Originaria del Sudan, dove nacque nel 1869, fu rapita all'età di sette anni e venduta più volte sul mercato degli schiavi. I suoi rapitori le diedero il nome di Bakhita ("fortunata"). Nel 1882 fu acquistata a Khartoum dal console italiano Calisto Legnani, che la affidò alla famiglia di Augusto Michieli e divenne la bambinaia di sua figlia.
Quando la famiglia Michieli si trasferì sul Mar Rosso, Bakhita rimase con la figlia nella casa delle Suore Canossiane a Venezia. Qui ebbe modo di conoscere la fede cristiana e, il 9 gennaio 1890, chiese di essere battezzata, prendendo il nome di Giuseppina. Nel 1893, dopo un intenso cammino, decise di farsi suora canossiana per servire Dio, che le aveva dato tante prove del suo amore. È stata canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2000.
Il 29 giugno, il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha benedetto a Schio (Vicenza) la scultura "Liberate gli oppressi", dedicata a Santa Giuseppina Bakhita, che ha operato contro la schiavitù e il traffico di esseri umani.
Schio è la città dove visse e fu sepolta Santa Bakhita, protettrice delle vittime del traffico di esseri umani e patrona del Sudan.
Creato dall'artista canadese Timothy SchmalzLa scultura raffigura la santa mentre apre una botola, dalla quale escono figure che rappresentano le varie forme di traffico che esistono nel mondo. Si potrebbe pensare", ha commentato Parolin, "che le persone rappresentate finiscano all'altezza della botola, ma in realtà continuano sottoterra. Se non tutti i popoli del mondo, almeno quelli presenti qui possono vedersi rappresentati, perché credo che tutti abbiamo una schiavitù da cui liberarci", e ha invitato a "chiedere a Santa Bakhita di aiutarci a liberarci dalla chiusura mentale che ci portiamo dentro. Dall'individualismo che ci impedisce di prenderci cura degli altri, come dovremmo". Papa Francesco continua a lanciare un appello su questo: sull'indifferenza con cui guardiamo la realtà del nostro giorno, dei nostri giorni, soprattutto la realtà della sofferenza, del dolore e della vulnerabilità. Solo se ci liberiamo da questa schiavitù", ha concluso, "saremo veramente in grado di aiutare gli altri".
Ogni 8 febbraio, giorno della memoria di Santa Bakhita, la Chiesa celebra la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani.
La statua in bronzo, che misura 6 metri di lunghezza, 1,2 metri di larghezza e 2,4 metri di altezza, è stata realizzata grazie al contributo finanziario della Rudolph P. Bratty Family Foundation, che appartiene a una famiglia emigrata in Canada dal Nord Italia.
L'opera "Let The Oppressed Go Free" è ispirata a un passo della Bibbia (Isaia 58:6), da cui Schmalz ha tratto il titolo: "Questo è il digiuno che desidero, o oracolo del Signore: sciogliere le catene dell'iniquità, gettare i legami del giogo, liberare gli oppressi e spezzare ogni giogo".
La scultura installata a Schio è l'opera originale, ma esistono già altre repliche, come quella benedetta dal cardinale e arcivescovo di New York Timothy Dolan nella Cattedrale di San Patrizio (New York, USA) lo scorso ottobre o quella che sarà installata nel Regis College di Toronto (Canada) il prossimo luglio.
La scultura è collegata ad "Angels Unawares", un'altra opera di Schmalz installata in Piazza San Pietro a Roma e benedetta da Papa Francesco nel 2019. In entrambe le opere, l'artista canadese esprime la vulnerabilità umana: "Angels Unawares" evidenzia la sofferenza e la mancanza di protezione dei migranti, mentre "Let The Oppressed Go Free" cerca di dare visibilità al problema della tratta di esseri umani.
Alla cerimonia di inaugurazione erano presenti: il sindaco Valter Orsi; il donatore dell'opera e presidente della Rudolph P. Bratty, Christopher Bratty; l'autore della scultura, Timothy Schmalz; la superiora generale delle Figlie della Carità Canossiane, Madre Sandra Maggiolo; la coordinatrice internazionale di Talhita Kum, Suor Abby Avelino; il parroco e moderatore dell'Unità Pastorale di Santa Bakhita, Monsignor Carlo Guidolin; e il presidente dell'Associazione Bakhita Schio-Sudan, Gianfrancesco Sartori.