L'abbiamo già descritto, in un articolo sull'Iran, le principali caratteristiche dell'Islam sciita rispetto a quello sunnita.
Nello Yemen, l'Islam sciita è rappresentato principalmente dalla setta degli Zaydi e, in misura minore, da altre sette come quella dei Duodecimani (maggioritaria nel resto del mondo islamico sciita, ad esempio in Iran).
Il zayditas Prendono il nome da Zayd ibn Ali, pronipote di Ali, che fu il quarto califfo "rashid" dopo la morte di Maometto e fu anche il primo imam sciita. Per gli Zayd ci sono solo cinque imam legittimi, discendenti di Ali e di Fatima, figlia del Profeta Maometto.
Si differenziano dagli sciiti duodecimani (imamiti) in quanto non credono nell'occultazione dell'ultimo Imam, una caratteristica centrale della fede duodecimana. La teologia e la giurisprudenza degli Zaydi sono quindi più vicine a quelle dei sunniti, tanto che spesso sono visti come una sorta di ponte tra il sunnismo e lo sciismo.
Gli Zaydi arrivarono in Yemen nel IX secolo, soprattutto nel nord-ovest, dove stabilirono un imamato a Sa'ada. Come abbiamo visto nell'articolo precedente, gli imam zaydi riuscirono a governare gran parte dello Yemen settentrionale, consolidando gradualmente il loro potere al punto che l'imamato zaydi poté durare per quasi un millennio, cioè fino alla rivoluzione del 1962 che portò alla creazione della Repubblica Araba dello Yemen e mise fine al loro dominio politico.
Ad oggi, i rappresentanti probabilmente più noti della corrente islamica zaydi in Yemen (a cui si stima appartenga circa 45% della popolazione) sono i ribelli huthi, ovvero il movimento (poi divenuto gruppo armato) che ha preso il nome da Hussein Badreddin al-Huthi (1959-2004), considerato uno dei più grandi leader spirituali, politici e religiosi dagli zaydi yemeniti, dopo il suo assassinio,
In effetti, gli zaydisti yemeniti, soprattutto dopo la riunificazione del Paese (1990), si sono sentiti sempre più emarginati all'interno della scena politica nazionale, anche a causa della crescente influenza salafita e wahhabita dell'Arabia Saudita.
La Primavera araba e i conseguenti disordini nel Paese sono stati quindi l'occasione per il movimento armato Houthi di salire alla ribalta internazionale conquistando la capitale Sana'a nel 2014 e innescando un conflitto armato contro il governo riconosciuto a livello internazionale e la coalizione a guida saudita intervenuta a suo sostegno.
Gli Houthi, da parte loro, hanno ricevuto supporto logistico e morale dall'Iran, anche se i rapporti tra loro e il regime di Teheran non sono affatto semplici (abbiamo visto che gli Houthi sono Zaydi mentre il regime iraniano è Duodecimano).
Accanto alla maggioranza zaydi, esiste anche, in misura molto minore (sia numericamente che in termini di influenza politica), una comunità sciita tra gli sciiti dello Yemen. duodecimana o imamita, i cui seguaci credono in una linea di dodici imam (leader politici e religiosi che, nell'islam sciita, si ritiene appartengano alla famiglia di Maometto e siano particolarmente amati e ispirati da Dio, addirittura considerati da alcuni infallibili e partecipi della natura divina), l'ultimo dei quali, Muhammad al-Mahdi, è considerato occulto (non morto, ma nascosto e destinato a tornare come Mahdi, o redentore, una sorta di messia islamico).
Anche se numericamente meno importante, il duodecimano Tuttavia, hanno una certa visibilità nel Paese proprio grazie al sostegno che ricevono dall'Iran, attraverso la diffusione della letteratura religiosa e la costruzione di centri culturali, che il regime di Teheran utilizza per promuovere la propria dottrina.
Ebrei in Yemen
Lo Yemen è sempre stato, come abbiamo visto, un crocevia di popoli, culture e rotte commerciali. È proprio in questa terra che troviamo insediata, da millenni, una delle più antiche comunità ebraiche della Diaspora, una delle più orgogliose ed esotiche, considerata da molti ebrei occidentali come la testimonianza vivente delle tradizioni e dell'aspetto morale, spirituale, ma anche fisico del popolo di Israele prima della sua dispersione ai quattro angoli del mondo.
Le origini di questa comunità sono incerte e ci sono più leggende che fonti reali per ricostruire la sua storia più antica.
Questi ebrei hanno sempre vissuto in isolamento dal resto della diaspora, fino all'esodo in Israele, a parte qualche sporadico legame commerciale o religioso, vivendo sparsi in piccoli gruppi nel sud del Paese arabo, a volte quasi senza contatti tra loro. L'unica grande comunità era quella di Sana'a, nel cui distretto erano concentrati.
I costumi della comunità erano caratterizzati da una stretta aderenza alle tradizioni. I matrimoni, ad esempio, venivano combinati dai genitori in tenera età e ci si sposava appena adolescenti; le donne erano analfabete e dipendenti dagli uomini; la bigamia era molto diffusa, tanto che fino a poco tempo fa in Israele, tra le vecchie famiglie di immigrati, c'erano alcuni yemeniti con due mogli.
L'ebraismo di questo gruppo era strettamente rabbinico e la loro presenza nel Paese era vista come un periodo di esilio che sarebbe terminato con il ritorno alla Terra Promessa.
Per la maggior parte dei musulmani yemeniti (in particolare per gli zayditi), gli ebrei erano considerati impuri e vietati a vivere e a mescolarsi con i fedeli islamici, ed erano soggetti a molestie e discriminazioni.
Gli israeliti yemeniti si differenziavano dai musulmani sia per l'aspetto esteriore, soprattutto per l'abbigliamento, sia per altre peculiarità, come la lingua. Parlavano una forma di arabo diversa da quella dei cittadini di fede islamica, sia nel vocabolario (l'arabo parlato dagli israeliti comprende parole ebraiche e aramaiche) sia nell'accento.
A partire dal 1872, con l'occupazione di Sana'a da parte dell'esercito ottomano, le condizioni di vita della comunità ebraica yemenita, piuttosto precarie e miserabili, sembrarono migliorare. Tuttavia, a partire dal 1905, anno della sconfitta dei turchi da parte degli imam zaydi, la qualità della vita degli israeliti nel Paese arabo meridionale si deteriorò nuovamente.
Poi, nel 1918, alla fine della Prima Guerra Mondiale e con la dissoluzione dell'Impero Ottomano, le truppe turche lasciarono definitivamente lo Yemen, dove le condizioni della comunità ebraica rimasero sostanzialmente immutate fino al 1949-50, periodo dell'emigrazione di massa verso Israele.
Nel 1947, in seguito alla risoluzione delle Nazioni Unite sulla spartizione della Palestina, il pogrom fu solo il culmine di un'ondata di persecuzioni contro gli ebrei locali. In risposta a questo evento, tra il 1949 e il 1950, con l'operazione "Tappeto volante", nota anche come "Sulle ali dell'aquila", il governo israeliano organizzò una massiccia emigrazione di gran parte della comunità verso lo Stato ebraico, attraverso un ponte aereo di circa 400 voli, che portò fuori dal Paese 49.000 ebrei yemeniti e di Aden, cioè la quasi totalità della comunità.
Negli anni successivi, la già esigua comunità ebraica rimasta si è ulteriormente ridotta, a causa della costante emigrazione e delle vessazioni, fino agli anni Duemila, quando la situazione è ulteriormente peggiorata con le crescenti minacce degli estremisti islamici e della guerra civile. Infatti, molti degli ebrei rimasti sono stati evacuati da organizzazioni internazionali.
Nel 2016, uno degli ultimi gruppi di ebrei yemeniti è stato trasferito in Israele. Oggi in Yemen rimane solo una manciata di ebrei, ultimo residuo di un'antica comunità, che vive in isolamento e sotto costante minaccia.
Va detto che in Israele gli ebrei di origine yemenita rappresentano oggi un'élite artistica e culturale (molti cantanti, attori e artisti fanno parte di questa comunità, nonostante le difficili condizioni di integrazione del passato): i più famosi a livello internazionale sono i cantanti Noa e la compianta Ofra Haza.
Il cristianesimo nello Yemen
Il cristianesimo ha radici molto antiche nello Yemen, risalenti al IV secolo d.C., anche qui, quindi, molto prima della nascita dell'Islam. La comunità cristiana si stabilì in particolare nella città di Nakhran, di cui abbiamo parlato nel precedente articolo sui "martiri omariti" (Himyariti).
Dopo la conquista islamica nel VII secolo, iniziò un lento declino del cristianesimo, anche se alcune comunità riuscirono a sopravvivere per qualche secolo. Tuttavia, le conversioni di massa all'Islam, a volte forzate e a volte volontarie (a causa delle difficili condizioni di vita di chi si professava cristiano), portarono alla quasi totale scomparsa della fede cristiana nel Paese.
Attualmente, nello Yemen sono presenti solo poche comunità cristiane, per lo più di lavoratori stranieri e personale diplomatico. Le chiese presenti sono principalmente cattoliche e protestanti e si rivolgono, come in altri Paesi islamici (ne abbiamo parlato in uno degli articoli sul Marocco) soprattutto agli stranieri.
Anche nello Yemen, la Costituzione afferma che l'Islam è la religione di Stato e la Sharia è la fonte della legge. La libertà religiosa è garantita de jure ma de facto molto limitata. Infatti, l'apostasia, cioè la conversione dall'Islam a un'altra religione, è considerata un crimine punibile con la morte secondo la legge islamica. Costruire nuove chiese è quindi quasi impossibile e le attività missionarie sono severamente vietate.
La situazione dei cristiani yemeniti convertiti dall'Islam è molto complicata. Se non muoiono, continuano a subire gravi persecuzioni e spesso sono costretti a professare la loro fede in segreto per evitare discriminazioni, violenze e arresti.
La società yemenita, fortemente conservatrice, tende a emarginare chi non segue l'Islam, soprattutto in un momento come quello attuale, in cui le tensioni e il conflitto in corso aggravano ulteriormente una situazione che per le minoranze religiose, compresi i cristiani, era già estremamente difficile.
Si consideri, infatti, un caso che ha suscitato clamore a livello internazionale, quello delle Suore Missionarie della Carità (l'ordine fondato da Madre Teresa di Calcutta, presente in Yemen da decenni). Nel 2016, quattro suore di questa congregazione sono state massacrate da un commando di uomini armati che ha attaccato il loro convento ad Aden.
Oltre a loro, hanno perso la vita anche diversi collaboratori etiopi della congregazione, oltre a persone anziane e malate assistite dalle suore in quel momento, per un totale di 16 morti. Questo tragico evento ha evidenziato ancora una volta i pericoli a cui sono esposte le comunità cristiane e gli operatori umanitari in questo meraviglioso Paese che, purtroppo, non trova mai pace.