Vaticano

L'arcivescovo Arrieta, sulla riforma del Codice: "Ora i reati, le pene e le modalità di applicazione sono ben definiti".

Abbiamo intervistato Mons. Juan Ignacio Arrieta, Segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, sulla riforma del Libro VI del Codice di Diritto Canonico.

Giovanni Tridente e Alfonso Riobó-2 giugno 2021-Tempo di lettura: 7 minuti

È stata decisa da Papa Francesco a causa della Costituzione Apostolica Pascite Gregem Deiche è datato 23 maggio 2021, ma è stato rilasciato il 1° giugno. 

La revisione ridefinisce il sistema penale della Chiesa modificando radicalmente la maggior parte dell'esistente Libro del Codice del 1983.

-Con la nuova Costituzione Apostolica resa pubblica il 1° giugno, si è finalmente concluso il processo di revisione del Libro VI del Codice di Diritto Canonico, relativo alle sanzioni penali nella Chiesa. Quando è iniziato questo lungo processo di riforma? Perché ci è voluto tanto tempo per arrivare alla promulgazione?

Quando, nel settembre 2009, Papa Benedetto XVI ha affidato al Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi la revisione del Libro VI del Codice di Diritto CanonicoNel 2011 è stato costituito un gruppo di studio che ha lavorato in contatto con molti altri canonisti, fino a preparare una prima bozza del nuovo Libro VI. La bozza è stata inviata nel 2011 in consultazione a tutte le conferenze episcopali, ai dicasteri della Curia, alle facoltà di diritto canonico e a molti altri esperti. 

Con le risposte si è continuato a lavorare nello stesso modo, affinando i testi in successive stesure, finché, dopo ulteriori consultazioni e lavori, si è arrivati al testo ora promulgato dal Papa.

-Quindi, raccogliete esperienze e opinioni rilevanti? 

Sì, è stato un lavoro collegiale, che ha coinvolto molte persone in tutto il mondo. È stato anche un lavoro piuttosto complesso, perché essendo una legge universale, ha dovuto essere adattata alle esigenze di culture e situazioni concrete molto diverse. Un lavoro del genere, in una materia particolarmente delicata come questa, richiede tempo e deve ponderare le soluzioni in modo che servano a tutta la Chiesa.

-Degli 89 canoni del Libro VI, 63 sono stati modificati e altri 9 spostati; solo 17 sono rimasti invariati. Perché è stata necessaria questa riforma prima di altre parti del Codice?

Quasi subito dopo la promulgazione del Codice di Diritto Canonico del 1983, divenne chiaro che il diritto penale del suo Libro VI non funzionava. 

In realtà, quel testo aveva modificato radicalmente il sistema precedente del Codice del 1917, ma senza misurarne appieno le conseguenze. Il numero delle pene è stato notevolmente ridotto, il che era molto necessario; ma, soprattutto, molti canoni chiave sono stati intenzionalmente redatti in modo poco definito, con l'idea che dovessero essere i Vescovi e i Superiori a determinare in ogni caso quale condotta dovesse essere punita e come dovesse essere punita. 

Il risultato è che tanta indeterminatezza - non dimentichiamo che la Chiesa è universale - ha portato di fatto alla confusione e ha paralizzato il funzionamento del sistema. Ecco perché, da un certo punto in poi, la Santa Sede è dovuta intervenire in modo straordinario per punire i crimini più gravi. 

-In termini generali, qual è il ruolo delle sanzioni penali nella Chiesa e in relazione alla vita dei fedeli? Le situazioni incresciose degli ultimi anni, ad esempio il fenomeno degli abusi, hanno riportato l'importanza del diritto penale nella coscienza della Chiesa?

All'epoca in cui sono stati preparati i canoni penali del Codice del 1983, prevaleva un clima in cui si dubitava che nella Chiesa ci fosse posto per il diritto penale; sembrava che le pene si opponessero alle esigenze della carità e della comunione, e che il massimo che si potesse accettare - per dirla in sintesi - fossero misure disciplinari, non propriamente penali.

Molti eventi successivi hanno mostrato la tragicità di un simile modo di pensare, come sottolinea ora Papa Francesco nel testo della Costituzione Apostolica. È proprio per le esigenze di carità, verso la comunità e verso la persona da correggere, che il diritto penale deve essere utilizzato quando necessario.

-Queste situazioni erano il motivo della revisione?

No, la riforma non è una risposta al problema degli abusi. La revisione era necessaria per far funzionare il sistema penale nel suo complesso e per tutelare un'ampia gamma di situazioni e realtà ecclesiali essenziali - i Sacramenti, la Fede, l'autorità, il patrimonio ecclesiastico, ecc - e non solo alcuni reati, anche se particolarmente gravi, come nel caso degli abusi sui minori.

-Quanto è importante il diritto nella vita della Chiesa?

Nel suo pellegrinaggio terreno, la Chiesa è organizzata come una società e quindi deve avere le sue regole e le sue leggi che ne disciplinano la vita. Fin dai primi secoli della sua storia, la Chiesa si è data un insieme di regole, piuttosto flessibili, che nel corso del tempo e delle diverse culture sono state adattate alle esigenze che si sono presentate, sempre rispettando il nucleo essenziale della propria identità di natura spirituale. Questo è il diritto canonico.

-Cosa succede ora con il sistema penale del "fratello" del Codice di diritto canonico, che è il Codice dei canoni delle Chiese orientali?

Il Codice dei canoni delle Chiese orientali è stato promulgato sette anni dopo il Codice di diritto canonico del 1983. In larga misura ha potuto beneficiare dell'esperienza negativa, che stava già emergendo all'epoca, delle difficoltà di applicazione del diritto penale latino. Forse è necessario intervenire anche sulla legislazione orientale, ma il problema più grave era rappresentato dal codice latino.

-Quali sono gli elementi essenziali di questa revisione?

I punti essenziali che caratterizzano la riforma possono essere riassunti in tre concetti. 

Il primo è una maggiore determinazione delle regole e dei modi di agire, con una conseguente diminuzione dell'onere per le autorità ecclesiastiche nel decidere caso per caso. Anche le sanzioni da comminare sono ora determinate e all'autorità che deve decidere vengono forniti parametri in relazione ai quali adottare soluzioni. 

Il secondo criterio è quello di proteggere meglio la comunità cristiana, assicurando che lo scandalo causato dalla condotta criminale sia riparato e, se necessario, risarcito per il danno causato. 

Infine, l'autorità è ora dotata di strumenti migliori per prevenire le infrazioni e, soprattutto, per correggerle prima che diventino più gravi.

-Questa maggiore determinazione si riflette nell'approccio ai vari reati?

L'evoluzione della definizione dei reati è una conseguenza di quanto dicevo prima, ovvero della maggiore determinazione delle norme. 

Da un lato, alcuni reati che erano troppo sintetici nel Codice del 1983 sono stati meglio specificati. D'altra parte, i reati che sono stati definiti negli anni successivi, come la registrazione delle confessioni e alcuni altri, sono stati incorporati nel Codice. Sono stati poi ripresi direttamente dal Codice del 1917 alcuni reati che non erano stati presi in considerazione nella codificazione del 1983, come la corruzione in atti d'ufficio, l'amministrazione di sacramenti a chi è interdetto a riceverli o l'occultamento di eventuali irregolarità all'autorità ecclesiastica per accedere agli ordini sacri. 

Infine, sono stati definiti anche alcuni nuovi reati: ad esempio, la violazione del segreto pontificio, l'omessa denuncia di un reato da parte di chi ha l'obbligo di denunciarlo, l'abbandono illegittimo del ministero ecclesiastico svolto da un sacerdote, ecc. 

-In particolare, in relazione all'abuso di minori e di persone vulnerabili, si è tenuto conto dell'esperienza degli ultimi anni per rendere più efficace il diritto penale?

Naturalmente, sebbene non fosse l'oggetto centrale della riforma, è stata data particolare importanza al reato di abuso sessuale sui minori. Ci sono diverse novità in questo settore. 

In primo luogo, non è più considerato solo come un crimine contro gli obblighi speciali dei chierici o dei religiosi (come l'obbligo di celibato o di non gestire proprietà), ma è considerato come un crimine contro la dignità della persona umana.

Inoltre, la categoria è stata ampliata per includere come possibili vittime altri soggetti che nel diritto ecclesiastico hanno una tutela giuridica simile a quella dei minori. 

Infine, anche se in questo caso non si tratta più di reati riservati alla Dottrina della Fede, viene inserito come reato l'abuso di minori da parte di religiosi non ecclesiastici, o di laici che svolgono qualche funzione o ufficio in ambito ecclesiastico.

-Una svolta nella lotta agli abusi è stato l'incontro sulla tutela dei minori promosso dal Papa nel febbraio 2019, uno dei cui frutti è il Vademecum 2020. In che misura ha influenzato il lavoro del Pontificio Consiglio per la riforma del Libro VI?

Infatti, il Vademecum preparato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede si sta rivelando molto utile per la punizione amministrativa dei reati di abuso di minori da parte di chierici, che è materia riservata a quel Dicastero. Inoltre, poiché il Codice non ha sviluppato a sufficienza la questione delle sanzioni penali comminate per via amministrativa (all'inizio si pensava che la regola generale dovesse essere che le sanzioni fossero comminate per via giudiziaria), che Vademecum è di grande utilità generale e serve da guida per i procedimenti penali anche nei casi non riservati a questa Congregazione.

-Un aspetto significativo è stato anche l'abolizione del segreto pontificio nei casi di accuse di abusi. Perché questa decisione del Papa è importante, come influisce concretamente sulla vita della Chiesa? 

In questi processi, il segreto pontificio è stato un inconveniente, sia per le vittime e gli accusati, sia per lo svolgimento del processo. Per questo motivo, è stato un bene eliminarla in questo tipo di processo per abusi sui minori, facilitando così la libertà di accusa e di difesa.

-Non molto tempo fa è stato creato un altro strumento, una task force per aiutare le Chiese locali ad aggiornare o preparare linee guida nel campo della tutela dei minori. Perché era necessario e come si sta facendo?

Bisogna tenere presente che la Chiesa è presente in tutti e cinque i continenti e che molte comunità diocesane non hanno le risorse che hanno altre con una tradizione più lunga. Per questo motivo, la Santa Sede ha sentito la necessità di preparare un'équipe per consigliare le Chiese locali e le Conferenze episcopali, affinché possano aggiornare e rinnovare i protocolli relativi alla protezione dei minori. Non tutte le Chiese avranno lo stesso bisogno, ma questo garantirà anche una risposta armoniosa da parte della Chiesa nel suo complesso.

-La revisione influisce sulle pene canoniche per questo tipo di reato?

Una delle novità del Libro 6 è la maggiore attenzione ai reati economici e contro il patrimonio. Da un lato, le diverse tipologie di reato sono state meglio specificate, includendo casi estremi di reati non più dolosi, ma colposi. In tutti questi casi, la sanzione penale comprende l'obbligo di riparare il danno causato. 

Inoltre, come novità, è stato inserito un nuovo reato canonico: il reato di commissione di reati finanziari in materia civile in violazione del dovere di chierici e religiosi di non intraprendere alcun tipo di gestione patrimoniale senza l'autorizzazione del proprio Ordinario.

-Qual è la sua valutazione complessiva di questa riforma del Codice?

Per riassumere la mia valutazione, credo che si debba dire che il nuovo Libro Sesto del Codice di Diritto Canonico ha cambiato sostanzialmente il sistema penale della Chiesa. I reati, le sanzioni e le modalità di applicazione sono ora chiaramente definiti. Soprattutto, come sottolinea il Santo Padre nella Costituzione Apostolica di promulgazione, l'azione o l'applicazione delle norme penali, quando è necessario utilizzarle, fa parte della carità pastorale che deve guidare il governo della comunità cristiana da parte di coloro che ne sono responsabili. Pertanto, sebbene la legge penale della Chiesa debba essere osservata da tutti, il Papa si rivolge nel suo testo principalmente a coloro che devono applicarla.

L'autoreGiovanni Tridente e Alfonso Riobó

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