In due precedenti articoli su EgittoSi parla di questo Paese come della culla di una delle più antiche civiltà della storia, nonché del cristianesimo copto, che descriviamo di seguito. Tuttavia, c'è un altro Paese di cui si parla poco, sebbene abbia una storia ancora più antica e sia altrettanto importante, culturalmente e anche religiosamente: L'Etiopia.
Storia antica
Partiamo anzitutto con alcuni dati: l’Etiopia è un enorme Paese dell’Africa subsahariana, situato nel Corno d’Africa, con una superficie di 1.127.127 km² e una popolazione di più di 121 milioni di abitanti, di cui il 62% cristiani, per lo più appartenenti alla Chiesa ortodossa etiope chiamata Tawahedo, resasi autonoma dalla Chiesa copta ortodossa d’Egitto nel 1959 (in materia cristologica si definisce anch’essa miafisita, dunque non calcedoniana).
Il nome attuale del Paese e del popolo che vi abita deriva dal greco Αἰθιοπία, Aithiopía, un termine composto da αἴθω, aítho (“bruciare”) e ὤψ, ops (“faccia”), quindi letteralmente “faccia bruciata”, in riferimento alla pelle scura delle popolazioni di questi luoghi. Fu Erodoto a utilizzare per primo il termine, menzionato anche nell’Iliade, per indicare le terre corrispondenti alla Nubia, al Corno d'Africa e al Sudan attuali. Aethiopia fu altresì il nome romano di quella regione, adottato infine dalle stesse genti locali, specialmente gli abitanti del regno di Axum.
Un altro nome con cui si conosce l’Etiopia intera – sebbene questa denominazione si applichi più precisamente all’altopiano etiope popolato da genti di stirpe semitica – è Abissinia, dagli habeshat (abissini), una delle prime popolazioni etiopi di lingua semitica, di origine sudarabica (sabea), che aveva colonizzato l’altopiano etiopico già in epoca precristiana e di cui esistono attestazioni in iscrizioni sabee, tanto che gli stessi arabi, sia precedentemente che successivamente all’avvento dell’islam, hanno continuato a chiamare la zona Al-Habashah.
Abbiamo definito l’Etiopia patria dell’umanità perché qui sono stati ritrovati i più antichi resti di ominidi, risalenti a 4 milioni di anni fa, oltre che quelli della celebre Lucy, una femmina di australopiteco africano morta all’età di 3 anni circa 3,2 milioni di anni fa.
La preistoria etiope, quindi, inizia 4 milioni di anni fa e si estende fino all'800 a.C., con l'avvento del regno D'mt. Di esso non si sa molto, se non che era in qualche modo legato ai Sabei, un popolo di lingua semitica dell'Arabia meridionale che viveva nell'area dell'attuale Yemen e da cui si dice provenisse la famosa Regina di Saba, descritta sia nella Bibbia sia nelle fonti etiopiche (il Kebra Nagast, un libro epico etiope, la chiama Machedà) e islamiche (nel Corano è chiamata Bilqis).
A causa del legame storico con i Sabei, sia del regno di D'mt che dei successivi Axumiti, gli etiopi rivendicano origini ebraiche e discendenza divina, poiché la regina di Saba, secondo il racconto biblico, si recò a Gerusalemme per incontrare il re Salomone e da lui ebbe un figlio, Menelik, che sarebbe diventato imperatore d'Etiopia. Questa storia è raccontata anche nel già citato Kebra Nagast, che narra anche che Menelik, una volta cresciuto, sarebbe tornato a Gerusalemme per raggiungere il padre, dove avrebbe rubato l'Arca dell'Alleanza per portarla in Etiopia.
È storicamente attestato, comunque, che i popoli tradizionali etiopi – cioè gli amhara, i tigré e i tigrini – sono frutto dell’unione tra i primi colonizzatori sudarabici, provenienti dalla zona dello Yemen e giunti in Abissinia dopo aver attraversato il Mar Rosso, e le popolazioni originarie del luogo. Le lingue di questi stessi popoli tradizionali, inoltre, sono semitiche (la più antica di esse, quella usata nella liturgia etiopica, è il ge’ez, fortemente imparentata con lingue sudarabiche come il sabeo).
Il giudaismo (secondo la tradizione, introdotto in Etiopia da Menelik) divenne la religione del regno di Axum, sorto intorno al IV secolo a.C. probabilmente dall’unificazione di diversi reami della zona. Axum fu uno degli imperi più vasti dell’antichità, insieme all’Impero romano, a quello persiano e alla Cina.
Nel 330 d.C. Frumenzio (santo sia per la Chiesa ortodossa etiope che per quella cattolica, oltre che per quella ortodossa orientale) convinse il giovane re axumita Ezana a convertirsi al cristianesimo, facendo divenire l’Etiopia il primo Paese, insieme all’Armenia, ad adottare il cristianesimo come religione di Stato. Frumenzio, dopo aver lasciato l’Etiopia per recarsi ad Alessandria d’Egitto, fu nominato vescovo nel 328 dal patriarca Atanasio e rimandato ad Axum per esercitarvi tale mandato (da qui il legame diretto tra la Chiesa d’Etiopia e quella d’Egitto, di cui parleremo meglio in un secondo articolo sull’Etiopia).
Più di 600 anni più tardi, verso il 1000, il regno di Axum cadde per mano della regina Giuditta (questa regina sarebbe stata ebrea o pagana, a seconda delle fonti), la quale provò a restaurare l’ebraismo quale religione di Stato, pur non riuscendovi, e distrusse tutti i luoghi di culto cristiano. Alla sua morte, tuttavia, con la dinastia Zaguè, il cristianesimo poté tornare a essere professato ed è di quest’epoca la costruzione dei più importanti e celebri monumenti cristiani del Paese, come le incredibili chiese monolitiche di Lalibela.
L'impero
Nel 1207 Yekuno Amlak si proclamò imperatore d’Etiopia, dando origine a una dinastia che rimase sul trono per 8 secoli e che rivendicava la diretta discendenza dal re Salomone. Gli imperatori etiopi adottarono il titolo di Negus Negesti, letteralmente re dei re e, nel corso del tempo, instaurarono buoni rapporti con le potenze europee, soprattutto con i portoghesi, i quali li sostennero, specie l’imperatore Davide II, nelle guerre contro i musulmani. Lo stesso Davide II, però, si rifiutò di sottomettersi alla Chiesa cattolica, mentre i gesuiti entravano nel Paese ed iniziavano la loro opera missionaria, provocando, come reazione, la divisione del territorio in diversi feudi comandati da capi locali. Tra questi vi era Gondar, dominato dall’etnia oromo (di lingua cuscitica, altro ramo delle lingue afroasiatiche oltre al semitico e al camitico).
L’imperatore Teodoro II, salito al trono nel 1885, riuscì in seguito a riunificare il Paese sotto una forte autorità centrale ma si trovò ad affrontare le mire colonialistiche delle potenze europee, in particolare dell’Italia, che nel 1888 conquistò l’Eritrea, dirigendosi poi verso l’interno, in direzione dell’Abissinia.
Ancora più importante fu il dominio di Menelik II. Questi, con piglio ancor più centralista, e rimarcando l’origine salomonide della sua dinastia, fondò nel 1896 la città di Addis Abeba, facendone la nuova capitale dell’Impero. Nel 1895, però, era scoppiata la guerra d’Etiopia contro il regno d’Italia e lo stesso Menelik II si era dimostrato un grande condottiero, opponendosi fortemente agli italiani e sconfiggendoli addirittura, nel 1896, nella famigerata battaglia di Adua, l’unica battaglia della storia in cui un popolo africano sbaragliò una potenza coloniale europea.
Alla morte di Menelik II, il Paese tornò a dividersi in feudi, prima della salita al trono del Ras Tafarì (in lingua amharica: capo temibile) Maconnèn, il quale prese il nome di Hailé Selassié I. Sotto il suo governo, l’Etiopia fu il primo paese africano ad entrare nella Società delle Nazioni, nel 1923.
Hailé Selassié e la fine dell’impero
La politica più illuminata di Hailé Selassié non fu sufficiente a respingere gli attacchi degli italiani (nel frattempo a Roma era stato instaurato il regime fascista di Mussolini) e nel 1936 le truppe italiane entrarono ad Addis Abeba: l’Etiopia fu assorbita nell’Africa Orientale Italiana (che comprendeva anche l’Eritrea e gran parte dell’attuale Somalia), sebbene per pochi anni, fino al 1941, anno in cui l’imperatore Selassié rientrò dall’esilio e riprese i pieni poteri, iniziando una politica di riforme e divenendo poi il simbolo del rastafarianesimo. Questo perché Selassié aveva invocato il ritorno in Africa di tutti gli africani dispersi nel mondo e aveva fornito persino delle terre, nella zona di Shashamane, a coloro che avessero avuto intenzione di tornare. La sua intenzione, infatti, secondo una dottrina conosciuta come “etiopismo”, era di riunire sotto la monarchia etiope tutte le popolazioni nere del mondo.
Divenne, pertanto, un vero e proprio simbolo anticolonialista (e per i rastafariani Gesù nella sua seconda venuta o comunque una manifestazione divina) anche dopo la sua morte nel 1975, anno in cui il paese finì nelle mani della dittatura socialista DERG, che pose fine al secolare impero etiope. La dittatura si concluse nel 1985, con una terribile carestia.
Nacque così l’attuale Repubblica d’Etiopia, che oggi ha una costituzione federale dalla forte impronta autonomistica su base etnica, linguistica e politica a livello dei singoli Stati che compongono il Paese.
Nonostante la guerra con l’Eritrea (Paese confinante e fortemente affine ma con il quale i contrasti sono sempre esistiti – anche a causa dei metodi terroristici usati contro la popolazione eritrea dallo stesso Hailé Selassié e da altri governanti etiopi – e continuano a esistere), che terminò nel 1993 con l’indipendenza di quest’ultima, e dei conflitti interetnici (l’ultimo dei quali, nel 2020, tra il governo centrale e l’Esercito di Liberazione del Tigré, regione orientale del Paese e abitata dai popoli tigré e tigrino, che ha provocato decine di morti e migliaia di profughi), l’Etiopia è oggi in forte crescita, essendo il Paese africano con maggior sviluppo economico e sociale. Dal 2018 ha un presidente donna, la diplomatica Sahle-Uork Zeudé.
Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.