Nazionalismo arabo e islamico: la radice del conflitto in Medio Oriente
È impossibile parlare di Siria, soprattutto alla luce dei tragici eventi degli ultimi anni, senza menzionare l'ideologia che sta alla base del regime e del Partito Baath, al potere nel Paese da decenni: il nazionalismo arabo. Questa scuola di pensiero vide la luce alla fine del XIX secolo, contemporaneamente alla nascita del nazionalismo europeo (da cui è influenzata).
In effetti, fino al XIX secolo, cioè prima del Tanzimat (una serie di riforme volte a "modernizzare" l'Impero Ottomano, anche attraverso una maggiore integrazione dei cittadini non musulmani e non turchi, tutelandone i diritti attraverso l'applicazione del principio di uguaglianza di fronte alla legge), lo Stato ottomano si fondava su una base religiosa piuttosto che etnica: il sultano era anche il "principe dei credenti", quindi califfo dei musulmani di qualsiasi etnia (arabi, turchi, curdi, ecc.), che erano considerati cittadini del Paese. Il sultano era anche il "principe dei credenti", quindi il califfo dell'impero, che erano considerati cittadini di prima classe, mentre i cristiani delle varie confessioni (greco-ortodossi, armeni, cattolici e altri) e gli ebrei erano soggetti a un regime speciale, quello del millet, che prevedeva che ogni comunità religiosa non musulmana fosse riconosciuta come "nazione" all'interno dell'impero, ma con uno status di inferiorità giuridica (secondo il principio islamico della dhimma).
Ebrei e cristiani discriminati
I cristiani e gli ebrei non partecipavano quindi al governo della città, pagavano l'esenzione dal servizio militare attraverso una tassa sul voto (jizya) e una tassa sulla terra (kharaj), e il capo di ogni comunità era il suo leader religioso. I vescovi e i patriarchi, ad esempio, erano funzionari civili immediatamente soggetti al sultano.
La nascita del nazionalismo panarabo, o panarabismo, si colloca quindi all'epoca della Tanzimat, precisamente tra Siria e Libano, e tra i suoi fondatori figurano anche dei cristiani: Negib Azoury, George Habib Antonius, George Habash e Michel Aflaq. Questa ideologia si basava sulla necessità di indipendenza di tutti i popoli arabi uniti (la lingua era identificata come un fattore unificante) e sulla necessità che tutte le religioni avessero pari dignità di fronte allo Stato. Si trattava quindi di una forma di nazionalismo laico ed etnico, molto simile ai nazionalismi europei.
Panarabismo e panislamismo
Il nazionalismo arabo (o panarabismo) si è subito contrapposto alla sua controparte islamica, il panislamismo: nato anch'esso nello stesso periodo, ad opera di pensatori come Jamal al-Din Al-Afghani e Muhammad Abduh, proponeva invece di unificare tutti i popoli islamici (non solo gli arabi) sotto la bandiera di una fede comune. L'Islam, quindi, doveva avere un ruolo di primo piano, maggiore dignità e pieni diritti di cittadinanza, a scapito delle altre religioni. Movimenti salafiti come i Fratelli Musulmani, Al Qaeda o lo stesso ISIS si basano proprio su quest'ultima dottrina e mirano alla formazione di uno Stato islamico, in cui l'unica legge sia quella musulmana, la Sharia.
Il panarabismo, allora incentrato sull'indipendenza di ogni Paese, trionfò quasi ovunque nel mondo arabo (tranne che nelle monarchie assolute del Golfo Persico) ma da allora, a causa della corruzione dei loro leader e di altri fattori, è sempre stato contrastato, anche violentemente, da movimenti nati dall'ideologia panislamista che, soprattutto negli ultimi 30 anni, ha preso sempre più piede nel mondo arabo-islamico, culminando nella nascita dell'ISIS nel 2014.
I cristiani in Siria prima e dopo la guerra
Prima della guerra civile, la Siria era un Paese di 24 milioni di persone, con i cristiani che rappresentavano circa il 10-13% della popolazione (più della metà erano greco-ortodossi e il resto cattolici melchiti, maroniti, siriaci, armeno-cattolici, caldei, ecc. o armeno-ortodossi e siro-ortodossi). Gli armeni in particolare, sia in Siria che in Libano, sono stati la comunità che ha registrato il maggior incremento, soprattutto dopo il Genocidio armeno (le marce forzate che i turchi costrinsero a subire la popolazione armena dell'Anatolia si conclusero a Deir ez-Zor, nella Siria orientale, dove i pochi sopravvissuti sono arrivati dopo centinaia di chilometri di stenti e dove, in memoria del milione e mezzo di vittime dello stesso genocidio, le cui ossa sono sparse in tutta l'area, è stato costruito un memoriale, poi distrutto dall'ISIS nel 2014).
In un Paese a maggioranza islamica (71% di sunniti, il resto appartenenti ad altre sette come i drusi e gli alawiti, un ramo degli sciiti), i cristiani costituivano la coda della popolazione, un fattore fondamentale per l'unità nazionale (e questo era noto anche a livello del regime baathista, al punto che Assad li proteggeva in modo particolare). Infatti, erano diffusi in tutto il Paese e, come in Libano, vivevano fianco a fianco e in armonia con tutte le altre comunità.
Opere cristiane
Le missioni e le scuole cristiane (soprattutto quelle francescane) erano e sono tuttora presenti ovunque, fornendo assistenza, formazione e aiuto a tutti i settori della popolazione, a tutti i gruppi etnici e a tutte le fedi. È inoltre importante notare che alcuni santuari cristiani del Paese erano e sono tuttora oggetto di pellegrinaggio e devozione da parte di popolazioni sia cristiane che musulmane.
In particolare, parliamo di monasteri come Mar Mousa (restaurato e rifondato dal padre gesuita Paolo Dall'OglioI cui resti sono andati perduti durante la guerra), quello di Saidnaya (un santuario mariano la cui fondazione risale all'imperatore bizantino Giustiano) e quello di Maaloula, uno dei pochi villaggi al mondo, insieme a Saidnaya e a pochi altri nella stessa zona a sud di Damasco, dove si parla ancora una forma di aramaico. Tutti questi luoghi sono diventati tristemente famosi negli ultimi anni per essere stati assediati e conquistati dai guerriglieri islamisti, che hanno rapito e poi liberato le suore ortodosse di Saidnaya, hanno devastato il villaggio di Maaloula e le sue preziose chiese, uccidendo molti cristiani, e hanno cercato di distruggere proprio questi centri che erano il cuore pulsante della Siria, perché amati da tutti i siriani, indipendentemente dal loro credo.
Tuttavia, i villaggi cristiani di Saidnaya e Sadad (nella provincia di Homs), assediati rispettivamente da gruppi vicini ad Al Qaeda e all'ISIS, con la loro accanita resistenza agli islamisti hanno contribuito a evitare che centri importanti come Damasco e Homs cadessero nelle mani dell'ISIS, grazie anche alla formazione di milizie cristiane che hanno combattuto a fianco dell'esercito regolare, dei russi, degli iraniani e degli Hezbollah libanesi.
Il presente
La situazione attuale, tuttavia, è drammatica. Dopo 11 anni di guerra, la struttura sociale ed economica del Paese è di fatto distrutta, anche a causa delle sanzioni statunitensi che continuano a impedire alla Siria di riprendersi dal conflitto, sanzioni a cui il Vaticano si oppone.
Le sofferenze inflitte dall'attuale situazione economica, come riferiscono le Nazioni Unite, sono forse più spaventose di quelle causate dalla lunga guerra civile che ha provocato circa seicentomila morti, quasi sette milioni di sfollati interni e altri sette milioni circa di rifugiati nei Paesi vicini.
Inoltre, il fatto che della Siria non si parli più, a causa dell'emergere di altre emergenze internazionali come la crisi libanese, la pandemia di Covid-19 e la guerra in Ucraina, fa sì che i milioni di persone bisognose di assistenza, anche sanitaria, vengano aiutate quasi esclusivamente dalle missioni cristiane e dalle organizzazioni non governative ad esse collegate.
Perdita dell'unità
A rendere lo scenario ancora più drammatico è la disintegrazione dell'unità tra le diverse comunità, che era stata sostenuta, come si scriveLa popolazione cristiana, che spesso ha fatto da tramite tra le altre componenti della popolazione, si trova oggi in una situazione critica, sia dal punto di vista geografico (intere regioni sono ormai completamente prive di cristiani, come Raqqah e Deir ez-Zor), che demografico ed economico (i settori in cui i cristiani erano predominanti sono ovviamente in crisi a causa della massiccia emigrazione di questa parte della popolazione).
È quindi fondamentale che tutti noi teniamo presente che la Chiesa ha "due polmoni", uno in Occidente e uno in Oriente (secondo una metafora proposta un secolo fa da Vjaceslav Ivanov e poi ampiamente ripresa da Giovanni Paolo II) per ricordarci ancora una volta la nostra missione di cristiani, richiamata dalla Lettera a Diogneto: essere "cattolici", non pensare in piccolo e solo nel nostro orticello, ma fondare quella "civiltà dell'amore" tanto auspicata da Paolo VI, sulla scia del monachesimo orientale e occidentale, ed essere l'anima del mondo.
Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.