Papa Francesco ha dedicato la sua penultima catechesi sulla preghiera a parlare della perseveranza nella preghiera. "È un invito, anzi un comandamento che ci viene dalla Sacra Scrittura. Il viaggio spirituale del Pellegrino russo inizia quando si imbatte in una frase di San Paolo nella sua prima lettera ai Tessalonicesi: "Pregate costantemente". In ogni cosa rendete grazie" (5,17-18). Le parole dell'Apostolo toccano quest'uomo ed egli si chiede come sia possibile pregare senza interruzioni, dato che la nostra vita è frammentata in tanti momenti diversi, che non sempre permettono di concentrarsi. Da questo interrogativo inizia la sua ricerca, che lo porterà a scoprire la cosiddetta preghiera del cuore. Consiste nel ripetere con fede: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore! Una preghiera che, a poco a poco, si adatta al ritmo del respiro e si estende a tutta la giornata. Infatti, il respiro non si ferma mai, nemmeno quando dormiamo; e la preghiera è il respiro della vita".
"Come è possibile mantenere sempre uno stato di preghiera?", ha chiesto Francesco. "Il Catechismo ci offre bellissime citazioni, tratte dalla storia della spiritualità, che insistono sulla necessità della preghiera continua, che è il fulcro dell'esistenza cristiana. Ne cito alcuni".
Riferendosi a San Giovanni Crisostomo, pastore attento alla vita concreta, il Papa ha parafrasato quelle sue parole che dicono: "È opportuno che un uomo preghi con attenzione, sia che stia seduto al mercato, sia che faccia una passeggiata; allo stesso modo chi sta seduto alla scrivania o passa il tempo in altre mansioni, deve elevare l'anima a Dio; è opportuno anche per un servo che fa rumore o che va da un luogo all'altro, o che serve in cucina" (n. 2743). La preghiera, quindi, è una sorta di pentagramma musicale, dove inseriamo la melodia della nostra vita. Non è in contrasto con il lavoro quotidiano, non è in contraddizione con i tanti piccoli obblighi e incontri, semmai è il luogo dove ogni azione trova il suo senso, la sua ragione e la sua pace" (n. 2743).
Il Santo Padre è consapevole che mettere in pratica questi principi non è facile: "Un padre e una madre, impegnati in mille compiti, possono provare nostalgia per un periodo della loro vita in cui era facile trovare tempi e spazi tranquilli per la preghiera. Poi ci sono i figli, il lavoro, le faccende della vita familiare, i genitori che invecchiano... Si ha l'impressione di non riuscire mai ad arrivare in cima a tutto. È quindi bello pensare che Dio, nostro Padre, che deve prendersi cura dell'intero universo, si ricordi sempre di ognuno di noi. Così anche noi dobbiamo ricordarci di Lui!".
L'esempio del monachesimo può aiutarci, ha suggerito il Papa in udienza: "Possiamo ricordare che nel monachesimo cristiano il lavoro è sempre stato tenuto in grande considerazione, non solo per il dovere morale di provvedere a se stessi e agli altri, ma anche per una sorta di equilibrio interiore: è rischioso per l'uomo coltivare un interesse così astratto da perdere il contatto con la realtà. Il lavoro ci aiuta a rimanere in contatto con la realtà. Le mani giunte del monaco portano i calli di chi maneggia vanga e zappa. Quando, nel Vangelo di Luca (cfr. 10, 38-42), Gesù dice a Santa Marta che l'unica cosa veramente necessaria è ascoltare Dio, non intende affatto sminuire i numerosi servizi che lei svolgeva con tanta fatica".
Quasi alla fine, ha messo in guardia dal pericolo di farsi prendere dal lavoro e di trascurare il tempo per la preghiera: "Nell'essere umano tutto è "binario": il nostro corpo è simmetrico, abbiamo due braccia, due occhi, due mani... Quindi lavoro e preghiera sono complementari. La preghiera - che è il "respiro" di tutto - rimane lo sfondo vitale del lavoro, anche quando non è esplicita. È disumanizzante essere così assorbiti dal lavoro da non trovare più il tempo per la preghiera.
Infine, ha ricordato che "una preghiera estranea alla vita non è sana. Una preghiera che ci allontana dalla concretezza della vita diventa spiritualismo, o ritualismo. Ricordiamo che Gesù, dopo aver mostrato ai discepoli la sua gloria sul monte Tabor, non vuole prolungare questo momento di estasi, ma scende dal monte con loro e riprende il suo cammino quotidiano. Perché quell'esperienza doveva rimanere nei loro cuori come luce e forza della loro fede. In questo modo, i tempi dedicati allo stare con Dio ravvivano la fede, che ci aiuta a vivere concretamente la nostra vita, e la fede, a sua volta, alimenta la preghiera, senza interruzioni. In questa circolarità tra fede, vita e preghiera, si mantiene acceso il fuoco dell'amore cristiano che Dio si aspetta da ciascuno di noi.