Vaticano

"È decisivo riscoprire la bellezza di essere figli di Dio".

Il Papa ha riflettuto sulla condizione di filiazione divina che acquisiamo nel Battesimo, attraverso il quale arriviamo a "partecipare in modo effettivo e reale al mistero di Gesù".

David Fernández Alonso-8 settembre 2021-Tempo di lettura: 3 minuti
udienza del papa

Foto: ©2021 Catholic News Service / Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti.

Papa Francesco ha ripreso questo mercoledì il "cammino di approfondimento della fede alla luce della Lettera di San Paolo ai Galati". L'apostolo esorta questi cristiani a non dimenticare la novità della rivelazione di Dio che è stata loro annunciata. In pieno accordo con l'evangelista Giovanni (cfr. 1 Gv 3,1-2), Paolo sottolinea che la fede in Gesù Cristo ci ha permesso di diventare veramente figli di Dio e suoi eredi. Noi cristiani spesso diamo per scontata questa realtà di essere figli di Dio. Tuttavia, è sempre bene ricordare con gratitudine il momento in cui lo siamo diventati, il momento del nostro battesimo, per vivere più consapevolmente il grande dono che abbiamo ricevuto".

Parlando della figliolanza divina, Francesco afferma che "infatti, una volta "giunta la fede" in Gesù Cristo (v. 25), si crea la condizione radicalmente nuova che porta alla figliolanza divina. La figliolanza di cui parla Paolo non è più quella generale che riguarda tutti gli uomini e le donne come figli e figlie dell'unico Creatore. Nel passo che abbiamo appena ascoltato, egli afferma che la fede ci permette di diventare figli di Dio "in Cristo" (v. 26). È questo "in Cristo" che fa la differenza. Con la sua incarnazione è diventato nostro fratello e con la sua morte e risurrezione ci ha riconciliati con il Padre. Chi accoglie Cristo nella fede, attraverso il battesimo è "rivestito" da Lui e dalla dignità filiale (cfr. v. 27)".

"Nelle sue Lettere, San Paolo fa riferimento in più di un'occasione al battesimo. Per lui, essere battezzati significa partecipare in modo reale ed effettivo al mistero di Gesù. Nella Lettera ai Romani arriva a dire che nel battesimo siamo morti con Cristo e siamo stati sepolti con lui per vivere con lui (cfr. 6,3-14). Il battesimo, quindi, non è un semplice rito esterno. Chi la riceve viene trasformato nel profondo, nell'intimo, e possiede una vita nuova, proprio quella che gli permette di rivolgersi a Dio e di chiamarlo con il nome di "Abba, Padre" (cfr Gal 4,6)".

"L'apostolo", assicura il Santo Padre, "afferma con grande audacia che l'identità ricevuta attraverso il battesimo è un'identità così nuova da prevalere sulle differenze che esistono a livello etnico-religioso: 'non c'è né giudeo né greco'; e anche a livello sociale: 'né schiavo né libero; né maschio né femmina' (Gal 3,28). Spesso queste espressioni vengono lette troppo frettolosamente, senza riconoscerne il valore rivoluzionario. Per Paolo, scrivere ai Galati che in Cristo "non c'è né Giudeo né Greco" equivaleva a un vero e proprio sovvertimento della sfera etnico-religiosa. L'ebreo, in quanto appartenente al popolo eletto, era privilegiato rispetto al pagano (cfr. Rm 2,17-20), e Paolo stesso lo afferma (cfr. Rm 9,4-5). Non sorprende, quindi, che questo nuovo insegnamento dell'apostolo possa suonare eretico. Anche la seconda parità, tra "liberi" e "schiavi", apre prospettive sorprendenti. Per la società antica la distinzione tra schiavi e cittadini liberi era fondamentale. Questi ultimi godevano di tutti i diritti previsti dalla legge, mentre agli schiavi non veniva riconosciuta nemmeno la dignità umana. Così, infine, l'uguaglianza in Cristo supera la differenza sociale tra i due sessi, stabilendo un'uguaglianza tra uomini e donne che era rivoluzionaria all'epoca e che deve essere riaffermata oggi.

"Come si vede, Paolo afferma la profonda unità che esiste tra tutti i battezzati, qualunque sia la loro condizione, perché ognuno di loro, in Cristo, è una nuova creatura. Tutte le distinzioni diventano secondarie rispetto alla dignità di essere figli di Dio, che con il suo amore realizza una vera e sostanziale uguaglianza".

"Siamo dunque chiamati", conclude Francesco, "in modo più positivo a vivere una vita nuova che trova nella filiazione con Dio la sua espressione fondamentale. È decisivo anche per tutti noi oggi riscoprire la bellezza di essere figli di Dio, fratelli e sorelle gli uni degli altri perché inseriti in Cristo. Le differenze e i contrasti che creano separazione non dovrebbero avere spazio tra i credenti in Cristo. La nostra vocazione è piuttosto quella di rendere concreta ed evidente la chiamata all'unità di tutto il genere umano (cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Lumen gentium, 1). Tutto ciò che aggrava le differenze tra le persone, causando spesso discriminazioni, tutto questo, davanti a Dio, non ha più alcuna consistenza, grazie alla salvezza compiuta in Cristo. Ciò che conta è la fede che opera lungo il percorso di unità indicato dallo Spirito Santo. La nostra responsabilità è quella di camminare con determinazione su questo sentiero.

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