Nel precedente articolo sull’Iraq, abbiamo segnalato che nel Paese l’islam è la religione del 95-98% della popolazione, 60% sciiti e 40% sunniti all’incirca (sulle differenze tra sciiti e sunniti rimandiamo a un nostro articolo sull’Iran1). Le minoranze non islamiche costituiscono meno del 2%, in particolare cristiani, ebrei, mandei2, yazidi.
Fino al 2003, tuttavia, in Iraq viveva una delle minoranze cristiane più numerose del Vicino Oriente, con 1 milione e mezzo di fedeli: erano il 6% della popolazione (il 12% nel 1947), ma oggi ne sono rimasti meno di 200 mila.
Il cristianesimo in Iraq
Il cristianesimo è presente da millenni in Iraq (anche qui, come in Iran, da più tempo dell’attuale religione di Stato, l’islam), e con una tradizione ricchissima.
Tradizionalmente, si considera san Tommaso apostolo l’evangelizzatore della Mesopotamia e della Persia, seguito in missione da Addai (Taddeo), uno dei settanta discepoli di Gesù e primo vescovo di Edessa, e dal suo discepolo Mari (celebre è l’Anafora di Addai e Mari, considerata una delle più antiche formule eucaristiche), già nel I secolo. La Chiesa d’Oriente, anche conosciuta come Chiesa di Persia, Chiesa assira o Chiesa nestoriana, con la sua specifica identità, nacque comunque tra il III e IV secolo, quando si allontanò dal cristianesimo occidentale in occasione del Concilio di Efeso (431), non avendo i vescovi assiri e persiani accettato la condanna del vescovo Nestorio e delle sue idee1, e poi ulteriormente con il Concilio di Calcedonia (451). Ciò condusse a una divisione all’interno della Chiesa orientale, con la compresenza di gerarchie ecclesiastiche calcedonesi e non calcedonesi in contrasto tra loro.
La Chiesa assira, il cui centro di gravità era quindi nella Mesopotamia e nella Persia, si contraddistingue per la tradizione antiochena, rappresentata soprattutto da Teodoro di Mopsuestia, amico e confratello nella stessa comunità monastica di Giovanni Crisostomo ad Antiochia, e la liturgia propria della Chiesa primitiva, quindi molto vicina a quella sinagogale ebraica. Non essendo stata influenzata dalla mentalità e dalla filosofia ellenistiche, e neppure dall’architettura, la sua teologia è molto spirituale e simbolica, quasi del tutto priva di strumenti concettuali astratti, tanto che in lingua siriaca non abbiamo opere sistematiche di teologia, bensì piuttosto racconti allegorici, omelie in versi che sviluppano la simbologia biblica, scritti che riferiscono le esperienze ascetiche e mistiche dei rispettivi autori, come Afraate il Saggio o Efrem il Siro, considerati Padri di questa Chiesa al pari di Narsete, lo stesso Teodoro, Abramo di Kashkar e altri.
Il cristianesimo assiro ebbe nel primo millennio un’enorme fecondità. I suoi missionari, infatti, ben prima di Matteo Ricci ed altri evangelizzatori occidentali, giunsero fino in Cina (come testimonia la Stele nestoriana, eretta nel 781 a Xi’an, nella Cina centrale, per celebrare i 150 anni di presenza cristiana assira nel Paese), in Afghanistan e in Himalaya, lungo le rotte della Via della Seta.
Gli assiri cristiani
Quando si parla di assiri cristiani non s’intende l’antico popolo mesopotamico, bensì un gruppo etnoreligioso di lingua siriaca (variante moderna dell’aramaico antico) e che professa il cristianesimo siriaco (o assiro, sinonimo in questo caso di “siro” e non di assiro-babilonese). Gli assiri sono oggi all’incirca 3,5 milioni, stanziati soprattutto in Iraq (300 mila, specie tra Baghdad, Mosul e la Piana di Ninive), Siria (180 mila), Stati Uniti ed Europa. Erano numerosi anche nel sud della Turchia, ma furono sterminati o esiliati nel corso del Genocidio assiro (contemporaneo, ma meno conosciuto rispetto a quello armeno1) che vide il massacro sistematico di una cifra compresa tra 275 e 750 mila cristiani assiri, anche questo ovviamente negato dalla Turchia però riconosciuto a livello internazionale e dagli storici degni di questo nome.
La culla di questo gruppo etnico e religioso è la città di Mosul (l’antica Ninive, sulle rive del Tigri), insieme alla Piana di Ninive (a nord-est di quest’ultima città), una zona che fa parte del governatorato di Ninive ma i cui abitanti rivendicano la creazione di una provincia autonoma assira. Tra la città di Mosul e la Piana di Ninive (abitata anche da curdi, turkmeni, arabi, yazidi e altri gruppi etnoreligiosi) si trovano alcuni tra i luoghi santi più importanti del cristianesimo siriaco e mondiale, tra cui il monastero siro-cattolico di Mar Benham, del IV secolo, nei pressi della città cristiana di Qaraqosh (Bakhdida, in aramaico, 50 mila abitanti prima della proclamazione dell’ISIS e 35 mila attualmente), la chiesa di Al-Tahira (Immacolata, in arabo, la più antica di Mosul, del VII secolo), i monasteri di Mar Mattai e di Rabban Ormisda (tra i più antichi monasteri cristiani del mondo).
La lingua da essi parlata è un’evoluzione dell’aramaico antico, in una sua variante orientale oggi chiamata suroyo o turoyo, ancora molto diffuso tra la popolazione.
Prima della conquista arabo-islamica i cristiani erano la maggioranza in Iraq, ma la loro presenza, pur rimasta fondamentale a livello culturale ed economico, come in altri Paesi del Medio Oriente, è a rischio costante, specie dopo la caduta di Saddam Hussein. Secondo il cardinale Louis Raphaël I Sako, patriarca della Chiesa caldea in Iraq ma punto di riferimento per tutte le comunità cristiane irachene, ormai sempre più unite in quello che papa Francesco definisce “ecumenismo del sangue”, in seguito al rovesciamento del dittatore, 1.200 cristiani sono stati uccisi (tra cui diversi sacerdoti e diaconi e l’arcivescovo Paulos Faraj Rahho), 62 chiese pesantemente danneggiate e oltre 100.000 persone divenute profughe, private di tutti i loro averi.
Le persecuzioni, già feroci a causa degli attentati di Al-Qaida (decine di morti in varie chiese a Baghdad, l’assassinio del sacerdote Ragheed Ganni nel 2007, di Mons. Sahho nel 2008, solo per menzionarne alcuni), si sono intensificate nel 2014, quando i jihadisti dell’ISIS hanno invaso Mosul e occupato la Piana di Ninive per circa un anno, accanendosi contro le minoranze presenti, nella fattispecie cristiani e yazidi.
Un rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre1 evidenzia come, pur con un parziale ritorno dei profughi nei diversi villaggi e città tra Mosul e la Piana di Ninive dopo la sconfitta del Califfato (tra il 20% e il 70% a seconda del luogo e delle condizioni), la situazione dei cristiani (e non solo) nel Paese rimanga drammatica e l’esodo prosegua.
Oggi il cristianesimo siriaco in Iraq è presente sotto diverse denominazioni. A partire dal XVI, infatti, porzioni considerevoli della Chiesa siro-ortodossa e della Chiesa siriaca orientale tornarono in comunione con Roma, accettando formalmente il Concilio di Calcedonia e le sue conclusioni in materia cristologica, pur salvaguardando le proprie tradizioni spirituali, teologiche e liturgiche (come altre Chiese orientali, infatti, sono definite Chiese Sui Iuris), e sono rispettivamente la Chiesa siro-cattolica (di rito siriaco occidentale, come quella ortodossa siriaca) e la Chiesa caldea, maggioritaria nel Paese (di rito siriaco orientale, come quella siriaca, o assira, d’Oriente).
Gli yazidi
Oltre ai cristiani e ai mandei, un’altra minoranza irachena di cui ultimamente si è sentito molto parlare sono gli yazidi.
Si tratta di una popolazione di lingua curda che professa lo yazidismo, una religione sincretica. Sono concentrati per lo più nella regione del Sinjar, circa 160 km a est di Mosul.
Il fatto di credere in un Dio sommo e ineffabile, in relazione con il mondo per mezzo di sette angeli creatori sue emanazioni, o avatar, il cui primo in dignità è Melek Ta’ùs (angelo Pavone o angelo caduto), ha creato la nomea intorno a loro di essere adoratori del demonio (Satana), poiché, secondo alcuni racconti orientali, il tentatore di Eva assunse la figura del pavone.
Sono detti yazidi perché questo angelo Pavone si sarebbe diviso in una triade e manifestato nel tempo sotto forma (sempre avatar) di alcuni personaggi fondamentali per questo popolo, tra cui Yazid (il califfo omayyade Yazid ibn Mu‛awiyah) e Sheikh Adi ibn Musafir (un grande sufi musulmano del XII secolo). Credono, in un curioso miscuglio di gnosticismo, cristianesimo e islam, nella metempsicosi (reincarnazione, un elemento gnostico), nell’immortalità dell’anima, nel paradiso per i giusti e nella punizione per i peccatori, consistente nella trasmigrazione in esseri inferiori fino al giorno del giudizio.
I loro culti, anch’essi sincretici, fondendo elementi cristiani (battesimo, forme di comunione) dovuti certamente ai contatti con comunità cristiane, specialmente nestoriane (le quali hanno fortemente influenzato anche l’islam e i suoi riti), gnostici e musulmani (circoncisione, digiuno, pellegrinaggio, sebbene per gli yazidi il pellegrinaggio si svolga annualmente al santuario dello Sheikh Adi a Lalish, nel nord del Kurdistan iracheno).
L’origine gnostica è altrettanto evidente nell’ordinamento comunitario, di tipo teocratico e in base al livello di conoscenza misterica, tra laici (definiti “aspiranti”) e chierici (divisi in più categorie).
Gli yazidi sono stati senza dubbio la minoranza maggiormente perseguitata sotto il Califfato dell’ISIS, giacché ritenuti, a differenza dei cristiani, semplicemente pagani, o peggio, adoratori del demonio, dunque perseguibili fino alla morte, a meno che non si convertissero all’islam.
Si stima, poi (le cifre sono del portavoce UNICEF Marzio Babille), che nel periodo di occupazione del nord dell’Iraq da parte dei jihadisti di Abu Bakr Al-Baghadi siano state almeno 1.582 le giovani donne yazide di età tra i 12 e i 25 anni rapite (se non il doppio) per essere violentate e usate come schiave sessuali, passate da un guerrigliero all’altro e rimaste poi spesso incinte, in misura ancora maggiore rispetto alle cristiane.
Gli orrori dei loro racconti hanno commosso e indignato all’epoca il mondo intero, che però non sembra più interessato alla sorte dei sopravvissuti a questa barbarie in un Paese sempre più abbandonato a se stesso.
Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.