Vaticano

IOR, mito e realtà della cosiddetta “banca vaticana”

C’è tutta una narrativa che riguarda l’Istituto per le Opere di Religione, la cosiddetta “banca vaticana”, e che definisce l’istituto come un luogo dagli affari opachi e dalla dubbia e poco trasparente gestione dei fondi. I fatti, però, raccontano una storia diversa.

Andrea Gagliarducci-4 giugno 2024-Tempo di lettura: 7 minuti

Papa Francesco incontra gli esperti di Moneyval, 2020 ©OSV

C’è tutta una narrativa che riguarda l’Istituto per le Opere di Religione, la cosiddetta “banca vaticana”, e che definisce l’istituto come un luogo dagli affari opachi e dalla dubbia e poco trasparente gestione dei fondi. Ed è una narrativa che si è sviluppata anche recentemente, marcando un prima e un dopo nella gestione delle finanze vaticane, e che descrive la nuova gestione dello IOR come in totale discontinuità con la gestione precedente.

I fatti, però, raccontano una storia diversa, e questo al di là di alcune vicende giudiziarie che hanno visto ex dirigenti condannati in Vaticano per mala gestio (ma la sentenza è ancora in appello, e sarà da chiarire se davvero si trattava di una cattiva gestione o piuttosto dell’aver portato avanti delle richieste precise) o di altre vicende giudiziarie che hanno visto paradossalmente lo IOR trovarsi in contrasto con la Segreteria di Stato, cui l’Istituto ha deciso di non concedere un anticipo di credito nell’ambito dell’ormai famigerata acquisizione dell’edificio di Sloane Avenue.

Si tratta, tra l’altro, solo dei processi recenti. Perché prima ancora lo IOR era stato coinvolto nel cosiddetto scandalo dell’Ambrosiano, un crack finanziario per il quale l’Istituto, pur non riconoscendo nessuna responsabilità personale, decise di compensare i risparmiatori con un contributo volontario come parziale risarcimento delle perdite. Era il cosiddetto “accordo di Ginevra”, raccontato con dovizia di particolari da Francesco Anfossi, nel libro IOR. Luci e ombre della banca vaticana dagli inizi a Marcinkus. Mentre c’è da dire che lo IOR collaborò sin dall’inizio con gli inquirenti, e anzi ci furono anche inchieste giornalistiche – come il libro Ambrosiano: il contro processo, di Mario Tedeschi, che non era pro-Chiesa – che arrivarono a teorizzare che lo IOR venne usato come capro espiatorio per nascondere altre responsabilità, ascrivibili, secondo il libro, ai vertici della Banca di Italia di quel periodo.

E poi c’è la questione del Tesoro degli Ustascia, una brutta vicenda secondo la quale attraverso lo IOR sarebbe transitato il tesoro sporco di sangue che gli ustascia nazisti croati avevano sequestrato agli ebrei deportati durante la guerra. Fu Jeffrey Lena, che accettò un incarico di difesa della Santa Sede quando nessuno voleva farlo, a dimostrare come in fondo tutte le argomentazioni erano frutto di speculazione. Queste digressioni dimostrano come il mito dello IOR come “banca vaticana” senza alcuna trasparenza possa essere duro a morire. Ma cosa dicono i fatti?

Il lavoro dello IOR

L’11 settembre 1887 viene costituita la commissione cardinalizia Ad Pias Causas. È una commissione segreta, che si riunisce in un ufficio chiamato “il buco nero” perché era il luogo dove c’era una volta la censura dello Stato pontificio e per una amabile ironia della sorta lavorava, come impiegato, quel Gioacchino Belli che ci ha deliziato con una serie di sonetti irriverenti. Ed è una commissione figlia della Questione Romana, perché serve ad amministrare quei beni, lasciti, opere pie che arrivano alla Santa Sede e che la Santa Sede cerca di nascondere alla scura della confisca dello Stato italiano.

L’Istituto riuscì a garantire l’autonomia finanziaria della Santa Sede anche negli in cui Roma fu occupata dai nazisti (1943 e ‘44), anni in cui i suoi spazi extraterritoriali, “in una città non ancora aperta”, ospitarono e nascosero moltitudini di ebrei e antifascisti. A questo, in fondo, serve davvero la finanza vaticana.

Fatto sta che lo IOR non è una banca. È un ente centrale della Santa Sede: non un organismo di Curia, ma piuttosto uno strumento per aiutare, appunto, le opere di religione. Lo IOR non ha sedi all’esterno del Vaticano, e solo di recente ha ottenuto un IBAN vaticano, dopo che la Santa Sede è entrata nell’area dei bonifici SEPA, cioè l’area unica dei pagamenti europea.

Il percorso dello IOR verso la possibilità di essere riconosciuto dagli istituti esteri come una controparte affidabile è stato particolarmente lungo, come lo è stato quello di tutte le istituzioni finanziarie nel mondo.

Giovanni Paolo II stabilì i nuovi statuti dello IOR nel 1990, mentre risale a metà anni Novanta del secolo scorso il primo auditing esterno. Negli anni 2000, lo IOR ha messo in atto una serie di misure all’avanguardia, che poi sono stati riconosciuti anche dai valutatori internazionali di MONEYVAL, il comitato del Consiglio d’Europa che valuta l’adesione degli Stati che vi aderiscono agli standard internazionali anti-riciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo.

Gli investimenti sono sempre fatti in maniera oculata, secondo la cosiddetta regola del 3 (patrimonio, oro, immobiliare) che garantisce una necessaria diversificazione del patrimonio.

Nei momenti di crisi, l’oro viene portato oltre oceano, nei momenti di necessità si investe in immobili, e gli immobili sono anche parte dei benefit dei dipendenti, che possono ottenere case a prezzi calmierati. Lo IOR è un ente indipendente nella gestione, ma di fatto strumentale alla Santa Sede.

Il lavoro di revisione dei conti dello IOR

Spesso è stato notato come nell’ultimo decennio lo IOR abbia avviato uno screening dei conti, tra l’altro anche attraverso costosi consulenti esterni, come il Promontory Financial Group, poi finito in alcune vicende giudiziarie. Tuttavia, basta leggere il rapporto del comitato del Consiglio d’Europa MONEYVAL su Santa Sede / Stato Città del Vaticano, che valuta l’aderenza agli standard finanziari dei Paesi che vi aderiscono, per comprendere come lo IOR avesse da tempo avviato una operazione di revisione e trasparenza dei conti.

Il rapporto, pubblicato il 4 luglio 2012, dava una valutazione generalmente positiva delle misure e delle riforme legislative adottate dalla Santa Sede e dal Vaticano per la prevenzione e il contrasto di attività illecite di natura finanziaria. Ed in particolare era stato riconosciuto l’impegno dello IOR per l’adeguamento ai parametri internazionali. Non solo.

Secondo il rapporto le procedure IOR sull’adeguata verifica della clientela (customer due diligence) “vanno in alcuni casi oltre i requisiti disposti” dalla prima legge antiriciclaggio vaticana” (cioè la Legge n. CXXVII,che anche per queste sue lacune fu riformata con il Decreto del 25 gennaio 2012). Si legge al paragrafo 471 che “le procedure parzialmente contengono i requisiti che mancavano o non erano chiari nella versione originale della legge antiriciclaggio.

Questo mitiga in qualche modo l’impatto negativo sull’efficacia dovuta al fatto che un significativo numero di elementi nel quadro legale sono stati introdotti solo dopo la prima on site visit di MONEYVAL.”

Al punto 476, poi, il rapporto MONEYVAL sottolineava che “lo IOR ha iniziato una revisione e aggiornamento del database dei clienti a novembre 2010. Lo IOR ha dimostrato un chiaro impegno a completare il processo entro la fine del 2012. Sei persone sono coinvolte in questo progetto e stanno attivamente approcciando i clienti per ricevere informazioni aggiornate. Alla fine del 2011, l’Istituto ha aggiornato il suo modulo di database della clientela di approssimativamente il 50 per cento delle persone naturali e l’11 per cento delle persone legali”.

I dati dell’ultimo rapporto

L’ultimo rapporto annuale dello IOR è stato pubblicato a giugno 2023, e si riferisce al 2022. Qualche cifra può aiutare a comprendere. Nel 2022, lo IOR contava 117 dipendenti e 12.759 clienti. Ci sono, rispetto al 2021, più dipendenti (erano 112), ma molti meno clienti: nel 2021, lo IOR aveva infatti 14.519 clienti.

Considerando che da tempo è terminato lo screening dei conti considerati non compatibili con la missione dello IOR, la prima impressione è che lo IOR non è più un luogo appetibile per i suoi primi clienti, cioè le istituzioni religiose. Solo una impressione, ovviamente, che però lascia riflettere.

Il rapporto sottolineava che nel 2022 lo IOR aveva avuto 29,6 milioni di euro utili netti, in sensibile aumento rispetto allo scorso anno, ma comunque in un trend in negativo che, nonostante alcune riprese, sembra costante dal 2012. Si va, infatti, dall’utile di 86,6 milioni dichiarato per il 2012 – che quadruplicava gli utili dell’anno precedente – ai 66,9 milioni del rapporto 2013, ai 69,3 milioni del rapporto 2014, ai 16,1 milioni del rapporto 2015, ai 33 milioni del rapporto 2016 e ai 31,9 milioni del rapporto 2017, per arrivare ai 17,5 milioni di euro del 2018.

Il rapporto 2019 invece quantificava gli utili in 38 milioni, attribuiti anche al mercato favorevole. Nel 2020, anno della crisi del COVID, l’utile era stato leggermente inferiore, di 36,4 milioni di euro. Ma nel primo anno post-pandemia, un 2021 ancora non colpito dalla guerra in Ucraina, si torna a un trend negativo, con un profitto di soli 18,1 milioni di euro.

Ora, si ritorna sulla soglia dei 30 milioni di utili, ma è da vedere se in questi utili rientrano i 17,2 milioni sequestrati all’ex presidente Angelo Caloia e Gabriele Liuzzo, che dovevano rispondere per peculato ed autoriciclaggio commessi in relazione al processo di smobilizzazione dell’ingente patrimonio immobiliare posseduto dall’Istituto e dalle sue società controllate, SGIR e LE PALME. le cui condanne per erano diventate definitive nel luglio 2022. Nel caso, si starebbe parlando di utili effettivi molto inferiori.

Di questi utili, sono stati distribuiti 5 milioni e 200 mila euro: 3 milioni di euro per le opere di religione del Papa, 2 milioni per l’attività caritativa della Commissione Cardinalizia, 200 mila euro per le attività caritative coordinate dal prelato dell’Istituto.

C’è da notare un dato tecnico, ovvero il TIER 1, che è la componente primaria del patrimonio di una banca. Nel 2019, questo era dell’82,40 per cento. Nel rapporto 2022, invece, il TIER è del 46,14 per cento, sicuramente in aumento rispetto al 38 per cento del 2021, ma indicativo comunque di un dimezzamento del capitale. Si tratta comunque di un TIER 1 robusto, ben superiore ai dati richiesti alle banche europee, ma che in prospettiva mostra, comunque, un dimezzamento del capitale.

Secondo lo IOR, “la valutazione Moneyval posiziona l’Istituto come una delle istituzioni meglio classificate nel mondo. Oggi lo IOR opera con più di 45 differenti controparti finanziarie”. Per dare qualche cifra, lo IOR nel 2022 ha ricevuto in affidamento 5,2 miliardi di risorse e ha compiuto 100 mila operazioni di pagamento. Il patrimonio netto è di 578,5 milioni di euro.

Al di là dei dati, il presidente dello IOR Jean-Baptiste de Franssu ha sottolineato nel suo intervento nel rapporto che “la qualità dei prodotti e dei servizi è migliorata in modo significativo, l’etica è diventata un punto di riferimento costante, sia nella gestione delle risorse che nel governo dell’Istituto e il rapporto con i clienti è più che mai al centro di tutto l’impegno”, mentre il prelato dello IOR, Giovan Battista Ricca, ha sottolineato che si sono molto ridimensionati gli obiettivi a causa di “una presa di coscienza”. C’è da dire però che gli investimenti IOR sono sempre stati conservativi, mirati a non intaccare troppo il patrimonio che è poi quello destinato sempre alle opere di religione.

L’ultimo rapporto MONEYVAL

Più che per un cambio di paradigma, lo IOR ha lavorato nel solco della continuità con le gestioni passate. L’ultimo rapporto di MONEYVAL – in realtà un follow up molto tecnico – è stato pubblicato il 28 maggio e ha dimostrato come lo IOR abbia continuato ad apportare migliorie tecniche. Precedentemente, la Santa Sede era “non compliant” (non conforme) con le raccomandazioni 13 sulle banche corrispondenti, mentre riguardo le raccomandazioni 16 e 24 sui bonifici e le persone legali restano alcune “deficienze minori”, ma ora sono “largamente conformi”, mentre prima erano state valutate come non conforme.

In sintesi, delle 39 raccomandazioni applicabili, la Santa Sede è ora conforme o largamente conforme in 35 punti, e parzialmente conforme in 4 delle raccomandazioni. Dettagli tecnici, si dirà. Ma sono importanti a dimostrare che la finanza vaticana non è, davvero, un luogo di scarsa trasparenza e possibile criminalità. C’è lo IOR dei media e lo IOR della realtà. E la realtà dice che lo IOR ha lavorato e continua a lavorare per essere pienamente aderente agli standard internazionali.

L'autoreAndrea Gagliarducci

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