Il Cardinale George Pell, nel suo ruolo di Primo Prefetto della Segreteria per l’Economia, ha dato prova di coraggio e - così come nella vita cristiana - ha mostrato zelo, convinzione e determinazione avendo “visto” e compreso prima degli altri “quale fosse il percorso da realizzare”. Lo scrive nero su bianco Papa Francesco in una lettera indirizzata alle persone che lavorano nella Segreteria per l’Economia, scritta una settimana dopo di averli ricevuti in udienza a metà novembre.
In quella occasione il Santo Padre rivolse l’invito ad andare avanti nella strada già intrapresa da quasi dieci anni con la costituzione dell’Organismo, soprattutto per quanto riguarda la trasparenza, il controllo e procedure più snelle ed efficaci all’interno della Curia Romana.
Concetti che ribadisce ora in maniera più netta in questa lettera data a conoscere dallo stesso Dicastero per l’Economia il 12 dicembre: “guardando indietro e constatando la situazione odierna, non posso non vedere i tanti progressi compiuti”, esordisce Francesco, evidenziando anche i tanti apprezzamenti ricevuti per il lavoro fatto seguendo appunto le indicazioni del primo Prefetto Pell, affinché il patrimonio della Santa Sede sia finalizzato alla missione, prevenendo i rischi e gli errori del passato.
Le basi poste dal Cardinale Pell hanno permesso ai suoi successori di portare avanti nuove riforme, molte delle quali approvate sotto la guida di p. Juan Antonio Guerrero, che ha lavorato “con uno stile fondato sul dialogo, la concretezza e la semplicità”, riconosce il Pontefice.
Il cammino è appena iniziato
Ma il cammino delle riforme non è affatto concluso. Anzi – scrive il Papa – “è appena iniziato”, poiché come per tutte le realtà vive della Chiesa in generale, e della Curia Romani in particolare bisogna orientarsi sempre verso il meglio, monitorando gli effetti dei diversi cambiamenti, adattando dove serve.
Non bisogna dimenticare – aggiunge il Santo Padre – che “la corretta gestione del patrimonio e del suo impiego è una testimonianza resa a tutti di come si possa fare tanto con poco” e il lavoro che svolgono quanti operano in questo contesto di “economia di missione” è un vero servizio che si rende alla Chiesa universale.
Un lavoro senza dubbio “delicato” perché il rischio di trasformare autorevolezza in autorità o riconoscimento e rispetto in timore è dietro l’angolo, insieme alla tentazione di “esercitare potere invece che assumere decisioni” o ancora evitando di utilizzare il denaro laddove serve per accrescere e far fiorire la missione della Chiesa, ad esempio in quelle circostanze “dove vi è più bisogno in maniera disinteressata”.
Un chiaro monito ad investire adeguatamente le risorse insieme alla necessità di esercitarsi nella “capacità di ascoltare e di farsi ascoltare”, ma anche di impegnare le diverse professionalità e tecniche economiche non secondo una “volontà arbitraria di chi ha la responsabilità di decidere o autorizzare” ma con lo scopo di ricondurre le diverse iniziative da sostenere “al bene comune”.
Certamente, bisogna anche essere leali nel saper “dire di no quando quello che vi viene rappresentato o che trovate nei controlli tradisce la missione”, a favore piuttosto di interessi individuali, o con la violazione delle regole per finalità estranee alla Santa Sede e alla Chiesa e alla loro missione.
Prudenza e lealtà
“Prudenza e lealtà”, chiede dunque il Papa, “per il bene comune della nostra comunità di lavoro, della Chiesa, dei fedeli e dei bisognosi”. Un servizio da svolgere senza dubbio con “professionalità, dedizione, approfondimento e studio”, senza però dimenticare “umiltà, disponibilità all’ascolto, spirito di servizio e infine vigilanza e cultura della legalità e della trasparenza”.
Di fronte al deficit economico della Santa Sede, che erode annualmente una parte del patrimonio, il Papa chiede “un’inversione di tendenza”, chiamando ciascuno a “essere pronto con modestia e spirito di servizio a rinunciare al proprio interesse particolare nell’interesse comune”, liberandosi da rigidità ed essendo disponibili all’aggiornamento.
Premiare il merito
Il pensiero del Pontefice è da una parte per le nuove figure che dovranno essere assunte – competenti, eticamente predisposte e professionali – ma anche per dare la possibilità di rinnovarsi a quanti già lavorano nella Santa Sede, offrendo loro “formazione, occasioni di crescita, nuove esperienze”, senza far venir meno dimostrazioni di fiducia e riconoscimento. Questo significa anche “retribuzione equa”, “che è tanto più giusta quanto più legata ai risultati e al contributo che ciascuno dà nel servizio alla Chiesa”. Evitare il carrierismo dunque, ma senz’altro premiare il merito.
Lo stesso deve valere nel caso dei fornitori esterni a cui la Santa Sede si rivolge: “eticità, capacità e professionalità, al giusto prezzo per un equo profitto”, come già regolamentato negli ultimi anni. E per il patrimonio in generale, i cui frutti della gestione devono essere anch’essi equamente divisi “e tutti abbiano ciò di cui effettivamente hanno bisogno”.
Gli investimenti, specifica ancora Papa Francesco, “non devono avere né l’obiettivo della speculazione e neanche quello dell’accumulo” e lo stesso deve valere per i bilanci e i budget a disposizione dei vari Enti, affinché non ci siano “enti ricchi ed enti poveri” ma un’armonia in tutta la Santa Sede, perché tutti “partecipano alla realizzazione e al perseguimento del medesimo bene”.