Vaticano

Da Giovanni Paolo II a Francesco: la diplomazia "multilaterale" della Santa Sede

Il ruolo di Papa Francesco nel conflitto Russia-Ucraina ci porta a riflettere sulla diplomazia della Santa Sede. Erede di una tradizione millenaria, che ha fatto del papato il precursore delle moderne relazioni tra gli Stati, agisce su due fronti particolari: da un lato, la protezione dei cristiani, in particolare dei cattolici; dall'altro, la promozione dei valori della giustizia, della pace e della salvaguardia dei diritti umani.

Gerardo Ferrara-10 maggio 2022-Tempo di lettura: 7 minuti
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La crudele guerra tra Russia e Ucraina, le migliaia di vittime, gli sfollati, le città e i villaggi distrutti e la follia di armi sempre più terribili che continuano a massacrare persone innocenti sono ormai storia che si ripete più volte, e l'umanità sembra non voler mai imparare dai propri errori.

Tra tutte le voci che si sono levate in nome della pace negli ultimi tempi, ce n'è una, in particolare, che sembra avere davvero a cuore la pace stessa, se non altro più che il gas, la vendita di armi o le sanzioni. E stiamo parlando di Papa Francesco.

Infatti, tra i vari leader mondiali, il Papa ha cercato, fin dall'inizio del conflitto, di mantenere aperto un canale diplomatico con entrambe le parti, e lo ha fatto con gesti concreti: recandosi personalmente presso le ambasciate russe e ucraine, attivando le nunziature apostoliche presenti in entrambi i Paesi, fornendo aiuti materiali e sostegno spirituale, dialogando con i leader politici e religiosi (cattolici e ortodossi) di Russia e Ucraina, compreso il Primate del Patriarcato ortodosso di Mosca, Kirill, al quale, di fronte alle spinte cesaropapiste di quest'ultimo per giustificare la politica aggressiva del suo Paese verso l'Ucraina (soprattutto nel famoso incontro bilaterale virtuale tra il Papa e il suddetto patriarca), il pontefice (e ricordiamo qui l'etimologia di questo termine: costruttore di ponti) non ha mancato di ricordare che il compito degli ecclesiastici è quello di annunciare Cristo, non di favorire o contrastare un potere temporale, cosa che è stata ribadita, al momento della stesura di questo articolo, il 6 maggio 2022, quando Francesco, ricevendo in udienza i partecipanti alla sessione plenaria del Pontificio Consiglio per l'Unità dei Cristiani, ha condannato ancora una volta la guerra "crudele e insensata" in Ucraina, dichiarando che, "di fronte a questa barbarie, rinnoviamo il nostro desiderio di unità e annunciamo il Vangelo che disarma i cuori di fronte agli eserciti".

Tuttavia, non sono mancate le critiche da parte di cattolici e ortodossi al Papa per non aver assunto una posizione apertamente favorevole all'Ucraina nel conflitto in corso.

L'atteggiamento di Francesco, tuttavia, è in perfetta continuità, in questo come in altri casi (la guerra in Siria o le più recenti proteste in Myanmar ne sono un esempio), con quello dei suoi predecessori, in particolare di Giovanni Paolo II, nel voler promuovere alcuni valori di pace, solidarietà e giustizia sociale in tutto il mondo, indipendentemente dal Paese, dall'etnia o dalla religione. Per questo si impegna nel dialogo e cerca di stabilire relazioni con tutti i governi, indipendentemente dal credo o dall'ideologia, che si esprime anche attraverso il concetto di multilateralismo, cioè di equidistanza (forse, però, sarebbe meglio dire equidistanza) rispetto ai soggetti coinvolti.

In pratica, tutto ciò è notevolmente simile a quanto accadde con Pio XII, il Papa regnante durante tutta la Seconda Guerra Mondiale, che non condannò mai apertamente Hitler, anche se, continuando la politica di dura opposizione a tale ideologia di Pio XI (che condannò duramente il nazismo con l'Enciclica "Mit brennender Sorge"), intervenne più volte contro la politica nazista con messaggi diversi, In particolare con il messaggio natalizio del 1942 e il consenso alla lettura della famosa Lettera pastorale "Viviamo in un tempo di grandi sofferenze", redatta dalla Conferenza episcopale olandese e letta in tutte le chiese olandesi il 26 luglio 1942 (per ritorsione Hitler ordinò l'arresto e la deportazione di ebrei convertiti, fino ad allora risparmiati dalla sua furia, come Edith Stein, Santa Teresa Benedetta della Croce).

Il ruolo della Chiesa cattolica negli affari nazionali e internazionali è tutt'altro che secondario, se si considera che può influenzare, direttamente e indirettamente, miliardi di persone, non solo tra i battezzati, ma anche tra soggetti giuridici che possono essere individui, Stati, organismi sovranazionali e che non hanno nulla a che fare con la fede che i cattolici professano.

La necessità di diplomazia e riconoscimento a livello internazionale

La diplomazia della Santa Sede è erede di una tradizione secolare, che ha fatto del papato il precursore delle moderne relazioni tra gli Stati, e agisce su due fronti particolari: da un lato, la protezione dei cristiani, in particolare dei cattolici; dall'altro, la promozione dei valori della giustizia, della pace e della salvaguardia dei diritti umani: la sua Ostpolitik, soprattutto dalla fine degli anni Cinquanta, ne è un esempio concreto.

Questa politica realista, che prende slancio dall'enciclica "Pacem in terris" di Papa Giovanni XXIII del 1963 (in cui il pontefice spiega che la pace nel mondo è un ideale da perseguire attraverso il dialogo e la cooperazione con tutti i popoli "di buona volontà", anche con quelli portatori di un'ideologia "errata" come l'ateismo e il comunismo), condizionerà anche la politica internazionale della Santa Sede da Paolo VI in poi.

È necessario, a questo punto, fare una distinzione essenziale tra la Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano: la prima costituisce una sovranità astratta, cioè senza un territorio ben definito, del Papa sui fedeli cattolici (circa un miliardo e 345 milioni di persone, secondo l'Annuarium Statisticum Ecclesiae del 2019), ma riconosciuta da tutte le organizzazioni internazionali; il secondo è, inoltre, lo Stato più piccolo del mondo (la sua superficie è di soli 44 ettari), la cui unica funzione è, in virtù della sua creazione nel 1929 con i Patti Lateranensi, quella di fornire supporto materiale e giuridico alle attività della Santa Sede, compresa la salvaguardia del suo patrimonio culturale, artistico e religioso.

La Santa Sede e la politica internazionale

La Sede Apostolica, quindi, è la massima autorità della Chiesa cattolica ed è governata dal Sommo Pontefice (il Papa) e dalla Curia Romana, con a capo il Segretario di Stato che, sotto l'autorità del Santo Padre, è il capo della struttura diplomatica. A causa del suo status speciale, è la Santa Sede, e non lo Stato della Città del Vaticano, a intrattenere relazioni diplomatiche con altri Stati e organizzazioni internazionali, relazioni che richiedono una grande organizzazione istituzionale.

I funzionari diplomatici pontifici, così come i nunzi apostolici e i laici che rappresentano il papato a livello internazionale, provengono da quasi tutti gli Stati del mondo e vengono formati presso la Pontificia Accademia Ecclesiastica, la scuola di politica estera del Vaticano.

L'obiettivo dei contatti con la società civile è garantire la sopravvivenza e l'indipendenza della Chiesa e l'esercizio della sua funzione specifica (libertà di mantenere i contatti con il centro; libertà di movimento e di responsabilità di vescovi e sacerdoti; libertà di coscienza e di culto per tutti). In assenza di queste condizioni di base, le relazioni diplomatiche non vengono normalmente stabilite (è il caso di Cina, Bhutan, Afghanistan, Corea del Nord e Maldive).

La Santa Sede dispone di una rete diplomatica estesa e capillare. Infatti, mantiene normali relazioni diplomatiche con 183 dei 193 Stati membri dell'ONU e ha lo status di osservatore permanente alle Nazioni Unite, ma non di membro a pieno titolo, in quanto rappresentante di una potenza spirituale che opta per la totale neutralità negli affari internazionali.

Giovanni Paolo II e la sua politica internazionale

La politica internazionale di Giovanni Paolo II è, ovviamente, la più ovvia da prendere in considerazione nell'analisi del concetto di multilateralismo della Santa Sede in politica internazionale, poiché il periodo di tempo che copre è notevolmente ampio e conferma i molteplici e già citati obiettivi dell'azione della Santa Sede a livello globale. Il pontificato di Giovanni Paolo II, infatti, si è caratterizzato non solo per la sua durata temporale (27 anni), ma anche per il gran numero di eventi importanti che lo hanno segnato, come ad esempio il lungo contenzioso con i regimi comunisti, in particolare quello polacco (suo Paese d'origine), la fine della Guerra Fredda e la caduta del Muro di Berlino, il riconoscimento di Israele e l'instaurazione di relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico nel 1994, i ripetuti tentativi di normalizzare le relazioni con Cina e Vietnam, la disintegrazione della Jugoslavia, storica linea di demarcazione tra ortodossi e cattolici nei Balcani, che ha messo in seria difficoltà la diplomazia vaticana e l'ha portata a intervenire direttamente nella questione nel 1992, riconoscendo l'indipendenza di Croazia e Slovenia, nazioni tradizionalmente cattoliche.

Tra i casi più interessanti da citare, per la loro somiglianza con le questioni attuali, c'è quello delle Filippine, Paese visitato da Giovanni Paolo II nel 1981, dove la campagna di resistenza passiva (molto simile a quella che si sta svolgendo oggi in Myanmar) guidata dal cardinale Jaime Sin contro Marcos ha portato all'esilio del dittatore nel 1986; Oppure Cuba, dove nel 1998 il Papa ha ribadito chiaramente la sua opposizione all'embargo e alle sanzioni statunitensi che da 35 anni soffocavano l'economia dell'isola, criticando tali misure di ritorsione contro un Paese da parte di altri Stati e accusandoli, come nel caso dell'Iraq o della Serbia (simile alla Russia di oggi) di danneggiare solo cittadini innocenti senza fornire alcuna soluzione definitiva ai problemi.

Infine, vorremmo citare due casi particolari in cui, durante il pontificato di Giovanni Paolo II e dopo l'intervento di Giovanni XXIII come mediatore tra Stati Uniti e URSS nella crisi dei missili di Cuba del 1962, la Santa Sede è stata particolarmente attiva nella ricerca di soluzioni pacifiche a situazioni conflittuali in ambito internazionale: Nel primo caso, Wojtyla e i suoi rappresentanti, in particolare il nunzio apostolico in Argentina, riuscirono a scongiurare il già imminente conflitto tra Cile e Argentina per la sovranità sul Canale di Beagle nel 1984; nella seconda, durante la crisi internazionale che ha preceduto l'invasione dell'Iraq nel 2003, la diplomazia della Santa Sede ha agito in coordinamento con i rappresentanti di Francia, Germania, Russia, Belgio e Cina presso le Nazioni Unite per evitare un conflitto armato, e Giovanni Paolo II ha persino inviato il Nunzio a Washington per incontrare George Bush senior ed esprimere il totale disaccordo del Papa con un'invasione del Paese mediorientale, che purtroppo è avvenuta.

Tutti questi esempi ricordano in modo impressionante eventi e questioni più recenti (Myanmar, Siria, la guerra Russia-Ucraina e le sue conseguenze) e ci permettono di inquadrare la politica internazionale di Papa Francesco e il suo multilateralismo, o "equivicinanza" con tutte le parti coinvolte nei conflitti a livello internazionale, come perfettamente adatti alle esigenze della diplomazia della Santa Sede.

L'autoreGerardo Ferrara

Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.

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