Vaticano

Dialogo interreligioso. Come fratelli davanti al Creatore

La sinagoga di Roma ha accolto calorosamente Francesco, come ha fatto con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. È stato invitato anche in moschea.

Giovanni Tridente-9 febbraio 2016-Tempo di lettura: 3 minuti
Papa Francesco alla Sinagoga di Roma.

Accolto dagli applausi, si è mescolato tra i banchi per stringere la mano ai presenti. La terza visita di un pontefice alla sinagoga di Roma - dopo quelle storiche di Giovanni Paolo II nel 1986 e di Benedetto XVI nel 2010 - è stata caratterizzata da un entusiasmo non minore.

Il Papa è arrivato nel Tempio Maggiore domenica pomeriggio, 17 gennaio, per celebrare il cinquantesimo anniversario della pubblicazione di Nostra Aetate, la dichiarazione del Concilio Vaticano II che ha aperto la strada al consolidamento delle relazioni tra la Chiesa cattolica e gli ebrei.
A metà dicembre, la Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l'ebraismo ha pubblicato un documento in cui fa un bilancio dei risultati ottenuti in questi cinquant'anni. Il testo sottolinea l'importanza di approfondire la "comprensione reciproca", nonché l'impegno comune "per la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato e la riconciliazione in tutto il mondo" e la lotta contro ogni discriminazione razziale. Un'ampia parte del documento è stata ovviamente riservata alla "dimensione teologica" del dialogo, che deve ancora essere approfondita.

La visita di Papa Francesco al Tempio Maggiore di Roma si inserisce in questa "tradizione" positiva ed è stata accolta con favore da coloro che lo hanno accolto e ospitato: ebrei romani, rappresentanti dell'ebraismo italiano, rabbini italiani e delegazioni rabbiniche di Israele e d'Europa. Il rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, ha parlato di "un evento la cui portata irradia un messaggio benefico in tutto il mondo".

Nel suo saluto al Santo Padre, Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma, ha dichiarato solennemente che "oggi stiamo scrivendo la storia ancora una volta". Un Papa che da arcivescovo di Buenos Aires ha coltivato solide relazioni con l'ebraismo - lui stesso ha ricordato che era solito "andare nelle sinagoghe per incontrare le comunità lì riunite, per seguire da vicino le feste e le commemorazioni ebraiche e per rendere grazie al Signore" - e che le ha "riaffermate fin dai primi atti del suo pontificato", soprattutto condannando in più occasioni l'antisemitismo.
Infatti, ha sottolineato Dureghello, "l'odio che nasce dal razzismo e trova le sue basi nel pregiudizio o, peggio, usa le parole e il nome di Dio per uccidere, merita sempre il nostro rifiuto". Da questa consapevolezza nasce "un nuovo messaggio" di fronte alle tragedie contemporanee: "La fede non genera odio, la fede non sparge sangue, la fede invita al dialogo".

Su questa linea, il rabbino capo Di Segni è stato categorico: "Accogliamo il Papa per ricordarci che le differenze religiose, che vanno mantenute e rispettate, non devono però servire a giustificare l'odio e la violenza, ma che ci deve essere amicizia e collaborazione, e che le esperienze, i valori, le tradizioni e le grandi idee che ci identificano devono essere messe al servizio della comunità".

"Nel dialogo interreligioso è essenziale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e lo lodiamo, che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda e cerchiamo di collaborare", ha esortato Papa Francesco nel suo saluto.

"Apparteniamo tutti a un'unica famiglia, la famiglia di Dio, che ci accompagna e ci protegge come suo popolo. Insieme, come ebrei e cattolici, siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità nei confronti di questa città, dando il nostro contributo, soprattutto spirituale, e aiutando a risolvere i vari problemi di oggi", ha continuato il pontefice.
Francesco ha poi accennato alla questione teologica del rapporto tra cristiani ed ebrei, ribadendo che esiste un legame inscindibile che unisce queste due comunità di fede: "I cristiani, per comprendere se stessi, non possono non fare riferimento alle loro radici ebraiche, e la Chiesa, mentre professa la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l'irrevocabilità dell'Antica Alleanza e l'amore costante e fedele di Dio per Israele".

Rivolgendo lo sguardo alle tragedie contemporanee, il Papa ha ricordato che "dove la vita è in pericolo, siamo chiamati a maggior ragione a proteggerla". Né la violenza né la morte avranno mai l'ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell'amore e della vita". Le ultime parole di saluto sono state per ricordare la Shoah e i sessanta milioni di vittime: "Il passato deve servire da lezione per il presente e per il futuro".

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