Padre Mateusz Adamski è un sacerdote polacco, attualmente parroco dell'Assunzione della Beata Vergine Maria a Kiev (Ucraina), nonché vicerettore del seminario Redemptoris Mater della stessa città. All'inizio dell'invasione, ha tenuto al sicuro decine di persone dai bombardamenti mettendo a loro disposizione le cantine della parrocchia.
Il 24 febbraio sono trascorsi due anni dall'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina. Recentemente, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha lanciato una campagna per aiutare l'Ucraina. in questi tempi difficili.
Padre Mateusz ha spiegato nella presentazione di questa campagna che, nonostante la durezza della guerra, questo tempo è stato anche "un tempo di grazia", in cui "abbiamo potuto davvero toccare il Dio vivente" e "sentire il Paradiso con le nostre mani".
In questa intervista ci racconta come la sua parrocchia di Kiev sta vivendo questo periodo di guerra e come sia possibile pregare per i propri nemici anche in mezzo al dolore.
Qual è la situazione attuale a Kiev ed è cambiato qualcosa dall'inizio del conflitto?
Attualmente la situazione è piuttosto delicata, perché da un lato non sappiamo quando il conflitto finirà. Dall'altro lato, la gente è psicologicamente stanca. Gli uomini hanno paura della mobilitazione, che sta diventando sempre più intensa. Ci sono anche tanti che erano in prima linea e di cui non si conosce la sorte a causa degli attacchi. È vero che a Kiev la situazione è più tranquilla. Ma ci sono bombardamenti sporadici. Questo crea una tensione costante. Abbiamo diversi parrocchiani nell'esercito e, secondo quanto ci dicono, le conseguenze fisiche e psicologiche dureranno a lungo.
Le persone cercano di vivere una vita normale, poiché il lavoro e il reddito sono necessari per vivere, ma con una paura costante nel corpo.
In che modo la guerra ha cambiato il suo lavoro lì?
All'inizio della guerra, una parte significativa dei parrocchiani ha lasciato Kiev. Oggi, però, la maggior parte di loro è tornata. Praticamente dall'inizio della guerra, aiutiamo i parrocchiani e i rifugiati con aiuti umanitari dall'estero. Uno sviluppo importante è che è aumentato il numero di bambini per la prima comunione e la catechesi post-comunione e il gruppo dei giovani. Vediamo come questa situazione stia portando tante persone che prima non venivano. Abbiamo preparato un buon numero di persone ai sacramenti. Abbiamo anche formato nuovi gruppi pastorali per i giovani, che si riuniscono ogni venerdì. Abbiamo un gruppo di anziani che si riunisce una volta alla settimana per pregare per la pace e per parlare di diversi argomenti che li aiutano ad approfondire la loro fede. Così, vediamo come il Signore continua a chiamare le persone nel suo amore e nel suo zelo per la loro salvezza.
Come vivete la vostra chiamata al sacerdozio in mezzo a un simile conflitto?
Io, come economo della diocesi, sto lavorando con documenti e progetti per aiutare le persone in difficoltà. Ma questa situazione mi impone di vivere oggi, nella grazia di pregare per non perdere la speranza, e mi impone anche di riflettere sul comandamento di amare il nemico, che mi tocca fortemente in questo tempo di guerra e che si manifesta soprattutto nelle preghiere comuni con il popolo di Dio per i nostri nemici.
Vivere questa situazione dolorosa influisce in qualche modo sulla fede dei parrocchiani?
Questa situazione ha spinto i parrocchiani a pregare con più fervore e il comandamento del Discorso della Montagna di amare i propri nemici li purifica nel loro cammino di fede, anche se ciò significa andare contro se stessi. Questo li rafforza nella fede attraverso la preghiera comune. E vedo, come ho detto prima, che li aiuta a trasmettere la fede ai loro figli portandoli alla catechesi parrocchiale.