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La Turchia: un vicino scomodo

Con questo articolo, lo storico Gerardo Ferrara inizia una serie di tre studi in cui ci introduce alla cultura, alla storia e alla religione della Turchia.

Gerardo Ferrara-12 aprile 2024-Tempo di lettura: 7 minuti

Istanbul ©Carlos ZGZ (flickr)

Il processo di allargamento dell’Unione europea ha portato i membri fondatori dell’UE a confrontarsi con realtà, Paesi e popoli fino a poco tempo fa considerati nemici, “altri”, esotici, quasi dimenticati.

Oggi, l’Europa è costretta a interrogarsi sull’identità delle popolazioni che premono alle sue frontiere e a conoscere fino in fondo le complesse realtà che, se trascurate, possono trasformarsi in conflitti sanguinosi come quelli che hanno devastato il Vecchio Continente nel secolo scorso e che da secoli infiammano aree vicine come i Balcani, il Caucaso, il Mediterraneo orientale.

Una di queste realtà è proprio la Turchia, Paese transcontinentale (a cavallo tra Europa e Asia) da sempre punto d’incontro (e di scontro) tra Oriente e Occidente.

Alcuni dati

Con una superficie di 783.356 km², la Turchia (ufficialmente: Repubblica di Turchia) è uno Stato che occupa la totalità della penisola dell’Anatolia (con la parte orientale del Paese situata in Cilicia e sulla piattaforma arabica) e una piccola porzione della Tracia, in Europa (al confine con Grecia e Bulgaria). Confina con ben otto Paesi diversi (e possiamo ben dire mondi culturali diversi, trattandosi di Grecia e Bulgaria in Europa; Georgia, Armenia e Azerbaigian nel Caucaso; Iran a est; Iraq e Siria, quindi mondo arabo, a sud). Si affaccia su quattro mari: Mediterraneo, Egeo, Mar Nero e Mar di Marmara, che divide la parte asiatica da quella europea. Ha una popolazione di oltre 85 milioni di abitanti, in prevalenza classificati come “turchi” ma con una grande varietà di minoranze etniche e religiose.

La Turchia è una repubblica presidenziale dal 2017, ufficialmente uno Stato laico. L’islam è la religione predominante (il 99% dei turchi si definisce musulmano). Oltre ai sunniti, che sono la maggioranza, vi è anche una significativa minoranza (almeno il 10%) di sciiti, soprattutto nella comunità alevita. Vi sono anche circa 120 mila cristiani (in gran parte greco-ortodossi ma anche apostolici armeni) e una piccola comunità ebraica, concentrata soprattutto a Istanbul. Le minoranze cristiana ed ebraica rappresentano un retaggio microscopico di quelle che erano grandi e importanti comunità fino al XX secolo.

Un po’ di storia

Perché, anzitutto, la Turchia ha questo nome? Effettivamente, fino al 1923 quella che oggi è la Repubblica turca era parte (anzi, la parte principale) dell’Impero ottomano. Il termine “turco”, infatti, è un etnonimo (da “türk”) che indica oggi gli abitanti della Turchia, ma si riferisce altresì alle popolazioni turche in generale (tra cui unni, avari, bulgari, ecc.), quelle che, provenienti dalle steppe della Mongolia e dell’Asia centrale, hanno poi colonizzato nel corso dei millenni parti dell’Europa orientale, del Vicino Oriente e dell’Asia. Si parla oggi anche di “popoli turchi”, cioè quelli (turchi, azeri, kazachi, turkmeni, uzbechi, tatari, uiguri, ecc.) che parlano lingue turche, lingue strettamente imparentate tra loro e appartenenti alla famiglia altaica.

La prima volta in cui si utilizzò il termine “turchi” non per designare i popoli turchi in generale, bensì quelli che più propriamente occupavano l’Anatolia fu a partire dal 1071, successivamente alla battaglia di Manzicerta, con cui Bisanzio perse gran parte dell’Anatolia a vantaggio dei Selgiuchidi turcomanni, i quali avevano già iniziato dal VI sec. d.C. a invadere e occupare le province di questa regione.

Fino a quell’epoca, dunque, ma anche in seguito, l’attuale Turchia non era un Paese “turco”.

Se, infatti, le radici della storia anatolica si fanno risalire agli ittiti (popolo di lingua indoeruropea la cui civiltà fiorì tra il XVIII e il XII secolo a.C.), vi furono anche altre culture che trovarono nella regione un luogo ideale in cui proliferare, gli urartei (proto armeni), i frigi, i lidi, i galati, per non parlare dei greci e del loro insediamento nella Ionia (regione occidentale dell’Anatolia, lungo la costa egea) in città da essi fondate, come Efeso). Non dimentichiamo, poi, che in Ionia si trovava anche l’antichissima città di Troia, la cui ascesa e la cui tragica distruzione sono narrate da Omero.

Proprio a proposito dell’Anatolia i greci e i romani utilizzarono per la prima volta il termine Asia (e infatti una parte dell’Anatolia costituiva la provincia romana di Asia).

Dopo la fondazione di Costantinopoli, da parte dell’imperatore romano Costantino sul sito dell’antica Byzas (Bisanzio), e i fasti dell’Impero romano d’Oriente, noto anche come Impero bizantino), l’Anatolia, in cui già dimorava una variegata popolazione di circa 14 milioni di persone (tra greci, romani, armeni, assiri e altre popolazioni cristiane) fu oggetto di una progressiva invasione, soprattutto in seguito alla battaglia di Manzicerta (in cui i turchi selgiuchidi sconfissero i bizantini alla loro frontiera orientale), di popolazioni turche che migravano dall’Asia centrale verso l’Europa e il Medio Oriente, una migrazione già iniziata nel VI sec. d.C. e che viene considerata una delle maggiori della storia.

Dopo Manzicerta, Costantinopoli (oggi conosciuta come Istanbul) rimase tuttavia capitale di ciò che rimaneva dell’Impero bizantino fino al 1453, quando le truppe di un’altra tribù turca, gli ottomani, con a capo il condottiero Maometto II, la assediarono sconfiggendo l’esercito dell’imperatore Costantino XI Paleologo (presumibilmente morto durante l’assedio, considerato santo e martire dalla Chiesa ortodossa nonché da alcune Chiese cattoliche di rito orientale, anche per il suo tentativo di ricomposizione del Grande Scisma) e instaurarono l’Impero ottomano, facendo della stessa Costantinopoli (che mantenne questo nome fino alla fondazione della Repubblica turca) la loro capitale.

A proposito del toponimo Istanbul, quest’ultimo fu adottato ufficialmente da Atatürk solo nel 1930, per svincolare la città dalle sue radici greco-romane, che evidentemente i sultani ottomani avevano saputo preservare molto meglio di lui, avvalendosi di maestranze greche e armene per costruire i più famosi monumenti per cui essa è visitata ancora oggi, tra cui la Moschea Blu e i celebri bagni, edificati dall’insigne architetto di origine greco-armena (e cristiana) Sinan. Anche Istanbul, tuttavia, non è un toponimo di origine turca, provenendo da Stambùl, che a sua volta è una contrazione della locuzione greca εἰς τὴν πόλιν (èis ten polin): “verso la città”. E per “polis” s’intende la Città per eccellenza, con lo stesso significato del termine latino Urbs riferito a Roma (Costantinopoli è considerata dai cristiani d’Oriente la nuova Roma).

L’Impero Ottomano raggiunse il suo apice nel XVI e XVII secolo, estendendosi su tre continenti e dominando una vasta area che comprendeva l’Europa sud-orientale, il Medio Oriente e il Nord Africa e divenne noto per essere estremamente eterogeneo dal punto di vista etnico e religioso. Se è vero che il sultano era di etnia turca e religione islamica, milioni di suoi sudditi non parlavano il turco come prima lingua ed erano cristiani o ebrei, soggetti (fino al XIX secolo) a un regime speciale, quello delle millet. Lo Stato, infatti, era fondato su una base non etnica, bensì religiosa: il sultano era anche “principe dei credenti”, quindi califfo dei musulmani di qualunque etnia (arabi, turchi, curdi, ecc.), considerati cittadini di prima categoria, mentre i cristiani delle diverse confessioni (greco-ortodossi, armeni, cattolici e altri) e gli ebrei erano soggetti a un regime speciale, appunto quello delle millet, che prevedeva che ogni comunità religiosa non musulmana fosse riconosciuta come “nazione” all’interno dell’Impero, ma con uno status d’inferiorità giuridica (secondo il principio islamico della dhimma). Cristiani ed ebrei, dunque, non prendevano ufficialmente parte al governo dello Stato, pagavano l’esenzione dal servizio militare mediante un’imposta di capitazione (jizya) e un’imposta fondiaria (kharaj) e il capo di ciascuna comunità era il suo leader religioso. I vescovi e i patriarchi, per intenderci, erano perciò ufficiali civili immediatamente soggetti al sultano.

Nel XIX secolo, l’Impero ottomano iniziò a declinare per via delle sconfitte militari, delle rivolte interne e delle pressioni delle potenze europee. Risalgono a quest’epoca, in effetti, le riforme chiamate Tanzimat (volte a “modernizzare” lo Stato anche attraverso la maggiore integrazione dei cittadini non musulmani e non turchi, tutelandone i diritti mediante l’applicazione del principio di uguaglianza di fronte alla legge).

Sempre di quest’epoca sono sia i massacri hamidiani, compiuti contro la popolazione armena alla sotto il sultano Abdül Hamid II, che, all’inizio del XX sec., i tre grandi genocidi contro le tre principali componenti cristiane dell’ormai moribondo Impero: gli armeni, i greci e gli assiri.

Proprio durante l’epoca hamidiana, nel 1908, ci fu un colpo di Stato nell’Impero Ottomano, attraverso il quale un movimento nazionalista, noto come Giovani Turchi, prese il potere e costrinse Abdül Hamid a ristabilire un sistema di governo multipartitico che modernizzò lo Stato e l’esercito, rendendoli più efficienti.

L’ideologia dei Giovani Turchi s’ispirava ai nazionalismi europei, ma anche a dottrine come il darwinismo sociale, il nazionalismo elitario e il panturanismo, che vedeva erroneamente nell’Anatolia orientale e nella Cilicia la patria turca (abbiamo invece menzionato che i turchi sono un popolo di origine mongola e altaica).

Secondo le loro visioni, aspiravano a costruire una nazione etnicamente pura e a sbarazzarsi di quegli elementi che non erano pienamente turchi. Per logica conclusione, un non musulmano non era un turco: per ottenere uno Stato turco purificato da elementi di disturbo, era necessario eliminare i sudditi cristiani, cioè greci, assiri e armeni, questi ultimi considerati tanto più pericolosi in quanto, dalla zona caucasica dell’Impero russo, all’inizio della Prima guerra mondiale, si erano formati battaglioni di volontari armeni per sostenere l’esercito russo contro i turchi, coinvolgendo anche armeni di questa parte del confine.

Durante la Prima guerra mondiale, l’Impero ottomano si schierò con le Potenze Centrali e subì una pesante sconfitta, tanto che Mustafa Kemal Atatürk, un eroe militare emergente, guidò una guerra d’indipendenza turca contro le forze di occupazione straniere e nel 1923 proclamò la Repubblica di Turchia, ponendo fine alla dominazione ottomana.

Sotto la guida di Atatürk, la Turchia intraprese una serie di riforme radicali per modernizzare il paese, inclusa la secolarizzazione, la democratizzazione e la riforma del sistema giuridico (vi fu anche una riforma linguistica della lingua turca, epurata da elementi stranieri e scritta, da quel momento in poi, con caratteri latini anziché arabi, e la capitale fu spostata da Istanbul a Ankara). Negli anni successivi, la Turchia si è trovata al centro di eventi cruciali come la Seconda guerra mondiale e la Guerra fredda, nonché cambiamenti politici interni che hanno visto l’alternanza tra governi civili e militari (questi ultimi considerati i custodi della laicità dello Stato).

Nel XXI secolo, la Turchia ha continuato a giocare un ruolo significativo sulla scena internazionale, sia a livello politico che economico, specie con l’avvento di Recep Tayyip Erdoğan, presidente dal 2014, pur affrontando continue sfide interne ed esterne, tra cui tensioni etniche, questioni di diritti umani, il conflitto curdo e le questioni geopolitiche nella regione del Medio Oriente.

L'autoreGerardo Ferrara

Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.

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