbiamo fatto in Provincia, a tutta la Società, da cui abbiamo ricevuto 1.188 risposte, che è molto per un primo questionario, che è stato trasmesso a tutti i settori: istruzione, università, fede e sociale, i quattro settori.

E ciò che abbiamo rilevato, in linea con altri contesti sociali, è che il silenzio, il tacere e il non rompere il silenzio per paura di rappresaglie, è qualcosa che condividiamo con l'intera società. Il problema dell'abuso è mantenuto dal silenzio, dalla paura di ciò che potrebbe accadere se denuncio qualcosa che mi è accaduto, o se denuncio ciò che so essere accaduto a qualcun altro.

E per rompere il silenzio?

- Questo si è riflesso nella presentazione di John Guiney, sj, e questo è stato anche il modo in cui Sandra Racionero ha chiuso la conferenza finale. Dobbiamo rompere il silenzio; e rompere il silenzio sostenendo le persone che rompono il silenzio.

Non puoi rompere il silenzio se non sai che ti sosterranno. Se sai che ti sosterranno e che sosterranno le persone che ti sostengono, allora è più facile rompere il silenzio; ma se appartengo a una comunità di vita religiosa e so che se denuncio il mio superiore mi bolleranno come fuori di testa, che la mia vocazione non è chiara, mi rimuoveranno da ogni incarico che ho avuto o dalla scuola dove insegnavo, e mi metteranno in portineria.... Se so che tutto questo accadrà se dico qualcosa, allora non lo dico, ma se so che se denuncio, non solo il superiore generale o la superiora generale mi sosterranno, ma anche la comunità mi sosterrà, allora denuncio, ma se non lo faccio, è molto difficile.

Cosa chiede il Congresso?

- L'appello è quello di rompere il silenzio e che l'istituzione sostenga chi rompe il silenzio; questo è un appello alle vittime, ma anche logicamente all'istituzione. Possiamo rompere il silenzio solo se ci sentiamo sostenuti. E anche alle famiglie, perché viene detto loro: stigmatizzerete la ragazza..., state zitti. La verità è che se non si denuncia, la cosa viene insabbiata. E l'aggressore continua ad attaccare, perché rimane impunito.

Dovremmo sempre incoraggiare le persone a parlare, non per niente, ma perché prima si affronta il problema, e questo è anche uno degli aspetti studiati, ovvero che quando l'abuso viene fermato precocemente e si interviene rapidamente, più è probabile che il danno e il trauma siano più limitati nel tempo e che il sopravvissuto possa diventare un sopravvissuto.

Ma se si mantiene un abuso per 40 anni, che è quello che vediamo nella maggior parte dei casi, quando il trauma è stato sostenuto per così tanto tempo, il danno generato è brutale, perché si vive con diversi problemi psicologici, un disturbo dissociativo, stress, ansia?

Concludiamo. Lei ha parlato anche di buone pratiche, di proposte speranzose.

- I due elementi su cui abbiamo voluto lavorare nel progetto nel corso degli anni sono stati, da un lato, le cosiddette performance di successo. Per questo sono stati José Ramón Flecha e Sandra Racionero a realizzare, in un certo senso, queste presentazioni di azioni di successo con impatto sociale. In altre parole, strumenti che hanno già dimostrato di funzionare, che sono in grado di trasformare la realtà, che sono stati davvero in grado di ridurre le dinamiche abusive negli ambienti educativi in classe, e come questo possa avere un impatto anche nella sfera ecclesiastica, in tutto ciò che ha a che fare con le dinamiche abusive.

E il secondo elemento?

- D'altra parte, c'è la questione della giustizia riparativa, che non è una cosa per tutti: non tutte le vittime che hanno partecipato, non tutti i colpevoli vogliono partecipare, ma è vero che le esperienze che si stanno facendo in termini di partecipazione sono molto positive e ci sono esperienze di successo che stanno anche trasformando la vita sia delle vittime che dei colpevoli.

Vedere persone che hanno commesso violenze sessuali, che hanno riconosciuto i fatti, che si sono assunte la responsabilità, che non avrebbero mai dovuto farlo, e il desiderio e l'impegno di riparare il danno che hanno commesso, credo sia una delle esperienze più rilevanti. Ascoltare un colpevole che è sprofondato nella miseria, toccando il proprio fango, riuscire ad ascoltare la voce di Dio e ripartire dalla più bassa umiltà, credo che sia come un piccolo miracolo, e a me sembra anche questa la nostra chiamata. La possibilità che la persona che ha aggredito non solo non lo faccia più, ma che addirittura possa lavorare a favore delle vittime...; non so se questo sia pubblicabile o meno, perché è difficile.

Concludiamo la nostra conversazione con Valeska Ferrer. Provinciale della Compagnia di Gesù, Enric Puiggròs SJ, ha sottolineato che "le vittime ci evangelizzano; non possiamo aspettarci che tutto questo "passi", che svanisca come se nulla fosse accaduto; dobbiamo guardare in faccia ciò che abbiamo fatto di male", e "vincere la tentazione dell'arroganza, rivendicando le cose buone fatte da noi, come se potessero in qualche modo compensare questo dramma dell'abuso".

L'autoreFrancisco Otamendi

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Vangelo

Umanità e divinità di Cristo. Dodicesima domenica del Tempo Ordinario (B)

Joseph Evans commenta le letture della 12ª domenica del Tempo Ordinario e Luis Herrera offre una breve omelia video.

Giuseppe Evans-20 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Diversi passi dell'Antico Testamento chiariscono che il controllo del mare era una prerogativa divina. 

In generale, gli ebrei guardavano al mare con timore: rappresentava il caos ed era il dominio di mostri marini terrificanti come il Leviathan (vedi Giobbe 41). Ma diversi salmi esprimono il controllo di Dio sui mari e sulle onde: si vedano i salmi 89, 9, 93, 4 e, soprattutto, 107, 28-29, che fa parte del salmo di oggi. Ma essi gridarono al Signore nella loro angoscia ed egli li tirò fuori dai guai. Egli placò la tempesta con una brezza leggera e le onde del mare si placarono.

Questo può aiutarci a capire lo stupore dei discepoli, descritto nel Vangelo di oggi, quando Gesù calma le onde. "Erano pieni di paura e si dicevano l'un l'altro: "Ma chi è costui? Anche il vento e il mare gli obbediscono!"..

In altre parole, cominciavano a intravedere il potere divino di Gesù. Che poteva calmare le onde con poche parole: "Silenzio, silenzio!", -Poteva solo suggerire che lui stesso era in qualche modo divino. Solo Dio può stabilire i limiti del mare (come insegna la prima lettura di oggi) e solo Lui può calmare la sua furia.

Questo episodio è uno dei modi in cui, con una pedagogia divina, Cristo ha rivelato gradualmente la sua divinità ai suoi discepoli. Se avesse tentato di farlo tutto in una volta all'inizio del suo ministero, o non gli avrebbero creduto o, se lo avessero accettato, si sarebbero gettati a terra davanti a lui e non avrebbero osato rialzarsi. Dio mostra la sua potenza sia rivelandola che nascondendola, come quando diede a Mosè solo un assaggio della sua gloria divina, perché era tutto ciò che poteva sopportare (cfr. Esodo 33). 

L'apparente sonno di Gesù nella barca era certamente un segno della sua reale umanità. Si era dato così tanto alle folle da essere esausto, così stanco da poter dormire nel bel mezzo di una tempesta. Ma questo rivela anche la sua divinità. Dio, infatti, è il miglior maestro possibile, che veglia e rivela la sua potenza secondo la nostra debolezza e il nostro bisogno.

Ma la creazione divina va oltre l'universo materiale. Infatti, la sua creazione spirituale, o ri-creazione, è un'opera ancora più grande. Come ci insegna la seconda lettura di oggi, essere "in Cristo" significa essere "una nuova creazione". Dio ci ricrea per grazia. Per quanto prodigioso sia il potere di Gesù sulla creazione visibile, egli mostra il suo potere ancora di più trasformandoci attraverso la grazia. Egli calma le tempeste della passione e del male nella nostra vita, affinché possiamo vivere nella pace dell'amore divino.

Omelia sulle letture di domenica 12a domenica del Tempo Ordinario (B)

Il sacerdote Luis Herrera Campo offre il suo nanomiliaUna breve riflessione di un minuto per queste letture domenicali.

Vaticano

Il cardinale Parolin sugli abusi: "È un'ingiustizia che colpisce tutti".

La Pontificia Università Gregoriana ha organizzato la IV Conferenza Internazionale sulla Salvaguardia, al fine di compiere ulteriori passi avanti nella prevenzione degli abusi. Quest'anno il tema era incentrato su "Salvaguardia e disabilità".

Giovanni Tridente-19 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Gli abusi rappresentano “un’ingiustizia che colpisce tutti, disabili e non”. Lo ha detto il Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, aprendo i lavori della quarta Conferenza Internazionale sul Safeguarding organizzata presso la Pontificia Università Gregoriana dal suo Istituto di Antropologia, fondato nel 2012 come iniziale Centro per la Protezione dei Minori. Nel 2021 l’organismo, di cui è direttore il gesuita Hans Zollner, ha ampliato la sua missione per includere anche le persone vulnerabili di tutte le età.

Non a caso, la Conferenza di quest’anno è dedicata al tema “Safeguarding-tutela e disabilità”, una preoccupazione centrale anche nel magistero di Papa Francesco e della Chiesa in generale. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità, il 16% della popolazione mondiale vive con una disabilità significativa, come risultante dell’interazione tra condizioni di salute, ambientali e personali, si legge in un comunicato degli organizzatori.

“Negli ultimi anni la comunità internazionale ha compiuto progressi rilevanti nel riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità, ma purtroppo ciò non è ancora avvenuto a livello mondiale”, ha spiegato Parolin. Qualora ciò avvenisse, potrà “fiorire una società più giusta e solidale, dove l’appartenenza non è uno slogan da usare in discorsi politicamente corretti, ma una pratica”.

Abbiamo l’occasione – ha aggiunto il Cardinale Segretario di Stato nel suo intervento – “di superare diverse barriere riunendo e discutendo le modalità” per combattere qualunque tipo di abuso e in qualunque circostanza.

La Conferenza

La Conferenza, che si svolge fino 21 giugno, prevede diverse sessioni dinamiche. Tra queste, la partecipazione del Deaf Catholic Youth Initiative for the Americas (DCYIA), un’organizzazione non-profit che sostiene le necessità pastorali, culturali e linguistiche dei giovani sordi nelle Americhe. Tre interpreti della lingua dei segni americana tradurranno le presentazioni per il pubblico e assisteranno i partecipanti sordi. Il loro intervento, intitolato “Sordi e abusati… la comunità dimenticata,” affronterà le sfide che queste vittime spesso subiscono.

Altre tre sessioni si concentreranno sull’approccio culturale alla disabilità in diversi contesti geografici e sociali, sull’accettazione e partecipazione delle persone con disabilità nella vita della Chiesa e sulle difficoltà incontrate dalle persone con disabilità nel riconoscere e denunciare possibili abusi.

L’attenzione di Papa Francesco

Dall'inizio del pontificato, Papa Francesco ha dedicato una particolare attenzione alla questione degli abusi. Negli ultimi dieci anni, ha aggiornato sia le norme canoniche che le leggi dello Stato della Città del Vaticano che regolano gli abusi sessuali commessi da chierici, estendendole anche ai laici. Ha inoltre stabilito misure per indagare e punire non solo coloro che compiono abusi, ma anche quanti li coprono con dolo o indifferenza.

In linea con le preoccupazioni del Pontefice, la Conferenza vuole anche fornire una piattaforma per apprendere sempre di più su questa tematica, per la creazione di reti e la condivisione delle migliori pratiche nell’ambito della cura, della prevenzione e dell’accompagnamento di bambini e adulti in situazioni di violenza o abuso.

Prerogative che sono fatte proprie dallo stesso Istituto di Antropologia, volte a promuovere la dignità e la cura attraverso la formazione, la ricerca e l’educazione interdisciplinare, approcci ispirati ai principi cristiani e sensibili alle diversità culturali.

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Vaticano

Il Papa incoraggia a fare dei Salmi una sinfonia di preghiera

In questo anno di preparazione al Giubileo del 2025, Papa Francesco ha incoraggiato i fedeli in Piazza San Pietro a eseguire una sinfonia di preghiera leggendo e pregando con i Salmi. Tra gli altri, ha citato i Salmi 23, 50, 51 o 63. I Salmi erano la preghiera di Gesù, di Maria e degli apostoli. Con essi "saremo felici", ha detto.      

Francisco Otamendi-19 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Nel Pubblico Questo mercoledì, nella quarta sessione del ciclo di catechesi su "Lo Spirito Santo e la Sposa", che è la Chiesa, Papa Francesco ha incoraggiato in Piazza San Pietro a realizzare "una vera sinfonia di preghiera" con i Salmi della Bibbia. Essi sono ispirati da Dio e respirano Dio, e sono stati la preghiera di Gesù, di Maria, degli apostoli e di tutti i cristiani che ci hanno preceduto, ha sottolineato il Santo Padre. La lettura base per la riflessione è stata la Lettera di San Paolo ai Colossesi, 3, 1-17.

"Lo Spirito Santo è il compositore di questa bella sinfonia donata alla Chiesa. Come in ogni sinfonia, ci sono vari "movimenti", cioè vari tipi di preghiera: lode, ringraziamento, supplica, lamento, narrazione, riflessione sapienziale e altri, sia in forma personale che in forma corale di tutto il popolo. Questi sono i canti che lo Spirito stesso ha messo sulle labbra della Sposa. Tutti i libri della Bibbia, come ho detto la volta scorsa, sono ispirati dallo Spirito Santo, ma anche il Libro dei Salmi è ispirato dallo Spirito Santo nel senso che è pieno di ispirazione poetica", ha sottolineato il Papa.

Pregare con i Salmi

I Salmi non sono una cosa del passato, ma vengono attualizzati dalla nostra preghiera. Il Pontefice ha raccomandato che se un salmo o un versetto ci tocca il cuore, dovremmo pregare con esso e ripeterlo durante la giornata. Chiediamo allo Spirito Santo di insegnarci a pregare con i salmi, ha detto.

In una giornata nuvolosa a Roma, con una notevole presenza di pellegrini di vari Paesi che il Papa ha salutato, soprattutto argentini e libanesi, il Santo Padre ha aggiunto che "i salmi ci permettono di non impoverire la nostra preghiera riducendola solo a petizioni, a un continuo "dammi, dacci...". Lo impariamo dal Padre Nostro che, prima di chiedere "il nostro pane quotidiano", dice: "Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà". I salmi ci aiutano ad aprirci a una preghiera meno egocentrica: una preghiera di lode, di benedizione, di ringraziamento; e ci aiutano anche a diventare la voce di tutto il creato, rendendolo partecipe della nostra lode".

Giornata mondiale del rifugiato

Dopodomani, ha ricordato Francesco, ricorre la Giornata Mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite, e il Papa ha colto l'occasione per ricordare l'impegno della Chiesa nei confronti dei rifugiati. rifugiati e migranti: "accogliere, proteggere e accompagnare, promuovere e integrare". Vale la pena ricordare anche la Giornata Mondiale dei Migranti e dei Rifugiati (GMDR) di domenica 29 settembre 2024, con il titolo "Dio cammina con il suo popolo", scelto da Papa Francesco per il suo Messaggio.

Vicinanza al popolo cinese

Il Papa ha salutato l'Associazione "Amici del Cardinale Celso Costantini", accompagnata dal Vescovo della Diocesi di Concordia-Pordenone, Giuseppe Pellegrini, in occasione del centenario della morte del Cardinale Costantini. Consiglio Sinense di Shanghaie il "caro popolo cinese, come "un popolo nobile e coraggioso", con "una cultura così bella". 

Ha anche ricordato la prossima festa, il 21, di Sant'Aloysius Gonzaga, gesuita italiano noto per il suo servizio ai malati e per la sua dedizione all'educazione dei giovani studenti. In conclusione, come di consueto, Papa Francesco ha osservato che "continuiamo a pregare per la pace in Ucraina, in Terra Santa, in Sudan, in Myanmar e ovunque ci siano persone che soffrono a causa della guerra, che è sempre una sconfitta".

L'autoreFrancisco Otamendi

Attualità

Belorado. Compravendita di monasteri, setta pseudo-cattolica e cismo?

Alla fine della settimana scade il termine dato dall'arcivescovado di Burgos alle monache clarisse della comunità di Santa Clara de Belorado per esprimere la loro volontà di rimanere nella Chiesa cattolica.

Maria José Atienza-19 giugno 2024-Tempo di lettura: 14 minuti

Fino a poche settimane fa, non erano in molti a conoscere l'esistenza del convento di Santa Clara de Belorado. Al di là della zona, dove la comunità era particolarmente amata, e di alcune notizie sparse a livello regionale sul lavoro di pasticceria delle monache, la vita di questo monastero e dei suoi dintorni era caratterizzata dalla tranquillità e da un'esposizione mediatica praticamente nulla. 

La vicenda ha avuto una svolta il 13 maggio quando, in modo insolito, la badessa della comunità, suor Isabel, ha annunciato di aver firmato, a nome di tutta la comunità, come lei stessa sostiene, un documento di formale abbandono della Chiesa cattolica chiamato "Manifesto cattolico". In questo documento, la suora afferma che la Chiesa cattolica è eretica e scismatica e pone la comunità sotto la giurisdizione di Pablo de Rojas, che sostiene di essere un vescovo ed è a capo della setta nota come "...".Pia Unione di San Paolo Apostolo"..

Questo abbandono della Chiesa cattolica sarebbe avvenuto tramite una richiesta firmata dalla stessa badessa l'8 maggio e accettata da Pablo de Rojas il 10 maggio 2024. 

Che cosa spinge una comunità a fare un passo del genere? È una questione religiosa o c'è dell'altro? Che cos'è la Pia Unione? Che cosa succede ai monasteri se le monache lasciano la fede cattolica? 

Le risposte a queste domande sono varie e certamente non coprono l'intera realtà di una situazione più simile a un sainete che ad altro. Nel Caso Belorado economiche e religiose convergono. Una varietà di sfumature e di questioni sono confluite in una situazione quasi grottesca il cui esito rimane ignoto. 

Il "Manifesto cattolico

Il Manifesto cattolico pubblicato dalle suore di Belorado, è un documento di 70 pagine che riproduce le idee principali della cosiddetta "Giornata della Pace". "Posizionamento teologico della setta. 

Il documento difende l'idea che Pio XII sia stato l'ultimo Papa legittimo e che dopo la sua morte "la sede di San Pietro è vacante e usurpata". 

Secondo questo manifesto, la Chiesa cattolica è scismatica e ha tradito Cristo. Il Concilio Vaticano è, secondo questo documento, un atto eretico e la Chiesa successiva illegittima. I vescovi e i sacerdoti sono "eretici, ladri, perfidi e blasfemi". Tra le altre affermazioni, sostiene che "Ratzinger era un grande eretico con la patina di conservatore" e chiama Papa Francesco "il signor Bergoglio", "che non è un vescovo, nemmeno un sacerdote". 

Il manifesto, firmato solo dall'ex badessa "a nome mio e di tutte le sorelle dei due monasteri situati a Belorado e Orduña", afferma categoricamente che non obbediranno a coloro che considerano eretici e rivolge un confuso invito a tutti coloro che "vogliono essere salvati" a lasciare la Chiesa o "la setta del concilio".  

È uno scisma? Tecnicamente sì, poiché secondo il canone 751 del Codice di Diritto Canonico, lo scisma è "il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti". Più precisamente, si tratta dell'adesione di un certo numero di persone a una setta scismatica già costituita. 

La comunità di Belorado

Il Monastero di Santa Clara, nella città di Burgos di Belorado, è un monastero di Clarisse la cui prima costruzione risale al XIV secolo. L'edificio fu saccheggiato dalle truppe francesi all'inizio del XIX secolo e successivamente confiscato da Mendizábal. Le monache recuperarono il convento e, da allora, nulla è cambiato in una tranquilla vita monastica scandita dal lavoro di pasticceria delle monache. 

Il monastero fa parte della Federazione delle Clarisse di Nostra Signora di Arántzazu insieme ad altri quaranta monasteri, tra cui Vitoria e Derio.

Attualmente la comunità di Belorado è composta da quindici suore. Di queste quindici, "le cinque più anziane sono fuori da tutto questo processo", secondo una fonte dell'arcivescovado di Burgos. La situazione di queste cinque sorelle più anziane, che hanno più di 80 anni, è al centro delle preoccupazioni sia dell'arcivescovado che dei superiori della Federazione delle Clarisse di Nostra Signora di Arántzazu. Sebbene entrambi si rendano conto che sono ben assistite, dubitano fortemente che siano consapevoli di ciò che sta accadendo nella loro comunità. 

In seguito alla pubblicazione del Manifesto cattolico e le successive dichiarazioni delle altre 10 suore, ogni suora fu chiamata a comparire davanti al tribunale ecclesiastico individualmente per sostenere il passo compiuto o per ritrattarlo. 

La citazione è stata notificata il 6 giugno. Alle tre principali superiore della comunità - l'ex badessa, suor Isabel, l'ex vicaria, suor Paz, e l'ex quarto discreto, suor Sión - sono stati concessi 10 giorni di tempo per comparire davanti al Tribunale ecclesiastico di Burgos per sospetto scisma, termine che l'arcidiocesi ha prorogato di altri cinque giorni, su richiesta delle suore. 

Alle altre 7 sorelle sono stati concessi 15 giorni per presentarsi. Il 21 giugno le suore dovranno decidere, una per una, se rompere con la Chiesa cattolica. 

Nel caso in cui continuino a mantenere la posizione che ricoprono dal 13 maggio, le suore saranno scomunicate per lo stesso motivo. (scomunica latae sententiae)), sarebbero esclusi dalla vita religiosa e sarebbe loro vietato l'esercizio di vari diritti battesimali.

Se ritrattano, come sottolinea l'arcivescovado di Burgos, "continueranno a far parte della comunità e spetterà alla federazione decidere". L'arcivescovado sottolinea la sua disponibilità a "dialogare fino all'ultimo minuto, ma dobbiamo essere consapevoli che, se queste persone abbandonano volontariamente la fede cattolica, non possono continuare a vivere in un luogo che appartiene alla Chiesa". 

Mons. Iceta nominato Commissario 

Il 28 maggio, alla luce degli eventi e in seguito alla richiesta della Federazione Clarisse di Nostra Signora di Aránzazu, la Santa Sede ha nominato Mons. Mario Iceta Gavicagogeascoa "commissario pontificio ad nutum Sanctae Sedis" dei monasteri di Belorado, Orduña e Derio. Questa nomina gli conferisce "tutti i diritti e i doveri che il diritto universale della Chiesa e il diritto proprio dell'Istituto attribuiscono al Superiore maggiore e al suo Consiglio, compresa la rappresentanza legale in ambito civile". L'arcivescovo di Burgos ha poi creato una commissione di gestione, di cui fanno parte i seguenti membri "la presidente della Federazione di Nostra Signora di Aránzazu, madre Javier Sotoe il suo segretario federale, Carmen Ruizche veglierà sulla cura della comunità. A loro si aggiunge il vicario giudiziale dell'arcidiocesi, Donato Miguel Gómezsarà responsabile delle questioni canoniche, mentre il direttore degli Affari legali dell'Arcivescovado sarà responsabile delle questioni canoniche, Rodrigo Sáizcoordinerà gli aspetti civili. Saranno inoltre assistiti da uno studio professionale per l'amministrazione dei monasteri e dei loro beni e saranno incaricati di effettuare un audit e un inventario. Inoltre, e se necessario, si ricorrerà all'assistenza di studi professionali di servizi legali in materia civile, fiscale o penale".

Con questa nomina, il rappresentante civile legale per tutte le questioni riguardanti il monastero è diventato l'arcivescovo di Burgos, per cui "ha il diritto e il dovere di vigilare soprattutto sulle persone che vivono nel monastero, in particolare sulle sorelle anziane, sui lavoratori a contratto, sulla corretta gestione dei movimenti finanziari, nonché sulla gestione di tutti i beni mobili e immobili", come sottolinea la nota emessa dall'arcivescovado di Burgos per annunciare questa nomina. 

[Ingrandimento della notizia]

Il 21 giugno, le clarisse hanno inviato un burofax all'arcivescovado di Burgos, che aveva prorogato la scadenza su richiesta delle monache, in cui esprimevano la loro "posizione unanime e irreversibile" di abbandonare quella che descrivono come una chiesa "nata dal furto del Vaticano II".

Le suore sostengono che il Codice di Diritto Canonico non è "competente". Questo è del tutto inverosimile e ha messo gli avvocati civilisti a capo del dialogo con l'Arcivescovado.

I conti del convento 

Le monache di questa comunità, guidate dall'ex badessa, suor Isabel, non hanno risposto alle incessanti richieste di dialogo rivolte loro sia dalla federazione delle Clarisse a cui appartengono sia dall'arcivescovado di Burgos. Le loro comunicazioni avvengono attraverso il loro blog o i media nazionali. 

Le monache di Belorado hanno utilizzato il loro blog e le reti sociali per "denunciare" il loro disaccordo con tutte le misure imposte dalla Santa Sede, anche se, per il momento, non hanno stabilito un contatto diretto con la Federazione delle Clarisse né con l'Arcivescovado. Nelle ultime settimane, hanno affermato di non poter accedere ai loro "conti bancari, dato che D. Mario ne ha preso il controllo, bloccando così l'accesso al frutto del nostro lavoro quotidiano", cosa che è stata fermamente negata dall'Arcivescovado di Burgos, dato che "le sorelle sanno di poter contare su tutto ciò di cui hanno bisogno attraverso la segretaria federale, suor Carmen". Con la nomina del commissario, "i conti del convento sono stati controllati, seguendo l'iter consueto di un commissariato pontificio", secondo l'arcivescovado, "le ricevute continuano a essere pagate, ma le suore non possono prelevare denaro perché non sono più autorizzate a farlo". Carmen, che è stata espulsa quando il 6 giugno si è recata al convento per chiedere di cosa avessero bisogno e per vedere le suore anziane, per qualsiasi altra necessità.

L'arcivescovado, in una nota diramata il 13 giugno, ha precisato che "si sta lavorando con le banche affinché non ci siano problemi di pagamento a chi ne ha legittimamente diritto: forniture, buste paga, bollette, ecc." e che si è ancora "in attesa che le suore ci comunichino le somme necessarie per le consuete spese della vita ordinaria", passo che le suore non hanno fatto perché, secondo loro, se richiedessero il denaro all'Arcivescovo "significherebbe, di fatto, il riconoscimento della legittimità dell'usurpazione".

Da parte dell'Arcivescovado di Burgos e della Federazione delle Clarisse di Nostra Signora di Arántzazu, sono stati compiuti correttamente i passi legali civili e canonici del caso e il rappresentante legale del Monastero di Santa Clara de Belorado nel registro del Ministero della Presidenza, della Giustizia e dei Rapporti con i Tribunali è Mario Iceta Gavicagogeascoa, Arcivescovo di Burgos.

La Pia Unione di San Paolo Apostolo è una setta? 

Sì, questo gruppo è classificato come setta nel libro dell'esperto Luis Santamaría. "Alla periferia della Croce", pubblicato dalla Biblioteca de Autores Cristianos nel 2023. Il volume elenca un centinaio di sette di origine o apparenza cristiana. 

Nella sua introduzione, Santamaría spiega che "il fatto che la maggior parte di loro usi il nome "Chiesa" dimostra la loro intenzione di presentarsi come la vera Chiesa di Cristo o, a volte, come un raggruppamento nuovo e indipendente, ma totalmente legittimo, all'interno della Chiesa universale. Spesso concordano nella pretesa di recuperare ciò che è genuinamente cristiano - che sarebbe stato tradito nelle Chiese storiche e nelle comunità ecclesiali da cui si sono staccati - e nella pretesa di una maggiore apertura a tutta l'umanità, senza regole rigide, criteri di ammissione o scomuniche".

Il Pia Unione di San Paolo Apostolo "si considera la vera Chiesa di Cristo, motivo per cui il suo leader si presenta sempre come 'vescovo cattolico, apostolico e romano', e si riferisce alla Chiesa cattolica anche come 'setta del Consiglio dei Consiglieri o di 'monsignor Roncalli'". 

Questo gruppo professa il sedevacantismo "in modo tale da non riconoscere alcun vescovo di Roma dopo Pio XII. Né ammette la validità dei sacramenti celebrati nella Chiesa cattolica post-conciliare".

Uno sguardo al sito web della Pia Unione di San Paolo Apostolo dà un'idea approssimativa delle linee di questo gruppo minoritario. Il posizione teologica da cui è nato il manifesto firmato dall'ex badessa di Belorado è una somma di testi e frasi tratti da documenti preconciliari, di un linguaggio sovraccarico e di una terminologia "rubata" a varie istituzioni ecclesiastiche. 

Il posizione teologica sottolinea che "con la morte, il 9 ottobre 1958, dell'ultimo Papa legittimo, finora, S.S. Pio XII, e con la convocazione del "Concilio Vaticano II", è emersa la "Chiesa conciliare", che tenta di eclissare la Chiesa cattolica, apostolica e romana", e descrive i fedeli cattolici come "acattolici". 

Il posizione teologica mescola questioni morali con questioni canoniche e magisteriali. 

Il Pia unione si presenta come "una sorta di milizia guerriera predestinata a distinguersi al di sopra di tutto ciò che esiste" e "non è aperta a sacerdoti, religiosi o semplici fedeli che vogliano solo beneficiare spiritualmente o sacramentalmente, poiché per questo è necessario essere sudditi di S. Ill. D. Pablo de Rojas Sánchez-Franco e collaborare con la Pia Unione". 

Il Unione Pia Sul sito web della Pia Unione si legge che è vietato "manifestare agli estranei di essere membri della Pia Unione", che i sacramenti possono essere ricevuti solo nelle cappelle dell'istituzione e che sono previste le seguenti regole sui generis come l'obbligo per le donne di indossare "gonne, calze, maniche alla francese almeno, e per gli uomini, se possibile, giacca e cravatta, altrimenti possono indossare pantaloni chino colorati, mai jeans, e una camicia a maniche lunghe, con i polsini risvoltati due volte, soprattutto per motivi estetici, visto che come dice il nostro fondatore "le maniche da panettiere sono molto ordinarie" (maniche corte)".

I "personaggi

Chi è questo Pablo de Rojas? Ci sono molti seguaci di questa Pia Unione di San Paolo Apostolo? Numerosi media hanno tracciato un profilo del leader di questa setta finora quasi sconosciuta. 

La descrizione che Luis Santamaría fa dei fondatori e dei capi di molte sette di origine cristiana nelle prime pagine di "A las afueras de la cruz" è applicabile come descrizione del sedicente vescovo Rojas. Si tratta di persone che "sono state respinte da seminari, noviziati e altre case di formazione, o le hanno abbandonate, o ne sono state espulse". Ci sono anche casi di persone che hanno cercato i ministeri ordinati senza riuscirci. Così, come alternativa vitale, hanno deciso di aderire a movimenti scismatici o, dopo aver ottenuto un'ordinazione sacerdotale o una consacrazione episcopale, hanno creato una propria "chiesa", entrando in una dinamica di riconoscimenti e ordinazioni reciproche e di creazione di strutture complesse con nomi roboanti e aggettivi sovrapposti per fingere di mostrare una serietà ecclesiastica che non hanno".

Pablo Rojas è originario di Jaén e la biografia che presenta sul sito della Pia Unione di San Paolo Apostolo è piena di incongruenze e fatti strani, come l'aver ricevuto la comunione all'età di cinque anni nella Spagna degli anni '80 o l'essere stato ordinato sacerdote due volte.

Dal suo sito web: "[Rojas] È stato "confermato" a Madrid nel 1993 da "Mons. de Galarreta, "vescovo" della Fraternità San Pio X, "consacrato" da "Mons. Lefevre". Lefevre". Nel 2005 ha ricevuto il Sacramento [dell'Ordine Sacro] da Mons. Shell il 13 maggio 2005 e il 28 giugno 2010, 'sub conditione' dalle mani di Mons. Subiròn". Sia Derek Schell che Ricardo Subiron sono stati scomunicati per la loro appartenenza alla setta della Chiesa di Palmar de Troya. 

Rojas si stabilì a Bilbao, dove era comune vederlo andare in giro vestito da vescovo in stile antico e accompagnato da José Ceacero (noto con il soprannome di prete barman(per la sua professione di cameriere di cocktail), che si dichiara anche sacerdote e funge da "portavoce" delle suore di Belorado. 

Nel 2019, mons. Mario Iceta, allora vescovo di Bilbao, firmò un decreto che dichiarava Pablo de Rojas scomunicato, in cui sottolineava che "egli stesso (Rojas) ha affermato di essersi fatto consacrare vescovo dal signor Daniel L. Dolan, della linea dello scismatico mons. Ngô Dình Thuc, incorrendo nel reato di scisma ex can. 1364 § 1 C.I.C.". 

Ad abundantiamLa celebrazione di vari sacramenti nella nostra Diocesi, ex can. 1378 § 2, n. 1 e 2 C.I.C., è stata compromessa. 

Il 28 giugno 2019 è ricaduto contumacemente nel reato previsto dal canone 1382 CIC, facendosi riconsacrare vescovo dal vescovo scismatico Williamson, attualmente in situazione di scomunica".

Acquisto e vendita di monasteri

Questa situazione anomala riguarda le proprietà di tre monasteri. Le tre proprietà fanno parte della Federazione di Nostra Signora di Arantzazu (Provincia di Cantabria - Sorelle Clarisse) e sono i monasteri delle Clarisse situati nelle città di Derio (Vizcaya), Belorado (Burgos) e Orduña (Álava). 

L'inizio di queste compravendite di monasteri risale al 2020.

Nel 2020, il monastero di Orduña, di proprietà delle Clarisse di Vitoria, è stato canonicamente soppresso e vuoto. Nell'ottobre dello stesso anno, la comunità di Belorado firmò un accordo per la compravendita di questo monastero per una "somma di 1.200.000 euro e con un ritardo di due anni". In questo atto di compravendita hanno contribuito con 100.000 euro e si sono impegnati a effettuare pagamenti semestrali di 75.000 euro", secondo la nota emessa dall'arcivescovado di Burgos. In quel periodo, parte della comunità delle Clarisse di Derio lasciò l'edificio e si trasferì a Orduña. 

L'idea originaria sembrava essere quella di vendere il monastero di Derio per acquistare quello di Orduña. Tuttavia, la vendita di Derio non è ancora avvenuta, quindi non era possibile intraprendere il pagamento del secondo. Infatti, sebbene il primo pagamento per l'acquisto dovesse essere effettuato il 1° novembre 2022, non è mai stato effettuato. 

Questa era la situazione quando, nel marzo del 2024, la badessa di Belorado, suor Isabel "dichiarò di avere un benefattore che avrebbe comprato e messo il Monastero (Orduña) a nome del benefattore stesso, avrebbe raggiunto un accordo sul suo utilizzo e lo avrebbe rivenduto alla comunità di Belorado quando avesse ottenuto i proventi della vendita del Monastero di Derio". 

La segretezza di questa operazione e "i sospetti che questa persona fosse estranea alla Chiesa cattolica" espressi dalle Clarisse di Vitoria, portarono il vescovo di questa diocesi e il suo vicario per la vita consacrata a recarsi a Orduña il 21 marzo 2024 per chiedere informazioni su questo benefattore. Lì fu detto loro che la badessa si trovava a Belorado, così il prelato e il vicario si recarono all'altro monastero, situato a 100 chilometri di distanza. Una volta arrivati a Belorado, "fu detto loro che suor Isabel non poteva riceverli e furono accolti al tornio dalla vicaria, suor Paz e dalla quarta discreta, suor Sión". 

Nessuna delle due suore disse al vescovo l'identità dell'acquirente. Un mese e mezzo dopo, la sua identità non è ancora nota.

La comunità di Vitoria, proprietaria del monastero di Orduña, non avendo ricevuto alcun pagamento, decise di rescindere il contratto e convocò la comunità di Belorado davanti a un notaio. 

Come si legge nella nota emessa dall'Arcivescovado di Burgos il 13 maggio, nello studio notarile, suor Isabel, accompagnata da suor Paz e suor Sión, ha consegnato un documento "che rivendica 1.600.000 euro come pagamento dell'importo dei lavori realizzati dalla sua comunità nel monastero di Orduña e un 30% per danni". L'ex badessa non ha accettato la risoluzione del contratto e ha deciso di portare la questione "in tribunale". La comunità di Vitoria ha espresso l'intenzione di recuperare la proprietà del monastero di Orduña e di espellere le monache da Belorado attraverso un procedimento civile.

Cosa dice il Codice di Diritto Canonico?

Secondo il Codice di Diritto Canonico, canone 634, "gli istituti, le province e le case, come persone giuridiche a sé stanti, hanno la capacità di acquistare, possedere, amministrare e disporre dei beni temporali, a meno che questa capacità non sia esclusa o limitata dalle costituzioni", ma rileva il canone 634, § 3.3, che "per la validità di un'alienazione o di qualsiasi operazione in cui possa essere pregiudicata la condizione patrimoniale di una persona giuridica, si richiede il permesso del Superiore competente, dato per iscritto con il consenso del suo consiglio. Ma se si tratta di un'operazione in cui si supera la somma stabilita dalla Santa Sede per ogni regione, o di beni donati alla Chiesa, a causa di un voto, o di oggetti di grande valore per il loro valore artistico o storico, è necessaria anche la licenza della Santa Sede stessa". Nel caso della Spagna, la cifra che richiede l'autorizzazione esplicita della Santa Sede è di 1.500.000 euro. 

Un'altra disposizione rilevante in materia è il canone 639 del Codice di Diritto Canonico che, al primo punto, stabilisce che "se una persona giuridica contrae debiti e obbligazioni, anche se lo fa con la licenza dei Superiori, deve risponderne", e al terzo punto afferma che se "un religioso contrae debiti e obbligazioni senza alcuna licenza dei Superiori, ne risponde personalmente e non la persona giuridica". Due punti che pongono un serio problema alle monache di Belorado, che non possono assumersi il debito contratto sia per l'acquisto del monastero di Orduña sia per i lavori intrapresi nello stesso edificio all'arrivo della comunità dal monastero di Derio. 

Cronologia:

Ottobre 2020

Firma dell'accordo tra la comunità di Derio-Belorado e la comunità delle Clarisse di Vitoria per la compravendita del Monastero di Orduña. 

28 ottobre 2020

Trasferimento della comunità di Derio al monastero di Orduña.

Marzo 2024

Dichiarazione della badessa di avere un benefattore che pagherà l'acquisto del monastero di Orduña.

21 marzo 2024 

Tentativo di dialogo con la badessa da parte del vescovo di Vitoria per scoprire l'identità dell'acquirente.

12 aprile 2024 

Il delegato episcopale per la vita consacrata dell'arcidiocesi di Burgos visita il monastero di Belorado. È assistito da due sorelle e non dalla badessa. Vengono concordate le date del 27 maggio 2024 per la visita canonica a Belorado, del 28 maggio a Orduña e del 29 maggio per l'elezione della nuova badessa (per telefono).

13 aprile 2024

La presidente della Federazione di Nostra Signora di Arantzazu informa l'arcivescovo di Burgos del suo sospetto di un possibile reato di scisma. 

24 aprile 2024

I vescovi di Vitoria e Bilbao e l'arcivescovo di Burgos firmano un decreto che apre un'indagine preliminare su un possibile scisma a Belorado.

7 maggio

Tentativo della comunità delle Clarisse di Vitoria di rescindere l'accordo di compravendita del monastero. Rifiuto da parte di Suor Isabel.

13 maggio 2024

A nome della comunità di Belorado, suor Isabel firma un documento che abbandona formalmente la Chiesa, il cosiddetto "Manifesto cattolico", e si sottomette alla giurisdizione del signor Pablo de Rojas.

Il cappellano del convento ha visitato la comunità ed è riuscito a parlare con la vicaria, suor Paz. Questa ha confermato telefonicamente all'arcivescovo di Burgos che "l'intera comunità aveva abbandonato la Chiesa cattolica e ha dichiarato che la decisione era stata presa all'unanimità da tutte le suore".

29 maggio 2024

Data di scadenza della nomina di Suor Isabel a badessa del Monastero di Santa Clara de Belorado.

Nomina di mons. Mario Iceta a "commissario pontificio". ad nutum Sanctae Sedis"I monasteri di Belorado, Orduña e Derio.

6 giugno 2024

Suor Carmen Ruiz, segretaria della Federazione delle Clarisse di Nostra Signora di Aránzazu; Rodrigo Sáiz, delegato del Commissario Pontificio; Carlos Azcona, notaio del Tribunale Ecclesiastico, e il notaio María Rosario Garrido, si sono recati al convento di Belorado per portare a termine il processo di azione stabilito dalla Santa Sede e sono stati espulsi dal convento. 

16 giugno 2024

Scadenza del termine concesso all'ex badessa, all'ex curato e all'ex quarto discreto per comparire davanti al Tribunale Ecclesiastico. In risposta a una richiesta di proroga del termine, l'arcivescovado ha concesso altri cinque giorni. 

21 giugno 2024

È scaduto il termine concesso alle suore della comunità di Belorado per recarsi al Tribunale Ecclesiastico a testimoniare.

Risorse

Perché Gesù predicava in parabole

Gesù ha usato le parabole nel suo insegnamento per rivelare i misteri del regno di Dio, per realizzare le profezie messianiche e per manifestare il suo status divino di Figlio di Dio.

Rafael Sanz Carrera-19 giugno 2024-Tempo di lettura: 5 minuti

Erede di una ricca tradizione profetica e sapienziale, Gesù non si limitò a predicare. Era anche un maestro delle parabole, raccontando storie che entravano in contatto con le persone e trasmettevano i suoi messaggi in modo profondo e indimenticabile.

L'esclamazione dei suoi contemporanei: "Nessuno ha mai parlato come quest'uomo" (Giovanni 7:46), riassume perfettamente l'unicità e l'impatto degli insegnamenti di Gesù, intrisi di profonda saggezza ed espressi attraverso parabole incomparabili come quella della pecora smarrita, del buon samaritano e del figliol prodigo. Esempi della sua magistrale capacità di utilizzare storie quotidiane per trasmettere profondi messaggi morali e spirituali.

Perché Gesù ha usato le parabole?

Le ragioni addotte dagli esegeti per l'uso delle parabole da parte di Gesù sono varie, ma possiamo indicarne due principali:

1. Rivelare ai discepoli i misteri del regno di Dio. Poiché i discepoli hanno una disposizione ricettiva e aperta al messaggio di Gesù (Marco 4:11; Matteo 13:11; Luca 8:10), le parabole li aiutano a comprendere verità spirituali profonde che altrimenti sarebbero troppo complesse o difficili da afferrare (Matteo 13:11-12). In questo senso, l'uso delle parabole era un dono di Dio e un segno di grazia per loro: "Ma benedetti i vostri occhi, perché vedono, e le vostre orecchie, perché ascoltano. Perché in verità vi dico che molti profeti e uomini giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete e non l'hanno visto, e udire ciò che voi udite e non l'hanno udito" (Matteo 13:16-17); cfr. Marco 4, 11).

2. Per nascondere i misteri del regno di Dio a coloro che non credono. Coloro che non credono hanno il cuore indurito e non sono disposti a ricevere il messaggio di Gesù, tanto meno in un linguaggio figurato che non capiscono (Marco 4:12; Matteo 13:13-15; Luca 8:10). In un certo senso, le parabole sono anche un mezzo per rivelare l'incredulità e la durezza di cuore di coloro che hanno rifiutato il suo messaggio. 

Tuttavia, cercheremo di dimostrare che c'erano altre ragioni per cui Gesù usava le parabole, ossia: (1) l'adempimento delle profezie messianiche e (2) la manifestazione della sua natura divina di Figlio di Dio.

Gesù compie le profezie

Intendiamo evidenziare come Gesù realizzi le profezie messianiche utilizzando le parabole.

L'esempio più chiaro si trova nel Vangelo di Matteo, che dice: "Gesù disse tutto questo al popolo in parabole, e senza parabole non parlò loro nulla, affinché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: 'Aprirò la mia bocca parlando in parabole; annuncerò le cose segrete fin dalla fondazione del mondo'" (Matteo 13:34-35).

In questo passo, Matteo afferma che l'uso delle parabole da parte di Gesù realizza la profezia di Asaf e dimostra il suo ruolo di profeta che rivela la volontà di Dio. La profezia di Asaf, poeta e musicista dell'Antico Testamento, si trova nel Salmo 78,2. Secondo Matteo, è "che io aprirò la mia bocca ai giudizi, affinché gli enigmi del passato possano emergere". Questa profezia prevedeva che il Messia avrebbe insegnato usando parabole, e Gesù la realizza, perché "senza parabole non parlava loro nulla".

Poi c'è la profezia di Isaia: "Mi disse: "Va' a dire a questo popolo: "Per quanto ascoltiate, non capirete; per quanto guardiate, non comprenderete. Egli ottunde il cuore di questo popolo, indurisce il suo udito, acceca i suoi occhi: i suoi occhi non vedano, i suoi orecchi non odano, il suo cuore non comprenda, non si volga e non sia guarito"" (Isaia 6,9-10). È Gesù stesso a citare questo passo in diversi punti (Matteo 13:13-15; Marco 4:11-12; Luca 8:10) proprio per spiegare perché parlava in parabole.

Vediamo che Gesù non solo segue una tradizione (profetica e sapienziale) con il suo modo di predicare in parabole, ma che è anche consapevole di compiere le profezie su di sé.

Dio parla in parabole

La Bibbia ci insegna che il linguaggio che Dio usa è spesso misterioso, evidenziando il carattere parabolico del suo discorso come forma naturale della sua espressione.. L'idea che Dio parli in parabole è ben fondata nel Scritture. Vediamo alcuni esempi.

Nel seguente passo di Osea leggiamo che Dio dice di sé: "Ho parlato ai profeti, ho moltiplicato le visioni e per mezzo dei profeti ho usato parabole" (Osea 12:10). Dio dice chiaramente che ha parlato usando parabole e visioni. Se da un lato questo versetto sottolinea l'uso delle parabole da parte di Dio, dall'altro suggerisce che Gesù, usando le parabole, lo fa in connessione con il suo status di Figlio di Dio. Questo è stato, in parte, ciò che ha attirato l'attenzione dei suoi contemporanei: "perché insegnava loro con autorità e non come gli scribi" (Matteo 7:29); essi hanno percepito il carattere parabolico del suo discorso come la sua naturale (divina) forma di espressione.

Lo vediamo anche in Proverbi 25:2: "È gloria di Dio nascondere una cosa; è gloria dei re cercarla", dove si suggerisce che fa parte della natura di Dio nascondere certe cose, lasciando agli uomini il compito di scoprirle e comprenderle attraverso la ricerca e il discernimento. Questo si ricollega direttamente all'uso delle parabole, richiedendo a chi le ascolta di partecipare attivamente alla ricerca della verità. Non sono semplicemente storie. Sono veicoli di profondi significati spirituali e morali che devono essere scoperti e compresi attraverso la riflessione e il discernimento.

Parabole per svelare i misteri

Lo stesso vale per Ezechiele 17:2: "Figlio d'uomo, proponi un indovinello e racconta una parabola alla casa d'Israele". In questo passo, Ezechiele, in quanto profeta, riceve questa istruzione in un contesto difficile in cui Israele deve essere chiamato al pentimento e alla riflessione sulle proprie azioni. La parabola diventa lo strumento migliore per far sì che il messaggio di Dio sia seriamente considerato e profondamente compreso. Gesù utilizza questo stesso metodo divino e, essendo profeta, lo adempie anche con le sue parabole.

Infine, il Salmo 49:4: "Darò ascolto al proverbio e porrò il mio problema al suono della cetra". Questo versetto rafforza ancora una volta l'idea che i proverbi e gli indovinelli sono una forma di comunicazione con Dio. Gesù, in quanto Figlio di Dio, usava le parabole in modo simile, rivelando verità spirituali attraverso storie semplici che invitavano alla riflessione e alla comprensione.

Questi passaggi illustrano che l'uso delle parabole è una forma frequente di espressione e comunicazione divina, che porta gli ascoltatori a cercare la verità, a discernere e a riflettere profondamente. In questo senso, l'uso delle parabole da parte di Gesù è il modo migliore per rivelare i misteri del Regno di Dio e per manifestare la sua condizione di Figlio di Dio.

Altre profezie messianiche realizzate

In modo più indiretto, troviamo altre profezie che ci suggeriscono come il Messia avrebbe predicato e che anche Gesù realizza in qualche modo. Vediamone alcune.

Isaia 42,1-4: "Ecco il mio servo, che io sostengo; il mio eletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ho posto il mio spirito su di lui; egli manifesterà la giustizia alle nazioni. Non griderà, non griderà, non griderà per le strade. La canna ammaccata non si spezzerà, lo stoppino tremolante non si spegnerà. Manifesterà la giustizia con la verità. Non vacillerà né si spezzerà, finché non stabilirà la giustizia nel Paese. Nella sua legge le isole attendono".

Anche se il testo non parla esplicitamente di parabole, questo passo profetico descrive il carattere del servo del Signore, il Messia. Così vediamo che le parabole di Gesù sono presentate come storie quotidiane in un linguaggio semplice e accessibile: "Non griderà, non griderà, non griderà per le strade", e si rivolge a coloro che sono di umile condizione: "La canna ammaccata non la spezzerà, lo stoppino vacillante non lo spegnerà".

Proverbi 1, 6: "capire i proverbi e i detti, i detti dei saggi e gli indovinelli". Il proverbio suggerisce che la comprensione della saggezza non è immediata, ma richiede un processo graduale di apprendimento e riflessione.

Allo stesso modo, anche le parabole di Gesù possono essere viste come una forma di rivelazione graduale. Non tutti afferrano il pieno significato delle parabole fin dall'inizio. Coloro che sono disposti ad ascoltare attentamente e a cercare la saggezza possono arrivare a comprendere le profonde verità che Gesù trasmette attraverso di esse. Sebbene Proverbi 1:6 non si riferisca specificamente alle parabole, stabilisce dei principi che illuminano il modo di predicare di Gesù.

Conclusione

Possiamo concludere che Gesù ha usato le parabole nel suo insegnamento per svolgere una duplice funzione. In primo luogo, per rivelare i misteri del regno di Dio ai suoi discepoli e per nasconderli a coloro che avevano il cuore indurito. Ma anche, così facendo, realizzava le profezie messianiche e, inoltre, rivelava il suo status divino di Figlio di Dio.

L'autoreRafael Sanz Carrera

Dottore in Diritto Canonico

Cultura

Guy Consolmagno: "Abbiamo un'idea molto piccola di Dio".

La Specola Vaticana ospita un incontro internazionale per celebrare l'eredità di padre Georges Lemaître, il sacerdote belga che formulò il modello del Big Bang per l'espansione dell'universo.

Hernan Sergio Mora-18 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

L'astronomo americano P. Guy Consolmagno, direttore dal 2015 dell'osservatorio astronomico della Santa Sede, l'Osservatorio astronomico della Santa Sede. Specola Vaticanaha presieduto la presentazione di un evento che si terrà dal 17 al 21 giugno a Castel Gandolfo, dal titolo "Black Holes, Gravitational Waves and Space-Time Singularities".

Consolmagno, dottore di ricerca in Planetologia presso il Laboratorio Lunare e Planetario Laureato all'Università dell'Arizona, ha insegnato all'Harvard College Observatory e al MIT. Nel 1989 è entrato nella Compagnia di Gesù e nel 1991 ha preso i voti come Fratello coadiutore.

Dopo la presentazione nella sala stampa della Santa Sede, l'astronomo americano ha assicurato all'Omnes che questo evento "è molto importante per il mondo della scienza".

Tra le altre ragioni, ha sottolineato l'astronomo, "perché offre l'opportunità di discutere tanti punti di vista, tante domande: la vera natura dello Spazio e del Tempo; come conciliare le leggi della Meccanica Quantistica con la Relatività Generale di Einstein, che regola il comportamento del campo gravitazionale nei primi istanti dell'Universo; le singolarità spazio-temporali; la natura del nostro Universo".

Inoltre, ha proseguito, "è importante anche per il Vaticano perché mostra al mondo che è molto aperto alle opinioni della scienza, purché la scienza indichi la verità, perché nella verità c'è Dio".

La nostra idea di Dio

"Abbiamo un'idea troppo piccola di Dio", ha detto lo scienziato, anche se "possiamo parlare allo stesso tempo di Dio come padre", ribadendo che la nostra "visione è piccola perché Lui è il creatore di tutto questo e anche di più di quanto potremmo mai immaginare".

Questo è difficile per noi", ha riconosciuto l'astronomo, "e allo stesso tempo, in astronomia, ci troviamo di fronte a questa realtà: l'universo è più grande di quanto sappiamo", anche se questo "Dio incredibilmente grande è molto vicino a noi".

Ha anche assicurato che "questa idea, che sembra molto moderna, si trova già nel Salmo 8". Infatti, il Magistero della Chiesa vede nel Salmo 8 un invito a riconoscere l'opera di Dio nella creazione e a lodare il suo nome per la dignità conferita all'uomo, chiamato a curare e valorizzare responsabilmente il creato.

Signore nostro Dio", inizia il Salmo 8, "quanto è grande il tuo nome su tutta la terra! Hai esaltato la tua maestà al di sopra dei cieli.

Sull'apparente contraddizione tra l'uomo fatto a immagine di Dio e l'immensità dell'universo, lo scienziato ritiene che questa spiegazione "sia più una sorta di poesia che una contraddizione. Per le cose troppo grandi per essere spiegate e contenute nelle parole, usiamo la poesia. Sapendo che la poesia usa immagini che, più che spiegare la realtà, mostrano dove si trova la realtà".

Partecipanti all'evento

Tra i 40 partecipanti all'incontro figurano i premi Nobel Adam Riess e Roger Penrose; i cosmologi e fisici teorici Andrei Linde, Joseph Silk, Wendy Freedman, Licia Verde, Cumrun Vafa e il vincitore del Premio Nobel per la Fisica e del Premio Nobel per la Fisica. Medaglia FieldsEdward Witten.

La conferenza, che celebra l'eredità scientifica del vescovo, è stata organizzata in collaborazione con l'Università di Roma. Georges Lemaîtreil fisico belga che sviluppò quella che oggi è nota come la teoria della Big Bangè il secondo di questo tipo che si svolge presso la Specola Vaticana; il primo è stato nel 2017.

L'autoreHernan Sergio Mora

Stati Uniti

Si conclude la plenaria di primavera dei vescovi statunitensi

Il 14 giugno 2024 si è conclusa la riunione estiva della Conferenza episcopale degli Stati Uniti. Tra i temi discussi dall'episcopato, la rinascita eucaristica, la beatificazione di Adele Brise e un piano per il ministero indigeno.

Gonzalo Meza-18 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Dal 12 al 14 giugno si è svolta a Louisville, nel Kentucky, l'Assemblea di primavera della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (USCCB).USCCB). Durante l'incontro, i presuli hanno discusso di questioni importanti per la Chiesa nordamericana, tra cui il Sinodo sulla sinodalità, la Rinascita eucaristica e il Congresso eucaristico nazionale (che si terrà a Indianapolis, Indiana, dal 17 al 21 luglio). I vescovi hanno anche approvato un documento per la pastorale indigena e hanno votato per portare avanti la causa di beatificazione e canonizzazione di Suor Adele Brise.

Parlando dell'iniziativa "Eucharistic Revival", il nunzio apostolico negli Stati Uniti, l'arcivescovo Christophe Pierre, ha parlato del rapporto tra devozione eucaristica e servizio. Ha anche aggiunto che le ferite della Chiesa non devono essere nascoste, ma devono essere curate da Cristo.

"Siamo consapevoli delle ferite più evidenti nella Chiesa: lo scandalo degli abusi, la piaga dell'indifferenza verso i poveri, la fede immersa in una cultura secolarizzata, la polarizzazione e la divisione - anche tra quelli di noi che sono impegnati con Cristo e la sua Chiesa. Queste ferite e sofferenze non sono semplicemente idee astratte", ha detto. In questo senso, il vescovo Pierre ha sottolineato che l'Eucaristia è la fonte di guarigione per queste ferite, in quanto è una medicina potente.

Ministero indigeno

Durante questo incontro, i vescovi nordamericani hanno anche approvato un quadro pastorale per il ministero indigeno intitolato "Mantenere la sacra promessa di Cristo", che mira a "promuovere la riconciliazione e la guarigione, celebrando l'amore di Dio per i popoli indigeni e promuovendo l'unità nella fede e nell'amore per Cristo".

Il tema della guarigione e della riconciliazione è il capitolo di apertura. I vescovi riconoscono i traumi subiti dai popoli nativi non solo con l'arrivo degli esploratori e l'espropriazione delle loro terre, ma anche con il sistema di collegi per bambini attuato dal governo nordamericano nel XIX secolo, in base al quale gli indigeni venivano allontanati con la forza dalle loro famiglie per entrare in questi istituti.

Questo sistema è durato 150 anni e dei circa 500 collegi, 87 erano gestiti dalla Chiesa cattolica. "Molte popolazioni indigene non si sono mai riprese completamente da queste tragedie, che spesso hanno portato a case distrutte da dipendenze, abusi domestici, abbandono e negligenza. La Chiesa riconosce di aver avuto un ruolo in questi traumi vissuti dai bambini indigeni", si legge nel documento, aggiungendo che "i sacramenti, specialmente l'Eucaristia, servono come rimedio primario per guarire le ferite del passato". Attualmente ci sono più di 340 parrocchie che si occupano del ministero dei nativi americani.

Adele Brise

Durante questa sessione i vescovi hanno anche approvato di portare avanti la causa di beatificazione e canonizzazione a livello diocesano della suora Adele Brise, nata nel gennaio 1831 in Belgio ma emigrata con la sua famiglia a Champion, nel Wisconsin, nel 1855, dove ha vissuto fino alla sua morte nel 1896. 

Nel 1859 Adele riferì di aver avuto delle apparizioni di una donna vestita di bianco che identificò come Maria, Regina del Cielo e che le disse: "Raduna i bambini di questo Paese e insegna loro ciò che devono sapere per la salvezza: il catechismo, come farsi il segno della croce e come accostarsi ai sacramenti. Questo è ciò che voglio che facciate. Vai e non temere nulla, io ti aiuterò". Questo fu l'inizio della missione di Adele, che presto avrebbe riunito un gruppo di donne laiche per abbracciare la vita religiosa e dedicarsi all'insegnamento. Queste apparizioni mariane hanno ricevuto l'approvazione del Vescovo della Diocesi di Green Bay nel 2010 e il luogo delle apparizioni è stato designato nel 2015 come Basilica Nazionale di Nostra Signora del Campione.

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Cultura

José Antonio Rosas Amor. Portare la fede in politica

Padre di famiglia e uomo politico impegnato, il messicano José Antonio Rosas Amor dirige il Accademia della leadership cattolicaattraverso il quale vuole formare politici coerenti con la fede che contribuiscano allo sviluppo della società. 

Juan Carlos Vasconez-18 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Nel trambusto della vita politica, dove le voci si intrecciano in accesi dibattiti e le agende sembrano sopraffatte dalle urgenze del momento, emerge una figura che cerca di unire due mondi apparentemente divergenti: la fede e la politica. È José Antonio Rosas Amor.

José Antonio, laico messicano, padre di famiglia e politico convinto, è responsabile di una missione unica: "Invitare i politici cattolici a svolgere un ruolo più attivo nella promozione del benessere sociale, ispirandosi ai principi della Dottrina sociale della Chiesa"..

José Antonio dirige l'Accademia dei leader cattolici (www.liderescatolicos.net) che sta cercando "per formare una nuova generazione di Cattolici latinoamericani con responsabilità politiche e sociali per trasformare il volto del continente al servizio dei suoi popoli, alla luce del Magistero della Chiesa e in vista dei Giubilei del V Centenario di Guadalupe e dei duemila anni della redenzione.

Fin dall'infanzia, José Antonio è stato testimone della presenza divina nella sua vita. Cresciuto da una madre single che lo ha istruito in una fede semplice ma profonda, ha imparato fin da giovane "Il valore della fiducia nella provvidenza".. Sua madre, una negoziante con un negozio modesto, ma con un grande buon senso e un senso soprannaturale, gli inculcò l'importanza di abbandonarsi sempre alla volontà di Dio.

Incontri significativi

Il suo percorso, come lui stesso sottolinea, è stato segnato da incontri significativi. Uno dei più memorabili è stato quello con Fratel Miguel Martínez, un punto di riferimento del movimento. scout in Messico, che gli ha dedicato tempo e sforzi per guidarlo nel suo cammino spirituale. 

Fra Miguel sapeva trasmettere la passione per Gesù e per la sua Chiesa e da questo religioso José Antonio imparò a trovare il punto di vista soprannaturale nella sua vita ordinaria, a sviluppare la naturalezza di chi è abituato a trattare Dio e gli angeli con la stessa confidenza con cui si tratta un buon amico.

José Antonio ricorda che in un'occasione, circa 30 anni fa, quando i telefoni cellulari non esistevano, "Uno dei capi degli scout dell'America Latina aveva urgente bisogno di parlare con Fratel Miguel. Gli telefonò dal suo ufficio e gli fu detto che il religioso era fuori dalla sua auto da diverse ore, che era in viaggio verso un'altra città e che probabilmente aveva ancora circa sei ore di viaggio. Questa risposta lo lasciò indifferente; aveva urgentemente bisogno del consiglio di fra Miguel per prendere una decisione importante che non poteva aspettare. Mezz'ora dopo squillò il telefono, prese la chiamata, era don Miguel: "Che fortuna, ti stavamo cercando". Don Miguel rispose: "Ero per strada e il mio angelo custode mi ha detto che mi stavate cercando. Così alla prima occasione ho parcheggiato e vi sto chiamando". Questo è un esempio della naturalezza del soprannaturale".

Formazione alla leadership

La vocazione di José Antonio si è cristallizzata in giovane età, quando ha scoperto la sua vocazione alla politica come espressione della sua identità cristiana. Il suo obiettivo principale è "formare cattolici impegnati che partecipino alla vita politica in una prospettiva di incontro e di unità, seguendo gli insegnamenti dei Papi, in particolare di Papa Francesco, che sottolinea l'importanza di essere segni di unità in un mondo polarizzato".

Con una passione ardente e una fede incrollabile, José Antonio cerca di trasmettere vicinanza, di insegnare ai cattolici a vivere con coerenza la loro fede in politica, ricordando loro che l'impegno sociale e politico può essere un modo per incontrare Dio e il prossimo.

Il suo lavoro ispira molti ad abbracciare una visione più inclusiva e umanitaria della politica, dove la fede non è un ostacolo, ma una luce guida verso un bene comune più grande. In un mondo che ha bisogno di speranza e coesione, la voce di José Antonio Amor risuona come un'eco di solidarietà e amore in azione.

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Attualità

Il "Comitato sinodale" tedesco continua a sfidare il Vaticano

Quasi tutti i vescovi tedeschi hanno partecipato all'ultima riunione del "Comitato sinodale" tedesco prima dell'estate, in cui sono state istituite tre "commissioni", una delle quali preparerà il cosiddetto "Concilio sinodale", ripetutamente vietato dal Vaticano.

José M. García Pelegrín-17 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Venerdì e sabato scorsi si è riunito a Magonza il "Comitato sinodale" tedesco, composto da 74 membri: i 27 vescovi titolari, i 27 rappresentanti del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK) e altri 20 membri eletti dall'assemblea plenaria del "Cammino sinodale"; le risoluzioni vengono approvate con una semplice maggioranza di due terzi.

Tuttavia, dei 27 vescovi titolari, quattro - il card. Rainer Woelki (Colonia) e i vescovi Gregor Maria Hanke OSB (Eichstätt), Stefan Oster SDB (Passau) e Rudolf Voderholzer (Regensburg) - hanno deciso di non partecipare. Secondo gli organizzatori, 64 di questi 74 membri erano presenti a Magonza.

Il Vaticano ha ripetutamente messo in dubbio "l'autorità che la Conferenza episcopale (DBK) avrebbe di approvare gli statuti" di tale Comitato, in quanto né il Codice di Diritto Canonico né lo Statuto della DBK "ne forniscono la base".

Come si ricorderà, sia in un lettera del 16 gennaio 2023 come in un altro dei 16 febbraio 2024I principali cardinali della Santa Sede hanno ricordato che un Concilio sinodale "non è previsto dal diritto canonico vigente e, pertanto, una tale risoluzione della DBK sarebbe invalida, con le relative conseguenze giuridiche".

Per questo motivo, i vescovi tedeschi hanno dichiarato che avrebbero sottoposto all'approvazione del "Comitato sinodale" il loro lavoro. approvazione della Santa Sede e che gli incontri continueranno a tenersi in Vaticano. La data della prossima visita dei vescovi tedeschi a Roma non è ancora stata fissata.

Tuttavia, durante la conferenza stampa iniziale, il presidente della DBK, il vescovo Georg Bätzing, ha dichiarato che "il Comitato sinodale conta sul sostegno di tutti i membri della DBK". andare [Approvazione del Cardinale Segretario di Stato e dei Cardinali interessati".

Questa dichiarazione è stata messa in discussione dall'iniziativa laica "Nuovi inizi", che da anni critica la deriva del "Cammino sinodale" e ora del "Comitato sinodale". La scorsa settimana hanno inviato una domanda formale al Dicastero vaticano per i Vescovi sulla legalità di queste attività della DBK e della ZdK.

Inoltre, durante la riunione del "Comitato sinodale", il canonista di Tubinga Bernhard Sven Anuth - presentato come "critico costruttivo" del Cammino sinodale - ha esposto la situazione canonica o, per dirla con le parole di Dorothea Schmidt nel settimanale cattolico "Die Tagespost", quella "che cardinali di curia, canonisti e il Papa stanno cercando di far capire alla Chiesa cattolica in Germania dal 2019": "se Roma ha detto che 'né il Cammino sinodale, né un organismo da esso nominato, né una conferenza episcopale hanno l'autorità di istituire il 'Consiglio sinodale' a livello nazionale, diocesano o parrocchiale'", allora qualsiasi tentativo di farlo sarebbe anche "invalido secondo il diritto canonico"". Thomas Schüller, canonista di Münster e membro del "Comitato sinodale", è d'accordo con lui: "Alla fine, sono il vescovo e il Papa a decidere".

Sebbene l'intervento di Bernhard Anuth abbia chiarito che non ci sarà alcuna "codecisione dei laici" e che è esclusa l'approvazione vaticana di una "presunta parità" tra vescovi e laici, molti membri del "Comitato" si sono espressi a favore di "essere coraggiosi e di esplorare o addirittura superare i limiti del diritto canonico".

Il "Comitato sinodale" - secondo le parole del presidente della DBK - metterà in atto e svilupperà ulteriormente "i ricchi frutti delle cinque assemblee sinodali". A tal fine, sabato sono stati istituiti tre gruppi di lavoro, le cosiddette commissioni: una di esse sarà dedicata alle iniziative del "Cammino sinodale" che, per motivi di tempo, non hanno potuto essere trattate nel Cammino sinodale, come "la nuova morale sessuale" o "i diritti decisionali dei laici"; una seconda commissione valuterà le risoluzioni approvate nel Cammino sinodale e la terza preparerà il Consiglio sinodale. Ciascuna commissione è composta da dieci membri del "Comitato sinodale". La prossima riunione del Comitato sinodale è prevista per metà dicembre a Wiesbaden.

Un nuovo incontro dei rappresentanti della DBK con i dicasteri vaticani, concordato durante l'ultima visita dei vescovi tedeschi a Roma nel mese di marzo, non è ancora stato fissato, ma si dice che potrebbe avvenire prima della fine di giugno.

Ecologia integrale

Le radici del divorzio tra scienza moderna e religione cristiana

La separazione, o anche l'apparente scontro, tra fede e progresso scientifico non ha alcuna consistenza reale. Basta guardare le convinzioni di molti dei più grandi scienziati della storia e l'impulso che la loro fede ha dato alla ricerca scientifica. Il "divorzio" moderno tra scienza e fede deriva dalla dimenticanza, da parte di entrambe, delle chiavi e delle premesse del loro necessario rapporto. 

Juan Arana-17 giugno 2024-Tempo di lettura: 10 minuti

Il rapporto tra la scienza moderna e la religione cristiana sembra essere circondato da un alone di conflitto che condiziona tutto ciò che viene detto al riguardo. È così che viene visto da chi è convinto che ci sia qualcosa di fondamentalmente sbagliato nell'una o nell'altra: gli scientisti ritengono che la scienza moderna monopolizzi la verità, per cui tutte le religioni devono necessariamente essere false, tranne in ogni caso una loro versione scientifica, come la "religione dell'umanità" che Auguste Comte cercò di fondare nel XIX secolo. Allo stesso tempo, ci sono cristiani che contrattaccano ricordando lo scarso successo di tali tentativi: essi vedono nella scienza al massimo una manciata di verità secondarie, che vanno legate strettamente per non assolutizzarle, una tentazione sempre in agguato. 

Ho dedicato la maggior parte dei miei sforzi a esaminare la storia del rapporto tra la scienza moderna e la religione cristiana. Devo dire che non sono d'accordo con entrambe le posizioni. Non mi affido a una semplice intuizione: mi sono preso la briga di coordinare un gruppo di specialisti per analizzare l'atteggiamento pro, anti o a-religioso di una selezione di 160 personalità di spicco in tutti i campi della conoscenza positiva dall'inizio del XVI secolo alla fine del XX. Le nostre conclusioni sono categoriche: durante il XVI, XVII e XVIII secolo, praticamente tutti erano pro-, anti- o a-religiosi. tutti i creatori della nuova scienza erano credenti. Non erano solo allo stesso tempo scienziati e Cristiani, ma il lavoro che svolgevano era quasi sempre a sfondo religioso, tanto che sono riusciti a diventare ricercatori di alto livello. perché erano cristiani (qualcosa di simile si può dire in generale degli studiosi di secondo e terzo livello). 

Nel XIX secolo, un periodo in cui la scristianizzazione degli intellettuali europei (soprattutto dei filosofi) era avanzata in modo molto significativo, gli scienziati erano ancora per la maggior parte uomini di fede: 22 su 32 della nostra selezione. E quelli che aderirono alla religione non erano proprio i meno rappresentativi: comprendevano nientemeno che Gauss, Riemann, Pasteur, Fourier, Gibbs, Cuvier, Pinel, Cantor, Cauchy, Dalton, Faraday, Volta, Ampère, Kelvin, Maxwell, Mendel, Torres Quevedo e Duhem: i migliori tra i matematici, gli astronomi, i fisici, i chimici, i biologi, i medici e gli ingegneri dell'epoca. 

Sappiamo tutti che nel XX secolo la disaffezione spirituale è diventata un fenomeno di massa. Ciononostante, l'opzione religiosa rimane la più popolare tra i grandi scienziati: 16 su 29 la cui appartenenza non è in dubbio. Ancora una volta, i cristiani non sono affatto un gruppo marginale: Planck, Born, Heisenberg, Jordan, Eddington, Lemaître, Dyson, Dobzhansky, Teilhard de Chardin, Lejeune, Eccles...

Illuminismo e secolarizzazione

I dati sono sempre interpretabili; possiamo presentarli in un modo o nell'altro e rigirarli a piacimento. Tuttavia, a parte i sofismi e la retorica, è difficile evitare le seguenti conclusioni:

1ª. La scienza moderna è nata e cresciuta nell'Europa cristiana e non proprio per opera di minoranze dissidenti, ma per mano di persone saldamente legate a quella tradizione (Copernico, Képler, Galileo, Cartesio, Huygens, Boyle, Bacone, Newton, Leibniz, ecc. ecc.)

2ª. Non esiste un unico "Illuminismo", cioè un unico movimento deciso a promuovere lo sviluppo della ragione e il miglioramento dell'umanità attraverso il libero uso delle facoltà intellettuali secondo un ideale emancipatorio. È vero che esiste un illuminismo antireligioso (quello di Diderot, La Mettrie, d'Holbach ed Helvetius) e anche un illuminismo anticristiano (quello di Voltaire, d'Alembert, Federico II o Condorcet). Ma accanto a loro c'è anche un altro Illuminazione cristiana, l'unica che ha portato la scienza moderna alla sua definitiva maturazione, sia all'interno della Spagna (Feijóo, Mutis, Jorge Juan...) sia al di fuori di essa (Needham, Spallanzani, Maupertuis, Eulero, Herschel, Priestley, Boerhaave, Linneo, Réaumur, Galvani, von Haller, Lambert, Lavoisier...). 

3ª. Il processo di secolarizzazione che ha avuto luogo nel mondo occidentale durante la modernità. in qualsiasi modo è stato causato dall'ascesa della nuova scienza, ma piuttosto dalla ritardato per essa. La comunità scientifica, sia nella sfera dei grandi creatori che in quella dei modesti lavoratori della conoscenza, è sempre stata (e lo è ancora oggi) più pio del loro ambiente sociale. 

4ª. Se vogliamo trovare le cause storico e sociologico del moderno processo di secolarizzazione (tralasciando per il momento la secolarizzazione specifica). spirituale), esistono alternative molto più credibili all'attribuzione allo sviluppo della razionalità scientifica. La prima è la divisione delle chiese cristiane dopo la Riforma protestante e lo scandalo delle successive guerre di religione. Paul Hazard e molti altri hanno sottolineato la crisi di coscienza che si verificò in tutti i Paesi in cui la perdita dell'unità religiosa minava le basi stesse della convivenza sociale (soprattutto in Francia, Inghilterra e Germania). Un aneddoto su un milione illustra il fenomeno: nel 1689 Leibniz stava attraversando la laguna di Venezia. I barcaioli (che non si aspettavano che il tedesco capisse l'italiano) progettarono di assassinarlo, poiché, in quanto eretico, non ci vedevano nulla di male: anzi, era un'azione lodevole e redditizia. Leibniz si salvò tirando fuori dalla tasca un rosario e iniziando a pregare, pratica che dissuase gli sgherri dalle loro cattive intenzioni: la storia del Buon Samaritano non era allora considerata un modello da seguire. 

La scristianizzazione di filosofi, letterati e intellettuali era intimamente legata alla perdita di un terreno religioso comune. Tragicamente, essi erano impotenti a porre rimedio agli innegabili mali che affliggevano la Chiesa e a impedire la frammentazione della Riforma in innumerevoli confessioni. Lo illustro ancora una volta con un esempio: il grido disperato di Erasmo da Rotterdam per l'incapacità dei suoi contemporanei di unirsi intorno ai misteri della fede, invece di esacerbare gli odi: "... la fede della Chiesa non era un mistero.Abbiamo definito troppe cose che avremmo potuto ignorare o trascurare senza mettere in pericolo la nostra salvezza... La nostra religione è essenzialmente pace e armonia. Ma queste non potranno esistere finché non ci rassegneremo a definire il minor numero possibile di punti e a lasciare ognuno al proprio giudizio in molte cose. Molte questioni sono state rimandate al Concilio Ecumenico. Sarebbe molto meglio rimandarle al momento in cui lo specchio e l'enigma saranno svelati e vedremo Dio faccia a faccia"..

Il fallimento dei teologi dell'epoca è patetico. Le soluzioni proposte dai filosofi puri, come la definizione di una religione puramente naturale, il placare gli animi con la pura e semplice "larghezza di vedute" o la ricerca di valori secolari alternativi a sostegno della vita individuale e collettiva, si sono rivelate inattuabili o catastrofiche. Al contrario, i pionieri della nuova scienza hanno avuto un atteggiamento molto più costruttivo ed efficace: si sono attenuti agli articoli fondamentali della fede senza cercare di distorcerli o di trasformarli in un'arma da usare contro gli altri. Ritenevano - a ragione - che il compito di decifrare gli enigmi dell'universo favorisse la pietà, ponesse rimedio alle miserie materiali dell'esistenza e, non ultimo, unisse gli animi invece di seminare discordia.

Colpisce l'ecumenismo mostrato da questi personaggi fin dall'inizio: un ecumenismo buono, non basato sul rifiuto dei dogmi in discussione, ma sull'impegno ad aggiungere nuove verità ai preamboli della fede, che alimentava l'ammirazione per la potenza e la sapienza di Dio, accrescendo al contempo il rispetto per l'uomo, la creatura più eccelsa dell'universo. Ci sono esempi davvero toccanti: il canonico Copernico rimase fedele alla Chiesa cattolica in mezzo alle turbolenze; decise di pubblicare la sua grande opera astronomica solo su insistenza del suo vescovo, la dedicò al Papa regnante (che ne apprezzò il dettaglio), si avvalse dei servizi del giovane astronomo riformato Rhaetius per portarla a termine e trovò un editore nella luterana Norimberga. Le autorità teologiche locali non ebbero problemi ad autorizzare la stampa del libro che un cattolico polacco offriva al pontefice romano. È sorprendente che il cattolico Cartesio abbia vissuto e composto la sua grande opera scientifica nell'Olanda protestante, o che il luterano Keplero sia sempre stato al servizio dei monarchi cattolici. 

Sotto il patronato cattolico

Non si trattava di casi isolati: le prime accademie scientifiche europee fungevano da rifugio per le minoranze religiose perseguitate. E dietro di loro non c'era certo un atteggiamento indifferente nei confronti della religione: Cartesio era in cordiale corrispondenza con Elisabetta di Boemia, la principessa che era stata la causa della terribile Guerra dei Trent'anni. Quando questa osò attaccare le convinzioni del matematico e filosofo francese (citando un caso di conversione al cattolicesimo, presumibilmente per interesse), egli reagì con fermezza e tatto: "Non posso negarle che sono rimasto sorpreso nell'apprendere che Vostra Altezza è stata disturbata [...] da qualcosa che la maggior parte delle persone troverà buono [...]. Infatti, tutti coloro che appartengono alla religione a cui appartengo (che senza dubbio sono la maggioranza in Europa) sono tenuti ad approvarla, anche se hanno visto circostanze e motivi apparentemente riprovevoli; perché crediamo che Dio usi vari mezzi per attirare le anime a sé, e che chi è entrato nel chiostro con un'intenzione malvagia abbia poi condotto una vita estremamente santa. Quanto a coloro che sono di un'altra fede, [devono considerare] che non sarebbero della religione che sono se essi, o i loro genitori, o i loro antenati, non avessero abbandonato la romana, [così che] non potranno chiamare volubili coloro che abbandonano la loro".

Il già citato Leibniz non solo fu ben accolto quando visitò il Vaticano, ma gli fu offerta la direzione della sua biblioteca se fosse tornato alla sua fede ancestrale. Leibniz declinò l'offerta, perché non riteneva giusto cambiare religione per un vantaggio mondano, ma soprattutto perché si stava impegnando a fondo (prima con il vescovo Rojas Spinola e poi con Bossuet) per realizzare la riunificazione di luterani e cattolici in un concilio ecumenico, che non ebbe luogo nonostante l'appoggio papale, perché contrario agli interessi del re di Francia, Luigi XIV. 

Quest'ultimo esempio ci porta al punto cruciale: i conflitti che sono sorti tra le istituzioni ecclesiastiche e gli studiosi della natura, come i casi di Galileo e dell'Inquisizione romana, o quello di Serveto e Calvino. 

Il "caso Galileo 

Su di essi (soprattutto sul primo) e sulla tesi di un inevitabile conflitto tra sfera religiosa e scientifica sono stati versati fiumi di inchiostro. Non è possibile discuterne in modo approfondito ora, ma vale la pena di fare alcune osservazioni su cui quasi tutti gli studiosi concordano serio. In primo luogo, sono stati eventi molto importanti, sia per la Chiesa cattolica che per le altre confessioni cristiane. 

La storiografia positivista/scientista del XIX secolo (così come i suoi postumi che hanno avuto fino ad oggi su tutti coloro che hanno scritto in obbedienza a slogan o mediati dall'ideologia) ha preso la disputa su Galileo come vessillo per dimostrare una presunta guerra (non certo "santa") tra scienza e religione. Questa è la forma più abusiva di induzione che io conosca: salta direttamente da uno all'infinito. Perché ci sia una guerra di questo tipo, dovrebbe essere possibile allungare la lista degli scienziati famosi (o anche solo rispettabili) che sono stati oppressi. per le tesi scientifiche che difendevano. A titolo di semplice contestualizzazione, vale la pena ricordare che per tutto il XVII secolo l'elenco degli scienziati famosi, solo all'interno dell'ordine dei gesuiti, comprende, tra gli altri, i seguenti nomi: Stéfano degli Angeli, Jacques de Billy, Michal Boym, José Casani, Paolo Casati, Louis Bertrand Castel, Albert Curtz, Honoré Fabri, Francesco Maria Grimaldi, Bartolomeu de Gusmão, Georg Joseph Kamel, Eusebio Kino, Athanasius Kircher, Adam Kochanski, Antoine de Laloubère, Francesco Lana de Terzi, Théodore Moretus, Ignace-Gaston Pardies, Jean Picard, Franz Reinzer, Giovanni Saccheri, Alfonso Antonio de Sarasa, Georg Schönberger, Jean Richaud, Gaspar Schott, Valentin Stansel e André Tacquet. 

Inoltre, c'è il fatto incontrovertibile che sia Galileo che Servetus erano, contemporaneamente a uomini di scienza, uomini di fede, tanto attaccati (o più) alle proprie convinzioni religiose quanto quelli che li condannavano. In terzo luogo, ricerche più recenti e autorevoli, come quelle di Shea e Artigas, hanno stabilito senza ombra di dubbio che queste "persecuzioni" molto specifiche e limitate erano dovute a considerazioni tattiche legate all'esercizio del potere e alla strategia politica, se non a puri e semplici rancori personali. I membri della Chiesa, anche nelle sfere più alte, non sono mai stati esenti da vizi e peccati, a maggior ragione in un'epoca come quella in cui i principali gerarchi esercitavano un potere e una ricchezza di cui erano fortunatamente (sarebbe meglio dire "la Chiesa") non solo i più potenti ma anche i più ricchi: provvidenzialmente) sono stati eliminati nel corso del tempo. Tuttavia, va detto che durante l'ascesa della modernità essi peccarono molto più spesso e molto più gravemente contro le esigenze della religione a cui erano legati che non contro gli interessi della cultura, dell'arte o della scienza. 

In breve, argomentare dal processo a Galileo (per quanto deplorevole) che la Chiesa sarebbe ostile alla nuova scienza sarebbe più o meno come sostenere che gli Stati Uniti sono contrari alla fisica, visto che i loro leader hanno inscenato una sorta di processo al padre della bomba atomica, Oppenheimer, per metterne in dubbio il patriottismo. 

Resta la tesi che la scienza moderna è nata e fiorita con l'incoraggiamento e l'ispirazione di individui che, in proporzione schiacciante, erano ferventi cristiani. È stata una coincidenza? Non credo. Nella tarda antichità i saggi pagani di Alessandria avrebbero potuto intraprendere la strada che mille anni dopo è stata percorsa dai cristiani dell'Occidente. Ma non lo fecero. Perché? Ci sono diverse ragioni convergenti:

1. Al disprezzo olimpico per il lavoro manuale manifestato da Greci e Romani si opponeva il principio "chi non lavora non mangi", formulato da Paolo di Tarso, apostolo della nuova fede, mentre costruiva tende con le proprie mani. Il cristianesimo ha sponsorizzato fin dalle sue origini tutte le occupazioni oneste. Dallo schiavo o dall'operaio fino al re, tutti potevano entrarvi.

2. I pagani non hanno mai concepito un più ultra dell'universo: le loro stesse divinità erano cosmiche. Una condizione di possibilità indispensabile per l'emergere della scienza era la demistificazione dell'universo, cioè l'assoggettamento della natura a una legalità superiore. Anche se ci sono voluti quindici secoli per portare a termine questo compito, sono stati i cristiani i primi a realizzarlo e a trarne le dovute conseguenze.

3. In contrasto con le concezioni cicliche del tempo che dominavano le prime civiltà europee e le culture esotiche, la scienza moderna doveva partire da una concezione lineare. Sono stati anche i cristiani a fornirla. 

4. La nozione di legge naturale è indispensabile per il dispiegarsi della nuova scienza. L'idea di un Dio trascendente, creatore e legislatore, è stata la matrice da cui è emersa. 

5. I pitagorici avevano già concepito il mondo in termini di forme e strutture matematiche. Tuttavia, la maggior parte delle equazioni matematiche sono troppo complesse per essere risolte dalla mente umana. Dio avrebbe potuto certamente creare un universo molto più complicato di questo, ma allora sarebbe stato al di là della nostra comprensione. Oppure uno più meccanicamente perfetto, ma allora sarebbe inabitabile. Non è il minimo contributo della religione aver dato ai ricercatori la convinzione che il mondo sia relativamente semplice da capire, anche se è sufficientemente complesso da contenere esseri sofisticati come noi.

Se la storia che ho raccontato fosse vera, perché oggi gli scienziati cristiani sono una minoranza? La ragione è molto semplice: la nascita della nuova scienza richiedeva un coraggio intellettuale e spirituale che solo il cristianesimo poteva fornire. Una volta avviata e dimostrate le sue enormi potenzialità, non era più necessario essere impregnati dello spirito fondatore. A parte i grandi creatori, gli uomini di scienza non sono di una razza speciale: figli del loro tempo, condividono in genere i valori e le convinzioni dominanti. Sono solo un po' più laboriosi, più realisti, meno cinici e disincantati della media dei loro contemporanei: questa è l'eredità che rimane delle radici cristiane della scienza, un'eredità che potrebbe tuttavia andare perduta se la civiltà attuale persiste nel nichilismo generato dal suo allontanamento da Dio. Non meno triste è il fatto che molti cristiani si siano distaccati dalla scienza come se fosse qualcosa di estraneo o ostile a loro. Ciò si spiega solo con l'ignoranza di come questa grande impresa sia nata e di quale sia la sua vocazione più profonda. Come si può superare questo allontanamento? Scuotendosi dall'indolenza e assumendo una volta per tutte le esigenze che derivano dall'impegno in Cristo.

Vaticano

Papa Francesco riflette sulla "fiduciosa attesa

Nella sua meditazione dell'Angelus, Papa Francesco ha parlato della pazienza del Signore con i fedeli, ispirandosi alla parabola del seme evangelico.

Paloma López Campos-16 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Nella sua meditazione sul AngelusPapa Francesco ha riflettuto sull'"attesa fiduciosa", prendendo spunto dalla parabola del seme del Vangelo del giorno.

Come un seminatore, ha detto il Pontefice, "il Signore deposita in noi i semi della sua Parola e della sua grazia, semi buoni e abbondanti, e poi, senza smettere di accompagnarci, aspetta pazientemente". Durante questo tempo, "il Signore continua a vegliare su di noi, con la fiducia di un Padre". Allo stesso tempo, aspetta perché "è paziente" che "i semi si aprano, crescano e si sviluppino fino a portare il frutto delle opere buone".

Allo stesso tempo, ha spiegato Francesco, agendo in questo modo "il Signore ci dà un esempio: ci insegna anche a seminare il Vangelo con fiducia ovunque ci troviamo e poi a sperare che il seme piantato cresca e porti frutto in noi e negli altri".

In questo senso, il Papa ha assicurato che, molto spesso, "al di là delle apparenze, il miracolo è già in atto e a tempo debito darà frutti abbondanti".

Come di consueto, il Santo Padre ha concluso la sua riflessione ponendo alcune domande per la preghiera personale: "Lascio che la Parola semini in me, semino a mia volta la Parola di Dio con fiducia negli ambienti in cui vivo, sono paziente nell'attesa o mi scoraggio perché non vedo subito i risultati? E affido serenamente tutto al Signore, facendo al contempo del mio meglio per annunciare il Vangelo?

Papa Francesco insiste sulla necessità della pace

Dopo la preghiera dell'Angelus, il Vescovo di Roma ha chiesto un applauso per il nuovo Beato "Michele Rapaz, sacerdote e martire, pastore secondo il cuore di Cristo, testimone fedele e generoso del Vangelo che ha vissuto la persecuzione nazista e sovietica".

Il Papa ha inoltre lanciato un nuovo appello alla pace, ricordando gli "scontri e i massacri che hanno avuto luogo nella parte occidentale della Repubblica Democratica del Congo". Ha anche menzionato i conflitti in Ucraina, Terra Santa, Sudan, Myanmar e "tutti i luoghi dove la gente soffre per la guerra".

Infine, il Papa ha inviato un saluto a tutti "i romani e i pellegrini". Tra i presenti in Piazza San Pietro c'erano "fedeli provenienti dal Libano, dall'Egitto e dalla Spagna", dall'Inghilterra, dalla Polonia, da Carini, Catania, Siracusa e Padova, tra gli altri.

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Mondo

Anja Hoffmann: "La discriminazione contro i cristiani in Europa è aumentata in modo significativo".

In questa intervista con Omnes, Anja Hoffmann, direttore esecutivo dell'OIDAC (Osservatorio contro l'intolleranza e la discriminazione nei confronti dei cristiani in Europa) parla delle difficoltà e delle discriminazioni che i cristiani stanno attualmente affrontando in Europa.

Loreto Rios-16 giugno 2024-Tempo di lettura: 4 minuti

L'Osservatorio contro l'intolleranza e la discriminazione nei confronti dei cristiani in Europa (IOPDAC) è un'organizzazione membro della Piattaforma dell'UE per i diritti fondamentali che indaga sui casi di intolleranza e discriminazione contro i cristiani in Europa e garantisce la libertà di religione e di espressione. Omnes ha intervistato Anja Hoffmann, direttore esecutivo dell'OIDAC.

In termini generali, qual è la situazione attuale per quanto riguarda l'intolleranza verso i cristiani in Europa?

Dalla fondazione dell'Osservatorio contro l'intolleranza e la discriminazione, più di dieci anni fa, i casi di crimini d'odio e discriminazione contro i cristiani sono purtroppo aumentati in modo significativo. Da un lato, sono aumentati gli attacchi contro le chiese, con un incremento di oltre 40% tra il 2021 e il 2022, secondo la nostra ricerca.

D'altra parte, molti cristiani, soprattutto quelli che aderiscono alle tradizionali convinzioni morali cristiane, subiscono crescenti pressioni per esprimere la loro visione del mondo nella sfera pubblica o sul posto di lavoro. Le ostetriche o i medici che si oppongono alla partecipazione a aborti per motivi di coscienza rischiano di perdere il lavoro, poiché molti Stati, tra cui la Spagna, limitano l'obiezione di coscienza nella loro legislazione medica. Gli insegnanti che esprimono la loro convinzione che gli esseri umani sono stati creati come maschi e femmine, e quindi si oppongono a rivolgersi agli alunni con "pronomi alternativi", sono stati sospesi dalle loro scuole. Alcuni cristiani in Europa sono stati addirittura perseguiti per aver espresso opinioni religiose, comprese le scritture bibliche, o arrestati dalla polizia per aver pregato in silenzio nelle cosiddette "zone sicure" intorno alle cliniche abortiste.

Alla luce di queste restrizioni, possiamo dire che la libertà di espressione è ancora protetta in Europa?

Il diritto alla libertà di espressione è sancito dalla legislazione internazionale ed europea sui diritti umani e ha valore costituzionale nella maggior parte dei Paesi. Secondo la legge sui diritti umani, gli Stati sono obbligati a proteggere anche "le idee impopolari, comprese quelle che possono offendere o scioccare" e devono rispettare un limite elevato quando impongono limitazioni alla libertà di espressione.

Nonostante l'alto livello di protezione della libertà di espressione in Europa, osserviamo una tendenza problematica a limitare la libertà di espressione, compresa quella religiosa. Nel tentativo di combattere i discorsi d'odio, alcuni governi hanno introdotto leggi estremamente ampie sui "discorsi d'odio". Tuttavia, criminalizzare i discorsi piuttosto che le azioni ha un effetto negativo sul discorso pubblico democratico. Inoltre, spesso non è chiaro quali discorsi siano da considerarsi "d'odio" e quindi possano essere perseguiti. Questo, a sua volta, genera insicurezza su ciò che si può dire e quindi porta a un alto livello di autocensura. Nel Regno Unito e in Germania, recenti sondaggi d'opinione hanno dimostrato che metà della popolazione non osa dire la propria opinione in pubblico per paura di conseguenze negative.

Le leggi contro l'"hate speech" possono portare alla criminalizzazione di chi non la pensa come il mainstream?

Purtroppo, vediamo esempi di cristiani che vengono criminalizzati per aver espresso le loro convinzioni. Questo colpisce soprattutto i cristiani (o i non cristiani) che esprimono convinzioni tradizionali su questioni morali.

Nel Regno Unito, diversi predicatori sono stati multati o addirittura arrestati dalla polizia per aver letto la Bibbia in pubblico dopo che i passanti avevano riferito di essersi sentiti "angosciati", un reato previsto dalla legge britannica sull'ordine pubblico. In Spagna, lo scorso marzo i media hanno riferito che padre Custodio Ballester è stato convocato da un tribunale provinciale per rispondere alle accuse di un presunto "crimine d'odio" dopo aver criticato l'Islam in una lettera pastorale. In Finlandia, l'ex ministro e attuale deputato Pävi Räsänen è sotto processo presso la Corte Suprema per presunto "incitamento all'odio" in seguito a un tweet biblico che criticava la sponsorizzazione dell'Helsinki Pride da parte della sua chiesa. A Malta, Matthew Grech, giovane cristiano ed ex attivista LGBTIQ, è stato arrestato dopo aver raccontato in un'intervista televisiva la sua esperienza personale di omosessuale e come il cristianesimo abbia cambiato la sua vita. È stato denunciato alla polizia, accusato di violazione della "Legge sull'affermazione dell'orientamento sessuale, dell'identità di genere e dell'espressione di genere" e rischia il processo, con una possibile condanna a cinque mesi di carcere in caso di condanna.

L'elenco continua, ma il denominatore comune è che tutte queste leggi sono estremamente ampie e rendono vulnerabili i cristiani che esprimono le loro convinzioni su questioni morali.

I governi stanno facendo qualcosa per proteggere la libertà religiosa nei loro Paesi?

La maggior parte dei governi europei pensa ai problemi della libertà religiosa solo su scala globale. Anche l'inviato speciale dell'UE per la libertà religiosa si occupa solo di persecuzioni religiose al di fuori dell'UE.

Inoltre, a causa della scarsa alfabetizzazione religiosa dei giornalisti, i media non riportano le restrizioni alla libertà religiosa in Europa. Questo porta a una mancanza di sensibilità dei nostri governi nei confronti degli abusi domestici della libertà religiosa e contribuisce a politiche che erodono la libertà religiosa in nome della protezione di altri interessi umani.

La guerra in Ucraina ha influito sulla libertà religiosa?

Dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, sono aumentati i crimini d'odio contro i cristiani e le restrizioni alla libertà religiosa. Tuttavia, queste questioni sono complesse, poiché si intrecciano con altri elementi come la politica e l'etnia. A febbraio 2023, circa 297 edifici cristiani erano stati distrutti durante la guerra e, a ottobre 2023, 124 dei 295 siti culturali UNESCO danneggiati erano edifici religiosi. Tutte queste cifre indicano un attacco sproporzionato alle chiese.

Anche i leader cristiani che si sono espressi contro la guerra sono stati presi di mira in modo specifico. Recentemente, l'arcivescovo Viktor Pivovarov della Chiesa russa Tichonita della Santa Intercessione è stato minacciato, perseguito, multato e imprigionato per i suoi sermoni che criticavano la guerra. Durante le indagini, le forze russe hanno anche tentato di demolire la sua chiesa in quanto luogo pubblico in cui sono stati commessi crimini contro lo Stato.

L'Europa degli adolescenti

L'Europa attinge alle fonti della cultura greco-romana, del Rinascimento e della Rivoluzione francese, ma il suo volto non sarebbe quello che è senza la tradizione giudaico-cristiana e più specificamente l'umanesimo cristiano.

15 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Carlos Franganillo ha condotto uno spettacolare programma di informazione alla vigilia delle elezioni europee. Dalla Normandia all'Ucraina, da Bruxelles a Washington e dalla Spagna a Lesbo e Atene per parlare del passato e del presente dell'Europa. Ma c'è stata una grande dimenticanza: Roma.

Non avrebbe fatto alcuna differenza se fosse stato realizzato da qualsiasi altra rete, le radici cristiane del vecchio continente sono raramente accennate. Come un adolescente che si vergogna dei suoi genitori in pubblico, la Europa del XXI secolo rinnega coloro che le hanno dato la vita, coloro che l'hanno nutrita, vestita e curata, cercando una nuova identità che la faccia sentire autonoma, indipendente, "più vecchia".

La verità è che, per quanto grandi possiamo essere, il nostro status nel panorama geopolitico globale è sempre più insignificante rispetto alle grandi potenze che attualmente comandano.

Nel suo ruolo di madre, la Chiesa cattolica ha più volte messo in guardia dalle cattive compagnie di questa bambina viziata che, cresciuta nell'ovatta grazie alla ricchezza duramente guadagnata dai genitori, continua a credere di essere superiore agli altri.

Il Vescovo di Roma è arrivato a definire queste amicizie "pericolose colonizzazioni ideologiche, culturali e spirituali" e le accusa di "guardare soprattutto al presente, negando il passato e non guardando al futuro".

Di fronte alla realtà attuale, l'esempio dei padri fondatori del Unione Europeache non si preoccupavano tanto di se stessi, del loro presente, del loro benessere, della loro influenza politica, ma del futuro di tutti dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. E lo hanno fatto senza rinnegare il passato, assumendo i valori cristiani come base del loro progetto.

Gli artefici del Trattato di Roma, che creò la Comunità Economica Europea, germe dell'attuale UE, furono quattro: il francese di origine lussemburghese Robert Schumanil tedesco Konrad Adenauer, l'italiano Alcide De Gasperi e il francese Jean Monnet.

Non a caso, i primi tre si sono basati su profonde convinzioni cristiane per svolgere la loro attività politica, "una delle più alte forme di carità" come la definiranno i papi del XX secolo.

Due di loro sono addirittura considerati "servi di Dio" e sono in via di beatificazione: Schuman e De Gasperi. La loro carità politica, il loro desiderio di amare il prossimo come se stessi, ciascuno nella propria responsabilità di statista, non nascondevano scopi di proselitismo, ma una profonda convinzione democratica e uno scrupoloso rispetto della separazione tra Chiesa e Stato.

Quell'impulso iniziale, basato sui valori evangelici della pace, della solidarietà e della ricerca del bene comune, ha perso slancio quando abbiamo iniziato a dimenticare i legami spirituali e culturali, lasciando solo quelli economici come unico punto di unione.

E secondo la sua esperienza, qual è il motivo principale della rottura di una famiglia ben assortita? Avete capito bene: l'intrusione del denaro, soprattutto in eccesso, come quando arriva un'eredità inaspettata.

Ed eccoci qui, in un'Europa ricca e divisa (la brexit Non è solo un aneddoto), polarizzata agli estremi in base ai risultati delle ultime elezioni e con ben poco di chiaro su cosa voglia essere, su quale sia la sua vocazione oltre a quella di divinizzare l'ideologia dell'influencer del momento.

L'Europa attinge certamente alle fonti della cultura greco-romana, del Rinascimento e della Rivoluzione francese, ma il suo volto non sarebbe quello che è senza la tradizione giudaico-cristiana e più specificamente l'umanesimo cristiano.

È in questo senso che il Papa ha riflettuto qualche giorno fa durante la sua visita in Campidoglio, proprio nel luogo in cui furono firmati i Trattati di Roma. Lì ha affermato che "la cultura romana, che indubbiamente ha sperimentato molti buoni valori, aveva d'altra parte bisogno di elevarsi, di confrontarsi con un messaggio più ampio di fraternità, di amore, di speranza e di liberazione (...) La luminosa testimonianza dei martiri e il dinamismo della carità delle prime comunità di credenti intercettarono il bisogno di ascoltare parole nuove, parole di vita eterna: l'Olimpo non bastava più, bisognava andare al Golgota e alla tomba vuota del Risorto per trovare le risposte all'anelito di verità, giustizia e amore". Non si potrebbe dire di meglio.

In relazione a questo problema dell'Europa adolescenziale, l'altro giorno ho sentito una frase pertinente. Diceva: "genitori che si inginocchiano, figli che si alzano". È attuale perché, oltre a continuare a esercitare il suo ruolo profetico e martellante di buona madre, la Chiesa - che è costituita dall'intera comunità dei credenti - deve pregare, come Santa Monica, per il figlio ribelle.

Speriamo che l'Europa adolescente del dopoguerra possa correggersi in tempo, rialzarsi, ritrovare la propria identità e dire, come abbiamo detto tutti, ricordando la nostra testardaggine adolescenziale, "è vero che mia madre aveva i suoi difetti, ma quanto aveva ragione".

L'autoreAntonio Moreno

Giornalista. Laurea in Scienze della Comunicazione e laurea in Scienze Religiose. Lavora nella Delegazione diocesana dei media di Malaga. I suoi numerosi "thread" su Twitter sulla fede e sulla vita quotidiana sono molto popolari.

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Verso la libertà nella solidarietà

La visione individualista scollega la libertà dal bene comune, dalla solidarietà e dall'amore. Una visione solidale della libertà, invece, la valorizza, perché permette di prendere decisioni più ampie, pensando al bene dell'altro, della comunità politica, dell'umanità.

15 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Nel nostro tempo, una concezione individualistica della libertàL'idea di libertà, che si è sviluppata soprattutto nei corridoi delle università americane, ha identificato l'idea di libertà con la capacità di scegliere.

Secondo questa visione, una vera e propria caramella avvelenata, l'aumento della libertà umana consiste esclusivamente nella creazione di nuovi spazi di scelta. Sono più libero se posso lavorare in qualsiasi Paese dell'Unione Europea che se posso farlo solo nel mio Paese; se posso cambiare sesso quando lo decido che se non posso, o se posso sposare una o più persone appartenenti a uno dei diversi generi affettivi (bisessuale, pansessuale, polisessuale, asessuale, onnisessuale, ecc.) che se è possibile solo l'opzione eterosessuale. Una donna che può decidere di interrompere una gravidanza in piena libertà per motivi illimitati (economici, psicologici, estetici) è considerata più libera rispetto a chi deve giustificarli o rifiutare del tutto l'aborto, a chi può decidere se assumere o meno droghe rispetto a chi non può farlo o a chi può distribuire pornografia senza alcuna restrizione.

Portata alle sue ultime conseguenze, questa visione individualistica della libertà culmina quando lo spazio della propria libertà è conquistato, cioè quando si può decidere di porre fine alla propria vita e quindi alla propria capacità di decidere. In questo modo, il cerchio si chiude perfettamente.

Libertà e indipendenza

Questa visione miope della libertà si basa su un'etica che il suo grande sostenitore, il filosofo americano Ronald Dworkin, ha definito indipendenza etica.. L'indipendenza etica garantisce l'assoluta sovranità personale nell'ambito di quelle che Dworkin chiama questioni fondamentali (vita, sesso, religione, tra le altre), cosicché, in queste materie, una persona non dovrebbe mai accettare il giudizio di un altro al posto del proprio. È qui che risiede la sua dignità.

Per attuare questo modello sociale, le autorità pubbliche devono astenersi dal dettare ai cittadini convinzioni etiche su cosa sia meglio o peggio per ottenere una vita di successo. Poiché la libertà è una questione fondamentale, nessun governo dovrebbe limitarla se non quando è necessario per proteggere la vita (non embrionale, non terminale), la sicurezza o la libertà degli altri (soprattutto per imporre la non discriminazione). Questa concezione individualista cerca a tutti i costi di sradicare qualsiasi tipo di paternalismo etico che possa favorire una scelta rispetto ad altre.

Alla fine Dworkin è caduto involontariamente nella sua stessa trappola. La sua richiesta che le autorità pubbliche si astengano dall'imporre convinzioni etiche ai loro cittadini costituisce, di per sé, l'imposizione di una convinzione etica. A parte questo errore strutturale, che danneggia i pilastri della sua stessa costruzione intellettuale, mi sembra che questo modo di intendere la libertà e l'etica che la sostiene sia enormemente riduzionista, impoverendo così il significato stesso di libertà e moralità. Inoltre, la presunta neutralità etica ricercata da Dworkin è impossibile da raggiungere, data l'intrinseca connessione tra morale e politica.

È vero che la libertà di scelta è una delle espressioni più importanti della nostra libertà umana e come tale deve essere protetta, anche se non in modo assoluto, ma la libertà è più, molto più, della semplice scelta. La libertà si trova anche, e credo in uno stato più puro e sublime, nella capacità di accettare.

In chiave di accettazione

Chi accetta i propri genitori e fratelli, la propria terra e cultura, la propria lingua e storia, la propria malattia, il proprio licenziamento, anche se non lo ha deciso, agisce con una meravigliosa libertà. Agisce con grande libertà chi accetta il fatto di essere nato senza che gli sia stato chiesto, e di lasciare questo mondo senza conoscerne il momento preciso. L'accettazione della realtà così com'è, e soprattutto l'accettazione della realtà fondante, cioè di Dio, della sua paternità e della sua misericordia, è, a mio avviso, il più grande atto di libertà umana, e quello che spalanca le porte dell'Amore.

La visione individualista scollega la libertà dal bene comune, dalla solidarietà e dall'amore. Esiste una connessione intrinseca tra il bene privato e il bene comune, tra la morale privata e quella pubblica, tra l'amore per sé e l'amore per gli altri, perché l'unità dell'amore, del bene e quindi della morale è indistruttibile. Viene dalla fabbrica. Questa unità di amore e di bene significa che il giusto esercizio della libertà è chiaramente solidale, anche se le decisioni possono essere prese su base individuale. Pertanto, una visione solidale della libertà non riduce in alcun modo la libertà individuale, ma piuttosto la potenzia, perché consente un processo decisionale più ampio, pensando al bene degli altri, della comunità politica, dell'umanità, e non solo ai propri interessi. È una libertà fondata sull'amore, che è la fonte della libertà.

Il XXI secolo è stato definito il secolo della solidarietà, così come il XX secolo è stato il secolo dell'uguaglianza e il XIX secolo il secolo delle libertà. È giunto il momento di sviluppare un quadro di riferimento per un'autentica libertà solidale, che è la massima espressione del corretto esercizio della libertà individuale.

L'autoreRafael Domingo Oslé

Professore e titolare della cattedra Álvaro d'Ors
ICS. Università di Navarra.

Mondo

Il Marocco: l’altra sponda d’Europa. Seconda parte

Con questo articolo, Gerardo Ferrara conclude una serie di due articoli su religione, cultura, storia e politica in Marocco.

Gerardo Ferrara-15 giugno 2024-Tempo di lettura: 6 minuti

Quella del Sahara occidentale è una delle controversie territoriali più longeve e complesse della storia contemporanea e rimonta all’epoca coloniale. Questa regione, infatti, costituiva una provincia spagnola conosciuta come Sahara spagnolo e fu rivendicata, nel 1975 (fine del dominio coloniale della Spagna sulla regione), sia dal Marocco che dalla Mauritania.

La questione del Sahara occidentale

La zona è da sempre abitata dal popolo saharawi, che parla la lingua araba hassaniya (una forma particolare di arabo magrebino che si discosta in parte da quello del Marocco) e afferisce al gruppo etno-linguistico dei mori (berberi arabizzati).

Già nel 1973 era stato creato il Fronte Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro) con l’obiettivo di ottenere l’indipendenza della regione. Nel 1975, in seguito alla Marcia Verde (manifestazione di massa organizzata dal governo marocchino per ottenere l’indipendenza della regione saharawi dalla Spagna e l’annessione al Marocco), la Spagna si ritirò dalla zona, che fu poi invasa dal Marocco e dalla Mauritania, il che innescò il conflitto armato con il Fronte Polisario. Nel 1976, quest’ultimo proclamò la nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), riconosciuta da numerosi Paesi e dall’Unione Africana ma non dalle Nazioni Unite.

Nel 1979, la Mauritania rinunciò alle rivendicazioni sul Sahara occidentale, lasciando al Marocco il controllo sulla maggior parte del territorio. Il conflitto si protrasse fino al 1991, quando le Nazioni Unite negoziarono un cessate il fuoco e stabilirono la Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO), con lo scopo di organizzare un referendum che determinasse il futuro del territorio. Tuttavia, tale referendum non si è mai tenuto, per via del disaccordo tra le parti sia riguardo alla composizione dell’elettorato sia alle modalità di voto.

Il Marocco considera a tutt’oggi il Sahara occidentale come parte integrante del proprio territorio e ha implementato una politica di sviluppo e investimento nella regione. D’altra parte, il Fronte Polisario continua a lottare per l’indipendenza e gestisce campi profughi per i saharawi nella vicina Algeria, dove molti rifugiati vivono da decenni (il Marocco è in contrasto con l’Algeria soprattutto a causa di questa questione, poiché l’Algeria sostiene da sempre il Fronte Polisario anche per destabilizzare il vicino).

Negli ultimi anni vi sono stati significativi sviluppi diplomatici, come il riconoscimento da parte degli Stati Uniti della sovranità marocchina sul Sahara occidentale nel 2020, in cambio della normalizzazione delle relazioni tra il Marocco e Israele. Comunque, la comunità internazionale rimane divisa sulla questione, e il futuro del Sahara occidentale è più che mai incerto.

Gli ebrei del Marocco

Nel 1764 il re Mohammed III ordinò a molte famiglie di mercanti ebrei di stabilirsi nella nuova città di Mogador. Venne, così, a formarsi una nuova classe mercantile privilegiata che prese in mano le redini di una vastissima attività commerciale in tutto il Mediterraneo. Tuttavia, pur in questa nuova condizione, gli ebrei marocchini, in gran parte esclusi da questo processo economico, continuarono a dedicarsi ai mestieri tradizionali, soprattutto l’artigianato.

Per secoli, musulmani ed ebrei hanno convissuto in modo produttivo nel Paese maghrebino e gli israeliti, incoraggiati dai governanti musulmani a vivere con il resto della popolazione in quartieri misti, hanno invece preferito vivere in quartieri separati, che hanno preso il nome di "mellah", il toponimo tipicamente marocchino per indicare il terreno con cui era conosciuta parte della città di Fez.

Nel 1764, il re Maometto III ordinò a molte famiglie di mercanti ebrei di stabilirsi nella nuova città di Mogador. Si formò così una nuova classe mercantile privilegiata, che prese le redini di una vasta attività commerciale in tutto il Mediterraneo. Tuttavia, nonostante questo nuovo status, gli ebrei marocchini, in gran parte esclusi da questo processo economico, continuarono a dedicarsi ai mestieri tradizionali, soprattutto all'artigianato.

Con la conferenza di Algeciras del 1906, il territorio marocchino fu diviso in due zone di influenza, una francese e l'altra spagnola, e nel 1912 furono istituiti due diversi protettorati.

Tuttavia, la parte settentrionale (quella francese, cioè il Marocco vero e proprio) continuò a godere di un certo grado di autonomia, cosicché la comunità ebraica marocchina fu risparmiata dalle leggi razziali applicate nel resto del Maghreb (Algeria e Tunisia) durante il regime di Vichy, poiché il re Mohammed V (il Marocco era un protettorato della Francia) si rifiutò di renderle operative nel suo Paese.

A parte il grave pogrom di Oujda nel 1948, dopo la proclamazione dello Stato di Israele, che causò 40 morti tra la popolazione israeliana della città, dopo l'indipendenza del Marocco nel 1956, l'atteggiamento delle autorità marocchine nei confronti degli ebrei fu, almeno in una certa misura, lodevole. Gli ebrei marocchini, infatti, erano stati a lungo considerati cittadini come tutti gli altri e quindi meno influenzati dalla cultura francese rispetto ai loro correligionari algerini e tunisini. Parlavano soprattutto spagnolo o arabo, occupavano posizioni importanti nel governo e alcuni di loro erano membri dell'esercito regolare.

Tuttavia, mentre nel 1956 la popolazione ebraica marocchina contava 263.000 persone, nel 1961, al momento della prima vera crisi nelle relazioni tra ebrei e musulmani, 40.000 ebrei avevano già lasciato il Paese. L'emigrazione si è fermata solo nel 1978, tanto che oggi nel Paese rimangono solo 2.000-3.000 ebrei, la maggior parte dei quali vive a Casablanca, Marrakech e Rabat.

Il cristianesimo in Marocco

I cristiani in Marocco sono una minuscola minoranza, tra i 20.000 (secondo il Pew-Templeton Global Religious Futures, GRF) e i 40.000 (secondo il Dipartimento di Stato americano), nulla in confronto ai tempi antichi (il cristianesimo arrivò in Marocco già in epoca romana, quando era praticato dai berberi dell'allora provincia di Mauretania Tingitana, ma non solo).000 (secondo il Dipartimento di Stato americano), nulla in confronto all'antichità (il cristianesimo arrivò in Marocco già in epoca romana, quando era praticato dai berberi dell'allora provincia di Mauretania Tingitana, ma di fatto scomparve dopo la conquista islamica) e all'epoca coloniale (la presenza europea nel Paese aveva fatto salire il numero dei fedeli cristiani a oltre mezzo milione, quasi la metà della popolazione di Casablanca, di cui almeno 250.000 spagnoli).

Dopo l'indipendenza del 1956, molte istituzioni cristiane sono rimaste attive, anche se negli anni successivi la maggior parte dei coloni europei ha lasciato il Paese. Nonostante ciò, la comunità cristiana ha potuto continuare a esistere soprattutto grazie agli espatriati e agli emigrati, in particolare dall'Africa subsahariana: essi costituiscono gran parte dei fedeli cristiani in Marocco, insieme a un numero molto ridotto di marocchini convertiti.

Tuttavia, non esistono cifre ufficiali, anche a causa della paura di molti convertiti al cristianesimo dall'Islam. Si parla di 5.000 cristiani espatriati e di 3.45.000 convertiti locali (quest'ultima cifra è fornita dall'ONG Voice of the Martyrs, VOM), e la pratica dell'apostasia dall'Islam si sta diffondendo segretamente non solo nelle città ma anche nelle zone rurali.

Il timore che gli apostati dall'Islam si dichiarino cristiani deriva sia dalle tradizioni religiose (nell'Islam l'apostasia è punita con la morte) sia dalle norme sancite dal Codice penale, che vieta il proselitismo e la conversione dall'Islam ad altre religioni (un tempo più comuni, soprattutto sotto il protettorato francese), anche se l'ultima Costituzione marocchina del 2011 afferma (art. 3) che "l'Islam è la religione dello Stato", ma lo Stato stesso "garantisce a tutti il libero esercizio della propria religione".

Infatti, il Codice penale marocchino (che considera ancora reati la rottura del digiuno in pubblico durante il mese sacro del Ramadan, i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio e la blasfemia) stabilisce, all'articolo 220, che chiunque induca o incoraggi un musulmano a convertirsi a un'altra religione è passibile di una pena detentiva da tre a sei mesi e di una multa da 200 a 500 dirham.

Pertanto, se l'apostasia da parte di chi la commette non è di per sé un reato penale (lo è per chi induce un musulmano a convertirsi), di fatto comporta una sorta di "morte civile", in quanto l'apostata, secondo il Codice di famiglia del Paese, è colpito da una serie di gravi impedimenti, soprattutto in materia di matrimonio, affidamento dei figli ed eredità. Infatti, il matrimonio di un musulmano che si converte a un'altra religione viene sciolto e gli viene revocato il diritto alla custodia e alla tutela dei figli. Se l'apostata, quindi, è una donna, potrà avere la custodia del bambino solo fino all'età in cui avrà la capacità di discernimento religioso. Per quanto riguarda l'eredità, l'apostata non ha diritto all'eredità, che è garantita esclusivamente agli eredi musulmani.

Tra le comunità cristiane, la più numerosa è quella cattolica, con diverse parrocchie, istituzioni caritative e soprattutto scuole in tutto il Paese, soprattutto a Casablanca, Rabat e nelle altre principali città. Sono presenti anche le chiese protestanti e ortodosse. Tutte le chiese sono particolarmente impegnate nell'assistenza e nell'accoglienza degli espatriati, ma anche e soprattutto dei rifugiati, degli sfollati e degli immigrati, soprattutto subsahariani.

Negli ultimi anni sono stati compiuti sforzi per promuovere il dialogo interreligioso. Il re Mohammed VI ha espresso il suo impegno per la tolleranza religiosa e la coesistenza pacifica tra le diverse comunità, ed eventi quali la visita di Papa Francesco nel 2019 hanno sottolineato l'importanza del dialogo tra musulmani e cristiani per favorire la pace e la comprensione reciproca.

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Vaticano

Il Papa elogia il lavoro dei comici come promotori di pace

In un incontro con i comici di tutto il mondo, Papa Francesco ha elogiato il loro lavoro di promotori della pace e la facilità con cui forniscono una visione critica su ogni tipo di problema facendo ridere la gente.

Paloma López Campos-14 giugno 2024-Tempo di lettura: 2 minuti

Papa Francesco ha riunito noti comici di diversi Paesi durante un incontro in Vaticano. Tra i partecipanti più famosi c'erano Jimmy Fallon, Belén Cuesta e Lino Banfi.

Il Santo Padre ha dichiarato all'inizio del suo discorso che guarda "con ammirazione agli artisti che si esprimono con il linguaggio della comicità, dell'umorismo e dell'ironia". A suo avviso, sono i professionisti "più amati, ricercati e applauditi" perché "hanno e coltivano il dono di far ridere".

Francisco ha voluto sottolineare il lavoro dei professionisti dell'umorismo e il loro "potere di diffondere serenità e sorrisi". Attraverso il loro lavoro, raggiungono "persone molto diverse tra loro, appartenenti a generazioni e contesti culturali differenti".

Si tratta di un compito importante, ha detto il Pontefice. "La gioia permette la condivisione ed è il miglior antidoto all'egoismo e all'individualismo", ha detto il Papa. Non solo, ma i comici ricordano a tutti che "il divertimento e la risata sono fondamentali nella vita umana, per esprimersi, imparare, dare un senso alle situazioni".

Gli umoristi come promotori dell'unità

A questo proposito, il Papa ha ringraziato il "dono prezioso" del talento di questi professionisti. Il loro lavoro, ha spiegato, "diffonde la pace". E, rivelando un lato personale, Francesco ha confessato di pregare "ogni giorno con le parole di San Tommaso Moro: "Dammi, Signore, il senso dell'umorismo"".

Il Vescovo di Roma Ha inoltre affermato che i comici "compiono un altro miracolo: riescono a far sorridere la gente anche quando affrontano problemi, piccoli e grandi eventi della storia". Una cosa che non fanno con "allarme o terrore, ansia o paura", ma con "senso critico, facendo ridere e sorridere".

Ma non hanno questo effetto solo sulle persone. Il Papa ha detto ai comici che "quando riescono a far sorridere in modo intelligente le labbra di un solo spettatore, fanno sorridere anche Dio".

I limiti dell'umorismo

Francesco ha anche riflettuto sull'umorismo come strumento "per comprendere e 'sentire' la natura umana". Attraverso di esso è possibile "mettere insieme realtà diverse e talvolta persino opposte".

Infine, il Pontefice ha risposto a una domanda che molti si pongono: "Possiamo ridere anche di Dio? La sua risposta è stata chiara: "Certo, così come giochiamo e scherziamo con le persone che amiamo". C'è però un limite, bisogna evitare di "offendere i sentimenti religiosi dei credenti, soprattutto dei poveri".

Il Papa ha concluso il suo discorso incoraggiando i comici a continuare il loro lavoro. "Aiutateci, con un sorriso, a vedere la realtà con le sue contraddizioni e a sognare un mondo migliore".

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Vaticano

Il Papa ai movimenti ecclesiali: superare la chiusura mentale e coltivare l'umiltà

I rappresentanti di associazioni di fedeli, movimenti ecclesiali e nuove comunità hanno incontrato il Santo Padre a Roma.

Giovanni Tridente-14 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Pensare secondo Dio, superare ogni chiusura mentale e coltivare l'umiltà. Sono queste le tre "virtù sinodali" che Papa Francesco ha proposto agli oltre 200 rappresentanti di Associazioni di fedeli, Movimenti ecclesiali e nuove Comunità riuniti nell'Aula Nuova del Sinodo per l'incontro annuale convocato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita.

Il Pontefice ha anche ribadito l'importanza della conversione spirituale per rendere la sinodalità uno "stile ecclesiale" condiviso. Ha quindi messo al bando gli atteggiamenti di orgoglio e di chiusura mentale, che vanno a scapito di una visione aperta e inclusiva della missione della Chiesa. Non a caso il titolo dell'incontro di quest'anno convocato dal Dicastero era "La sfida della sinodalità per la missione". Un'occasione per fare il punto su come questo tempo di consultazione, riflessione e dialogo sta procedendo nelle decine di Associazioni di fedeli in tutto il mondo.

Sintonizzarsi con Dio

Entrando nel merito del discorso del Papa, l'invito iniziale ha fatto riferimento alla necessità di passare dal "mero pensiero umano" al "pensiero di Dio", ricordando che il protagonista di ogni cammino evangelizzatore e sinodale è lo Spirito Santo.

"Non diamo mai per scontato di essere in sintonia con Dio", ha ammonito il Santo Padre, incoraggiandoci a superare le mode ecclesiali per abbracciare autenticamente la volontà di Dio.

La tentazione del cerchio chiuso

In secondo luogo, Francesco ha messo in guardia dalla tentazione del "cerchio chiuso", invitando ad aprirsi con grande coraggio anche a nuove modalità pastorali, lasciandosi "ferire" dalla voce e dall'esperienza degli altri, soprattutto di quelli che non appartengono al proprio recinto o circolo.

Infatti, è necessario partire dal presupposto - rivolgendosi direttamente ai Movimenti - che "la loro spiritualità, sono realtà che aiutano a camminare con il Popolo di Dio, ma non sono privilegi".

Umiltà contro le divisioni

Infine, il terzo aspetto: la necessità di coltivare l'umiltà, definita dal Papa come la "porta di accesso a tutte le virtù". Solo gli umili, infatti, valorizzano gli altri e fanno emergere il "noi" della comunità, evitando spaccature e tensioni.

"E se ci rendiamo conto che, in qualche modo, un po' di orgoglio, o di superbia, ha fatto breccia in noi, allora chiediamo la grazia di riconvertirci all'umiltà", ha spiegato Francesco. Solo chi è umile è capace di realizzare "grandi cose nella Chiesa", perché "ha una base solida, fondata sull'amore di Dio, che non viene mai meno, e per questo non cerca altri riconoscimenti".

Il raduno

La giornata si era aperta con la celebrazione della Santa Messa nella Basilica di San Pietro, presieduta dal Cardinale Kevin Farrell, Prefetto del Dicastero, che ha anche introdotto l'incontro subito dopo l'Udienza con il Papa.

La sinodalità, ha detto Farrell, non si mette in pratica inserendo i laici in "luoghi di potere" o creando organismi per dimostrare che sono "più coinvolti nei processi decisionali". Si tratta piuttosto di favorire quella comunione che dovrebbe servire "a camminare veramente insieme - laici e pastori, carismi e istituzioni ecclesiali - e a trovare insieme la strada che lo Spirito indica per portare avanti, con nuovo slancio, la missione evangelizzatrice della Chiesa".

Questo tema è stato affrontato in dettaglio da Rafael Luciani, professore dell'Universidad Católica Andrés Bello in Venezuela, seguito da Elisa Lisiero, funzionario del Dicastero, che ha approfondito il tema della sinodalità nell'esperienza dei movimenti.

Le 117 associazioni

Attualmente sono 117 le istituzioni sotto la diretta giurisdizione del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, suddivise tra associazioni internazionali di fedeli, private e pubbliche, e altri enti con personalità giuridica. L'elenco e i contatti sono liberamente consultabili sul sito del Dicastero.

L'ultima associazione in ordine di tempo che ha ricevuto il riconoscimento pontificio è la "Comunità Magnificat"La Fraternità, che pone l'Eucaristia al centro della vita personale e comunitaria dei suoi membri e l'evangelizzazione come carisma principale, ha decine di Fraternità in Italia, Romania, Turchia e Argentina.

SOS reverendi

10 generatori di video AI per la pastorale

In questo articolo vengono presentati dieci portali generatori di video che utilizzano l'intelligenza artificiale e le caratteristiche di alcuni di essi. Uno strumento perfetto per l'opera di evangelizzazione della Chiesa nella sfera digitale.

José Luis Pascual-14 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

In un mondo sempre più digitalizzato, la Chiesa deve affrontare la sfida di raggiungere un pubblico diversificato e globalizzato. L'evangelizzazione, l'atto di condividere la fede e l'insegnamento religioso, si è evoluta nel tempo e oggi la tecnologia svolge un ruolo cruciale in questo processo. I generatori di video di intelligenza artificiale (AI) offrono un potente strumento per diffondere il messaggio religioso in modo creativo e avvincente. Oggi esploreremo 10 generatori di video AI che la Chiesa può sfruttare per il suo lavoro pastorale.

-RenderforestPiattaforma versatile che consente agli utenti di creare video personalizzati utilizzando modelli preimpostati. Questo strumento è particolarmente utile per creare video promozionali per eventi parrocchiali, catechesi e messaggi pastorali. Con un'ampia gamma di opzioni di personalizzazione, Renderforest offre un modo facile e accessibile per trasmettere messaggi religiosi in modo efficace.

-Lumen5: Utilizza l'intelligenza artificiale per trasformare il testo in video coinvolgenti in pochi minuti. Questo strumento è ideale per creare video educativi sulla fede, riflessioni pastorali e citazioni bibliche. La Chiesa può trarre vantaggio da Lumen5 per raggiungere un pubblico più ampio attraverso le piattaforme dei social media e i siti web, condividendo i contenuti catechistici in modo visivamente accattivante.

-WibbitzVideo: una piattaforma che utilizza l'intelligenza artificiale per creare video da contenuti esistenti, come articoli di blog o post sui social media. Questo strumento è perfetto per trasformare i contenuti catechistici in video informativi e accessibili che aiutano a insegnare i principi della fede in modo dinamico. Con WibbitzIn questo modo, la Chiesa può raggiungere un pubblico più ampio e diversificato con messaggi pastorali pertinenti e toccanti.

-ClipchampEditor video online che utilizza l'intelligenza artificiale per semplificare il processo di editing video. Questo strumento è ideale per creare video promozionali di eventi pastorali, testimonianze di fede e messaggi di speranza. Con ClipchampLa Chiesa può creare video professionali in modo semplice e veloce, consentendole di condividere efficacemente il suo insegnamento di amore e misericordia.

-Animatore: Una piattaforma intuitiva che permette agli utenti di creare facilmente video animati. Questo strumento è perfetto per raccontare storie bibliche in modo visivamente accattivante, raggiungendo così un pubblico più giovane e diversificato. La Chiesa può utilizzare Animatore condividere gli insegnamenti religiosi in modo creativo e dinamico, incoraggiando così la partecipazione e il coinvolgimento.

-MoovlyVideo Asset Library: una piattaforma che offre una vasta libreria di risorse multimediali per la creazione di video. Questo strumento è ideale per la creazione di video informativi sulla storia e gli insegnamenti della Chiesa, nonché per la promozione di eventi e attività pastorali. Con MoovlyLa Chiesa può creare video ispirati che rafforzino la fede dei fedeli e incoraggino la partecipazione alla vita parrocchiale.

-Adobe Premiere Pro: Software software di editing video professionale che utilizza l'intelligenza artificiale per semplificare le complesse attività di editing. Questo strumento è ideale per creare video di alta qualità con effetti visivi sorprendenti e grafica accattivante. 

-Filmora: Software strumento di editing video facile da usare che utilizza l'intelligenza artificiale per migliorare la qualità dei video. Questo strumento è perfetto per creare video devozionali e catechetici che aiutano ad approfondire la comprensione della fede. La Chiesa può utilizzare Filmora per creare video ispirati che rafforzino la vita spirituale dei fedeli e li guidino nel loro cammino di fede.

MagistoPiattaforma che utilizza l'intelligenza artificiale per creare automaticamente video da foto e filmati esistenti. Questo strumento è ideale per raccogliere e condividere momenti significativi della vita parrocchiale, come le celebrazioni liturgiche e le attività comunitarie. Con MagistoLa Chiesa o la parrocchia possono creare video che catturano la bellezza e la gioia della vita cristiana, favorendo così un senso di appartenenza e di unità tra i fedeli.

HitFilm Express: Software software di editing video gratuito che offre potenti strumenti di editing ed effetti visivi. È ideale per creare video pastorali di alta qualità senza dover sostenere costi aggiuntivi. 

In conclusione, i generatori di video AI offrono alla Chiesa un'opportunità unica per portare il messaggio di Cristo a un nuovo pubblico in modi creativi e avvincenti. Dalla creazione di video educativi alla promozione di eventi pastorali, questi strumenti possono essere utilizzati per rafforzare la fede e la vita parrocchiale nel mondo digitale di oggi.

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Vaticano

Primato del Papa, comunione, unità e sinodalità

Il Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani ha pubblicato un documento che raccoglie le risposte ai dialoghi ecumenici sul ministero del Papa avviati da San Giovanni Paolo II.

Andrea Acali-13 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Il primato del Papa è sempre stato uno dei maggiori ostacoli sulla via della piena unità delle Chiese cristiane. Il dialogo ecumenico sta andando avanti e ora lal Dicastero per la promozione dell'unità dei cristiani ha pubblicato un documento di studio, "Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all'enciclica Ut unum sint".La prima sintesi in assoluto delle risposte all'enciclica di Papa Francesco, con l'approvazione di Papa Francesco, riassume per la prima volta le risposte all'enciclica di Papa Francesco. San Giovanni Paolo II e dialoghi ecumenici sulla questione del primato e della sinodalità. 

Il documento si conclude con una proposta del Dicastero che individua i suggerimenti più significativi per un rinnovato esercizio del ministero di unità del Vescovo di Roma "riconosciuto da tutti e da ciascuno".

Lo scopo del documento", ha detto il Prefetto del Dicastero, il cardinale Kurt Koch, "è quello di offrire una sintesi obiettiva dei recenti sviluppi della discussione ecumenica che rifletta le intuizioni e i limiti dei documenti di dialogo e una breve proposta del Dicastero al completo che identifichi i suggerimenti più significativi per il ministero dell'unità del Vescovo di Roma". Il documento incorpora circa 30 risposte al Enciclica Ut Unum Sint e 50 documenti di dialogo sul tema, oltre alle opinioni di esperti cattolici, protestanti e ortodossi.

"Tutti concordano sulla necessità dell'unità a livello universale, ma il modo in cui esercitarla è soggetto a diverse interpretazioni. A differenza delle polemiche del passato, la questione del primato non è vista solo come un problema, ma come un'opportunità per riflettere sulla natura della Chiesa e sulla sua missione nel mondo.

Uno degli spunti più interessanti riguarda l'esercizio del ministero petrino intrinseco ad una dinamica sinodale, come ha sottolineato il cardinale Grech, segretario generale della Segreteria generale del Sinodo: "Questa ricerca è preziosa per rispondere alla richiesta di Giovanni Paolo II in Ut unum sint: una "forma di esercizio del primato che, senza rinunciare in alcun modo alla natura essenziale della sua missione, è aperta a una nuova situazione"". 

Grech ha anche fatto riferimento "all'epoca dei grandi concili: mentre ci prepariamo a celebrare l'anniversario del Concilio di Nicea, non possiamo dimenticare che fu l'imperatore Costantino a convocarlo. Questo perché la Chiesa antica, che era indubbiamente una Chiesa sinodale, non aveva ancora raggiunto un pieno consenso sul primato". Infine, il cardinale ha sottolineato come il processo sinodale evidenzi un nuovo "modo di esercitare il ministero petrino" che "la Chiesa, attraverso il processo sinodale, già riconosce". 

La dinamica sinodale, sviluppata sul triplice registro della communio - fidelium, ecclesiarum, episcoporum - mostra come sarebbe possibile arrivare a un esercizio del primato a livello ecumenico". 

Il rappresentante della Chiesa apostolica armena presso la Santa Sede, Sua Eminenza Khajag Barsamian, ha definito il documento "un rinnovato punto di partenza per il dialogo ecumenico". I primi secoli sono una fonte di ispirazione per la realtà di oggi, non solo in termini di diritto, ma anche di comunione. C'era un'enorme diversità di modelli ecclesiastici: siamo convinti che queste forme di comunione debbano rimanere paradigmatiche". Ha inoltre sottolineato l'importanza della sinodalità per la piena comunione.

Da parte sua, il rappresentante dell'arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede, Ian Ernst, ha sottolineato la necessità di una "riformulazione del Vaticano I, che rimane un grande ostacolo per il dialogo ecumenico perché oggi è incomprensibile. Deve essere ripresentato alla luce di un'ecclesiologia di comunione che ne chiarisca i termini". E questa, come ha chiarito Koch, è una delle proposte del documento di studio, su cui si lavorerà nei prossimi anni.

Altri suggerimenti incorporati nel documento includono una più chiara distinzione tra le diverse responsabilità del Vescovo di Roma, in particolare tra il suo ministero patriarcale nella Chiesa occidentale e il suo ministero primario di unità nella comunione delle Chiese, così come una distinzione tra il ruolo patriarcale e primario del Vescovo di Roma e la sua funzione politica di capo di Stato. Un'altra raccomandazione dei dialoghi teologici riguarda lo sviluppo della sinodalità all'interno della Chiesa cattolica.

Infine, la promozione della "comunione conciliare" attraverso incontri regolari tra i leader delle Chiese di tutto il mondo, per rendere visibile e approfondire la comunione che già condividono. Nello stesso spirito, molti dialoghi hanno proposto varie iniziative per promuovere la sinodalità tra le Chiese, soprattutto a livello di vescovi e primati, attraverso consultazioni regolari e azioni e testimonianze comuni.

L'autoreAndrea Acali

-Roma

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Vaticano

Il Papa ci ricorda che "i poveri hanno molto da insegnarci".

Nel suo messaggio per la Giornata mondiale dei poveri del 2024, Papa Francesco vuole che i cattolici facciano propria la preghiera dei poveri.

Paloma López Campos-13 giugno 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Il 17 novembre 2024 la Chiesa cattolica celebra la Giornata mondiale dei poveri. In occasione di questa data, la Sala Stampa ha pubblicato la messaggio Papa Francesco, che in questa occasione si concentra sulla preghiera dei poveri.

Il Santo Padre inizia il suo messaggio dicendo che "la speranza cristiana abbraccia anche la certezza che la nostra preghiera raggiunge la presenza di Dio". Ma la preghiera che Dio ascolta con maggiore attenzione è "la preghiera dei poveri". Per questo motivo, il Pontefice ritiene che la preghiera sia un "modo per entrare in comunione con loro [i poveri] e per condividere le loro sofferenze".

Rifacendosi al libro del Siracide, Papa Francesco sottolinea "il fatto che i poveri hanno un posto privilegiato nel cuore di Dio, tanto che, di fronte alla loro sofferenza, Dio è 'impaziente' finché non ha reso loro giustizia".

I poveri, volti di Cristo

Il Vescovo di Roma si spinge oltre e afferma che "Dio conosce le sofferenze dei suoi figli perché è un Padre attento e premuroso con tutti". E, "come Padre, si prende cura di coloro che hanno più bisogno di lui".

Di fronte alla cura di Dio, "la mentalità umana esige di diventare qualcuno, di avere prestigio a dispetto di tutto e di tutti, infrangendo le regole sociali per ottenere ricchezza". Questo è un aspetto che Francesco denuncia, dicendo che "la felicità non si acquisisce calpestando i diritti e la dignità degli altri".

Per questo è importante che i cristiani ricordino al mondo che ogni povero e vulnerabile "porta il volto del Figlio di Dio, e la nostra solidarietà e il segno della carità cristiana devono raggiungere ciascuno di loro". In questa linea, il Papa cita l'esortazione apostolica "Evangelii Gaudium": "Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati a essere strumento di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, affinché siano pienamente integrati nella società; ciò presuppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido dei poveri e a venire in loro aiuto".

In vista dell'Anno della preghiera, il Pontefice afferma che "dobbiamo fare nostra la preghiera dei poveri e pregare con loro". Allo stesso tempo, descrive l'accompagnamento dei poveri come "una sfida che dobbiamo accogliere e un'azione pastorale che ha bisogno di essere alimentata".

La preghiera dei poveri

Per raggiungere questo obiettivo, il Papa ci assicura che abbiamo bisogno di "un cuore umile che abbia il coraggio di diventare mendicante. Un cuore disposto a riconoscersi povero e bisognoso". Solo così, continua Francesco, si "riceve forza da Dio e si ripone in Lui tutta la propria fiducia". È così che si raggiunge l'umiltà, che "genera la fiducia che Dio non ci abbandonerà mai né ci lascerà senza risposta".

Il Papa invia anche un messaggio "ai poveri che vivono nelle nostre città e fanno parte delle nostre comunità". Assicura loro che "Dio è attento a ciascuno di voi ed è al vostro fianco. Non vi dimentica, né potrebbe mai farlo.

Né i cristiani possono dimenticare i poveri, per questo il Vescovo di Roma ritiene che questa giornata mondiale "sia già un appuntamento obbligatorio per ogni comunità ecclesiale. È un'opportunità pastorale da non sottovalutare, perché incoraggia tutti i credenti ad ascoltare le preghiere dei poveri, prendendo coscienza della loro presenza e del loro bisogno".

In questo senso, il Papa è grato per il lavoro di tutte quelle persone che ne sono già consapevoli, "sacerdoti, persone consacrate, laici e donne che con la loro testimonianza danno voce alla risposta di Dio alla preghiera di coloro che si rivolgono a Lui".

Preghiera e carità

Francesco sottolinea anche ciò che i poveri ci insegnano. Dice che "i poveri hanno ancora molto da insegnare perché, in una cultura che ha messo al primo posto la ricchezza e spesso sacrifica la dignità delle persone sull'altare dei beni materiali, essi remano controcorrente, mostrando che l'essenziale è un'altra cosa.

Il Papa conclude il suo messaggio spiegando che la preghiera ha bisogno di opere e le opere hanno bisogno della preghiera. Cita l'esempio di Santa Teresa di Calcutta, che sapeva come sostenersi su questi due pilastri. Seguendo le sue orme, imitando Cristo e appoggiandosi alla Vergine Maria, il Santo Padre incoraggia ogni cattolico a essere un "pellegrino della speranza" e a curare "i piccoli dettagli dell'amore". In questo modo, risponderemo alla chiamata universale a "essere amici dei poveri".

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