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La teologia al bivio del '68

Omnes-27 giugno 2018-Tempo di lettura: 9 minuti

Il maggio '68 ha rivelato una crisi culturale e le sue ripercussioni sono state di vasta portata per la vita della Chiesa e per la teologia.

Testo - Josep-Ignasi Saranyana, Membro effettivo del Pontificio Comitato di Scienze Storiche (Città del Vaticano)

Le grandi controversie teologiche non scoppiano all'improvviso. Dipendono da processi di lunga durata e teoricamente radicati. Lo vediamo ancora una volta nella crisi teologica del 1968, che descriverò schematicamente nei prossimi paragrafi. Discuterò prima gli antecedenti remoti e poi gli sviluppi teorici di quel prodigioso decennio.

Il contesto teologico del 68° Congresso teologico

Cinque linee dottrinali delimitavano, a mio avviso, lo spazio teologico del '68: l'assolutizzazione della libertà individuale, l'autonomia della coscienza morale dalle istanze eteronome, la critica della ragione storica, il freudo-marxismo e il marxismo dal volto umano.

a) Sull'assolutizzazione della libertà

L'analisi teologica della libertà si complica all'inizio del XVI secolo. Martin Lutero, attingendo a fonti tardo-medievali, problematizzò il rapporto tra grazia e libertà, come testimonia il suo saggio De servo arbitrio ("Libertà degli schiavi"), pubblicato nel 1525, in risposta al De libero arbitrio di Erasmo da Rotterdam, apparso l'anno precedente. La libertà, secondo Lutero e altri teologi del tempo, era stata talmente danneggiata dal peccato originale da non essere più propriamente libera, ma schiava. Il Concilio di Trento prese in mano la situazione, condannando il fatto che il libero arbitrio (o la capacità di scegliere) fosse stato estinto dal peccato originale.
Nella seconda metà del Cinquecento, l'analisi della libertà divenne uno dei principali argomenti di discussione teorica. Dopo Michele Bayo, scoppiò la crisi dell'auxiliis e, di conseguenza, a metà del XVII secolo esplose il binomio giansenista "libero nella necessità" e "libero nella costrizione", che esasperava l'identificazione senza riserve della libertà con la volontà.

Così, per la legge del pendolo, di fronte a una continua negazione o, almeno, ablazione della libertà, la reazione non poteva che essere un'assolutizzazione della libertà. L'evoluzione delle idee era a un passo dal considerare la libertà come una facoltà indipendente, e non più come il momento interiore e deliberativo della volizione; o, in altre parole, era a un passo dal considerare che ogni inclinazione della volontà è necessariamente libera, senza alcuna deliberazione o scelta.

Sui muri della Sorbona e durante gli eventi del '68 si poteva leggere un graffito, tratto dal Marchese de Sade (†1814), che recitava: "La liberté est le crime qui contient tous les crimes; c'est notre arme absolue!" ("La libertà è il crimine che contiene tutti i crimini: è la nostra arma assoluta!"). La seconda parte del graffito ci porta direttamente a Friedrich Nietzsche (†1900), che considerava la libertà come l'arma assoluta per l'emancipazione totale. Il filosofo tedesco capisce che le norme sociali, per quanto giuste, sono sempre un ostacolo alla libertà. La sottomissione alle regole ci sminuisce, ci rende schiavi, ci rende mediocri. Solo gli spiriti superiori e aristocratici possono emanciparsi da questi circoli restrittivi utilizzando una libertà illimitata.

b) L'autonomia della coscienza morale

Secondo il neokantiano Wilhelm Dilthey (†1911), il "fatto della coscienza" ha determinato l'origine della modernità. Se prima il giudizio morale era considerato come una legge che non mi sono dato, "iscritta nel mio cuore" secondo San Paolo, cioè una successione dall'esterno all'interno, dalla modernità in poi il processo si è invertito, dall'interno all'esterno, alla ricerca di certezze. La formulazione metodica di questo percorso corrisponde a Cartesio. In campo religioso, la Riforma è stata responsabile della formulazione metodica.

In effetti, il primato del "fatto di coscienza" come catalizzatore del cambiamento religioso nel XVI secolo è già rintracciabile nel commento di Lutero alla lettera paolina ai Romani nel passo sulla coscienza morale (Rm 2,15-16). Commentando questa pericope, Lutero comprende che Dio non può cambiare il verdetto della nostra coscienza, ma solo confermarlo (WA 56, 203-204). In questo modo, esagerando le affermazioni del Riformatore, egli sottolinea l'assoluta priorità dell'autoesame. Si afferma una disgiunzione incolmabile tra etero-giudizio e auto-giudizio, con il prevalere di quest'ultimo. Non sono giudicato, sono io che giudico me stesso. Sono io, alla fine, a decidere la bontà o la cattiveria delle mie azioni e la sanzione che meritano.

c) Il limite critico della ragione storica

La terza coordinata dello spazio teologico del '68 affonda le sue radici nelle tre critiche kantiane (della ragion pura, della ragion pratica e del giudizio) e, soprattutto, nella critica della ragione storica di Friedrich Schleiermacher (†1834). Quando Immanuel Kant (†1804) lasciò Dio, l'anima e l'universo fuori dall'ambito della conoscenza metafisica, aprì la porta all'agnosticismo teologico, psicologico e cosmologico. Poiché la metafisica fallì nel suo tentativo supremo, la teologia fu lasciata in balia dei sentimenti e delle emozioni. Con la critica di Schleiermacher, anche i fatti storici si sono distaccati dallo spirito umano. Il circolo ermeneutico ha chiuso la strada alle origini della Chiesa e alla continuità essenziale tra ieri e oggi, e ha aperto un varco incolmabile tra il Gesù storico e il Cristo della fede.

d) Il marxismo freudiano

Dobbiamo anche fare riferimento a Sigmund Freud (†1939), che ha scoperto quelle zone di indeterminazione della libertà, oscillanti tra sogno e realtà, tra conscio e subconscio. La terapia freudiana della scarica psichica e la "scoperta" dell'impulso sessuale mascherato e represso hanno contribuito alle formulazioni freudiano-marxiste di Herbert Marcuse (†1979) e di altri rappresentanti della Scuola di Francoforte.

Marcuse ha sottolineato che tutti i fatti storici sono restrizioni che comportano una negazione. È necessario liberarsi da questi fatti. In un certo senso la repressione sessuale, evidenziata da Freud, è concomitante con la repressione sociale che rileviamo storicamente. Tuttavia, le classi represse non sono consapevoli di essere sfruttate e quindi non possono reagire. Di conseguenza, la coscienza rivoluzionaria deve emergere in gruppi di minoranza esterni al sistema, non oggettivamente sfruttati, che capiscono che la tolleranza è repressiva e si ribellano ad essa.

e) Il marxismo dal volto umano

Resta da citare un ultimo ispiratore del '68: il comunista Antonio Gramsci (†1937), che elaborò la dottrina dell'"egemonia" per via culturale. Se una classe sociale cerca l'egemonia, deve imporre la propria concezione del mondo e conquistare gli intellettuali. Se questo gruppo non ha successo, emerge un altro blocco che sostituisce quello dominante, attraverso un fenomeno rivoluzionario. La dialettica storica è quindi tra il dominio di una classe egemone, che non riesce a imporre il proprio progetto, e l'emergere di una classe subalterna che diventa dominante attuando un progetto alternativo più soddisfacente. In ogni caso, la conquista del potere politico richiede la previa conquista dell'egemonia culturale.

La teologia negli anni '60

La generazione teologica degli anni Sessanta ha risentito delle influenze sopra citate, che hanno messo in discussione aspetti fondamentali della tradizione cristiana. Come in ogni dibattito, c'è stato un po' di tutto, anche se, a causa della notorietà e della copertura mediatica, le sintesi meno fortunate sono state più popolari di quelle che hanno raggiunto una conclusione positiva.

A testimonianza di questi anni turbolenti e complessi restano tre controversie di grande portata: la risposta all'enciclica Humanæ vitæ, la controversia sul carattere escatologico (o meno) del "regno di Dio" e la diatriba sulla "morte di Dio".

a) L'enciclica Humanæ vitæ e la sua risposta

Il 15 febbraio 1960, la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato l'uso dell'Enovid come contraccettivo negli Stati Uniti d'America e da allora il suo uso si è diffuso in tutto il mondo, sollevando molte questioni di teologia morale. Giovanni XXIII istituì una "Commissione per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità", che fu confermata e ampliata da Paolo VI. Le conclusioni di questa commissione sono state raccolte in un documento (Documentum syntheticum de moralitate regulationis nativitatum). Poiché non tutti i membri della commissione erano d'accordo con questo parere, il testo divenne noto come "rapporto della maggioranza", in contrapposizione al "rapporto della minoranza", cioè di coloro che non erano d'accordo con l'autorizzazione della pillola.

L'argomento principale della relazione di maggioranza si basava sul "principio di totalità", secondo il quale ogni azione morale deve essere giudicata nel quadro della totalità della vita di una persona. Se una persona si conforma ordinariamente ai principi morali fondamentali della vita cristiana, anche se in atti isolati non si comporta secondo questi principi fondamentali, tali atti non possono essere considerati immorali o peccaminosi, perché non alterano la scelta fondamentale fatta. Ogni persona può costruire il proprio percorso di vita, a suo piacimento, secondo il giudizio autonomo della propria coscienza morale e in piena e assoluta libertà. Così formulato, il "principio di totalità" era (ed è) estraneo alla tradizione della Chiesa, perché dimentica che la fonte principale della moralità è l'opera stessa. Si deve sostenere, sempre e comunque, che c'è spazio per opere intrinsecamente malvagie, indipendentemente dall'intenzione dell'agente e dalle circostanze.

Pertanto, sulla base della relazione di minoranza, Paolo VI promulgò l'enciclica Humanæ vitæ il 25 luglio 1968. L'enciclica ha stabilito due principi, uno di carattere generale e l'altro relativo al tema in discussione: (1) che l'interpretazione autentica della legge naturale appartiene al magistero della Chiesa; e (2) che nella vita matrimoniale l'unione dei coniugi e l'apertura alla procreazione sono inseparabili.

Dopo vent'anni di Humanæ vitæ¸ e dopo una spettacolare "risposta", in cui si sono distinti Bernhard Häring (†1998) e Charles Curran, è apparsa l'importante istruzione Donum vitæ (1987) sul rispetto della vita umana nascente e della dignità della procreazione. Tuttavia, i fedeli cristiani erano in attesa di una riflessione magisteriale più completa e di ampio respiro. Alla fine è arrivata sotto forma di enciclica, pubblicata il 6 agosto 1993 con il titolo Veritatis splendor. Questo documento delinea i contenuti essenziali della Rivelazione sul comportamento morale ed è diventato un riferimento essenziale per i moralisti cattolici.

b) Dalla teologia della speranza alla teologia della liberazione

La questione posta dalla teologia della liberazione (in che modo il compito temporale influisce sull'avvento del regno di Dio) era già stata dibattuta in Europa fin dal XVII secolo, soprattutto nei circoli tardo-luterani. La sua versione moderna si deve al teologo calvinista Jürgen Moltmann, nel suo libro Teologia della speranza, pubblicato nel 1964. La caratteristica di Moltmann era quella di articolare la teologia escatologica come escatologia storica. In altre parole: offrire una visione secolarizzante del "regno di Dio", in modo che il regno di Dio sia "l'umanizzazione delle relazioni e delle condizioni umane, la democratizzazione della politica, la socializzazione dell'economia, la naturalizzazione della cultura e l'orientamento della Chiesa verso il regno di Dio".

Questa presentazione del regno contrasta con quella offerta da Paolo VI, nel 1968, nel suo splendido Credo del popolo di Dio: "Confessiamo inoltre che il regno di Dio, che ha avuto il suo inizio qui sulla terra nella Chiesa di Cristo, non è di questo mondo, la cui figura sta passando, e [confessiamo] anche che la sua crescita non può essere giudicata identica al progresso della cultura e dell'umanità o delle scienze o delle arti tecniche, ma consiste nella conoscenza sempre più profonda delle insondabili ricchezze di Cristo, [...] e nella diffusione sempre più abbondante della grazia e della santità tra gli uomini".

È innegabile che Moltmann e Metz abbiano influenzato la teologia della liberazione. Tuttavia, nel 1968 la teologia della liberazione non aveva ancora acquisito la notorietà che ha raggiunto dopo il 1971. E va anche notato, contrariamente a quanto è stato scritto, che la Conferenza Generale di Medellin del 1968 è estranea alle origini della teologia della liberazione. Il tema era piuttosto la ricezione in America Latina della costituzione pastorale Gaudium et spes del Vaticano II, nel contesto della crisi dell'apostolato gerarchico e della politicizzazione dei movimenti cristiani di base, e nel contesto della dialettica sviluppo-dipendenza.

c) La teologia della morte di Dio

Arriviamo così alla terza fase critica della teologia, negli anni Sessanta. Nel 1963 era apparso in Inghilterra il libro Honest to God, firmato dal vescovo anglicano John A. T. Robinson, che ebbe un enorme impatto.

Onesto con Dio fu il risultato della fusione di tre correnti, o, se si vuole, il punto di arrivo di tre linee protestanti: Rudolf Bultmann (†1976), con la sua nota demitizzazione del Nuovo Testamento e la radicalizzazione del divario tra il Gesù storico e il Cristo della fede; Dietrich Bonhoeffer (†1945), che ha elaborato la presentazione più estrema del cristianesimo, ossia un cristianesimo a-religioso (solo io e Cristo, e nient'altro); e Paul Tillich (†1965), che aveva diffuso il suo concetto di religione come dimensione antropologica che è tutto e, in fondo, non è nulla di determinato (una fede senza Dio). Partendo da queste premesse, Robinson si propone di reinterpretare la fede per renderla accessibile all'uomo moderno. La sua teologia si è posta il problema di "come dire Dio" in un contesto secolarizzato, e il risultato non è stato affatto soddisfacente.

In quegli anni, anche in Europa si discuteva della categoria "mondo" e la "teologia politica" muoveva i primi passi. Questa tendenza, guidata dal teologo cattolico Johann Baptist Metz, cercava anche di presentare la fede in accordo con l'orizzonte culturale del tempo. Per Metz, il "mondo" era il divenire storico. Secondo Metz, quando il Verbo incarnato assume il mondo, Dio accetta che la creazione sia filtrata dall'opera dell'uomo. Così, quando contempliamo il mondo, non vediamo la vestigia Dei, ma piuttosto la vestigia hominis e, in breve, non il mondo progettato da Dio, ma trasformato dall'uomo, dietro il quale batte l'uomo stesso.

In entrambi i casi, c'è un notevole deficit di razionalità metafisica. L'ombra di Kant è molto lunga. Sia Metz che Moltmann soccombono alla presunta impossibilità della ragione di trascendere il livello fenomenologico ed entrare nel sostantivo. Postulano, senza ulteriori indugi, che la ragione non può dire nulla su Dio e sulla soprannatura. Il problema è, per loro, come parlare di Dio a un mondo che presumibilmente non capisce più cosa sia Dio.

Sebbene le tre controversie sopra descritte non abbiano avuto un impatto diretto sullo sviluppo del Vaticano II, esse hanno rarefatto a tal punto l'atmosfera teologica ed ecclesiale da condizionare negativamente la ricezione della grande assemblea conciliare. Ma questa è una questione diversa, che richiederebbe una trattazione specifica, lunga e dettagliata.

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