Cultura

I copti: anima dell'Egitto

Primo di una serie di due articoli per conoscere i copti: le loro origini dall'Antico Egitto, le caratteristiche della loro lingua e il cristianesimo copto.

Gerardo Ferrara-9 settembre 2023-Tempo di lettura: 6 minuti

Monaco copto ©Mark Fischer

Le rive del Nilo, abitate fin dal decimo secolo a.C., hanno visto nascere le civilizzazioni più antiche della storia umana: quella degli antichi egizi.

Legame con gli antichi Egizi

Gli antichi egizi erano un popolo di lingua camitica. A questa famiglia di lingue, per intenderci, appartengono il berbero e le lingue somale. L’arabo, invece, lingua attuale dell’Egitto (ufficialmente: Repubblica Araba d’Egitto) è una lingua semitica, come l’ebraico, l’aramaico, il fenicio-punico, l’accadico (lingua degli antichi assiri), ecc. Le lingue camitiche e semitiche fanno sì parte di una più ampia famiglia linguistica camito-semitica, ma i due gruppi hanno un’identità propria e ben definita.

Gli antichi Egizi erano un popolo di lingua camitica. Le lingue berbere e somale appartengono a questa famiglia linguistica. L'arabo, invece, l'attuale lingua dell'Egitto (ufficialmente: Repubblica Araba d'Egitto), è una lingua semitica, come l'ebraico, l'aramaico, il fenicio-punico, l'accadico (lingua degli antichi assiri), ecc. In realtà, le lingue camitiche e semitiche fanno parte di una più ampia famiglia linguistica, la camitosemiticaEntrambi i gruppi hanno una propria identità ben definita.

Difatti, gli stessi nomi del Paese sono stati numerosi nel corso del tempo: in egizio antico Kemet (dal colore della terra fertile e limacciosa della Valle del Nilo), poi in copto Keme o Kemi; in arabo Masr o Misr (dall’accadico misru, frontiera), simile all’ebraico Misraim; Αἴγυπτος (Àigüptos) in greco ed Aegyptus in latino.

Il greco Αἴγυπτος (Àigüptos), poi, deriverebbe da Hut-ka-Ptah, “casa del ka (anima o essenza) di Ptah”, nome di un tempio del dio Ptah a Menfi.

La quantità di nomi di questa terra simboleggia anche la varietà d’identità.

Dono del Nilo: breve storia dell’Egitto

I regni propriamente egizi (camitici) prosperarono in autonomia almeno fino al I millennio a.C, quando il Paese cadde nelle mani dei Persiani. Dopodiché, nel IV secolo a.C., fu conquistato da Alessandro Magno, un cui condottiero, Tolomeo, fondò la dinastia ellenistica chiamata tolemaica (di cui faceva parte Cleopatra, la quale era appunto di stirpe greca) che resse il Paese fino alla conquista romana, nel 30 a.C.

Parte dell’Impero romano (bizantino) d’Oriente dal 395 d.C., l’Egitto fu conquistato dagli arabi musulmani nel VII secolo, non senza la connivenza della popolazione cristiana locale (aderente alla dottrina copta, non calcedoniana e per questo osteggiata da Bisanzio), e, dopo un’alternanza di dinastie sciite e sunnite (Ayyubidi, fondati da Saladino, Mamelucchi, ecc.) divenne una provincia dell’Impero Ottomano nel 1517.

Occupato dai francesi di Napoleone dal 1798 al 1800, l’Egitto fu governato per tutto il XIX secolo da Mehmet Ali Pascià e dai suoi discendenti (la sua dinastia si estinse con l’ultimo re d’Egitto, Faruq I, nel 1953), de iure sotto la Sublime Porta ma de facto completamente autonomo. Nel 1882, la Gran Bretagna lo occupò, dichiarandone l’autonomia dagli Ottomani ed instaurando, dopo la I Guerra mondiale, un protettorato che durò fino al 1936, quando il Paese divenne indipendente prima sotto una monarchia e poi, con un colpo di Stato dei Liberi Ufficiali del generale Muhammad Naguib e del colonnello Gamal Abd al-Naser (Nasser) con l’avvento della repubblica.

Nasser rimase al potere fino al 1970 e gli succedettero prima Anwar al-Sadat, poi Hosni Mubarak e, in seguito alle Primavere arabe e alle proteste accompagnate dall’uccisione di oltre 800 persone, Mohamed Morsi e l’attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi.

Chi sono i copti?

Il termine “copto” deriva proprio dal greco Αἴγυπτος (Àigüptos) e sta a indicare in primo luogo la popolazione autoctona dell’Egitto, di religione cristiana, che, con la conquista prima romano-bizantina e poi arabo-islamica continuò a parlare la propria lingua (il copto) e a professare la propria fede, particolarmente (e maggioritariamente) quella che fa riferimento alla Chiesa copta ortodossa non-calcedoniana.

Nel corso dei secoli, tuttavia, gran parte della popolazione egiziana si è convertita all’islam e i cristiani copti hanno progressivamente abbandonato la loro antica lingua per adottare quella araba, così oggi la denominazione di “copto” si riferisce esclusivamente agli egiziani di fede cristiana.

I copti si definiscono rem-en-kimi (gente della terra egizia) nella loro lingua e formano oggi una percentuale compresa fra il 10 e il 20% della popolazione dell’Egitto, con cifre che oscillano fra i 12 e i 16 milioni di persone: la minoranza cristiana più numerosa di tutto il Medio Oriente e il Nord Africa.

La lingua copta

La lingua egizia antica è stata suddivisa dagli studiosi in sei fasi storico-linguistiche: egizio arcaico (prima del 2600 a.C.); egizio antico (2600 a.C. – 2000 a.C.); egizio medio (2000 a.C. – 1300 a.C.); egizio tardo o neo-egizio (1300 a.C. – 700 a.C.); egizio tolemaico (epoca tolemaica, fine IV secolo a.C. – 30 a.C.) e demotico (VII secolo a.C. – V secolo d.C.); copto (IV– XIV secolo).

La lingua copta, pertanto, non è altro che la lingua egizia antica nella sua fase finale e si scrive con un alfabeto greco modificato e adattato alle esigenze specifiche di questo idioma (aggiunta di sette lettere, derivate da grafemi del demotico). Fu parlata fino almeno al XVII secolo. Oggi è utilizzata esclusivamente nella liturgia delle Chiese che si definiscono copte (non solo quella copto-ortodossa, ma anche quella copta-cattolica e quella copta-protestante).

Il copto è stato fondamentale per la ricostruzione filologica della lingua dei faraoni, anche attraverso la decifrazione dei geroglifici (con il rinvenimento della Stele di Rosetta), tanto che Jean-François Champollion, archeologo ed egittologo francese, non solo fu un grande conoscitore del copto, ma, grazie a tale base linguistica, fu tra i primi ad elaborare una grammatica e una pronuncia della lingua egizia antica.

Il cristianesimo copto

La prima predicazione cristiana in Egitto si fa risalire all’evangelista Marco. Sotto l’impero di Nerone, infatti, dall’anno 42 d.C., Marco sarebbe stato inviato da Pietro a predicare il Vangelo ad Alessandria, capitale della provincia d’Egitto, ove si trovava un’importantissima colonia ebraica (celebre per la Bibbia dei Settanta). Nel 62 Marco avrebbe poi raggiunto Pietro a Roma, per rientrare ad Alessandria due anni più tardi e subirvi il martirio.

Alessandria era la seconda città dell’Impero romano per dimensioni e importanza e divenne sede apostolica, nonché uno dei principali centri di diffusione del cristianesimo, con l’Egitto che fu altresì la culla del monachesimo cristiano, grazie ai celebri Antonio e Pacomio.

Il IV e il V secolo furono teatro di grandi lotte intestine all’interno dell’ecumene cristiana, soprattutto in materia cristologica. Esistevano, infatti, diverse correnti in contrasto tra loro con rispetto alla natura di Cristo:

-monofisismo, professato da Eutiche (378-454), per cui in Cristo la natura divina assorbe totalmente quella umana;;

-arianesimo, da Ario (256-336, che professava la creaturalità (natura esclusivamente umana) di Cristo, negandone la consustanzialità con il Padre;

-nestorianesimo, professato da Nestorio (381 - ca. 451), per cui Cristo è sia uomo che Dio, con due nature e due persone distinte e non contemporanee (prima uomo, poi Dio);

-cristianesimo “calcedoniano” (professato tuttora da cattolici, ortodossi e protestanti), secondo cui in Cristo vi sono “due nature in una persona”, coesistenti “senza confusione, immutabili, indivisibili, inseparabili” (Concilio di Calcedonia, 451).

Concili di Efeso e Calcedonia

Al Concilio di Efeso (431) le cinque grandi Chiese Madri (Gerusalemme, Alessandria, Roma, Antiochia e Costantinopoli) avevano concordemente stabilito che in Cristo sussiste “un’unione perfetta della divinità e dell’umanità”, ma a quello di Calcedonia (451), che vide appunto l’adozione della formula delle “due nature in una persona” la Chiesa di Alessandria rifiutò quest’ultima definizione, seguita da altre Chiese, tra cui quella apostolica armena (ne abbiamo parlato in un precedente articolo). Queste Chiese sono chiamate, pertanto, “pre-calcedoniane”.

Erroneamente si è creduto, per secoli, che le Chiese non calcedoniane fossero monofisite, ma in realtà è più corretto definirle miafisite, secondo un termine da esse stesse utilizzato proprio dopo Calcedonia. Professano, infatti, che in Cristo vi sia sì una sola natura, unica e irripetibile nella storia dell’umanità, ma che tale natura non sia né solamente divina (monofisismo) né solamente umana (arianesimo), bensì formata dall’unione della divinità e dell’umanità, unite indissolubilmente.

Miafisismo

Si parla quindi, anziché di monofisismo (mone physis, una sola natura), di miafisismo (mia physis, natura unica, secondo le parole di Cirillo di Alessandria e poi di Severo di Antiochia), questo perché nella concezione biblica a ogni natura corrisponde una persona e, essendo Cristo una sola persona all’interno della Trinità, non potrebbe avere due nature.

Successivamente le Chiese miafisite si sono sempre più allontanate dalle Chiese ufficiali dell’Impero romano (latina e bizantina), calcedonesi e sostenute dagli imperatori, pertanto dette “melchite” (da malik: in arabo, re o imperatore, traduzione del greco basileus). Di conseguenza, furono avversate dai sovrani imperiali. Esse favorirono pertanto la conquista arabo-islamica, proprio per sottrarsi alle persecuzioni bizantine ed essere considerate una comunità protetta, seppur sottoposta a maggior esazione fiscale dalla legislazione musulmana, che prevede che i cristiani, come pure gli ebrei, siano dhimmi, cittadini di seconda categoria sottoposti a limitazioni particolari, come il divieto di professare pubblicamente la propria fede, costruire luoghi di culto nuovi rispetto a quelli già in uso al momento della conquista islamica, fare proselitismo, ecc.

Approccio ecumenico

Dal XIII secolo, le condizioni di vita dei cristiani copti si aggravarono, il che condusse a un riavvicinamento di parte della comunità alla Chiesa di Roma. Esiste oggi una Chiesa copto-cattolica (seppur minoritaria, in comunione con Roma) che convive con quella maggioritaria copto-ortodossa (al vertice della quale vi è il Papa di Alessandria, patriarca del seggio di San Marco) e con altre Chiese anch’esse minoritarie (greco-ortodossa, armena, siriaca, protestante, ecc.).

Dopo il concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica e Chiesa copta ortodossa si sono riavvicinate grazie a un proficuo cammino di dialogo ecumenico, che ha condotto, nel 1973 al primo incontro, dopo quindici secoli, tra papa Paolo VI e papa Shenuda III, patriarca dei copti, e a una dichiarazione comune, che esprime un accordo ufficiale sulla cristologia e mette fine a secoli di incomprensione e di reciproca diffidenza:

“Crediamo che il Nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo, il Verbo Incarnato è perfetto nella Sua Divinità e perfetto nella Sua Umanità. Ha reso la Sua Umanità una con la Sua Divinità senza mescolanza, commistione o confusione. La Sua Divinità non è stata separata dalla Sua Umanità neanche per un momento o per un batter d’occhio. Al contempo anatemizziamo la dottrina di Nestorio e di Eutiche”.

L'autoreGerardo Ferrara

Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.

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