Papa Francesco ha guidato ancora una volta la catechesi sulla preghiera durante l'udienza di mercoledì 19 maggio.
In questa occasione, si è soffermato su alcune difficoltà che si incontrano nella preghiera: "Seguendo le linee del Catechismo, in questa catechesi facciamo riferimento all'esperienza vissuta della preghiera, cercando di mostrare alcune difficoltà molto comuni, che devono essere identificate e superate. Il primo problema che deve affrontare colui che prega è la distrazione (cfr. CCC, 2729). La preghiera spesso convive con la distrazione. In effetti, la mente umana ha difficoltà a soffermarsi a lungo su un singolo pensiero. Tutti noi sperimentiamo questo vortice continuo di immagini e illusioni in perenne movimento, che ci accompagna anche durante il sonno. E tutti sappiamo che non è bene seguire questa inclinazione disordinata.
"La lotta per ottenere e mantenere la concentrazione non riguarda solo la preghiera. Se non si raggiunge un grado di concentrazione sufficiente, non si può studiare bene, né lavorare bene. Gli atleti sanno che le gare si vincono non solo con l'allenamento fisico, ma anche con la disciplina mentale: soprattutto con la capacità di rimanere concentrati e di tenere alta l'attenzione".
Francesco ha assicurato che "le distrazioni non sono da biasimare, ma vanno combattute". "Nel patrimonio della nostra fede c'è una virtù che spesso viene dimenticata, ma che è molto presente nel Vangelo. Si chiama "vigilanza". Il Catechismo lo cita esplicitamente nella sua istruzione sulla preghiera (cfr. n. 2730). Gesù ricorda spesso ai discepoli il dovere di una vita sobria, guidata dal pensiero che prima o poi tornerà, come uno sposo alle nozze o un maestro in viaggio. Ma non conoscendo né il giorno né l'ora del Suo ritorno, ogni minuto della nostra vita è prezioso e non va sprecato con le distrazioni. In un istante che non conosciamo, risuonerà la voce di nostro Signore: in quel giorno, beati i servi che Egli troverà operosi, ancora concentrati su ciò che conta davvero. Non si sono dispersi seguendo tutte le attrattive che gli venivano in mente, ma hanno cercato di percorrere la strada giusta, facendo bene il loro lavoro".
D'altra parte, ha proseguito il Santo Padre, c'è "il tempo dell'aridità", che merita un altro discorso. "Il Catechismo lo descrive così: "Il cuore è distaccato, non ha gusto per i pensieri, i ricordi e i sentimenti, anche quelli spirituali. È il momento in cui la fede è più pura, quella che sta accanto a Gesù nell'agonia e al sepolcro" (n. 2731). Spesso non sappiamo quali siano le ragioni dell'aridità: può dipendere da noi stessi, ma anche da Dio, che permette certe situazioni della vita esteriore o interiore. I maestri spirituali descrivono l'esperienza di fede come un continuo alternarsi di momenti di consolazione e di desolazione; momenti in cui tutto è facile, mentre altri sono segnati da una grande pesantezza".
Un'altra difficoltà che possiamo incontrare è l'"accidia, che è una vera e propria tentazione contro la preghiera e, più in generale, contro la vita cristiana. L'accidia è "una forma di durezza o di sgradevolezza dovuta alla pigrizia, all'allentamento dell'ascesi, alla trascuratezza della vigilanza, alla negligenza del cuore" (CCC, 2733). È uno dei sette "peccati capitali" perché, alimentato dalla presunzione, può portare alla morte dell'anima.
"Allora", si chiede il Papa, "cosa fare in questo susseguirsi di entusiasmo e sconforto? Dobbiamo sempre imparare a camminare. Il vero progresso nella vita spirituale non consiste nel moltiplicare le estasi, ma nel saper perseverare nei momenti difficili. Ricordiamo la parabola di San Francesco sulla perfetta letizia: non è nelle infinite fortune piovute dal cielo che si misura la capacità di un frate, ma nel camminare con costanza, anche quando non si è riconosciuti, anche quando si è maltrattati, anche quando tutto ha perso il sapore degli inizi. Tutti i santi sono passati per questa "valle oscura" e non scandalizziamoci se, leggendo i loro diari, sentiamo il racconto di notti di preghiera svogliata, vissute senza gusto. Dobbiamo imparare a dire: "Anche se Tu, mio Dio, sembri fare di tutto per farmi smettere di credere in Te, io continuo a pregarti". I credenti non smettono mai di pregare! A volte può assomigliare a quella di Giobbe, che non accetta che Dio lo tratti ingiustamente, protesta e lo chiama in giudizio.
Infine, il Papa ci ricorda che "noi, che siamo molto meno santi e pazienti di Giobbe, sappiamo che finalmente, alla fine di questo tempo di desolazione, in cui abbiamo innalzato al Cielo mute grida e molti "perché", Dio ci risponderà. E anche le nostre espressioni più dure e amare, Egli le raccoglierà con l'amore di un padre, e le considererà come un atto di fede, come una preghiera".