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Etiopia: patria dell'umanità (II)

In questa seconda parte di una serie in due parti sull'Etiopia, Ferrara ci presenta il cristianesimo, la cultura e l'influenza ebraica in questo paese.

Gerardo Ferrara-9 dicembre 2023-Tempo di lettura: 7 minuti

Un uomo etiope sfollato a causa della guerra, 2022 ©OSV/Baz Ratner, Reuters

Come menzionato nell’articolo precedente, l’Etiopia è patria di alcune lingue semitiche dalle caratteristiche peculiari. La più antica e conosciuta tra queste è la lingua liturgica e letteraria della Chiesa ortodossa etiope Tawahedo, il ge’ez. Si tratta di una lingua semitica sudarabica imparentata con il sabeo e scritta con un alfabeto chiamato anch’esso ge’ez (comune alla lingua amarica, a quella tigrina e a quella tigré, sue dirette discendenti, nonché ad altre lingue etiopi).

Una cultura unica

Il Ge'ez sembra derivare da una lingua ancora più antica, parlata nel regno di D'mt, direttamente imparentata con il sabaico e scritta con lo stesso alfabeto sudarabico del Musnad. Oggi è praticamente estinta nella forma parlata, sostituita dall'amarico (la lingua ufficiale federale dell'Etiopia), dal tigrino, dal tigrino e da altre lingue semitiche, mentre l'altra lingua ampiamente parlata in Etiopia è l'oromo (la lingua cushitica del popolo Oromo, l'etnia maggioritaria del Paese). Sono presenti anche l'arabo, il somalo, lingue semitiche come il gauguaz e altre, per un totale di oltre 90 lingue e 100 gruppi etnici.

La maggioranza della popolazione è cristiana (oltre 62%), per lo più aderente alla Chiesa ortodossa di Tawahedo. Un terzo della popolazione, invece, appartiene all'Islam, che era già arrivato nella zona durante la vita di Maometto (famoso l'episodio dell'accoglienza da parte del re di Aksum Ashama di alcune decine di compagni perseguitati alla Mecca dai pagani).

Celebre è anche la presenza di un’antichissima comunità ebraica, i Beta Israel (conosciuti anche volgarmente come Falashà), le cui origini si perdono nel tempo, e che è stata quasi del tutto evacuata dall’Etiopia. Nell’epoca del DERG, infatti, a causa delle carestie, delle discriminazioni e delle violenze da parte del governo, i Beta Israel emigrarono verso il Sudan, trovando anche qui un governo ostile. Ammassati in campi profughi e morti a centinaia nelle lunghe traversate nel deserto tra Etiopia e Sudan, Israele organizzò una serie di missioni segrete tra gli anni ‘80 e ‘90, denominate Operazione Mosè, Operazione Giosuè ed Operazione Salomone, in cui, attraverso un ponte aereo, furono trasferiti circa 95 mila ebrei etiopi, l’85% della comunità. Ad oggi, in Israele vivono 135 mila ebrei etiopi (che negli anni hanno subito discriminazioni anche qui) e circa 4000 in Etiopia.

Altro fenomeno religioso interessante nel Paese è quello dei rastafariani (già menzionato nel precedente articolo), i quali, pur accettando i libri sacri e la dottrina della Chiesa ortodossa etiope, venerano la figura di Hailé Selassié come “Gesù nella sua seconda venuta nella gloria”. Questa dottrina nasce in primis come forma di nazionalismo “etiopista” ed evolve grazie alla predicazione del suo leader e fondatore, il giamaicano Marcus Mosiah Garvey (1887-1940), diffondendosi nel mondo soprattutto grazie alla musica reggae di altri giamaicani, Bob Marley (1945-1981) e Peter Tosh (1944-1987).

I rastafariani nutrono profondo rispetto per le altre religioni, pur rigettando il politeismo, e credono che Hailé Selassié I non sia morto, ma si sia solamente occultato volontariamente agli occhi del genere umano.

Il cristianesimo in Etiopia

La maggioranza dei cristiani etiopi professa la fede ortodossa tawahedo. Per ortodossi, quando si parla di Chiese cristiane, e non solo di quella armena, copta, etiope o altre, non ci si riferisce agli ortodossi bizantini, ma alla denominazione che una particolare Chiesa si dà. Infatti, il termine "Ortodossia", di origine greca, significa letteralmente "retta dottrina". Possiamo quindi dire che ogni Chiesa cristiana si definisce "ortodossa", in riferimento alle altre, che sono considerate "eterodosse", cioè parzialmente in errore rispetto alla retta dottrina.

Il termine ge'ez "tawahedo" (ተተዋሕዶ: "fatto uno", "unificato") si riferisce alla dottrina miafisita che sancisce la natura unica e unificata di Cristo, cioè la completa unione della natura umana e divina (non mescolate ma non separate). In questo caso, si parla di unione "ipostatica". La dottrina non calcedoniana miafisita si oppone alla dottrina calcedoniana diafisita (cattolica, ortodossa, protestante), che professa la coesistenza di due nature in Cristo, umana e divina. Come riportato negli articoli su Cristiani armeni e CoptiLa separazione tra la Chiesa calcedoniana e quella non calcedoniana si incentrava proprio sulla questione cristologica, cioè sulla natura di Cristo, sulla quale si pronunciò il Concilio di Calcedonia del 451.

La Chiesa ortodossa etiope Tawahedo di Etiopia è quindi una Chiesa non calcedoniana: non riconosce cioè i decreti del Concilio di Calcedonia. Fin dalle sue origini, con l'abuna (vescovo) Frumenzio nel IV secolo d.C., era strettamente legata alla Chiesa d'Egitto, in quanto lo stesso Frumenzio fu consacrato vescovo e inviato in Etiopia dal patriarca di Alessandria, Atanasio. Oggi conta circa 50 milioni di aderenti, soprattutto in Etiopia, ed è la più grande di tutte le Chiese orientali non calcedoniane, tra cui la Chiesa copta ortodossa di Alessandria, la Chiesa armena apostolica, la Chiesa ortodossa siro-ortodossa, la Chiesa ortodossa siro-malankarese dell'India e le Chiese ortodosse tawahedo di Etiopia ed Eritrea.

Secondo la tradizione etiope, il cristianesimo è entrato nel Paese già nel I secolo d.C., con la regina ufficiale eunuco Candace, battezzata da Filippo, citata negli Atti degli Apostoli. Questa regina Candace è realmente esistita: Gersamot Händäke VII, regina d'Etiopia intorno alla metà del I secolo d.C..

Tuttavia, abbiamo visto che il cristianesimo divenne religione di Stato nel 400 d.C., quando il giovane re axumita Ezanà fu convertito da Frumenzio, che in seguito divenne il primo vescovo dell'Etiopia (secondo Rufino nella sua "Storia ecclesiastica"). Da allora fino all'inizio del XX secolo, spettava al Patriarca di Alessandria (papa della Chiesa copto-ortodossa d'Egitto) nominare l'arcivescovo etiope (archieparca) e il primate della Chiesa di Tawahedo era un copto egiziano. La Chiesa etiope ottenne quindi l'autocefalia.

Le fortune delle due Chiese, etiope ed egiziana, continuarono a intrecciarsi anche sotto il dominio islamico, al punto che nel 1507 l'imperatore d'Etiopia chiese e ottenne l'aiuto del Portogallo contro i musulmani che cercavano di conquistare il Paese. Successivamente fu la volta dei gesuiti ad entrare nell'Impero abissino, incontrando una forte opposizione da parte della popolazione locale.

Si sono sempre opposti con forza all'influenza straniera, tanto che quando nel 1624 l'imperatore Susenyos si convertì al cattolicesimo in cambio dell'appoggio militare di Portogallo e Spagna e costrinse i suoi sudditi a fare altrettanto, fu costretto ad abdicare e nel 1632 suo figlio Fasilides si riconvertì all'ortodossia copta e la ripristinò come religione di Stato, bandendo gli europei, compresi i gesuiti, dai suoi territori e bruciando tutti i libri cattolici. Per secoli, a nessuno straniero fu permesso di entrare nell'impero.

La Chiesa ortodossa Tawahedo e la Chiesa copta ortodossa di Alessandria si sono "separate" solo nel 1959, quando Papa Cirillo di Alessandria ha incoronato Abuna Basilios primo Patriarca d'Etiopia. Anche la Chiesa eritrea Tawahedo si è separata dalla Chiesa etiope nel 1993, con l'indipendenza dell'Eritrea dall'Etiopia.

Oggi i cristiani etiopi Tawahedo sono circa 50 milioni in Etiopia, accanto a 12 milioni di protestanti e a una piccola minoranza di cattolici. Si concentrano soprattutto nel nord, nel sud e nel centro del Paese (nell’Abissinia storica, culla del Regno axumita e dell’Impero d’Etiopia). Un terzo degli etiopi, invece, è di religione islamica, sebbene l’islam praticato in Etiopia sia anch’esso molto particolare, in quanto isolato per secoli sotto l’egida degli imperatori d’Etiopia e della loro xenofobia e abbia mutuato molti elementi dal cristianesimo. D’altronde, anche il cristianesimo etiope è molto influenzato dall’ebraismo e viceversa.

L'influenza ebraica

L'influenza ebraica, sebbene non si manifesti in modo evidente nella venerazione della Trinità (in ge'ez: Selassie), della Vergine Maria e dei santi, è particolarmente evidente nel culto. Infatti, solo i sacerdoti possono entrare nel sancta sanctorum (tabòt, cioè "arca") della Chiesa durante la celebrazione, mentre la maggior parte dei fedeli rimane fuori dai recinti sacri.

È anche evidente il valore attribuito alle pratiche e agli insegnamenti dell'Antico Testamento, come l'osservanza dello Shabbat, insieme alla domenica, le regole alimentari simili al kashrùt e la proibizione della carne di maiale, il divieto per le donne di entrare in chiesa durante il ciclo mestruale e l'obbligo di coprirsi sempre il capo con un panno chiamato shamma, oltre che di occupare un posto separato dagli uomini.

Inoltre, viene attribuita grande importanza alla purezza rituale: solo i fedeli che si sentono puri, che hanno digiunato (il digiuno rituale prevede un programma di astinenza periodica dalla carne e dai prodotti animali e/o dall'attività sessuale per un periodo totale di 250 giorni all'anno, in base alla scelta autonoma dei fedeli o imposta dalla liturgia) e che hanno mantenuto una condotta conforme ai comandamenti della Chiesa ricevono l'Eucaristia. In genere, quindi, solo i bambini e gli anziani ricevono la comunione, mentre le persone in età sessuale di solito si astengono dalla comunione.

Alcune curiosità

Come i musulmani entrando in moschea, i fedeli etiopi cristiani si tolgono le scarpe entrando in chiesa. In più, baciano il suolo di fronte al portone, essendo la chiesa un luogo sacro. Più enfasi, rispetto ad altre Chiese cristiane, è data alla pratica dell’esorcismo, eseguito in apposite riunioni in chiesa.

La lingua liturgica continua a essere il ge’ez (che è un po’ come il latino per i cattolici), sebbene già dal XIX secolo, e soprattutto durante l’epoca di Hailé Selassié, il Canone delle Sacre Scritture sia stato tradotto in amarico e in altre lingue correnti, utilizzate anche per i sermoni e le omelie. Il Canone è composto dagli stessi libri di altre Chiese cristiane, con l’aggiunta di alcuni libri tipici, quali quello di Enoch, dei Giubilei e il I, II e III Meqabyan (Maccabei etiope).

Grande importanza ha anche il pellegrinaggio, specie ad Axum, città più santa dell’Etiopia, e a Lalibela, luogo celebre per le chiese monolitiche (scavate in un solo pezzo nella roccia) che sono solitamente costruite dall’alto verso il basso scavando nel terreno, e pertanto non visibili dall’esterno.

Un’ultima curiosità è la tradizione etiope che vuole l’Arca dell’Alleanza presente all’interno della Cappella del Tabot ad Axum, dove possono accedere solamente i sacerdoti, per cui nessun altro finora ha mai avuto modo di vedere e analizzare l’oggetto sacro.

L'autoreGerardo Ferrara

Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.

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