Non c'è stato tempo di gioire per il rilascio di due sacerdoti greco-cattolici imprigionati per più di due anni, quando il sogno di pace in Ucraina è stato nuovamente messo alla prova.
L'8 luglio, infatti, la Russia ha attaccato Kiev, colpendo due importanti strutture mediche ucraine, tra cui il più grande ospedale pediatrico dell'Ucraina, causando 27 morti nella sola capitale e 38 in totale, oltre a un centinaio di feriti.
Si è trattato di un attacco brutale, che ha portato, in via eccezionale, all'uccisione di un uomo. La Santa Sede invierà un comunicato sottolineando la "profonda angoscia" di Papa Francesco e la sua richiesta di "modi concreti per porre fine ai conflitti in corso".
La dichiarazione è stata rilasciata il 10 luglio e si riferiva anche all'attacco contro una scuola gestita dalle Nazioni Unite a Gaza. Ma se l'entrata in scena della Terra Santa è relativamente più recente, in seguito alla risposta israeliana ai brutali attacchi dell'8 ottobre 2023, negli ultimi due anni la Terra Santa è stata un attore importante nel conflitto di Gaza. Papa Francesco ha sempre rivolto un pensiero alla "tormentata Ucraina" al termine delle udienze generali e delle preghiere dell'Angelus.
Tuttavia, la diplomazia della Santa Sede sembra bloccata, incapace di funzionare davvero. Il desiderio di mediazione della Santa Sede è rimasto inascoltato. Tuttavia, la Santa Sede è riuscita nel campo umanitario e, soprattutto, nello scambio di prigionieri.
Rilascio dei due sacerdoti greco-cattolici
Il 28 giugno è arrivata la notizia del rilascio dei sacerdoti greco-cattolici Ivan Levytskyi e Bohdan Heleta dalla prigionia russa. I due, membri della Congregazione del Santissimo Redentore, sono stati rilasciati dopo uno scambio di prigionieri. Avevano trascorso quasi due anni in prigionia, essendo stati arrestati a Berdyansk il 16 novembre scorso. Non si avevano notizie di loro da molto tempo.
La Chiesa greco-cattolica ucraina, a cui appartenevano i due sacerdoti, non ha risparmiato sforzi negli ultimi anni per ottenere il loro rilascio, così come la Santa Sede, che negli ultimi due anni ha aperto canali discreti per consentire la liberazione dei due sacerdoti.
Prima del urbi et orbi la benedizione della scorsa Pasqua, Papa Francesco ha lanciato la campagna "Tutti per tutti", chiedendo uno scambio completo di prigionieri tra Russia e Ucraina. Anche il rilascio dei due sacerdoti fa parte degli sforzi di questa campagna.
Lo scambio di prigionieri è un'iniziativa separata da quella del ritorno a casa dei bambini ucraini che si trovano in territorio russo a causa della guerra.
Il ritorno a casa dei bambini - deportati secondo gli ucraini, accolti dalle famiglie secondo i russi - era l'obiettivo della missione del Cardinale. Matteo Zuppi, L'inviato del Papa in Ucraina e Russia - oltre che negli Stati Uniti e in Cina - proprio per aprire un canale di scambio. Il meccanismo ha funzionato, anche se per un numero di bambini inferiore a quello dichiarato dagli ucraini. Ora, c'è anche un buon segnale del meccanismo di scambio dei prigionieri.
Insomma, la diplomazia della Santa Sede sta producendo alcuni risultati positivi. Tanto che Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, l'arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica ucraina, ha voluto ringraziare direttamente Papa Francesco in una dichiarazione pubblicata il 29 giugno per aver "contribuito personalmente alla liberazione dei nostri sacerdoti redentoristi Bohdan e Ivan", sottolineando che "nonostante i grandi ostacoli, poiché la loro prigionia è durata più di un anno e mezzo, gli sforzi della diplomazia vaticana hanno raggiunto un risultato vittorioso".
Oltre a ringraziare i diplomatici della Santa Sede, il cardinale Parolin e il cardinale Zuppi, "ai quali il Santo Padre ha affidato la cura della liberazione dei prigionieri e delle prigioniere ucraine", Shevchuk ha rivolto un ringraziamento speciale all'arcivescovo Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina.
Anche il presidente ucraino Zelensky ha ringraziato la Santa Sede per il suo lavoro.
Il fronte diplomatico
Cosa sta succedendo sul fronte diplomatico? Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che ha partecipato al Vertice di alto livello per la pace in Ucraina, tenutosi in Svizzera il 15 e 16 giugno, ha dato chiare indicazioni.
La Santa Sede non ha firmato la dichiarazione finale perché era solo un Paese osservatore. Tuttavia, ne ha condiviso lo spirito con un discorso del cardinale Parolin.
Pur prendendo atto dell'assenza della Russia dal vertice, Parolin ha ricordato che l'unico modo per avere una pace vera, stabile e giusta è "il dialogo tra tutte le parti coinvolte", e ha espresso l'auspicio che "gli sforzi diplomatici attualmente promossi in Ucraina e sostenuti da tante nazioni siano potenziati".
Parolin ha ricordato che la Santa Sede "riafferma la validità del principio fondamentale del rispetto della sovranità di ogni nazione e dell'integrità del suo territorio", parole non banali che sono una chiara condanna dell'aggressione russa.
Allo stesso tempo, ha aggiunto che la Santa Sede è "preoccupata per le tragiche conseguenze umanitarie del conflitto" ed è quindi in prima linea negli sforzi per facilitare il rimpatrio dei bambini e incoraggiare il rilascio dei prigionieri.
Infatti, la Santa Sede è anche osservatore della Coalizione internazionale per il rimpatrio dei bambini ucraini dalla Russia ed è in contatto diretto con le autorità russe e ucraine attraverso un meccanismo istituito in seguito alla visita del cardinale Matteo Zuppi a Kiev e Mosca.
La Santa Sede è anche preoccupata per la mancanza di rispetto delle Convenzioni di Ginevra nel trattamento dei prigionieri, sia civili che militari, e deplora "la difficoltà di istituire con il Comitato Internazionale della Croce Rossa una commissione medica congiunta per affrontare la situazione dei prigionieri di guerra che necessitano di cure urgenti".
Ma soprattutto, il cardinale Parolin ha anche dichiarato che la Santa Sede è impegnata a mantenere i contatti sia con le autorità russe che con quelle ucraine ed è pronta ad assistere nella realizzazione di eventuali iniziative di mediazione che siano "accettabili per tutte le parti e vantaggiose per gli interessati".
Insomma, nel caso di un barlume di speranza di pace, la Santa Sede sarebbe pronta ad aiutare.