Cultura

Mosaico sulla terra: etnie e culture in Libia

In Libia, soprattutto tra gli arabi, il tribalismo è ancora molto diffuso e le tribù, soprattutto quelle più grandi, giocano un ruolo fondamentale nella gestione della politica e della società locale.

Gerardo Ferrara-15 gennaio 2025-Tempo di lettura: 6 minuti
Libia

Arco di Settimio Severo in Libia (Wikimedia Commons / Luca Galuzzi)

In un articolo precedente sulla Libia, abbiamo illustrato la grande frammentazione geografica e culturale che esiste nel Paese, sia per la vastità del territorio libico (oltre 1,7 milioni di chilometri quadrati, suddivisi nelle tre macroregioni della Tripolitania, della Cirenaica e del Fezzan), sia per l'origine etnica della popolazione, con arabi e berberi che costituiscono la stragrande maggioranza e percentuali minori di altri gruppi etnici, cioè almeno 10 % di immigrati subsahariani e piccole percentuali di Tuareg e Tebu.

Arabi e berberi

Parlando del Marocco, abbiamo discusso le principali differenze tra i Paesi arabi del Maghreb (Africa occidentale e poi Nord Africa fino all'Egitto) e del Mashreq (dall'Egitto all'Iraq, esclusi i Paesi del Golfo). Entrambi, tuttavia, sono Paesi arabizzati dopo la conquista islamica, ma in modo diverso. Anche in Libia la popolazione di lingua araba costituisce il 90 % del totale nazionale ed è il risultato sia dell'arabizzazione (o adozione dell'arabo come prima lingua) dell'etnia autoctona, che anche qui, come nel resto del Maghreb, era in gran parte di origine berbera, sia delle ondate migratorie di tribù arabe a partire dal VII secolo, con la conquista islamica dell'area.

In Libia, soprattutto tra gli arabi, il tribalismo è ancora molto diffuso e le tribù, soprattutto quelle più grandi come i Warfalla, i Magarha e gli Zintan, giocano un ruolo fondamentale nella gestione della politica e della società locale.

Lo ha capito bene Mu'ammar Gheddafi (1942-2011), che ha utilizzato questo strumento per consolidare il suo potere sul territorio, proprio come avevano fatto gli italiani in epoca coloniale e il re Idris I. In modo simile a Saddam Hussein in Iraq e alla dinastia Assad in Siria, e con una strategia tipicamente coloniale, Gheddafi ha saputo fare perno su una o più tribù o comunità del Paese (nel suo caso la sua, i Qadhadhfa, di cui Gheddafi è la traslitterazione italiana, ma ha stretto alleanze anche con i Magarha e i Warfalla), a cui ha elargito privilegi economici, politici e militari (infatti, i membri di queste tribù dominavano le forze di sicurezza, le risorse petrolifere e i posti politici chiave), alimentando il clientelismo ed emarginando le tribù ostili, soprattutto quelle della Cirenaica.

Infatti, sebbene a partire dagli anni '80 Gheddafi abbia tentato di sminuire il ruolo delle tribù dominanti a favore di un'identità panaraba comune, il conflitto e l'insoddisfazione intertribale hanno contribuito in modo determinante alla sua caduta, quando le rivolte della Primavera araba hanno messo in subbuglio anche la Libia.

Il tribalismo e i contrasti intertribali, come purtroppo abbiamo visto anche in Siria e in Iraq dopo la caduta dei dittatori locali, riemergono con furia quando un potere forte e centralizzato, che non risparmia l'uso della forza bruta per reprimere qualsiasi dissenso, deve lasciare il posto ad amministrazioni deboli e altrimenti corrotte. Così, in Libia, le rivalità intertribali continuano a impedire una vera riconciliazione nazionale e la fine della guerra civile.

I berberi, o forse dovremmo dire i berberofoni per differenziarli dagli arabofoni (anch'essi in parte di origine berbera), rappresentano circa il 7 % della popolazione, concentrata soprattutto nel Jebel Nefusa e a Ghadames, e la loro lingua e cultura sono ancora estremamente vivaci nonostante secoli di emarginazione.

I popoli del deserto: Tuareg e Tebu

Anche i Tuareg parlano una lingua di origine berbera, ma diversa da quella dei berberi libici. Sono un popolo nomade, presente in quasi tutti i Paesi sahariani, e in Libia costituiscono circa lo 0,3 % della popolazione totale, cioè circa 21.000 individui. Sono famosi per il loro abbigliamento, in particolare per il velo blu indossato dagli uomini (tagelmust), che viene avvolto intorno alla testa e al viso per proteggerli dal sole e dalla sabbia del deserto (per questo sono talvolta chiamati "popolo blu"). Viaggiano in lungo e in largo per il Sahara, oltre i confini degli Stati nazionali, e vivono in tende fatte di pelli di pecora. Le donne svolgono un ruolo fondamentale nella loro società (anche nel processo decisionale della comunità) e sono depositarie di antiche tradizioni orali e poetiche. Chiunque abbia avuto modo di visitare le comunità tuareg del deserto del Sahara sa quanto sia incredibile il loro senso di ospitalità.

I Tebu, invece, sono un gruppo etnico sahariano (né arabo né berbero) di circa 50.000 persone in Libia. Come i Tuareg, vivono principalmente nell'area del Fezzan (sud del Paese), anch'essi nomadi tra le dune sahariane.

Sia i Tuareg che i Tebu sono di religione islamica (sunnita) e le stime sul loro numero di abitanti sono molto variabili proprio a causa della loro natura nomade, che spesso rende difficili censimenti accurati.

Ebrei in Libia

L'ebraismo è presente in Libia fin dai tempi dei Greci (si pensi a Simone il Cireneo, che si dice provenisse da Cirene). Quando nel 1911 le province di Tripolitania e Cirenaica divennero colonia italiana, alcune centinaia di ebrei immigrati dall'Europa si unirono all'antica comunità già presente sul territorio. Il censimento libico del 1931 registrò circa 24.500 ebrei nel Paese, concentrati soprattutto a Tripoli.

Anche gli ebrei che vivono in Libia sono stati vittime, come i loro correligionari algerini e tunisini, della politica "antisemita" nazifascista, attuata, in questo caso, dal regime dittatoriale italiano, soprattutto dopo la promulgazione del Manifesto razziale a Roma nel 1938. Inoltre, anche dopo la Seconda guerra mondiale e la creazione dello Stato di Israele, furono vittime di attacchi e persecuzioni da parte dei musulmani. Da quel momento iniziò quindi una graduale emigrazione, che si trasformò in un esodo di massa a partire dal 1949, con 35.142 persone che emigrarono in Israele, principalmente tra il 1956 e il 1958, soprattutto a causa delle gravi tensioni esistenti all'epoca tra lo Stato ebraico e i suoi vicini arabi.

Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, altri 6.000 ebrei libici furono trasferiti in Italia a causa delle minacce alla loro comunità. Dopo il 1969, anno della Rivoluzione e della fine della monarchia, anche il resto degli ebrei rimasti in Libia fino a quel momento, poche migliaia di stranieri, lasciarono il Paese, insieme agli oltre 20.000 italiani espulsi da Gheddafi in concomitanza con la proclamazione del Giorno della Vendetta nel 1970.

L'Islam

La religione di Stato in Libia, sancita dalla Costituzione provvisoria del 2011, è l'Islam sunnita, con la Sharia come principale fonte di legge. Tuttavia, la libertà di religione è garantita a cristiani ed ebrei, che possono seguire le proprie leggi personali e sullo stato di famiglia. Persiste tuttavia la discriminazione nei confronti dei non musulmani, soprattutto per quanto riguarda la professione pubblica di fede e, inoltre, l'"apostasia" (il reato di conversione dall'Islam a un'altra fede), come in altri Paesi islamici.

Circa il 95 % dei musulmani libici è sunnita e appartiene alla scuola giuridica malikita. Tuttavia, l'Islam libico è stato fortemente influenzato dal sufismo, una corrente mistica e spirituale non strettamente ortodossa (deriva infatti da contatti con il cristianesimo e le religioni orientali) che pone grande enfasi sull'interiorità e sull'esperienza diretta di Dio, anche attraverso pratiche come la meditazione, la preghiera, la recitazione del dhikr (la ripetizione dei 99 nomi di Allah) e la danza rituale (i famosi dervisci vorticosi).

In Libia, in particolare, il sufismo (dall'arabo "ṣūf", "lana", per indicare gli abiti di lana grezza indossati dai primi sufi come simbolo di semplicità e rinuncia ai beni materiali, un po' come il saio francescano, per cui sembrano esserci state influenze reciproche tra le due fedi in quest'area) ha una storia millenaria, con le sue confraternite, o tarīqa, che hanno avuto un ruolo cruciale non solo nella diffusione di questo tipo di spiritualità islamica, ma anche, come nel caso della Tarīqa al-Sanusiyya dei Senussi, nella resistenza alla colonizzazione italiana e nella formazione dell'identità nazionale libica. Inoltre, i santuari sufi esistono ancora e costituiscono importanti centri di devozione e pellegrinaggio, un vero e proprio fattore di unità nazionale.

Un altro riferimento va fatto alla comunità Ibaita. In Libia, infatti, i seguaci dell'ibadismo costituiscono circa il 4,5-6 % della popolazione (tra le 315 e le 420.000 persone), concentrati soprattutto nel Jebel Nefusa e in città come Jadu e Zuwarah (a maggioranza berbera). Appartengono a una delle più antiche "sette" o correnti dell'Islam, in questo caso distinta dalle più numerose e note sette sunnite e sciite. L'ibadismo è stato originato nel VII secolo da Abdallah ibn Ibad ed è imparentato con il kharijismo, un'altra setta che non è né sunnita né sciita, dalla quale si differenzia per essere molto più moderata e pragmatica. L'ibadismo, infatti, promuove una maggiore tolleranza nei confronti delle altre correnti islamiche.

Il cristianesimo in Libia

La presenza cristiana in Libia ha radici molto antiche, che risalgono al I secolo, quando la Tripolitania e la Cirenaica facevano parte di due province dell'Impero romano. Con l'arrivo dell'Islam, a differenza delle regioni orientali del califfato, il cristianesimo è gradualmente scomparso in Libia, fino a ridursi oggi a soli 111.000 fedeli su una popolazione totale di oltre 7 milioni.

Le principali confessioni cristiane sono quella copta, con circa 60.000 aderenti, e quella cattolica, con circa 50.000 persone. Vi sono anche piccole minoranze di ortodossi russi, serbi, greci e anglicani. Vi sono anche piccole minoranze di ortodossi russi, serbi, greci e anglicani. Gran parte dei cristiani sono di origine straniera (più numerosi ai tempi di Gheddafi), soprattutto egiziani (copti) o africani sub-sahariani, come i 20 cristiani egiziani e un ghanese che hanno trovato la morte per mano dell'ISIS in Libia nel 2015 e il cui video dell'esecuzione è stato diffuso in tutto il mondo all'epoca. Sono stati poi trovati sepolti insieme in una fossa comune, con la stessa tuta arancione che indossavano nel video al momento dell'esecuzione).

Come già detto, persistono restrizioni al culto e limitazioni alla libertà religiosa, come in molti Paesi islamici.

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