Vaticano

Quale futuro per il sistema giudiziario vaticano?

Quello che è stato letto il 15 dicembre 2023 è solo il dispositivo della sentenza di Becciu. La sentenza completa, con tutte le motivazioni, sarà pubblicata solo più tardi, presumibilmente entro il 2024, in un momento qualunque tra giugno e dicembre.

Andrea Gagliarducci-25 gennaio 2024-Tempo di lettura: 6 minuti

Il processo al cardinale Becciu ©OSV

Non c’è ancora la parola fine al processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, il cosiddetto “processo Becciu”. Il dispositivo di sentenza letto lo scorso 15 dicembre ha diverse assoluzioni, molte ridefinizioni dei crimini, qualche condanna, e non può lasciare soddisfatto nessuno.

In effetti, gli unici a non presentare appello sono stati la Segreteria di Stato e l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, entrambe parti civili (e due facce della stessa medaglia, se si considera che la gestione dei fondi della Segreteria di Stato è stata trasferita all’APSA). Non c’era appello da presentare per monsignor Mauro Carlino, segretario prima del sostituto Angelo Becciu e poi del sostituto Edgar Peña Parra, l’unico che è stato assolto da tutte le accuse. Tutti gli altri attori, sia imputati che parti civili e persino il promotore di Giustizia (il procuratore) vaticano hanno annunciato che faranno appello.

Ci sarà dunque un altro processo, non più con dibattimento ampio, ma piuttosto con una revisione dei documenti, che potrebbe riscrivere reati e sentenze. E intanto ci sono altri due processi in Vaticano, anche quelli su questioni finanziarie: il processo che coinvolge Libero Milone, già revisore generale del Vaticano, che ha denunciato insieme al suo vice Panicco, poi morto di tumore, di averlo ingiustamente rimosso dall’incarico chiedendo un alto risarcimento, e che si è concluso in favore della Segreteria di Stato; e il processo che riguarda la gestione dei fondi del Coro della Cappella Sistina.

Ma cosa dicono questi processi sullo stato di salute dell’ordinamento giuridico vaticano?

Il sistema giuridico vaticano

Vale la pena ricordare che sono processi di tipo penale, intentati nello Stato di Città del Vaticano. Sebbene il diritto canonico sia fonte di diritto anche in caso di contenzioso civile e penale, si tratta di un processo istruito nello Stato, con le sue regole.

Papa Francesco ha cambiato più volte l’ordinamento giuridico vaticano. Negli ultimi due anni, ci sono state due riforme dell’ordinamento giuridico, che hanno di fatto ridefinito la struttura giudiziaria. Il Papa ha unificato l’ufficio del promotore di Giustizia, che resta lo stesso in primo grado e in appello. Ha prima definito, anche sulla base di richieste arrivate da organismi internazionali, che almeno uno dei giudici o dei promotori di giustizia fosse impiegato full time, e poi ha accettato nuovamente che tutti gli incarichi fossero part time.

Quindi, durante la fase delle indagini del processo sulla gestione dei fondi vaticano, il Papa ha riscritto alcune regole con quattro rescritti. Un modo di superare un vuoto normativo, secondo il promotore di Giustizia, Alessandro Diddi. Un modo di manipolare le indagini cambiando le regole, sostiene l’accusa.

Di fatto, però, ci si trova di fronte a un sistema giuridico che ha subito molte riforme, composto completamente da avvocati e procuratori che hanno esercitato o esercitano ancora in Italia, e che dunque né conoscono a fondo le peculiarità della Santa Sede, né guardano al panorama più ampio del diritto internazionale.

Il processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato

È questa la cornice in cui si deve inserire il processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Il processo riguarda fatti accaduti tra il 2012 e il 2019, e può essere riassunto in tre diversi filoni.

Il primo riguarda l’investimento, da parte della Segreteria di Stato, nelle quote di un palazzo di lusso a Londra. Dopo aver deciso di non dare seguito alla possibilità di partecipare ad una piattaforma petrolifere in Angola, la Segreteria di Stato diede in gestione al broker Raffaele Mincione un fondo utilizzato per comprare le quote di un palazzo da sviluppare. Poi, diede le stesse quote in gestione al broker Gianluigi Torzi, che – inizialmente all’oscuro della Segreteria di Stato – mantenne per sé le uniche azioni con diritto di voto, e di conseguenza il pieno controllo del palazzo. Infine, rilevò l’intero palazzo, che è stato recentemente rivenduto.

Quindi, parte del processo si concentra sul contributo dato dalla Segreteria di Stato alla Caritas di Ozieri per lo sviluppo di un progetto della cooperativa SPES, presieduta dal fratello del Cardinale Becciu. L’accusa, nei confronti di Becciu, è quella di peculato.

Il terzo filone riguarda la sedicente esperta di geopolitica Cecilia Marogna, ingaggiata dalla Segreteria di Stato, che avrebbe utilizzato denaro a lei erogato per delle presunte operazioni di salvataggio di ostaggi (come quello della suora colombiana Cecilia Narvaez rapita in Mali) per fini personali.

Come è finito il processo?

Come detto, l’unica assoluzione è stata quella di monsignor Mauro Carlino.

Il Cardinale Becciu ha avuto condanne per tre capi di imputazione, due per peculato e uno per truffa. Uno dei reati di peculato lo vede in concorso con il broker Raffaele Mincione per aver destinato 200 milioni di euro (un terzo della capacità di investimento della Segreteria di Stato) in un fondo altamente speculativo appartenente al broker.

René Bruelhart e Tommaso Di Ruzza, rispettivamente presidente e direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria all’epoca dei fatti contestati, ricevono solo una multa di 1750 euro. Enrico Crasso, il broker che per conto di Credit Suisse prima e poi in altre vesti gestiva i fondi della Segreteria di Stato vaticano, è condannato alla pena di sette anni di reclusione e 10 mila euro di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Raffaele Mincione, cui era stato affidato il fondo che poi fu destinato all’acquisto di quote dell’immobile di Londra, a cinque anni e sei mesi di reclusione, ottomila euro di multa e interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Fabrizio Tirabassi, l’officiale della amministrazione della Segreteria di Stato che fu coinvolto dai superiori nelle trattative, è condannato a sette anni e sei mesi di reclusione, diecimila euro di multa e interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Nicola Squillace, avvocato, coinvolto da Gianluigi Torzi nella compravendita, ha una pena sospesa di un anno e sei mesi.

Gianluigi Torzi, il broker che rilevò la gestione delle quote dell’immobile da Mincione per conto della Segreteria di Stato, è condannato a sei anni di reclusione, 6 mila euro di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici e sottoposizione alla vigilanza speciale per un anno.

Cecilia Marogna, la sedicente “agente segreta” che ricevette un compenso di 500 mila euro per una operazione di liberazione di una suora rapita in Mali e che secondo l’accusa avrebbe usato per sé, è condannata a 3 anni e 9 mesi di reclusione con interdizione temporanea dai pubblici uffici per lo stesso periodo. La società della Marogna, la Logsic Humanitarne Dejavnosti D.O.O. pagherà una multa di 40 mila euro e ha divieto di contrattare con le autorità pubbliche per due anni.

Inoltre, il Tribunale ha ordinato la confisca per equivalente delle somme costituenti corpo dei reati contestati per oltre 166.000.000 di euro complessivi. Gli imputati sono stati infine condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, liquidati complessivamente in oltre 200.000.000,00 di euro.

Tra i danni da conteggiare, anche 80 milioni di danni non patrimoniali per la Segreteria di Stato, mentre la sentenza punta anche a recuperare tutto il denaro destinato da Becciu alla Caritas di Ozieri e quello destinato alla sedicente esperta di intelligence Cecilia Marogna. Le confische saranno esecutive a partire dalla sentenza di secondo grado, ma c’è una norma che prevede la possibilità di confiscare i proventi del reato già con la sentenza di primo grado.

Verso la sentenza

Quello che è stato letto il 15 dicembre, tuttavia, è solo il dispositivo della sentenza. La sentenza completa, con tutte le motivazioni, sarà pubblicata solo più tardi, presumibilmente entro il 2024, in un momento qualunque tra giugno e dicembre.

I tempi per l’appello sono, dunque, molto lunghi, le confische sono per ora bloccate, e intanto le spese del Tribunale continuano a crescere, anche perché il Papa ha deciso recentemente di inquadrare i giudici vaticani nei ranghi dirigenziali della Curia con relativo stipendio.

Ma come ha impattato questa stagione dei processi sulla Santa Sede?

Il primo rischio è quello di una minore credibilità del sistema giudiziario vaticano, sia per il modo in cui sono stati gestiti i capi di accusa, sia per come lo stesso presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone ha deciso di ridefinire diversi reati, con una nuova impostazione che sembrava sconfessare le indagini. La domanda che ci si potrebbe fare, in maniera forse troppo maliziosa e speciosa, è se si sia trattato di un processo politico, e chi sia stato danneggiato da questo processo.

Il secondo rischio riguarda il possibile appello. Se poi all’appello ci sarà una sostanziale marcia indietro sulle accuse, chi e come potrà risarcire di danni subiti dagli imputati? Si tratta di danni reputazionali che hanno impatti enormi sulla vita delle persone, il cui risarcimento sarebbe elevato. Ci sarebbe il paradosso di un processo che punta a recuperare i soldi perduti e che si trova a pagare di più di quanto perduto.

Il terzo rischio riguarda poi la posizione dei giudici e della Gendarmeria vaticana. Se l’appello dovesse ribaltare la prima sentenza, potrebbe essere messa in discussione sia la capacità di giudici e promotori vaticani di istruire un giusto processo, sia la capacità di indagine della Gendarmeria vaticana. Si tratterebbe di un terremoto per tutto il sistema vaticano.

L'autoreAndrea Gagliarducci

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