Il 16 maggio si celebra la 55ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, l'unica dal Concilio Vaticano II. Nel Messaggio scritto per l'occasione, Papa Francesco si ispira all'invito di Gesù ai discepoli a "Venite e vedrete" (Gv 1,46) e insiste sul fatto che per comunicare è necessario incontrare le persone dove sono e come sono.
In poco più di mezzo secolo di comunicazione sociale, il panorama delle notizie è cambiato completamente e con esso la professione giornalistica, oggi schiacciata dalla disintermediazione e il infodemicoSono termini che, se non presi nella loro giusta dimensione, possono distogliere l'attenzione dal vero problema. E cioè: la responsabilità di ogni professionista di fare bene il proprio lavoro.
Innanzitutto, dobbiamo sempre interrogarci sull'impatto etico della professione giornalistica, in particolare sul carattere di "servizio al lettore" che la caratterizza, nonostante - e forse ancor più - nell'era della comunicazione globale e disintermediata.
L'infodemico ci appartiene
Per quanto riguarda il termine "infodemico"che è molto in voga negli ultimi mesi, ancor più a causa della pandemia che stiamo vivendo, se guardiamo indietro nel tempo e studiamo i diversi processi di cultura mediatica che si sono verificati, ci rendiamo conto che il termine era già stato coniato nel 2003 dal giornalista David J. Rothkopf in un articolo del Washington Post. Erano i primi mesi della diffusione della SARS (la sorella minore della "nostra" Covid-19) e l'autore descriveva il termine come "un fenomeno complesso causato dall'interazione tra media tradizionali, media specializzati, siti Internet e i cosiddetti media informali", questi ultimi identificati come telefoni cordless, sms, cercapersone, fax ed e-mail.
Come si vede, non c'è nulla di nuovo, se non il fatto che i protagonisti di questo fenomeno sono sempre le persone, sia come "alimentatori del caos" sia come consumatori un po' voraci e spesso distratti. Certo, il sociale è aumentato e la Covid-19 ci ha tragicamente fatto ripiombare in qualcosa che forse avremmo dovuto guardare con più attenzione. Questo conferma che la chiave per "aggiustare" ciò che non va non è nei processi - che sono dati per scontati - ma nelle persone. Da lì dobbiamo ricominciare, o semplicemente ricominciare.
Un'opera personale
Di fronte a una società iperconnessa, sarebbe un vero peccato - un vero impoverimento - non approfittare della quantità di possibilità che questo mondo ci offre, a partire dagli strumenti per saper distinguere ciò che è buono per la nostra esistenza da ciò che la limita. Come si vede, si tratta di un lavoro che appartiene a ciascun individuo e non può essere delegato a qualche "altro organismo", come se fosse nascosto da qualche parte nell'etere, che poi, nella migliore delle ipotesi, è solo un contenitore vuoto o l'approdo di aspettative sbagliate.
I rischi fanno parte della vita, ma vanno affrontati, gestiti, governati, accompagnati. Nessun individuo può sottrarsi a questa necessità - e a questo compito - di scegliere per sé ciò che è bene per lui (e per gli altri). E questo si chiama libertà.
I giornalisti sono persone come tutte le altre, immerse nella complessità del mondo di oggi come ognuno di noi. Non è utile né produttivo scagliare pietre contro una categoria piuttosto che un'altra. Ma è innegabile la necessità di un esame di coscienza generale, che tenga conto della complessità delle situazioni e del quadro globale che stiamo vivendo.
Risposte complesse a problemi complessi
Problemi complessi richiedono risposte complesse, per cui è giunto il momento, da bravi "meccanici", di andare prima a individuare i difetti che rendono impraticabile il "motore" della società, e di riparare i componenti rotti pezzo per pezzo. È un compito che spetta a tutti, dall'operatore dell'informazione e della comunicazione al cittadino comune, dagli organismi educativi alla politica, dalla Chiesa a tutti gli altri organismi che operano nella società. È un compito complesso, un compito globale, un compito che non può essere rimandato. Ma è anche la sfida migliore che possiamo affrontare, per dare un senso alla nostra vita.
Non accontentatevi
Quindi un consiglio ai giovani: non accontentatevi mai! Non accontentiamoci dello studio, del desiderio di capire la realtà, delle possibilità da offrire a chi riceve i frutti del nostro lavoro. Non esiste un unico modello di comunicazione, così come non esistono individui uniformi.
Ognuno di noi è unico e la comunicazione "al mondo" deve partire dalla consapevolezza che non c'è un solo aspetto da tenere in considerazione, ma una complessità di elementi.
Un buon comunicatore è colui che si sente a proprio agio in questa complessità, piuttosto che a disagio, e cerca in tutti i modi di intercettare le singole cause che portano a plasmare il disegno complessivo della vita delle persone. Auguri.