Quella del Sahara occidentale è una delle controversie territoriali più longeve e complesse della storia contemporanea e rimonta all’epoca coloniale. Questa regione, infatti, costituiva una provincia spagnola conosciuta come Sahara spagnolo e fu rivendicata, nel 1975 (fine del dominio coloniale della Spagna sulla regione), sia dal Marocco che dalla Mauritania.
La questione del Sahara occidentale
La zona è da sempre abitata dal popolo saharawi, che parla la lingua araba hassaniya (una forma particolare di arabo magrebino che si discosta in parte da quello del Marocco) e afferisce al gruppo etno-linguistico dei mori (berberi arabizzati).
Già nel 1973 era stato creato il Fronte Polisario (Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro) con l’obiettivo di ottenere l’indipendenza della regione. Nel 1975, in seguito alla Marcia Verde (manifestazione di massa organizzata dal governo marocchino per ottenere l’indipendenza della regione saharawi dalla Spagna e l’annessione al Marocco), la Spagna si ritirò dalla zona, che fu poi invasa dal Marocco e dalla Mauritania, il che innescò il conflitto armato con il Fronte Polisario. Nel 1976, quest’ultimo proclamò la nascita della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), riconosciuta da numerosi Paesi e dall’Unione Africana ma non dalle Nazioni Unite.
Nel 1979, la Mauritania rinunciò alle rivendicazioni sul Sahara occidentale, lasciando al Marocco il controllo sulla maggior parte del territorio. Il conflitto si protrasse fino al 1991, quando le Nazioni Unite negoziarono un cessate il fuoco e stabilirono la Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO), con lo scopo di organizzare un referendum che determinasse il futuro del territorio. Tuttavia, tale referendum non si è mai tenuto, per via del disaccordo tra le parti sia riguardo alla composizione dell’elettorato sia alle modalità di voto.
Il Marocco considera a tutt’oggi il Sahara occidentale come parte integrante del proprio territorio e ha implementato una politica di sviluppo e investimento nella regione. D’altra parte, il Fronte Polisario continua a lottare per l’indipendenza e gestisce campi profughi per i saharawi nella vicina Algeria, dove molti rifugiati vivono da decenni (il Marocco è in contrasto con l’Algeria soprattutto a causa di questa questione, poiché l’Algeria sostiene da sempre il Fronte Polisario anche per destabilizzare il vicino).
Negli ultimi anni vi sono stati significativi sviluppi diplomatici, come il riconoscimento da parte degli Stati Uniti della sovranità marocchina sul Sahara occidentale nel 2020, in cambio della normalizzazione delle relazioni tra il Marocco e Israele. Comunque, la comunità internazionale rimane divisa sulla questione, e il futuro del Sahara occidentale è più che mai incerto.
Gli ebrei del Marocco
Nel 1764 il re Mohammed III ordinò a molte famiglie di mercanti ebrei di stabilirsi nella nuova città di Mogador. Venne, così, a formarsi una nuova classe mercantile privilegiata che prese in mano le redini di una vastissima attività commerciale in tutto il Mediterraneo. Tuttavia, pur in questa nuova condizione, gli ebrei marocchini, in gran parte esclusi da questo processo economico, continuarono a dedicarsi ai mestieri tradizionali, soprattutto l’artigianato.
Per secoli, musulmani ed ebrei hanno convissuto in modo produttivo nel Paese maghrebino e gli israeliti, incoraggiati dai governanti musulmani a vivere con il resto della popolazione in quartieri misti, hanno invece preferito vivere in quartieri separati, che hanno preso il nome di "mellah", il toponimo tipicamente marocchino per indicare il terreno con cui era conosciuta parte della città di Fez.
Nel 1764, il re Maometto III ordinò a molte famiglie di mercanti ebrei di stabilirsi nella nuova città di Mogador. Si formò così una nuova classe mercantile privilegiata, che prese le redini di una vasta attività commerciale in tutto il Mediterraneo. Tuttavia, nonostante questo nuovo status, gli ebrei marocchini, in gran parte esclusi da questo processo economico, continuarono a dedicarsi ai mestieri tradizionali, soprattutto all'artigianato.
Con la conferenza di Algeciras del 1906, il territorio marocchino fu diviso in due zone di influenza, una francese e l'altra spagnola, e nel 1912 furono istituiti due diversi protettorati.
Tuttavia, la parte settentrionale (quella francese, cioè il Marocco vero e proprio) continuò a godere di un certo grado di autonomia, cosicché la comunità ebraica marocchina fu risparmiata dalle leggi razziali applicate nel resto del Maghreb (Algeria e Tunisia) durante il regime di Vichy, poiché il re Mohammed V (il Marocco era un protettorato della Francia) si rifiutò di renderle operative nel suo Paese.
A parte il grave pogrom di Oujda nel 1948, dopo la proclamazione dello Stato di Israele, che causò 40 morti tra la popolazione israeliana della città, dopo l'indipendenza del Marocco nel 1956, l'atteggiamento delle autorità marocchine nei confronti degli ebrei fu, almeno in una certa misura, lodevole. Gli ebrei marocchini, infatti, erano stati a lungo considerati cittadini come tutti gli altri e quindi meno influenzati dalla cultura francese rispetto ai loro correligionari algerini e tunisini. Parlavano soprattutto spagnolo o arabo, occupavano posizioni importanti nel governo e alcuni di loro erano membri dell'esercito regolare.
Tuttavia, mentre nel 1956 la popolazione ebraica marocchina contava 263.000 persone, nel 1961, al momento della prima vera crisi nelle relazioni tra ebrei e musulmani, 40.000 ebrei avevano già lasciato il Paese. L'emigrazione si è fermata solo nel 1978, tanto che oggi nel Paese rimangono solo 2.000-3.000 ebrei, la maggior parte dei quali vive a Casablanca, Marrakech e Rabat.
Il cristianesimo in Marocco
I cristiani in Marocco sono una minuscola minoranza, tra i 20.000 (secondo il Pew-Templeton Global Religious Futures, GRF) e i 40.000 (secondo il Dipartimento di Stato americano), nulla in confronto ai tempi antichi (il cristianesimo arrivò in Marocco già in epoca romana, quando era praticato dai berberi dell'allora provincia di Mauretania Tingitana, ma non solo).000 (secondo il Dipartimento di Stato americano), nulla in confronto all'antichità (il cristianesimo arrivò in Marocco già in epoca romana, quando era praticato dai berberi dell'allora provincia di Mauretania Tingitana, ma di fatto scomparve dopo la conquista islamica) e all'epoca coloniale (la presenza europea nel Paese aveva fatto salire il numero dei fedeli cristiani a oltre mezzo milione, quasi la metà della popolazione di Casablanca, di cui almeno 250.000 spagnoli).
Dopo l'indipendenza del 1956, molte istituzioni cristiane sono rimaste attive, anche se negli anni successivi la maggior parte dei coloni europei ha lasciato il Paese. Nonostante ciò, la comunità cristiana ha potuto continuare a esistere soprattutto grazie agli espatriati e agli emigrati, in particolare dall'Africa subsahariana: essi costituiscono gran parte dei fedeli cristiani in Marocco, insieme a un numero molto ridotto di marocchini convertiti.
Tuttavia, non esistono cifre ufficiali, anche a causa della paura di molti convertiti al cristianesimo dall'Islam. Si parla di 5.000 cristiani espatriati e di 3.45.000 convertiti locali (quest'ultima cifra è fornita dall'ONG Voice of the Martyrs, VOM), e la pratica dell'apostasia dall'Islam si sta diffondendo segretamente non solo nelle città ma anche nelle zone rurali.
Il timore che gli apostati dall'Islam si dichiarino cristiani deriva sia dalle tradizioni religiose (nell'Islam l'apostasia è punita con la morte) sia dalle norme sancite dal Codice penale, che vieta il proselitismo e la conversione dall'Islam ad altre religioni (un tempo più comuni, soprattutto sotto il protettorato francese), anche se l'ultima Costituzione marocchina del 2011 afferma (art. 3) che "l'Islam è la religione dello Stato", ma lo Stato stesso "garantisce a tutti il libero esercizio della propria religione".
Infatti, il Codice penale marocchino (che considera ancora reati la rottura del digiuno in pubblico durante il mese sacro del Ramadan, i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio e la blasfemia) stabilisce, all'articolo 220, che chiunque induca o incoraggi un musulmano a convertirsi a un'altra religione è passibile di una pena detentiva da tre a sei mesi e di una multa da 200 a 500 dirham.
Pertanto, se l'apostasia da parte di chi la commette non è di per sé un reato penale (lo è per chi induce un musulmano a convertirsi), di fatto comporta una sorta di "morte civile", in quanto l'apostata, secondo il Codice di famiglia del Paese, è colpito da una serie di gravi impedimenti, soprattutto in materia di matrimonio, affidamento dei figli ed eredità. Infatti, il matrimonio di un musulmano che si converte a un'altra religione viene sciolto e gli viene revocato il diritto alla custodia e alla tutela dei figli. Se l'apostata, quindi, è una donna, potrà avere la custodia del bambino solo fino all'età in cui avrà la capacità di discernimento religioso. Per quanto riguarda l'eredità, l'apostata non ha diritto all'eredità, che è garantita esclusivamente agli eredi musulmani.
Tra le comunità cristiane, la più numerosa è quella cattolica, con diverse parrocchie, istituzioni caritative e soprattutto scuole in tutto il Paese, soprattutto a Casablanca, Rabat e nelle altre principali città. Sono presenti anche le chiese protestanti e ortodosse. Tutte le chiese sono particolarmente impegnate nell'assistenza e nell'accoglienza degli espatriati, ma anche e soprattutto dei rifugiati, degli sfollati e degli immigrati, soprattutto subsahariani.
Negli ultimi anni sono stati compiuti sforzi per promuovere il dialogo interreligioso. Il re Mohammed VI ha espresso il suo impegno per la tolleranza religiosa e la coesistenza pacifica tra le diverse comunità, ed eventi quali la visita di Papa Francesco nel 2019 hanno sottolineato l'importanza del dialogo tra musulmani e cristiani per favorire la pace e la comprensione reciproca.