Cultura

Francesco Angelicchio. Una vita di avventure 

Francesco Angelicchio è stato direttore del Centro Cattolico Cinematografico e poi parroco di San Giovanni Battista al Collatino a Roma. Ora è stato pubblicato un libro sulla vita di questo sacerdote, primo membro italiano dell'Opus Dei.

Andrea Acali-22 marzo 2024-Tempo di lettura: 3 minuti

Foto: Francesco Angelicchio con il Beato Álvaro del Portillo

Se fosse ancora vivo, sarebbe un fulgido esempio di quella "Chiesa in movimento" tanto cara a Papa Francesco. Una vita avventurosa, segnata dall'incontro con un santo e terminata circondato dall'affetto di migliaia di persone che lo hanno conosciuto e amato come loro parroco per circa 25 anni, in una delle periferie più turbolente e degradate di Roma.

Si tratta di Francesco Angelicchio, che, giovane e promettente avvocato, ha incontrato San Josemaría Escrivá. La sua vita prese allora una piega completamente nuova e inaspettata.

Giovedì 7 marzo è stato ricordato con la presentazione del libro "Il primo italiano dell'Opus Dei", scritta dal nipote Fabio, giornalista de La7, nella chiesa di San Giovanni Battista al Collatino, di cui il sacerdote è stato parroco per circa 25 anni, accanto alla Centro ElisDal 1965 è un faro di formazione e aggregazione non solo per il quartiere popolare di Casalbruciato, ma per tutto il centro-sud Italia.

Una fuga "miracolosa

Francesco Angelicchio ha avuto una vita avventurosa fin da giovane. Ufficiale operativo sul fronte jugoslavo durante la Seconda guerra mondiale, poi paracadutista della Folgore, scampò miracolosamente all'eccidio delle Fosse Ardeatine.

"Sua madre, mia nonna, conosceva un monaco dell'abbazia di San Paolo fuori le Mura", racconta Fabio Angelicchio, "e durante l'occupazione tedesca gli permisero di nascondersi nel convento. Fu la prima volta che indossò la tonaca...".

Poi ci fu la famigerata irruzione nell'abbazia nella notte tra il 3 e il 4 febbraio: "Mio zio stava aspettando di essere perquisito e portato via; probabilmente sarebbe finito alle Fosse Ardeatine. Invece, mentre era in coda, chiese di andare in bagno. Gli è stato concesso di farlo prima di essere perquisito, così si è nascosto lì ed è stato 'dimenticato', riuscendo a salvarsi".

Cinema e Vangelo

Dopo la guerra, il giovane Angelicchio conobbe i primi membri spagnoli dell'Opera, giunti in Italia per iniziare il lavoro apostolico, e nel Natale del 1947 incontrò per la prima volta il fondatore, che lo chiamava affettuosamente "il mio primogenito italiano".

Ordinato sacerdote nel 1955, si è trovato a ricoprire un incarico che ha significato molto nella sua vita, anche se all'inizio voleva rifiutarlo. Infatti, fu chiamato da San Giovanni XXIII a fondare il Centro Cattolico Cinematografico.

San Paolo VI gli chiese allora di scegliere i film da mostrare al Papa. Questo lo portò a stringere amicizia con molte personalità del mondo dello spettacolo, che non erano certo persone di chiesa.

Tuttavia, San Josemaría lo incoraggiò, come lui stesso raccontò e come ricorda suo nipote nel libro: "Padre (il nome con cui si riferiva al prelato dell'Opus Dei, ndr) mi chiamava affettuosamente Checco e mi disse: "Devi stare sull'orlo dell'abisso; io ti prenderò con una mano e tu con l'altra cerca di prendere un'anima che sta per finire lì".

Personalità come Alberto Sordi, che in seguito ha donato il terreno per la costruzione del centro anziani annesso al Campus Biomedico, erano amici di Francesco: quando non era ancora un attore affermato, andavano insieme a teatro a giocare alla claque...

Erano presenti anche Federico Fellini e Giulietta Masina, Roberto Rossellini, Liliana Cavani, che ha firmato la prefazione del libro di Fabio, e Pierpaolo Pasolini, che su suggerimento di don Francesco è tornato sul set de "Il Vangelo secondo Matteo" per rigirare alcune scene non conformi al testo evangelico.

Un parroco in tempi difficili

Poi, all'inizio degli anni Settanta, fu nominato parroco della chiesa di San Giovanni Battista al Collatino, dove lasciò un segno indelebile.

Erano anni difficili: sui muri venivano scritte scritte minacciose contro i sacerdoti e i fascisti, venivano occupate le case, venivano erette barricate per le strade con copertoni incendiati e il quartiere era anche colpito dalla furia omicida del terrorismo di sinistra.

Ma Francesco si rimboccò le maniche. San Josemaría gli disse di andare incontro alla gente, altrimenti non sarebbero venuti da lui. E così fece.

Entrava nelle case, con il pretesto delle benedizioni, per parlare con le persone e interessarsi ai loro problemi. Visitava i parrocchiani che erano finiti in prigione. Si fermava per strada e invitava a prendere un caffè i giovani che pochi istanti prima lo avevano insultato chiamandolo "bacarozzo", cioè scarafaggio.

Un sacerdote estroverso che ha saputo conquistare la stima e l'affetto di tante persone, come hanno raccontato diverse testimonianze durante l'incontro, in un quartiere difficile, segnato da droga, delinquenza, emarginazione sociale, povertà e da un generalizzato anticlericalismo di stampo marxista.

Don Francesco è morto all'età di 88 anni, nello stesso centro di Elis, nel novembre 2009, esattamente 15 anni fa.

La sua eredità? Il suo sorriso, il suo umorismo tipicamente romano e una fedeltà incrollabile alla sua vocazione, tradotta in una vita spesa al servizio della Chiesa e degli altri.

L'autoreAndrea Acali

-Roma

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