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Quale sacerdote per quale Africa?

La crisi del sacerdozio riguarda il continente africano? I numeri non sembrano rispondere a questa domanda in modo affermativo. Tuttavia, la formazione dei sacerdoti africani è una sfida importante: la qualità della formazione e del discernimento è una sfida continua.

Jean Paulin Mbida-18 maggio 2022-Tempo di lettura: 5 minuti
sacerdoti africa

Foto: ©2022 Catholic News Service / Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti.

L'ultimo congresso sulla teologia fondamentale del sacerdozio (17-19 febbraio 2022 a Roma), convocato dal cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i Vescovi, ha sfidato tutte le Chiese particolari. Soprattutto, ha messo in luce alcuni punti fondamentali della crisi del sacerdozio che fino ad allora erano stati trascurati o addirittura ignorati. Infatti, per un buon numero di osservatori, e anche di cristiani, che non sempre distinguono tra cause e conseguenze, la crisi del sacerdozio, la crisi della fede, si manifesta soprattutto con il fenomeno della crisi delle vocazioni. L'esaurimento delle vocazioni, lo svuotamento o addirittura la chiusura di seminari, noviziati e altre case di formazione, la scomparsa di intere comunità religiose, preoccupano le Chiese occidentali da diversi decenni e sono ancora alla ricerca di soluzioni adeguate.

Il contrasto nella Chiesa in Africa

Ciò contrasta con la Chiesa in Africa, che sta crescendo numericamente al punto da suscitare l'interesse dei principali giornali laici o laicisti dell'Europa occidentale (Le Monde, Le Figaro, ecc.). Il numero di sacerdoti sta aumentando con cifre impressionanti e molto invidiabili. In alcune parti del continente, il numero dei sacerdoti è aumentato di 85% in vent'anni, quello delle suore di 60% e quello dei vescovi di 45%. Le recenti pubblicazioni degli annuari statistici della Santa Sede evidenziano questo vero e proprio boom vocazionale nella Chiesa africana. Una crisi del sacerdozio in Africa appare quindi una tesi assurda, incoerente e insensata, e quindi difficile da difendere.

Il congresso sul sacerdozio tenutosi lo scorso febbraio ha permesso di vedere oltre la mera manifestazione numerica e statistica della crisi del sacerdozio, che riguarda solo alcune chiese. La crisi sistemica ed empirica è molto più profonda e dannosa. In questo senso, le comunità africane si trovano ad affrontare una crisi di sostanza, forma e sostanza. La crisi fondamentale si verifica quando la base dottrinale del sacerdozio non è corretta e, di conseguenza, colpisce l'identità stessa del sacerdote, la sua vita umana e spirituale e la sua azione sacerdotale.

La crisi della forma è certa quando i molteplici volti assunti dal sacerdozio non sono al passo con le aspettative del popolo e gli obiettivi della missione, e quando si discostano dall'essenziale per costruire su questioni marginali o estranee al loro scopo. La crisi è sostanziale perché il sacerdozio sta diventando convenzionale, cioè secondo le convenienze di un mondo i cui desideri vengono seguiti ciecamente.

Il congresso ci permette, ancora una volta, di guardare all'Africa, un continente che non sta vivendo un declino vocazionale perché la crisi vocazionale non è una grande preoccupazione rispetto alle vocazioni in crisi. Se diversi pastori africani riconoscono che tutte le vocazioni sono un dono di Dio, hanno più volte messo in dubbio l'autenticità delle vocazioni. Infatti, in una società africana che sta cambiando, che si è evoluta molto e che chiede molto ai giovani, soprattutto a quelli che desiderano una vita ideale, il rischio per alcuni che il sacerdozio sia un modo per avanzare nello status sociale è più evidente.

Continente ambito

L'Africa è oggi il mercato ambito dagli epigoni dei baroni spirituali ed evangelici che pretendono di combattere la povertà a favore della prosperità. Si parla di un terra nulliusdivisi in zone di influenza, imprese e società. La povertà e la durezza della vita, padre di tutte le altre sfide, la depravazione dei costumi, la disoccupazione endemica dei giovani, anche se laureati, che sono ormai disposti a tutto pur di guadagnarsi da vivere, anche a costo di gettarsi nel Mediterraneo, sono da decenni all'ordine del giorno. Questa situazione ha ovviamente ripercussioni sull'azione della Chiesa. Influenza il modello di sacerdote e detta persino il profilo del sacerdote da formare. La condizione sociale precaria, deleteria e approssimativa ha infatti avuto ripercussioni sul sacerdozio ministeriale.

La situazione del clero africano dipende dal diverso contesto in cui viene esercitato il ministero, dalle disposizioni sociali e culturali e dai vari investimenti dei sacerdoti. Ignace Ndongala Maduku descrive le condizioni di alcuni sacerdoti africani di oggi come vagabondi in cui vecchiaia fa rima con angoscia, malattia con miseria. Troviamo molti funzionari di Dio, un clero statale e non pastori del popolo. Una preoccupazione costante del clero africano è la sussistenza materiale dei sacerdoti, che porta a stabilire tacitamente dei privilegi.

Il linguaggio è spesso insolito e agghiacciante nel descrivere questo aspetto della qualità della vita dei sacerdoti africani: il darwinismo ecclesiastico. Inoltre, viene criticato il loro atteggiamento nei confronti dell'élite e dell'autorità: inchinarsi ai superiori e calpestare gli inferiori, essere umili davanti alle autorità e autoritari davanti agli umili. In questo contesto, le nomine sono percepite come avanzamenti, promozioni che a volte sembrano plebisciti, fonti di vantaggi materiali e vari privilegi reali o immaginari. La mancanza di uguaglianza tra i sacerdoti e la mancanza di sicurezza sociale, materiale e finanziaria creano una scandalosa disuguaglianza e ingiustizia tra i sacerdoti.

Priorità alla formazione

Esiste, quindi, una vera e propria sfida educativa in relazione alla formazione dei futuri sacerdoti. La questione emerge con più forza di fronte agli scandali attuali, ma in realtà deve essere portata all'attenzione di tutta la comunità cristiana, evitando la logica del capro espiatorio o quella dell'emergenza. C'è il rischio molto concreto che il sacerdozio sia una via di fuga verso uno status sociale che i giovani non avrebbero nella vita ordinaria. Alcune domande sono oggi essenziali: il modello di formazione dei futuri sacerdoti, ereditato dall'epoca missionaria, è ancora efficace rispetto al profilo dei sacerdoti da formare? Quali sacerdoti? Per quale società? Il quadro dei piccoli e grandi seminari di clausura che esistono ancora oggi rappresenta una garanzia stabile per la maturazione delle vocazioni sacerdotali?

La formazione di veri pastori è una priorità per la Chiesa africana, è la priorità delle priorità. Si tratta di un lavoro che richiede una notevole quantità di manodopera e di risorse. La qualità della formazione e del discernimento è una sfida permanente con le necessarie esigenze. Inoltre, il seminario non è l'unico "ramo" responsabile della formazione dei candidati al sacerdozio. Il compito del seminario non può essere quello di offrire "prodotti finiti". È necessaria una visione sistemica, che coinvolga pastori, formatori, ma anche sacerdoti e l'intera comunità cristiana. La formazione in seminario coinvolge, in senso ascendente, la pastorale giovanile e deve favorire una seria verifica delle condizioni di possibilità per lo sviluppo di persone specifiche in tutti gli ambiti della formazione.

Il discernimento vocazionale dei giovani deve seguire da vicino l'evoluzione dei bisogni pastorali, ordinando le azioni concrete in una direzione precisa. Occorre prestare molta attenzione al buon e santo discernimento. È vero che non tutti i seminaristi diventano sacerdoti, ma la rapidità delle scelte e la mancanza di discernimento possono portare i giovani di oggi a non vivere in profondità il loro discernimento vocazionale, poiché la società offre facilitazioni e scorciatoie.

"Esempi di piombo".

Un punto importante e critico, troppo spesso trascurato nel migliorare la qualità della formazione dei futuri sacerdoti, rimane la qualità e la testimonianza concreta dei sacerdoti, dei vescovi nel loro insieme. I seminaristi sono spesso più sensibili di quanto si possa pensare al clima generale della vita clericale. Come dice un detto italiano: le parole insegnano, ma gli esempi guidano. Poiché l'orizzonte della formazione è prospettico e "i futuri sacerdoti ricevono una formazione commisurata all'importanza e al significato da dare alla loro consacrazione", ci sono importanti ricostruzioni del ruolo del sacerdote nella società africana secondo i tria munera (insegnare, santificare e governare) che richiedono una ridefinizione e un aggiornamento dell'ufficio pastorale.

L'animazione e il risveglio missionario, l'istanza biblica del profeta, la memoria della chiamata universale alla santità: il battesimo e non l'estrema "sacramentalizzazione" sembrano essere la base per un proficuo approfondimento ed esame per un autentico sacerdozio anche per la Chiesa africana.

L'autoreJean Paulin Mbida

Direttore degli studi presso il Seminario Teologico Maggiore di Yaoundé-Nkolbisson (Camerun). Professore di etica sociale e politica.

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