Nell'umiltà e nella verità, nel silenzio e nella preghiera. Così ha vissuto Benedetto XVI, Papa emerito, e così se ne è andato. Eletto al soglio pontificio il 19 marzo 2005, subito dopo il "grande Papa Giovanni Paolo II", nelle sue prime parole alla folla dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro si è definito "un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore". E come tale si presentò, con le maniche della camicia nera che spuntavano dalla tonaca papale, segno di un'attività che non si è mai fermata.
scelta che forse non ci si aspettava.
Timido, ma molto colto, semplice nei modi ma complesso nei pensieri e mai banale. Un lavoratore instancabile. Lo ha dimostrato negli innumerevoli anni trascorsi nella Curia romana come insostituibile collaboratore del suo predecessore, in uno dei dicasteri più importanti e solidi, l'allora Congregazione per la Dottrina della Fede.
Anche nel giorno della sua elezione, si definì uno "strumento insufficiente", confortato dal fatto che il Signore avrebbe saputo utilizzarlo al meglio, senza fargli mancare "il suo aiuto permanente", con la complicità della sua Madre Maria. Ha chiesto di pregare.
Per quasi otto anni, fino alle sue dimissioni, entrate in vigore il 28 febbraio 2013, non si è arreso di fronte a nessun ostacolo, ha messo (e rimesso) mano all'aratro e ha cominciato a puntellare gli elementi fondamentali dell'edificio della Chiesa, appena sbarcata con tutta l'umanità in un nuovo millennio pieno di cambiamenti e di "scosse", da poco orfana di un'imponente guida spirituale, che l'aveva accompagnata per mano per più di 27 anni.
Il suo destino era diventato chiaro il giorno del funerale di San Giovanni Paolo II, quando pronunciò quella commovente omelia che iniziava proprio con la parola "Seguimi". Pochi giorni prima - alla Via Crucis del Colosseo, meditando sulla nona stazione, la terza caduta di Gesù - aveva poi "preso la responsabilità" di denunciare "la sporcizia nella Chiesa", ma anche l'arroganza e l'autosufficienza.
Il suo sogno era quello di tornare in patria, dedicarsi alla lettura e godere della sua passione per i gatti e del suo amore per la musica classica. Invece, ha dovuto farsi carico di tutti quei problemi che aveva imparato a conoscere così bene, e anche di portare la croce delle critiche e delle incomprensioni, ma ha dovuto farsi carico di tutti quei problemi che aveva imparato a conoscere così bene, e anche di portare la croce delle critiche e delle incomprensioni.
aprendo la strada a un processo di riforma che il suo successore - Papa Francesco - ha saputo portare avanti con facilità. Lo ha fatto in umiltà e in verità.
Un compito senza precedenti che va oltre le capacità umane
"Un compito senza precedenti, che supera davvero ogni capacità umana". Domenica 24 aprile 2005, Benedetto XVI ha iniziato il suo ministero petrino come Vescovo di Roma, in una Piazza San Pietro gremita, con oltre 400.000 persone presenti. E nell'esporre la gravità e il peso del mandato che sentiva di dover assumere, disse che, alla fine, il suo programma di governo non sarebbe stato quello di "seguire le mie idee, ma di ascoltare, con tutta la Chiesa, la parola e la volontà del Signore e di lasciarmi guidare".
per Lui, affinché sia Lui stesso a guidare la Chiesa in quest'ora della nostra storia". La volontà di Dio che "non ci allontana, ma ci purifica - forse anche dolorosamente - e ci conduce così a noi stessi".
Essere disposti a soffrire
Il tema della sofferenza compare spesso nel discorso di investitura, come quando spiega che "amare [il popolo che Dio ci affida] significa anche essere pronti a soffrire", "per dare alle pecore il vero bene, il nutrimento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza".
Parole che a posteriori suonano come una profezia. A Benedetto XVI non sono certo state risparmiate le sofferenze, ma le ha sempre vissute con spirito di servizio e umiltà. Guardando indietro ai quasi otto anni di pontificato, spiccano alcuni dei contributi eccezionali che il primo Papa emerito della storia ha lasciato in eredità a tutta la Chiesa.
Le tre encicliche
Il primo contributo è senza dubbio magistrale. A pochi mesi dall'inizio del suo pontificato, Benedetto XVI ha firmato la sua prima enciclica, "Deus caritas est" (Dio è amore), in cui spiega come l'uomo, creato a immagine di Dio-amore, sia capace di vivere la carità; inizialmente scritta in tedesco e firmata il giorno di Natale del 2005, è stata diffusa il mese successivo.
Il 30 novembre 2007 è stato pubblicato "Spe salvi", che mette a confronto la speranza cristiana con le moderne forme di speranza basate sulle conquiste terrene, che portano a sostituire la fiducia in Dio con una mera fede nel progresso. Ma solo una prospettiva infinita come quella offerta da Dio attraverso Cristo può dare la vera gioia.
L'ultima enciclica che porta la sua firma è datata 29 giugno 2009 e si intitola "Caritas in veritate" (Amore nella verità). Il Pontefice passa in rassegna gli insegnamenti della Chiesa sulla giustizia sociale e invita i cristiani a riscoprire l'etica degli affari e delle relazioni economiche, mettendo sempre al centro la persona e i valori che ne preservano il bene.
Stava preparando una quarta enciclica per completare la trilogia dedicata alle tre virtù teologali; sarebbe stata pubblicata da Papa Francesco il 29 giugno 2013, nell'Anno della fede, completando la parte principale dell'opera che Ratzinger aveva già preparato. Si intitola "Lumen fidei".
Quattro esortazioni post-sinodali
Eucaristia, Parola, Africa e Medio Oriente sono, da parte loro, i temi delle quattro esortazioni apostoliche che hanno visto la luce sotto il pontificato di Benedetto XVI, a coronamento di quattro Sinodi dei Vescovi che si sono svolti rispettivamente nel 2005, generando la "Sacramentum caritatis" (2006); nel 2008, con la pubblicazione della "Verbum Domini" (2010); nel 2009, che ha dato origine all'esortazione "Africae munus" (2011); e nel 2010, che due anni dopo ha dato origine al documento "Ecclesia in Medio Oriente".
Qui sta l'importanza dei sacramenti e la vicinanza alle periferie del mondo, luoghi dove la Chiesa è molto viva, ricca di vocazioni, ma dove spesso manca lo sforzo "da Roma" per essere più presente in queste terre.
La trilogia di Gesù di Nazareth
Grazie alla sua passione per lo studio e alle sue qualità di fine teologo, negli anni del suo pontificato Benedetto XVI ha regalato alla comunità dei credenti anche tre importanti libri sulla figura storica di Gesù, pubblicati rispettivamente nel 2007, 2011 e 2012. Il percorso narrativo inizia con l'"infanzia di Gesù" e prosegue attraverso la vita pubblica del Messia fino alla risurrezione.
È stato un successo editoriale senza precedenti e molti credenti sono stati edificati dalla storia della Persona-Gesù. Pellegrino dei popoli, non ha interrotto la tradizione di viaggi apostolici del suo predecessore, sia in Italia che all'estero; una serie inaugurata a quattro mesi dall'inizio del suo pontificato, recandosi in patria per la Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia. È tornato in Germania altre due volte, nel 2006 (in Baviera, dove si è verificato il noto "incidente di Ratisbona") e nel 2011, in visita ufficiale al Paese. In totale, Benedetto XVI ha compiuto 24 viaggi apostolici all'estero, diversi in Europa (tre volte in Spagna), ma anche in America Latina (Brasile, Messico, Cuba), negli Stati Uniti (2008), in Africa (Camerun, Benin) e in Australia (2008).
Il suo viaggio in Terra Santa, visitando la Giordania, Israele e l'Autorità Nazionale Palestinese nel maggio 2009, è stato certamente significativo, così come la sua visita al campo di concentramento di Auschwitz nello stesso mese di tre anni prima, dove ha pregato per onorare la memoria degli ebrei, dei polacchi, dei russi, degli zingari e dei rappresentanti di venticinque nazioni uccisi dall'odio nazista.
Ha inoltre compiuto più di trenta visite pastorali e pellegrinaggi in Italia e altrettanti nella diocesi di Roma, visitando parrocchie, santuari, basiliche, carceri, ospedali e seminari. Per la storia
rimarrà la sua visita a L'Aquila nel 2009, subito dopo il terremoto, quando si recò a pregare sulle spoglie di Celestino V, sulla cui tomba pose il pallio, una premonizione che molti hanno associato alle sue future dimissioni.
Incidenti
All'inizio del suo ministero petrino, Benedetto XVI aveva fatto riferimento alla sofferenza, e purtroppo questo è stato uno degli elementi che non gli sono stati affatto risparmiati, a partire da alcune incomprensioni e polemiche che hanno avuto un'eco internazionale.
La prima risale al 2006, con la famosa "lectio magistralis" all'Università di Regensburg durante il suo secondo viaggio in Germania, in visita alla Baviera. In questo caso, l'incidente è nato dall'infelice citazione di una frase dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo sulla guerra santa, con riferimenti al profeta Maometto. Nel suo discorso, il Papa aveva ricordato la dichiarazione "Nostra Aetate" e l'atteggiamento della Chiesa nei confronti delle religioni non cristiane, ma a quel punto l'incomprensione era già sorta e ci furono reazioni violente nel mondo islamico.
Benedetto XVI si è poi scusato pubblicamente, dicendosi "dispiaciuto" e chiarendo di non condividere il pensiero espresso nel testo citato. Fortunatamente, negli anni successivi sono fioriti gli scambi culturali e teologici tra cattolici e musulmani, culminati persino in un incontro in Vaticano tra una delegazione di teologi e intellettuali islamici e il Pontefice stesso. Questo è stato senza dubbio il preludio al "Documento sulla fraternità umana", che Papa Francesco ha potuto firmare diversi anni dopo ad Abu Dhabi insieme al Grande Imam di Al-Azhar.
Un secondo episodio si è verificato a Roma, nella principale università della capitale, "La Sapienza", dove un gruppo di oltre 60 professori dell'ateneo si è opposto alla visita di Benedetto XVI, che era stato invitato dall'allora rettore a parlare all'inaugurazione dell'anno accademico del 2008. In seguito al turbinio di polemiche, la Santa Sede ha declinato l'invito. Nove anni dopo, nel 2017, il suo successore Francesco ha invece potuto visitare un'altra università civile romana, "Roma Tre".
Dopo l'incomprensione con i musulmani, nel 2009 è arrivato l'incidente con il mondo ebraico. Benedetto XVI aveva deciso di rimettere la scomunica a quattro vescovi lefebvriani, tra i quali Richard
Williamson. In seguito a questo gesto, è emerso - attraverso la televisione svedese SVT - che in passato il vescovo aveva espresso pubblicamente posizioni negazioniste sulla Shoah. Anche in questo caso la Santa Sede è stata costretta a emettere una nota che, oltre a confermare la condanna e il ricordo del genocidio degli ebrei, ha imposto al vescovo Williamson di prendere le distanze "in modo assolutamente inequivocabile e pubblico dalle sue posizioni sulla Shoah" prima di essere ammesso alle funzioni episcopali nella Chiesa, chiarendo che tali posizioni non erano note al Papa al momento della remissione della scomunica.
Ulteriori critiche sono arrivate durante il suo viaggio in Camerun e Angola nel marzo 2009, quando ha dichiarato in aereo che la distribuzione dei preservativi non sarebbe stata una soluzione all'AIDS - un'affermazione stigmatizzata da governi, politici, scienziati e organizzazioni umanitarie con ripercussioni anche a livello diplomatico.
Lotta contro gli abusi
Eppure, sotto il pontificato di Benedetto XVI, l'intero processo di lotta agli abusi nella Chiesa, che Papa Francesco è riuscito a portare avanti in modo più agevole, ha acquisito uno slancio irreversibile. Papa Ratzinger è stato il primo pontefice a scusarsi esplicitamente con le vittime di abusi clericali e a incontrarle in diverse occasioni, ad esempio durante i viaggi all'estero.
Fu drastico nell'espellere alcuni chierici responsabili di tali crimini e nello stabilire le prime regole e linee guida più severe contro questi fenomeni.
Un esempio tra i tanti è il trattamento del "caso Maciel", che Ratzinger aveva già avuto modo di approfondire durante gli anni in cui era stato prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.In qualità di Pontefice, fece in modo che la Congregazione dei Legionari ricevesse una Visita Apostolica, in seguito alla quale fu nominato un Delegato Pontificio - il compianto Cardinale Velasio De Paolis - che portò alla revisione degli statuti e dei regolamenti, dopo che fu pubblicamente riconosciuta la colpa del fondatore e fu avviato un processo completo di rinnovamento e guarigione.
Un altro fenomeno è quello dell'Irlanda, dopo la pubblicazione dei rapporti Ryan e Murphy che hanno denunciato numerosi casi di abusi sessuali su minori da parte di sacerdoti e religiosi dagli anni '30 al 2000, con tentativi di insabbiamento da parte della Chiesa locale. Già nel 2006, rivolgendosi ai vescovi del Paese giunti a Roma in visita "ad limina", Benedetto XVI aveva detto che "le ferite causate da tali atti sono profonde, ed è urgente il compito di ripristinare la fiducia laddove è stata danneggiata". Inoltre, è necessario "prendere tutte le misure per evitare che si ripetano in futuro, per garantire il pieno rispetto dei principi di giustizia e, soprattutto, per guarire le vittime e tutti coloro che sono stati colpiti da questi crimini abominevoli".
Quattro anni dopo scrisse una lettera pastorale ai cattolici d'Irlanda in cui confidava di "condividere lo sgomento e il senso di tradimento" che avevano provato, e ai colpevoli aggiungeva: "dovrete risponderne davanti a Dio Onnipotente, oltre che davanti ai tribunali debitamente costituiti".
I Consigli
Nel corso del suo pontificato, Benedetto XVI ha presieduto cinque concistori per la creazione di nuovi cardinali, creando un totale di 90 "eminenze", di cui 74 elettori. Significativamente, nell'ultimo, il 24 novembre 2012, oltre a essere il secondo Concistoro nello stesso anno (dal 1929 non c'erano state due diverse creazioni di cardinali nello stesso anno), questa volta non erano presenti cardinali europei, quasi a inaugurare una tradizione di "pesca" di collaboratori del Papa anche lontano da Roma. Una cosa che da allora è diventata molto comune con Papa Francesco.
È stato l'anno della creazione del cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo metropolita di Manila (Filippine), o di Baselios Cleemis Thottunka, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankari (India), per esempio.
Dimissioni
L'ultimo atto che rimane nella storia del pontificato di Benedetto XVI è senza dubbio la sua rinuncia, annunciata l'11 febbraio 2013 durante un Concistoro per alcune cause di canonizzazione come una "decisione di grande importanza per la vita della Chiesa".
Tra le motivazioni che lo hanno portato a questa decisione - presa in assoluta umiltà e in spirito di servizio alla Chiesa, anche in questo caso - c'è la consapevolezza che "per condurre la barca di San Pietro occorre anche vigore di corpo e di anima, vigore che, negli ultimi mesi, è diminuito in me a tal punto da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero affidatomi".
Parole di una pulizia unica, offerte con il cuore in mano e con la libertà di chi non ha paura di riconoscere i propri limiti, pur essendo pronto a servire il Signore "non meno soffrendo e pregando".
Fedele alla sua parola, Benedetto XVI ha dedicato gli ultimi anni della sua vita a pregare per la Chiesa, nel "nascondiglio" del Monastero Mater Ecclesiae, con il cuore, con la riflessione e con tutta la sua forza interiore, come disse nel suo ultimo saluto ai fedeli dalla Loggia del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo il 28 febbraio di quasi dieci anni fa. Come un pellegrino "nell'ultima tappa del suo pellegrinaggio su questa terra", ormai giunto al suo compimento, veglia su di noi dal Cielo!