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Eugenio Corti, la guerra contro il comunismo e "Il cavallo rosso".

Gli studi di Eugenio Corti sul comunismo sono molto ricchi ed estremamente metodici e permettono di comprendere la situazione del mondo marxista in Occidente.

Gerardo Ferrara-14 novembre 2024-Tempo di lettura: 6 minuti
Antonio Gramsci

Antonio Gramsci, teorico marxista e segretario generale del Partito Comunista d'Italia (Wikimedia Commons / Dianepl-hcs21)

Diceva Eugenio Corti: "Lo scrittore è obbligato a rendere conto di tutta la realtà del suo tempo: per questo non può specializzarsi (Sertillanges, nella sua opera "La vita intellettuale", aveva riflettuto sulla stessa esigenza dello studioso e dello scrittore). È l'unico professionista che non ha il diritto di essere solo specializzato. Oggi, però, non si può sapere tutto: bisogna acquisire una vera competenza almeno nei campi più importanti. Ho scelto di studiare il comunismo (il più grande pericolo per l'umanità di questo secolo) e l'attualità cattolica (perché vedo nella Chiesa la più grande speranza)".

Lo scrittore che "vede

Il risultato di questi studi fu l'opera teatrale "Processo e morte di Stalin", scritta tra il 1960 e il 1961 e rappresentata nel 1962. Scrive Paola Scaglione: "Da questo momento in poi Eugenio Corti, a causa del proprio motivato anticomunismo, fu sistematicamente e malamente occultato dalla stampa tradizionale e dal mondo della cultura, all'epoca fortemente di sinistra".

Corti, invece, illustra con chiarezza quelle che non sono le sue paranoie o le sue paure, ma realtà molto ben documentate, oltre che vissute sulla propria pelle, che gli permettono di fare le proprie analisi e di formulare coraggiosamente - e con cognizione di causa - previsioni per il futuro (che immancabilmente si avvereranno).

Eugenio Corti ha visto ("οἶδα"), e vuole raccontare, gli orrori e i massacri compiuti dai comunisti in Russia prima e dopo la Seconda guerra mondiale, dai partigiani subito dopo quest'ultima (circa 40.000 vittime in Italia, per non parlare della questione del confine orientale italiano e della tragedia dell'esodo istriano-dalmata e dei massacri delle Foibe, almeno 10.000 morti e 300.000 esiliati) e ancora dal comunismo in generale in Russia (50 milioni di vittime dalla Rivoluzione alle purghe staliniane e oltre), in Cina (150 milioni di vittime lì e nel Sud del mondo.000 morti e 300.000 esiliati) e ancora dal comunismo in generale in Russia (50 milioni di vittime dalla Rivoluzione alle purghe di Stalin e oltre), in Cina (150 milioni di vittime del comunismo in quel Paese) e nel Sud-Est asiatico (Cambogia in particolare).

Tutto questo per costruire l'"uomo nuovo". Gli studi di Eugenio Corti sull'argomento sono molto ricchi ed estremamente metodici. Fanno conoscere in Occidente - a chiunque voglia conoscerla - la situazione del mondo dominato dal marxismo prima ancora che, nel 1994, Alexaner Solgenitzin, in un discorso alla Duma (parlamento russo), ricordasse quei sessanta milioni di morti causati dal comunismo, cifra sulla quale nessuno in quel Paese ha nulla da dire. Corti considera: "In Italia un tale massacro, di gran lunga il più grande della storia dell'umanità, è come se non fosse mai esistito: pochissimi si sono preoccupati di scoprire la verità su di esso".

Eugenio Corti e il comunismo gramsciano

Altrettanto importante è il contributo di Eugenio Corti all'analisi della situazione economica, sociale e culturale dell'Italia nel dopoguerra e oltre, soprattutto per quanto riguarda l'abbandono della sfera culturale da parte dei cattolici. Per lui è proprio la sfera culturale italiana la realtà più disturbata. Infatti", dichiara Corti, "il diavolo ha due caratteristiche principali, quella di essere omicida (basta guardare le cifre citate sopra) e quella di essere bugiardo".

"Ora che la fase degli omicidi di massa è terminata, è subentrata la fase della menzogna: essa è portata avanti dai grandi giornali, dalla radio e dalla televisione, soprattutto attraverso il sistema delle mezze verità, che impediscono alla gente comune di farsi un'idea chiara della realtà passata e presente. Per questo dobbiamo impegnarci a cercare e far conoscere la verità. Il fronte più importante oggi è quello della cultura".

E il fatto è che "il comunismo non è finito. Il leninismo, in cui la dittatura del proletariato si esercitava attraverso l'eliminazione fisica degli oppositori, è finito. Oggi in Italia siamo di fronte al comunismo di Gramsci, in cui la dittatura degli intellettuali "organici al comunismo" (l'espressione è di Gramsci) si esercita attraverso la sistematica emarginazione, in pratica la morte civile, degli oppositori. L'odierna cultura dominante di sinistra non si distacca dal marxismo, come siamo stati portati a credere: al contrario, è chiaramente uno sviluppo del marxismo. La grande tragedia è al suo secondo atto".

La situazione nella Chiesa

In esso è presente anche il rammarico per la resa di gran parte della Chiesa, soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, alla cultura egemone, in particolare per l'adesione acritica di gran parte del mondo cattolico ad alcune idee di Jacques Maritain, una figura alla quale molti, compreso il Papa, hanno guardato con grande preoccupazione. Paolo VII due guardavano con grande simpatia.

Le idee di Maritain, contenute soprattutto nel libro "Umanesimo integrale", spalancarono le porte alle correnti moderniste nella Chiesa mondiale e in Italia, sia in ambito popolare e politico (il "compromesso storico") sia in ambito teologico, con la predicazione di figure come Karl Rahner, che in Italia fu contrastato invano dal filosofo padre Cornelio Fabro.

Il cavallo rosso

All'inizio degli anni Settanta, Corti decise di dedicarsi interamente alla scrittura: "Nel 1969/70 decisi risolutamente che dai cinquant'anni in poi non avrei fatto altro che scrivere. E infatti, il 31 dicembre 1972, ho cessato ogni attività economica.

Il lavoro a cui si dedicherà, "Il cavallo rosso"Il lavoro dell'artista non permette nessun'altra occupazione. E infatti gli undici anni di studio e di elaborazione del capolavoro hanno assorbito completamente l'artista. D'altra parte, leggendo l'opera, si percepisce immediatamente l'enorme sforzo storico e documentario compiuto dall'autore per offrire un romanzo assolutamente fedele ai fatti e agli eventi (che è senza dubbio una caratteristica fissa di tutta la sua produzione letteraria).

Eugenio Corti, quindi, dedica quasi tutto il periodo 1972/1983 al suo capolavoro. Sono solo due le attività alternative che lo allontanano dal lavoro: nel 1974 aderisce al comitato lombardo per l'abrogazione della legge sul divorzio, sospendendo per sei mesi l'attività di scrittore; nel 1978, invece, collabora a un giornale locale e scrive soprattutto di Chiesa, Russia e comunismo (in particolare della Cambogia).

"Tra i cinquanta e i sessant'anni", dice Corti, "l'esperienza dell'uomo raggiunge il suo apice (dopo di che comincia a dimenticare e a confondersi), mentre la sua capacità di creare rimane intatta".

Nel 1983 il testo raggiunge la sua forma definitiva ed Eugenio Corti lo propone a una piccola ma attiva casa editrice, l'Ares (il cui direttore, Cesare Cavalleri, è un amico e compagno di battaglie politiche), che lo pubblica nel mese di maggio (esattamente 25 anni fa).

L'opera è ispirata ai cavalli dell'Apocalisse ed è divisa in tre volumi: "Per il primo volume ho scelto il 'cavallo rosso', che in quel testo è il simbolo della guerra. Poi c'è il 'cavallo verdastro' (che ho tradotto come 'livido'), simbolo della fame (i lager russi) e dell'odio (le lotte civili). Infine, l'"albero della vita" (che indica la rinascita della vita dopo la tragedia).

Secondo Paola Scaglione, autrice di "Parole scolpite", "nella conclusione del romanzo, al tempo stesso piena di speranza e di dramma, non c'è tragedia, perché l'albero della vita ha radici salde nel cielo, ma non ci può essere nemmeno un lieto fine totalmente pacificante. Il teatro finale della scena del romanzo non può che essere il cielo. Per Eugenio Corti, il senso ultimo delle vicende umane si illumina solo accettando l'eternità come punto di vista. Da qui l'epilogo de Il cavallo rosso, apparentemente sconsolato eppure realistico e pieno di profonda speranza. Il premio, sembra ricordarci Christian Corti, non è un ritorno passeggero alle vicende terrene, ma la gioia senza fine di cui l'albero della vita è simbolo".

Corti, infatti, ci insegna che l'arte cristiana non può abbandonare il realismo: "È la filosofia della croce: non siamo al mondo per essere felici, ma per essere messi alla prova. Del resto, ogni rapporto quaggiù deve finire con la fine della vita".

Dice bene Scaglione quando osserva che "la croce - la vita dell'uomo lo insegna ed Eugenio Corti l'ha imparato bene - coincide spesso anche con l'impossibilità di veder trionfare il bene" (ma anche la dura realtà di non trovare la corrispondenza tra la perfetta bellezza e verità contemplata dall'artista e ciò che esiste, invece, su questa terra).

Cesare Cavalleri si esprime sullo stesso piano: "Il romanzo è, in un certo senso, un'epopea di perdenti, perché anche la verità può conoscere eclissi e sconfitte, pur rimanendo intatta e vera". È il caso del Cavallo Rosso e della storia umana in generale, poiché ogni "epopea di perdenti", ogni apparente sconfitta del bene è solo una mezza verità: il resto della storia, che non ci è dato di vedere quaggiù, si svolge in cielo e, nella narrazione aulica, diventa un'"epopea del Paradiso" che si apre alla miseria umana.

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