Dopo il successo di Il cavallo rossoEugenio Corti, di fronte all'"inarrestabile avanzata della civiltà delle immagini", ha deciso di dedicarsi a una nuova serie di scritti che ha chiamato "storie per immagini". "Si tratta di bozzetti, elaborati secondo criteri particolari, che dovrebbero servire da copioni per la televisione del futuro, e ancor più per altri strumenti di comunicazione, magari informatici, che la scienza sta preparando".
La prima di queste opere risale al 1970 e si intitola "L'isola del paradiso" (la storia dell'ammutinamento del Bounty); la seconda è "La terra dell'Indio" (il tema è quello delle riduzioni gesuitiche in Sud America); la terza è "Catone l'antico" (la storia di Catone il Vecchio).
Al termine della sua carriera letteraria, Eugenio Corti ha potuto finalmente dedicarsi al periodo storico che più amava e nel 2008 ha pubblicato "...".Il Medioevo e altre testimonianze".
Negli ultimi anni della sua vita, Eugenio Corti ha ricevuto un'insolita attenzione da parte delle istituzioni: nel 2007, l'"Ambrogino d'oro" della città di Milano; nel 2009, il Premio "Isimbardi" della provincia di Milano; nel 2010, il Premio "La Lombardia del Lavoro" della Regione Lombardia; nel 2011, il Premio "Beato Talamoni" (provincia di Monza e Brianza); infine, nel 2013, il Presidente della Repubblica Italiana ha conferito a Eugenio Corti la Medaglia d'oro per i benemeriti della cultura e dell'arte.
Nel 2011 è stato costituito un comitato per la candidatura di Eugenio Corti al Premio Nobel per la Letteratura; la provincia di Monza e Brianza e la regione Lombardia in Italia hanno approvato mozioni a sostegno dell'iniziativa; François Livi, professore di lingua e letteratura italiana alla Sorbona di Parigi, è un entusiasta sostenitore accademico.
Eugenio Corti rimane molto realista sulle sue possibilità di ricevere il Premio Nobel: "Sono molto grato, ma è molto difficile peEugenio Corti resta molto realistico sulle possibilità di vedersi attribuito il Nobel: “Li ringrazio molto, ma per un cattolico oggi è molto difficile ricevere questo premio. C’è grande difficoltà ad accettare la cultura cristiana. Il Nobel è un’istituzione prestigiosa, ma in anni recenti è stato premiato anche chi con la cultura ha poco a che fare… A me basta che le mie opere siano conosciute e che magari Il cavallo rosso venga letto nelle scuole. Poi penso sempre che se non hanno dato il Nobel a Tolstoj, posso star tranquillo”. r un cattolico oggi ricevere questo premio. È molto difficile accettare la cultura cristiana. Il Nobel è un'istituzione prestigiosa, ma negli ultimi anni ha premiato anche chi con la cultura ha poco a che fare... A me basta che le mie opere siano conosciute e che magari Il cavallo rosso venga letto nelle scuole. Quindi penso sempre che se non hanno dato il Nobel a Tolstoj, posso stare tranquillo".
Il pensiero sull’aldilà è presente in maniera molto serena; nella stessa intervista citata poche righe fa gli viene chiesto se si vede ancora scrittore dopo la morte: “No… Penso di aver scritto abbastanza. In cielo vorrei soltanto riabbracciare i miei genitori, i miei fratelli, tutti quelli che ho amato sulla terra. Io mi sono impegnato con la penna a trasmettere la verità. Ma fino a che punto ci son riuscito è un punto interrogativo. Per me la cosa più importante è la misericordia divina. Ho fatto tanti errori, ma quando mi presenterò a Dio credo che mi riterrà ancora uno dei suoi”.
Eugenio Corti si è spento il 4 febbraio 2014 a Besana Brianza.
Un maestro di vita e di scrittura
Vanda Corti, dopo una vita passata accanto al marito e dopo averne condiviso successi e sconfitte, ha dichiarato: “La realtà dello scrittore è realtà di molti sacrifici… Sacrifici nel senso che quella dello scrittore è una vita di studio, una vita pesante: nessuno se ne rende conto. È una vita di solitudine: occorre saperla accettare, perché richiede silenzio, concentrazione, rispetto”.
La vita e le opere di Eugenio Corti sono per me continua fonte d’ispirazione e di speranza, di pace, di pazienza.
La signora Vanda, con cui ho avuto l’onore e il piacere di parlare al telefono e a cui ho regalato i miei libri, ha curato, nel 2017, l’edizione di un libro che raccoglie i diari del marito dal 1941 al 1948, Il ricordo diventa poesia. Nei diari, mi ha colpito molto una frase che Eugenio Corti aveva riportato, tratta da Bacche d’agrifoglio di Carlo Pastorino: “Ma anche per il racconto e per il romanzo non basta saper scrivere, occorrono gli argomenti. E questi ci sono dati dalla vita e dalla lunga esperienza. Solo a quarant’anni si è maturi per simili faccende. Fino a quell’età si è come fanciulli, e chi da giovane ha scritto troppo è rovinato per sempre… Io osservo che ci sono scrittori che a quarant’anni son già vecchi: han mietuto il grano in erba. Anche Orazio dava questo consiglio: attendere. Il grano in erba non è necessario: necessarie sono le spighe”.. Nei diari, mi ha colpito una frase che Eugenio Corti ha citato da "Bacche d'agrifoglio" di Carlo Pastorino: "Ma anche per il racconto e il romanzo non basta saper scrivere, ci vogliono i temi. E questi ci vengono dati dalla vita e dalla lunga esperienza. Solo a quarant'anni si è abbastanza maturi per queste cose. Fino a quell'età si è come bambini, e chi ha scritto troppo in gioventù si rovina per sempre... Ho notato che ci sono scrittori che a quarant'anni sono già vecchi: hanno raccolto il grano nell'erba. Anche Orazio dava questo consiglio: aspettare. Non è necessario il grano in erba: sono necessarie le spighe".
La pazienza è quindi necessaria per lo scrittore, e per l'artista in generale, come antidoto all'ardore di chi si sente chiamato a una missione straordinariamente alta, una vocazione alla quale spesso si sente incapace e indegno di rispondere: "La Provvidenza ha dei disegni speciali su di me. A volte tremo al pensiero della mia indegnità anche solo ad essere un mezzo nelle mani del Signore. A volte penso con timore che la Provvidenza si sia stancata della mia miseria, della mia mancanza, della mia ingratitudine, e che quindi mi abbia lasciato usare un altro per raggiungere il fine a cui ero destinato; e allora prego e agisco, e invoco il Cielo, finché, ecco, un chiaro aiuto della Provvidenza in un caso qualsiasi, mi rende sicuro che la sua mano mi dirige sempre nello stesso modo: allora sono felice. Non voglio che la mia affermazione che la Provvidenza ha un piano speciale per me sia interpretata come un atto di orgoglio. Mi umilio, proclamo la mia miseria senza nome, ma devo dire che è così, negarlo per me sarebbe come negare l'esistenza di una cosa materiale che mi sta davanti".
Chi è, dunque, lo scrittore, il narratore, il cantastorie?
Nelle antiche tribù germaniche il cantastorie era chiamato “bern hard”, valoroso con gli orsi (da cui il nome Bernardo) perché scacciava gli orsi e teneva lontani i pericoli materiali e spirituali dal villaggio. Era lo sciamano della tribù, il depositario delle arti magiche e dello spirito collettivo della comunità, in pratica il custode dell’umanità (con tutto ciò che questo termine intende) delle persone, che aveva il compito di proteggere e incoraggiare, cui era tenuto a dare speranza e le cui tradizioni era incaricato di tramandare. Diceva bene Kierkegaard: “Ci sono uomini il cui destino deve essere sacrificato per gli altri, in un modo o nell’altro, per esprimere un’idea, ed io con la mia croce particolare fui uno di questi”.
Uno sciamano, il paradigma dell’uomo. Lo scrittore è un cavaliere, un prode armato di una penna (oggi, magari, della tastiera di un computer) e di tanta abnegazione e combatte contro il più grande nemico degli esseri umani, un mostro terribile, orrendo nell’aspetto e feroce nel temperamento che divora gli uomini e soprattutto ne fagocita i ricordi, i sogni, l’identità stessa: la morte. Una morte, quindi, intesa non soltanto come cessazione fisica dell’esistenza terrena, bensì come annichilimento di quella interiore e spirituale, ergo nichilismo, bruttezza, noia, menzogna, sciatteria, abitudine e soprattutto, direi, oblio, smemoratezza.
Lo scrittore è l'avanguardia dell'umanità e sceglie spontaneamente, in virtù di un dono contemplativo superiore a quello degli altri uomini (molto spesso una ferita aperta e sanguinante, una malinconia esistenziale ottimamente descritta da Romano Guardini nel "Ritratto della malinconia"), di scendere in battaglia, di affrontare i mostri, gli "orsi", la morte e di lottare contro l'oblio, utilizzando quella bellezza e quella verità che contempla; e poi tornare, tra i suoi simili, ferito, stanco e deluso nel vedere che qui sotto non regnano l'assoluto, la bellezza e la bontà eterna (proprio il realismo dell'artista cristiano). Ai suoi simili riferirà, un po' come il primo maratoneta (Filippide, detto "eterodromo": anche lo scrittore potrebbe essere un "eterodromo", forse ancor più un "biodromo", uno che corre tutta la vita avanti e indietro tra il relativo e l'assoluto, la morte e la vita, la soddisfazione di poter contemplare la bellezza e la verità più degli altri e il rammarico e la sfortuna di non poterle vedere realizzate su questa terra): "Οἶδα"! Lo so, o uomini, l'ho visto! L'ho visto: so chi siete, so chi eravate e chi siete stati creati per essere. Voi, forse, non lo sapete più, non lo ricordate, non ci credete, ma io ve lo grido, ve lo racconto attraverso storie di tempi e persone che possono sembrare lontane, ma si tratta di voi: siete dei, ognuno di voi lo è; siete preziosi, importanti, belli, eterni, siete eroi la cui storia è degna di essere ricordata e tramandata per sempre.
Vorrei concludere con alcune righe tratte da "I più non ritornano", in cui Eugenio Corti ricorda l'amico Zoilo Zorzi, valoroso soldato morto durante la ritirata di Russia:
I plotoni si prepararono ad andare in linea. Già la mia parte bestiale – che in quel momento aveva il sopravvento – gioiva per essermi visto risparmiare insieme con i miei amici, quando Zorzi fece inaspettatamente un passo in avanti e chiese con voce dimessa al colonnello di essere aggiunto a un plotone.
Aveva nel rustico viso veneto lo sguardo franco, come sempre, e modesto, come sempre.
Come quando, ricordavo, in Italia sopportava i colleghi che gli lanciavano qualche frizzo perché egli, dell’Azione Cattolica, non era corrivo a certi discorsi.
Il colonnello accolse la sua richiesta. I plotoni partirono subito per Arbusov.
Bellini ed io guardammo in silenzio Zorzi che si allontanava; non l’avremmo rivisto più.
Vorrei che queste mie poche, inadeguate parole fossero un canto in ricordo di lui, il migliore fra quanti uomini ho incontrato nei duri anni della guerra.
Lui ch’era d’animo semplice, e profondo nei pensieri, e amatissimo dai suoi soldati. E inoltre molto coraggioso, come si conviene a un uomo vero.
A lungo ho seguitato a sperare che tu fossi vivo, e ancora la tua voce risuonasse in qualche minima parte di quelle terre sconfinate; e silenziosamente t’aspettavo.
Intanto la neve si sarà sciolta, i tuoi panni avranno persa la rigidità del ghiaccio e sarai rimasto disteso nel fango nelle dolci giornate di primavera. E immersi nel fango e nella putredine la tua fronte e i tuoi occhi, ch’erano sempre rivolti in alto.
Avevo fatto un voto perché tu tornassi. L’avremmo sciolto insieme.
Ma tu non sei tornato! Mi ritroverò ugualmente, io credo, a parlare con te in molti momenti di questa povera vita. È così sottile il velo che separa questa vita dalla tua! Cammineremo ancora insieme, come camminavamo insieme fianco a fianco sui sentieri della steppa nei giorni dell’estate.
Pendeva nel sole, ricordi? Interminabilmente il canto sempre uguale delle quaglie, voce di quel sapore d’ignoto che avevamo intorno.
Forse le tue ossa bianche mescolate alla terra e all’erba, ancora oggi, sentono quel rustico canto, allora così suggestivo, e sembrerà un pianto.