Sia il nazionalismo panarabo che quello panislamico iniziarono a diventare "locali", o meglio, a identificare un problema palestinese di fronte alla crescente presenza ebraica nella regione. PalestinaRashid Rida (1865-1935), musulmano siriano che, conquistato dalle idee di Al-Afghani e Abduh, si convinse della necessità dell'indipendenza araba, pur identificando l'arabismo con l'islam, elementi a suo avviso indissolubilmente legati.
Il "problema palestinese
Rashid Rida è stato il fondatore della rivista Al-Manar e autore del primo articolo antisionista, in cui accusava i suoi compatrioti di immobilismo. Con Rida, una specifica coscienza nazionale palestinese germinò all'interno del nazionalismo panarabo e panislamico.
È importante menzionare le due correnti di pensiero emerse dal risveglio nazionale arabo prima e da quello palestinese poi, poiché l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) è praticamente figlia della prima, con il movimento Fatah (di cui Yasser Arafat era un leader e di cui fa parte l'attuale presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese); della seconda, Hamas è un discendente diretto. Oggi, le due correnti si combattono ferocemente l'una con l'altra, sostenendo di essere ciascuna la legittima rappresentante del popolo palestinese e delle sue aspirazioni.
La terra troppo promessa
La presenza delle potenze occidentali nei territori governati dall'Impero Ottomano non risale alla fine del XIX secolo. Già nel XV secolo, infatti, diversi Stati europei firmarono trattati con la Porta per assicurarsi dei privilegi. È questo il caso della Repubblica di Genova (1453, subito dopo la conquista ottomana di Costantinopoli), seguita da Venezia (1454) e da altri Stati italiani. Poi fu la volta della Francia, che firmò diversi accordi con l'Impero Ottomano, il più importante nel 1604.
Tutti questi patti bilaterali firmati tra la Sublime Porta e gli Stati europei presero il nome di Capitolazioni e stabilirono che, in materia religiosa e civile, i sudditi stranieri presenti nei territori ottomani facevano riferimento ai codici dei Paesi di cui erano cittadini, imitando il modello noto come "millet". Questo modello legislativo prevedeva che ogni comunità religiosa non musulmana fosse riconosciuta come "nazione" (dall'arabo "millah", in turco "millet") e fosse governata dal capo religioso di quella comunità, investito di funzioni sia religiose che civili. La massima autorità religiosa di una comunità o nazione cristiana (come gli armeni), ad esempio, era il patriarca.
Poiché la Chiesa cattolica latina era tradizionalmente poco presente nei territori ottomani, le Capitolazioni, soprattutto gli accordi con la Francia, favorirono l'afflusso di missionari cattolici. Altre potenze - tra cui in particolare l'Impero austro-ungarico, ma più tardi soprattutto la Germania, storica alleata di Costantinopoli anche nella Prima guerra mondiale - cominciarono a competere tra loro nel campo della protezione delle minoranze non musulmane dell'Impero, e all'inizio del XX secolo entrò in questo gioco la Gran Bretagna, che fino ad allora era rimasta quasi a bocca asciutta perché non aveva trovato minoranze da proteggere.
Mentre la politica internazionale europea aveva fino ad allora cercato di mantenere in vita il "grande malato", l'Impero Ottomano, l'entrata in guerra di Costantinopoli a fianco dell'Impero germanico e contro le potenze dell'Intesa (Gran Bretagna, Russia e Francia) spinse queste ultime ad accettare la spartizione della "carcassa turca".
Inizia così il grande gioco delle nazioni sul futuro degli stessi popoli che erano stati sottomessi alla Sublime Porta. Citiamo, in particolare, una serie di accordi e dichiarazioni che riguardano più da vicino l'area del Medio Oriente che ci interessa:
- Accordo Hussein-McMahon (1915-1916): L'essenza di questo accordo, concluso tra lo Sherif Hussein della Mecca (antenato dell'attuale re Abdullah di Giordania) e Sir Arthur Henry McMahon, Alto Commissario britannico in Egitto, era che la Gran Bretagna, in cambio del sostegno nel conflitto contro i turchi e di sostanziali concessioni economiche, si sarebbe impegnata a garantire, una volta terminata la guerra, l'indipendenza di un regno arabo che si estendesse dal Mar Rosso al Golfo Persico, si sarebbe impegnata a garantire, a guerra finita, l'indipendenza di un regno arabo che si estendesse dal Mar Rosso al Golfo Persico e dalla Siria centro-meridionale (il nord rientrava negli interessi francesi) allo Yemen, con a capo lo Sceriffo della Mecca.
- Accordo Sykes-Picot. Questo accordo fu stipulato tra la Gran Bretagna, nella persona di Sir Mark Sykes, e la Francia, rappresentata da Georges Picot, parallelamente ai negoziati con lo Sherif Hussein della Mecca, a testimonianza di quanto la politica ambigua e cieca degli Stati europei nell'area, poi seguita dagli Stati Uniti, avesse causato nel tempo danni devastanti.
I patti prevedevano che l'ex Impero Ottomano (nella parte orientale, cioè parte della Cilicia e dell'Anatolia, insieme all'attuale Palestina/Israele, Libano, Siria e Mesopotamia) fosse diviso in Stati arabi sotto la sovranità di un leader locale, ma con una sorta di diritto di prelazione, in campo politico ed economico, per le potenze protettrici, che sarebbero state: Francia per la Siria interna, con i distretti di Damasco, Hama, Homs, Aleppo fino a Mosul; Gran Bretagna per la Mesopotamia interna, per la Transgiordania e il Negev.
Per altre aree era prevista l'amministrazione diretta da parte delle due potenze (la Francia per il Libano, le zone costiere siriane e parti della Cilicia e dell'Anatolia orientale; la Gran Bretagna per i distretti di Baghdad e Bassora). La Palestina, nel frattempo, sarebbe stata amministrata da un regime internazionale concordato con la Russia, gli altri Alleati e l'ierofato della Mecca.
- Dichiarazione Balfour (rilasciata nel 1917, ma con negoziati risalenti al 1914). Con questa dichiarazione la Gran Bretagna dichiarava di vedere con favore la creazione di un "focolare nazionale", definizione volutamente vaga, in Palestina per il popolo ebraico. Tuttavia, gli inglesi erano ben consapevoli che 500.000 arabi non avrebbero mai accettato di essere governati da 100.000 ebrei. Si riservarono quindi l'opzione di annettere la Palestina all'Impero britannico, incoraggiando l'immigrazione ebraica e dando solo in seguito agli ebrei la possibilità di autogoverno.
Sappiamo che il generale britannico Allenby entrò vittorioso a Gerusalemme, liberandola dagli Ottomani, e che dopo la Grande Guerra la Gran Bretagna, che aveva promesso la Palestina a mezzo mondo, la tenne per sé. Ma questa è un'altra storia.
Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.