Qualche tempo fa, mentre preparavo una conferenza sulla musica sacra, mi è tornato in mente un episodio biblico che mi colpisce sempre per la sua potenza: il canto del popolo d'Israele dopo aver attraversato il Mar Rosso. Quella scena, riportata nel libro dell'Esodo, ci mostra una risposta di stupore e gratitudine di fronte all'intervento salvifico di Dio:
Canterò al Signore, gloriosa è la sua vittoria... Mia forza e mia potenza è il Signore, egli è stato la mia salvezza. (Es 15,1b-18).
Questo momento non è solo un racconto storico, ma una chiave teologica. Di fronte all'ineffabile - l'amore di Dio, la sua meraviglia nel salvare il popolo - le parole non bastano. È allora che il canto emerge come linguaggio capace di esprimere ciò che il momento richiede.
Stiamo perdendo il senso dell'ineffabile?
Per illustrare la lezione, ho voluto guardare come i film classici su Mosè avevano rappresentato questi momenti. La mia sorpresa è stata grande: molti omettono il canto, concentrandosi sulla meraviglia dell'acqua aperta, sfocando la reazione del popolo. Questo mi ha portato a pormi una domanda: stiamo perdendo la capacità di riconoscere l'ineffabile?
Viviamo in una cultura che sembra convinta che tutto possa essere detto, spiegato o definito. Ma la realtà ci ricorda sempre che ci sono cose che sfuggono alle nostre parole: come descrivere il colore giallo a una persona nata cieca? Come spiegare il suono di una tromba a una persona sorda? Anche in questioni così umane come l'amore o l'amicizia, le parole non bastano.
La musica come linguaggio
Quindi, se non siamo in grado di cogliere nel linguaggio ordinario ciò che ci circonda, come possiamo esprimere a parole il mistero di Dio, l'amore che ha per noi, il nostro timore e la nostra gratitudine? Inoltre, come potremmo dialogare veramente con Lui se ci rifiutiamo di mettere in campo tutte le capacità che Lui stesso ha impresso nella nostra natura per farlo?
Pensiamo alla liturgia. È il luogo privilegiato in cui Dio ci parla di sé, non solo con le parole, ma anche attraverso segni, gesti, colori, odori e, naturalmente, musica. La liturgia che Gesù Cristo ci ha donato ha un carattere profondamente dialogico: vuole essere un incontro tra Lui e noi. E Sant'Agostino, nonostante il dilemma personale che aveva con la musica a causa delle sue radici neoplatoniche, ci dice: "Il canto è un'espressione di gioia e, se lo consideriamo più attentamente, è un'espressione di amore" (Sermone 34).
Un punto fondamentale, di ordine diverso: se si scopre che Gesù Cristo stesso e i suoi discepoli hanno cantato durante l'Ultima Cena, chi potrebbe avere da ridire sul canto liturgico?
Fin qui tutto sembra bello e coerente. Ma allora, cosa succede oggi nelle nostre parrocchie?
Musica, bellezza e mistero
Prima di tutto, la "Musica". Cosa ci fa un argomento del genere in una rivista teologica seria come Omnes? La domanda non è ovvia e merita una riflessione. Joseph Ratzinger la considera "musica di fede", perché procede dalla fede e ci conduce alla fede. Già questo basterebbe a giustificare il posto della musica sacra nella riflessione teologica.
Tuttavia, quando parliamo di "musica liturgica", le sue parole assumono un peso ancora maggiore. Commentando il Concilio Vaticano II - "il canto sacro, unito alle parole, costituisce una parte necessaria o integrante della Liturgia solenne" (Sacrosanctum Concilium112), Ratzinger lo sottolinea chiaramente: la musica stessa è liturgia. Quindi la risposta è chiara: parliamo di musica in Omnes - di una certa musica, naturalmente - perché parliamo di teologia.
La "Bellezza", che ha molto da dire anche in questo ambito, sarà trattata più avanti. Per quanto riguarda il "Mistero", concentreremo la nostra riflessione soprattutto sulla musica liturgica, senza tralasciare di illuminare ciò che essa ci può portare sulla musica sacra in generale. In questo modo, potremo approfondire con maggiore chiarezza.
Dialoghi... impossibili?
Dopo ventuno secoli di storia della Chiesa, la musica liturgica è ancora una questione irrisolta in molti luoghi. I problemi sono evidenti e si possono osservare con un semplice test: chiedete a due o tre persone della stessa parrocchia la loro opinione sulla musica della Messa. È probabile che, se la conversazione non viene gestita con tatto, finisca in conflitto.
Sorge allora la domanda: perché il musicista e il liturgista non dialogano per chiarire le cose? Anche se l'idea sembra logica, oggi, in molti casi, è impossibile. Il motivo è chiaro: il contenuto di tale dialogo dovrebbe essere teologico e liturgico, ma la teologia necessaria a sostenerlo non è ancora sufficientemente elaborata.
Un esempio illustrativo
Immaginate una conversazione tra un liturgista e un musicista:
- Liturgista (L): Ho bisogno che componiate qualcosa per l'offertorio della Messa di domenica.
- Musicista (M): Va bene, cosa vuoi che faccia? dire la mia musica?
- L: Non so, qualcosa di bello, sai!
- M: Aspetta, io me ne intendo di musica, ma ti sto chiedendo cosa dovrebbe esprimere la mia musica nell'offertorio di questa domenica. È una cosa che dovresti dirmi tu.
- L (borbottando): Questi musicisti... complicano sempre tutto!
La conversazione finisce in una situazione di stallo perché nessuno dei due ha gli strumenti necessari per andare avanti. Il musicista cerca un significato e uno scopo; il liturgista non riesce ad articolarlo. E non si tratta di ignoranza da parte di un particolare liturgista. Prova? I libri liturgici usano espressioni come: "Canta qui un inno appropriato". Nei casi più favorevoli, le indicazioni arrivano a proporre il testo di un salmo come esempio. E la musica? Quando è "appropriata"? O la musica è neutra e non "appropriata"? dice niente? Sono queste le domande che dobbiamo affrontare con urgenza per costruire un dialogo proficuo.
Una questione di radici profonde
La mancanza di comunicazione tra musicisti e liturgisti non è superficiale, ma ha radici profonde. Ricordiamo che la liturgia non è semplicemente un evento umano: è un dono divino, dato a prezzo della Croce. La sua corretta conformazione non dipende solo dalle buone intenzioni, ma richiede di riconoscere che la sua vera opera è portata avanti dallo Spirito Santo, anche se vuole contare sulla nostra collaborazione. Proprio qui sta il cuore dell'attività musicale all'interno del canto liturgico.
Due riflessioni aiutano a capire meglio questo punto. In primo luogo, consideriamo quanto sarebbe difficile apportare una minima modifica al testo della preghiera eucaristica. A questo si contrappone la facilità con cui il canto della Messa viene talvolta improvvisato o banalizzato, anche nelle celebrazioni solenni. Per non parlare delle insolite offerte disponibili su Internet per la musica di un matrimonio cattolico...
La seconda riflessione nasce da un'esperienza nell'amato continente americano. In una facoltà teologica, stavo cercando di spiegare questi argomenti sulla necessità di uno sviluppo teologico della musica liturgica. All'inizio sembra che non sia stato chiaro, perché un professore ha commentato: "Quindi, quello che state cercando è lo stile della musica liturgica, giusto?
Questo commento mi ha dato l'opportunità di chiarire un punto fondamentale: l'attenzione non è sugli stili o sugli strumenti. È sui fondamenti teologici.
Oltre il gusto e lo stile
È necessario un serio sviluppo teologico su un argomento che sembra sempre sfuggire dalle mani. Portare la musica a questa profondità la apre alla libertà, alla ricchezza e alla profondità del Mistero di Dio. Senza questa prospettiva, ogni discussione sulla musica liturgica finisce per ridursi al gusto personale o alla possibilità di usare violini o chitarre. In realtà, questa tensione non è nuova: già più di un millennio fa si discuteva di qualcosa di simile, anche se in altre forme.
Il Magistero pontificio ha dato molte indicazioni, ma lo sviluppo teologico è ancora insufficiente. Le domande sono talvolta sorprendenti: cosa significa che il canto gregoriano è "il modello supremo di tutta la musica sacra" (San Pio X, Motu proprio, Motu proprio, p. 4)? Tra le applicazioni, 4)? Altre volte, le domande sono essenziali: cosa deve avere la musica per essere definita liturgica?
Verso una nuova era
Questo sviluppo teologico è necessario e richiede lo sforzo congiunto di teologi e liturgisti, musicisti, musicologi e filosofi. È una questione aperta e attiva, perché tutta questa mole di studi deve concludersi con la composizione e l'esecuzione di una musica che sia liturgica.
Quello che vogliamo trasmettere è che stiamo assistendo a una novità importante: si sta aprendo un percorso epistemologico che ci invita a una nuova era nel nostro lavoro. È questo il programma che vogliamo proporre in queste righe e nei contributi successivi: questi percorsi e modi che permettono di lavorare insieme a studiosi di materie tradizionalmente considerate disparate, ma che non lo sono, perché dicono di Dio e dicono Dio nella liturgia.
Una domanda teologica (I). La musica dice
Pertanto, l'approccio alla musica deve essere teologico e liturgico. Se questa prospettiva fosse stata adottata fin dall'inizio, si sarebbero potuti evitare molti problemi storici e i frutti spirituali nel mondo sarebbero stati maggiori.
Vogliamo soffermarci su un'idea fondamentale: la musica dice. Per gli scettici, l'impatto comunicativo della musica può sembrare discutibile. Tuttavia, quando sono coinvolti interessi economici, il problema viene immediatamente riconosciuto. Basti pensare all'uso strategico della musica nella pubblicità o nei film per trasmettere messaggi specifici. Per illustrarlo, consigliamo questi video accessibili al pubblico, che ne sono un esempio eloquente:
Esempio 1:
Esempio 2:
Il compito di trasmettere questo messaggio musicale appartiene all'arte e al mestiere del compositore. È qui che inizia il potenziale dialogo tra musicista e liturgista, a condizione che entrambi siano disposti e abbiano chiaro il loro mestiere. La domanda centrale sarà: che cosa ha da dire la musica? dire nel contesto liturgico.
Imparare dal passato
In questa serie di pubblicazioni, la nostra intenzione è quella di partire da ciò che già esiste nella storia della musica - che ha visto innumerevoli successi - e di imparare da essa. In questo modo, saremo in grado di discernere ciò che dovremmo continuare a fare e come farlo meglio. Il vantaggio che abbiamo oggi - insistiamo - è che ora conosciamo il metodo. Tuttavia, il lavoro da fare resta immenso.
Prima di descrivere questo approccio generale, vogliamo soffermarci su un punto di partenza che potrebbe risultare familiare ad alcuni. Stiamo parlando di liturgia e, come abbiamo spiegato, nella liturgia le parole non bastano.
Una questione teologica (II). Un gioco concreto
Romano Guardini, in Lo spirito della liturgiaha proposto poco più di un secolo fa che la liturgia, sotto certi aspetti, può essere intesa come un gioco. I giochi creano un piccolo universo in cui le preoccupazioni quotidiane svaniscono ed emerge un mondo con regole proprie, che appare e scompare nel tempo.
La leggenda della conversione del principe Vladimir di Kiev aggiunge una dimensione importante a questa idea. Secondo la storia, nel cercare una religione per il suo popolo, Vladimir chiamò i rappresentanti di alcune delle principali religioni per parlare con loro. Poiché nessuno di loro lo convinse, decise di inviare degli emissari alle celebrazioni religiose delle diverse fedi. Al loro ritorno, coloro che avevano partecipato alla liturgia di Santa Sofia, a Costantinopoli, diedero una testimonianza commovente: "Non sappiamo se eravamo in cielo o in terra. Ma abbiamo sperimentato che lì Dio è in mezzo agli uomini". La liturgia non aveva lo scopo di convincere nessuno. L'argomento definitivo per il principe Vladimir era che tutte le cose venivano fatte lì, non per uno scopo, ma solo per piacere a Dio.
Ratzinger, senza rifiutare completamente la visione di Guardini, qualifica l'idea. La liturgia può assomigliare a un gioco, ma non a un gioco qualsiasi, perché ha a che fare con il modo giusto di adorare Dio. Solo Lui sa come vuole essere adorato e Gesù Cristo ha voluto rivelarcelo. In questa prospettiva, la liturgia diventa un'anticipazione della vita futura (Sacrosanctum Concilium, 8).
La liturgia, tra gioco e culto
Pertanto, un gioco con un regole per il culto, in cui sappiamo di piacere a Dio. All'interno di queste regole, giochiamo in libertà. Tutti giocano con le stesse regole, anche se alcuni lo fanno meglio di altri, perché la chiave è partire alla ricerca dell'essenziale: uno spazio di verità e di bellezza in cui Dio ci viene incontro perché possiamo cercarlo e trovarlo. Il carattere dialogico della liturgia è oggi più profondamente compreso.
Ebbene, questo contesto di verità e bellezza, di libertà di trovare ciò che è essenziale, è indicato da due autori come importante per lo sviluppo della musica sacra. I due autori sono Joseph Ratzinger e padre Angelo De Santi, S.J. (1847-1922), che è stato direttamente coinvolto nella stesura del Motu Proprio Tra le applicazioni di San Pio X (1903). Il riferimento di entrambi è al capitolo VIII della Politica di Aristotele, insieme alla nozione di paideia Greco. Lo sviluppo non è immediato, ma possiamo proporre qui le conclusioni.
Musica, paideia e educazione alla libertà
Il paideia La lingua greca era una guida educativa con una dimensione religiosa, volta a condurre l'individuo verso l'essenziale. D'altra parte, i contenuti di questo capitolo finale della Politica si avvicina all'educazione come mezzo per formare l'individuo al di là dei bisogni utili e pratici, orientandola verso il tempo libero inteso come attività nobile ed elevata. Questo tempo libero non è un semplice riposo, ma uno spazio per la coltivazione della verità, della bellezza e della realizzazione umana.
La chiave della nostra riflessione è che Aristotele individua nella musica la disciplina principale per questa formazione, grazie alla sua capacità unica di plasmare l'anima e le emozioni. Più che un semplice intrattenimento, la musica è uno strumento educativo che favorisce l'armonia interiore, il carattere virtuoso e l'integrazione in una comunità orientata al bene comune. Joseph Ratzinger lo spiega così:
Se pensiamo che la Chiesa, a causa del luogo in cui si è formata, ha fatto suo, sotto molti aspetti, l'atteggiamento del polis classico, l'associazione aristotelica di polis e musica sarebbe stato un punto di partenza ideale per la questione della musica sacra.
E anche:
La teoria della musica che Aristotele sviluppa nella sua Politica VIII è fortemente influenzato dall'idea del paideiaL'obiettivo dell'educazione musicale è quello di andare oltre il necessario e l'utile e di formare al buon uso del tempo libero, trasformandolo in un'educazione alla libertà e alla bellezza.
(J. Ratzinger, Il fondamento teologico della musica sacra).
Il nostro scopo
Per affrontare questa trattazione della musica come liturgia, inizieremo con una serie di articoli sulla musica nella storia della Chiesa. Si tratterà di un viaggio particolare, da a storia della musica sacra. La conclusione sarà inquietante e speranzosa allo stesso tempo.
Successivamente, ci dedicheremo allo svolgimento della questione teologica. A questo punto, sottolineiamo che lo sviluppo richiede non una, ma due prospettive teologiche distinte e complementari. Una breve descrizione servirà ora:
1. Teologia della musica sacra (TMS). Questo approccio cerca di rispondere a domande fondamentali sulla musica sacra, analogamente a come la teologia riflette sulla natura della liturgia e del culto. Si tratta di uno studio ampio che attinge ai contributi di diverse discipline, dall'antropologia teologica e filosofica ad aree specifiche come la cristologia, l'escatologia, la teologia della creazione, l'incarnazione e la liturgia. Il suo obiettivo principale è quello di capire che cos'è la musica sacra, qual è la sua natura e come è legata alla rivelazione divina.
2. Teologia liturgico-musicale (TLM). Qui troviamo la proposta epistemologica più innovativa. La TLM è un'estensione della teologia liturgica integrata con i mezzi specifici della musica e della musicologia. Per comprendere meglio questo approccio, è utile guardare a come viene intesa la teologia liturgica in generale.
La teologia liturgica studia la liturgia. in actucioè dall'esperienza concreta di ogni celebrazione. Analizza, ad esempio, il significato teologico di un salmo responsoriale nel contesto di una specifica celebrazione; il simbolismo di alcuni gesti del celebrante; o le peculiarità di un particolare momento liturgico. Questo approccio trascende l'aspetto descrittivo e risponde al motto classico fides quaerens intellectumLa liturgia stessa è l'atto di ricerca di Dio e della sua Parola.
Allo stesso modo, il TLM si concentra sullo studio teologico della musica liturgica. in actu. Il suo compito è quello di esplorare come la musica contribuisca alla teologia esistenziale propria di ogni celebrazione, aggiungendo una dimensione unica e specifica che non si trova in nessun altro elemento della liturgia.
Un dialogo necessario
La nostra proposta è che la TMS e la TLM si sviluppino in costante comunicazione. La TMS fornisce le basi concettuali e teologiche, mentre la TLM si concentra sull'applicazione concreta della musica nel contesto liturgico. Tuttavia, il risultato di questa collaborazione non rimane teorico: culmina nell'atto musicale, che ha la capacità di esprimere liturgicamente la Parola di Dio e di manifestare il Cristo presente nella liturgia.
Questo progetto trascende l'ambito strettamente teologico e coinvolge discipline come la musicologia, l'antropologia e l'estetica, in modo che la teologia trovi la sua espressione ultima nella musica. In questo senso, l'atto musicale liturgico non è solo arte, ma anche teologia vissuta.
Nei prossimi articoli di questa serie inizieremo quindi il nostro particolare viaggio nella storia.