Israele. Palestina. Ha-Aretz (in ebraico: la Terra tout court, che è il modo in cui gli ebrei definiscono la Terra promessa da Dio, da Dan a nord fino a Bersabea a sud). Filastìn (arabo: Palestina). Yerushalayim (nome ebraico di Gerusalemme, che significa "collina della pace" e, per estensione, città della pace). Al-Quds (il Santo: nome arabo di Gerusalemme). In questo minuscolo fazzoletto di terra, le cose hanno spesso due o più nomi, e le definizioni dei luoghi di questa piccola regione a cavallo tra Africa e Asia sono enfatiche, danno un senso di assoluto, di divino, quasi come se qui convergessero tutte le visioni del mondo, tutte le aspettative, gli aneliti e i desideri di miliardi di persone nel corso della storia.
Prima di addentrarci nella questione arabo-israeliana, è quindi necessario chiarire a chi e a cosa ci riferiamo. Per essere ancora più precisi, dovremmo addirittura parlare prima di tutto di una Domanda ebraicache diventa Giudeo-ottomano e allo stesso tempo Giudeo-arabo o giudeo-palestinesee, infine, solo dal 1948, Arabo-israeliano o israelo-palestinese.
Ebrei o israeliani?
Partiamo da uno di quei presupposti che ogni orientalista alle prime armi dovrebbe conoscere. Così come si impara, durante le prime lezioni all'università, che non tutti gli arabi sono musulmani e non tutti i musulmani sono arabi, è necessario sottolineare che non tutti gli ebrei sono israeliani e non tutti gli israeliani sono ebrei.
Chi sono gli israeliani? Sono i cittadini dello Stato di Israele, un Paese dell'Asia occidentale di circa 9 milioni di abitanti, di cui circa 7 milioni sono ebrei, con una considerevole minoranza (circa 2 milioni) di arabi, in maggioranza musulmani sunniti, ma con una piccola minoranza di cristiani e drusi. Gli israeliani, quindi, sono sia ebrei che arabi (o palestinesi: sull'uso di quest'ultimo termine rimandiamo alle pagine seguenti) e sia ebrei che musulmani, drusi, cristiani, ecc.
Gli ebrei (termine che in italiano è sinonimo di "israeliti" piuttosto che di "israeliani"), invece, sono un gruppo etnico-religioso che conta tra i 17 e i 20 milioni di persone, la maggior parte delle quali (circa 10 milioni) risiede negli Stati Uniti; circa 7 milioni sono anche in Israele. Sono abbastanza numerosi anche in Francia (erano 700.000 all'inizio di questo secolo, ma il loro numero è in costante diminuzione), nel Regno Unito, in Russia e in altri Paesi. In Italia ci sono circa 45.000 ebrei.
Si definiscono un "gruppo etno-religioso", e non semplicemente aderenti a una religione, perché il concetto di etnia e di fede religiosa nell'ebraismo sono strettamente correlati. Prima del ShoahIl Vecchio Continente ospitava più della metà degli ebrei del mondo.
Ashkenazi e sefarditi
Gli ebrei, sia quelli che vivono in Israele sia quelli sparsi nel mondo, si dividono generalmente in due gruppi principali, in base a diversi fattori, che sono innanzitutto tutti gli aspetti culturali che li contraddistinguono, come la lingua, le tradizioni, gli usi e i costumi, nonché le vicissitudini storiche attraverso le quali sono passati e la situazione geografica della comunità a cui appartengono.
Questi due gruppi sono chiamati "ashkenaziti" e "sefardim" (da ashkenaz e sefarad, che in ebraico medievale significano rispettivamente Germania e Spagna).
In generale, i Sefardim sono quegli israeliti (Isaac Abravanel, ebreo e ministro delle Finanze del Regno fino all'espulsione, parla di 200.000-300.000) che rifiutarono di convertirsi al cristianesimo e furono espulsi dalla Spagna nel 1492, dopo la definitiva riconquista del Paese dai Mori da parte di Ferdinando, re d'Aragona, e Isabella, regina di Castiglia. Trovarono rifugio in Nord Africa, nell'Impero Ottomano, in Egitto e in Medio Oriente.
Oggi, tuttavia, sono definite sefardite anche le comunità ebraiche dello Yemen, dell'Iraq, della Palestina e di altri Paesi dell'Asia e dell'Africa, che poco o nulla hanno a che fare con i profughi espulsi nel XV secolo dalla penisola iberica. Questo perché, nel XVI secolo, uno studioso e mistico di origine andalusa, Yossef Caro (1488-1575), scrisse un codice, chiamato Shulhan Arukh, che raccoglieva tutte le tradizioni, i costumi, le regole di liceità e illiceità e i rituali delle comunità ispaniche.
In risposta, uno studioso ebreo polacco, Moshe Isserles, noto anche come Harema, commentò il codice di Caro, stabilendo che alcune delle regole in esso contenute non erano conformi alla tradizione ashkenazita. Si creò così la distinzione tra ashkenaziti e sefarditi (una differenza che va dai rituali, al cibo, al modo di relazionarsi con i non ebrei, alla lingua usata nella vita quotidiana, ecc.), che molti chiamano rispettivamente ebrei europei ed ebrei orientali.
Quanto appena detto è solo una generalizzazione delle tante e varie differenze tra gli ebrei di tutto il mondo, che, nonostante tutto, hanno sempre conservato le radici comuni, il culto e, soprattutto, l'anelito nostalgico del ritorno alla Terra Promessa, accompagnato dal dolore dell'esilio (queste ultime componenti sono onnipresenti nei gesti e nelle parole della vita quotidiana e delle celebrazioni più importanti).
Diaspora
La diaspora, cioè la dispersione degli israeliti (termine che è sinonimo di "ebreo" e non di "israelita") ai quattro angoli del globo, era già iniziata tra il 597 e il 587 a.C., con la cosiddetta "cattività babilonese", cioè la deportazione degli abitanti dei regni di Israele e Giuda in Assiria e a Babilonia, e con la distruzione del tempio costruito da Salomone, per mano del re Nabucodonosor.
Nel 538, con l'editto di Ciro, re dei Persiani, alcuni ebrei poterono ricostruire il tempio al loro ritorno in patria, anche se molti ebrei rimasero a Babilonia o andarono a vivere in altre regioni, un processo che continuò in epoca ellenistica e romana.
Fu Roma, tuttavia, a porre fine - per quasi duemila anni - alle aspirazioni nazionali e territoriali del popolo ebraico con le sanguinose tre Guerre giudaiche. La prima (66-73 d.C.), iniziata da una serie di rivolte della popolazione locale contro l'autorità romana, culminò con la distruzione di Gerusalemme e del Tempio, oltre che di altre città e roccaforti militari come Masada, e la morte, secondo lo storico dell'epoca Giuseppe Flavio, di oltre un milione di ebrei e 20.000 romani. La seconda (115-117) ebbe luogo nelle città romane della Diaspora e fece anch'essa migliaia di vittime. Nel terzo (132-135), noto anche come il Rivolta di Bar-KokhbaLa macchina da guerra romana travolse tutto ciò che incontrava, radendo al suolo circa 50 città (compreso ciò che restava di Gerusalemme) e 1.000 villaggi. Non solo i ribelli, ma quasi tutta la popolazione ebraica sopravvissuta alla prima guerra giudaica fu annientata (circa 600.000 morti), insieme all'idea stessa di una presenza ebraica nella regione, romanizzata persino nella sua topografia. Infatti, il nome Palestina, e più precisamente Siria Palæstinafu assegnata dall'imperatore Adriano all'antica provincia della Giudea nel 135 d.C., dopo la fine della Terza Guerra Giudaica (la Palestina vera e propria era, fino ad allora, una sottile striscia di terra, corrispondente all'incirca all'odierna Striscia di Gaza, su cui si trovava l'antica Pentapoli filistea).
Lo stesso imperatore fece ricostruire Gerusalemme come una città pagana, con il nome di Aelia CapitolinaIl popolo ebraico, ponendo templi di divinità greco-romane proprio sopra i luoghi santi ebraici e cristiani (ebrei e cristiani furono poi assimilati), impedì a qualsiasi ebreo di entrarvi, anche se, almeno durante i primi secoli dell'era cristiana, una minoranza ebraica sopravvisse nella campagna giudaica e soprattutto nelle città sante di Safed e Tiberiade in Galilea, Una minoranza ebraica sopravvisse nelle campagne della Giudea e soprattutto nelle città sante di Safed e Tiberiade in Galilea, tanto che nelle cronache dell'epoca appare che, durante la rivolta contro l'imperatore bizantino Eraclio nel 614, la minoranza israelita partecipò a massacri di cristiani (circa 90.90.000 morti) e alla distruzione di alcuni luoghi santi come la Santo SepolcroGovernò addirittura Gerusalemme per 15 anni, prima che venisse a sua volta quasi completamente massacrata e favorisse l'avanzata e la conquista delle truppe arabo-islamiche nel 637.
Ci si chiede, in ogni caso, perché non ci sia stata, prima del 1880, data che tradizionalmente segna l'inizio della questione arabo-israeliana - a questo punto sarebbe più corretto chiamarla ancora ebraico-palestinese - una massiccia immigrazione di ebrei nella regione, che nel frattempo era passata di mano in mano: romani, persiani, bizantini, arabi, crociati, turchi ottomani.
Certamente per ragioni economiche (le comunità ebraiche, già fortemente urbanizzate e dedite al commercio, si erano insediate stabilmente in molti importanti centri dell'Europa mediterranea, dell'Asia e dell'Africa e avevano intessuto una fitta rete commerciale), ma probabilmente anche religiose: il Talmud babilonese, infatti (trad. Ketubot, 111a), afferma che Dio avrebbe impedito agli israeliti di ribellarsi alle nazioni creando un proprio Stato; di immigrare in massa in Terra Santa; di affrettare l'arrivo del messia. Questi divieti sono alla base della dottrina rigidamente antisionista e anti-israeliana dei Neturei Karta (Guardiani della Città, un gruppo ebraico estremista che oggi vive principalmente in due quartieri di Gerusalemme, Me'ah She'arim e Ge'ula), un movimento ebraico ortodosso che rifiuta di riconoscere l'autorità e l'esistenza stessa dello Stato di Israele.
In ogni caso, alla fine del XIX secolo, la Palestina faceva parte della più grande provincia (vilayet) della Siria e la sua popolazione era quasi esclusivamente di lingua araba e islamica (sebbene vi fossero significative minoranze cristiane, soprattutto in città come Nazareth, Betlemme e la stessa Gerusalemme, dove i cristiani rappresentavano talvolta una maggioranza relativa). Gli ebrei erano solo 24.000, il 4,8% della popolazione.
In quanto sudditi ottomani, erano considerati (come i cristiani) cittadini di seconda classe, cioè non erano considerati cittadini ottomani, dhimmie sono stati soggetti al pagamento di una tassa di capitolazione, detta jizyaLa terra che possedevano e una tassa sulla terra che possedevano, kharàjfino al 1839, quando, in seguito all'Editto (Hatti sherif) di Gülhane seguito dall'Editto (Hatti) Hümayun (1856) e l'Islahat Fermani, il sultano Abdülmecit I concesse la piena uguaglianza giuridica con i musulmani a tutti i sudditi non islamici della Sublime Porta, nell'ambito della famosa TanzimatRiforme liberali di ispirazione europea.
Paradossalmente, i semi della questione arabo-israeliana stavano germogliando proprio quando, all'epoca delle rivoluzioni liberali e dell'apertura dei ghetti in Europa e in Medio Oriente, si discuteva della questione arabo-israeliana. Tanzimat Nell'Impero Ottomano continuarono a verificarsi violenti pogrom e atti ed episodi più sottili di antisemitismo, soprattutto in Europa e in Russia, ma anche in Siria e in altre parti del mondo occidentale e orientale.
Fu allora, nel contesto del nazionalismo europeo e anche come conseguenza della Haskalah, l'Illuminismo ebraico (che vide la rinascita della letteratura e della cultura ebraico-europea), che nacque e si sviluppò l'ideologia che costituisce la base dell'attuale Stato di Israele: il sionismo.
Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.