Parlare bene del Divina Commediadi Dante Alighieripotrebbe essere già un cliché. È difficile trovare un elenco, ampio o minimale, di classici più vecchi Gli occidentali che non lo conoscono ne consigliano vivamente la lettura. Non posso essere diverso da questo punto di vista, perché è davvero un capolavoro da molti punti di vista. Passiamo quindi alla presentazione.
È generalmente noto che si tratta di un lungo poema "alla medievale", forse un po' indigesto, ma sicuramente molto bello (anche se voi stessi non l'avete mai letto, vero?). L'intento di questo articolo è quello di spiegare il contesto in cui è stato scritto e di raccontare brevemente qualcosa del suo contenuto. Quando scoprirete quanto la poesia sia incredibilmente preziosa, vedrete se riuscirete a sopportare voi stessi e a non iniziare a leggere il testo. Divino di Dante il prima possibile.
Contesto storico
Siamo a Firenze, una delle città più prospere d'Europa, situata tra Roma e Milano, nel XIII-XIV secolo. Dal punto di vista politico, si distinguono tre schieramenti: i Guelfi Bianchi (in cui militava il nostro autore), che difendevano l'autonomia di Firenze; i Guelfi Neri, che sostenevano le aspirazioni politiche del Papa, che allora governava il cosiddetto Stato Pontificio, una terra vicina a Firenze; e i Ghibellini, seguaci del feudalesimo protetto dal Sacro Romano Imperatore, con sede nell'attuale Germania.
Più volte nel poema Dante raggruppa le due fazioni guelfe in un unico schieramento, e si limita a menzionare i Guelfi e i Ghibellini, cioè i filo-italiani e i filo-germani, anche se questi termini sono anacronistici, perché in quel secolo non esistevano i Paesi come li conosciamo oggi.
Dante
Poi c'è la persona dell'autore. Nato nel 1265 da una famiglia di mercanti, all'età di nove anni vide per la prima volta una ragazza, Beatrice (nella sua lingua), Beatrice), e questo incontro ebbe un effetto profondo su di lui. Secondo Luka Brajnovic, "questo personaggio [Beatrice] può essere quasi certamente identificato con Bice, figlia di Folco Portinari, sposata con Simone de Bardi, morta nel 1290", quindi a 25 anni, dato che aveva la stessa età di Dante.
Questa morte prematura dell'amata sembra essere stata la causa scatenante dell'inizio della vita letteraria di Dante Alighieri, che pochi anni dopo (1295) pubblicherà Nuova vitail suo primo libro. Ma, a differenza delle muse fantasiose che ispiravano i poeti greci, ciò che Dante nutre per lei va ben oltre la semplice illuminazione poetica. Arrivò a promettere di dire di Beatrice "ciò che non è mai stato detto di nessuna donna", tanto era il fascino e la venerazione che le tributava. E non potrà dimenticarla per il resto della sua vita, perché realizzerà la sua promessa proprio nel momento in cui la sua vita sarà in pericolo. Divina Commediacompletato nel 1321, lo stesso anno della sua morte.
Beatriz
Il nostro autore amava Beatrice in modo idealizzato e platonico, tanto che questa passione non gli impedì di sposare Gemma di Manetto, una donna dell'aristocrazia borghese di casa Donati (dei Guelfi neri) nel 1283, quando Beatrice era ancora viva. Ebbero quattro figli: Jacopo, Pietro, Antonia (poi suora, con il significativo nome di Beatrice) e Giovanni. Ma qui si impone una domanda: perché Dante non ha sposato Beatrice, se l'amava da quando aveva nove anni? Da un lato, quando si legge il Divina CommediaSi nota una Beatrice che corregge Dante, che gli fa delle richieste, lo rimprovera, gli sorride appena, forse a indicare che lui non ha ricambiato il suo amore in quel momento.
D'altra parte, è possibile che, anche se avessero voluto sposarsi, non avrebbero potuto farlo, dato che, a quel tempo e in quella località, non era raro che il coniuge fosse scelto dai genitori e non da se stessi (sia nel caso delle donne che degli uomini). Forse a diciotto anni Dante non aveva più alcuna speranza di sposare Beatrice, così accettò di sposare Gemma.
Il matrimonio
Una piccola digressione - rara in testi di questo tipo - merita di essere fatta qui: il matrimonio di Dante con Gemma era una cosa falsa e finta, visto che non amava lei, ma Beatrice? Torniamo all'inizio del paragrafo precedente. Beatrice era reale, ma senza dubbio è stata idealizzata, come i bravi poeti sanno fare con le loro muse. Teniamo presente che Dante inizia a comporre la Divina Commedia all'età di 39 anni (1304), più di due decenni dopo aver incontrato Beatrice per l'ultima volta (1283). Ora ditemi, quali ricordi avete di qualcosa di forte che avete vissuto 21 anni fa, e 30 anni fa (Dante ha incontrato Beatrice per la prima volta nel 1274)? Sicuramente ne avete molti ricordi (se siete abbastanza vecchi), ma dovete riconoscere che tutto questo tempo sta gradualmente cambiando le impressioni reali, rendendole sempre più soggettive e affettive, piuttosto che imparziali e spassionate.
Inoltre, Dante e Beatrice non erano mai stati innamorati o cose del genere. È quindi possibile ipotizzare che molto dell'amore che nutriva per la moglie Gemma sia stato poeticamente convogliato nella figura di Beatrice, per accentrare tutto in un'unica figura femminile. Mi sembra impossibile affermare che un matrimonio fedele per tutta la vita, con quattro figli, non possa essere stato mantenuto grazie al vero amore. Si dà il caso che spesso un amore reale e, per così dire, "realizzato" goda apparentemente di un minore appeal emotivo per un poema epico. In questo senso, Gemma potrebbe essere stata per Dante un secondo "beatifico", una vera e propria fonte di ispirazione per quanto narrato nella Divina Commedia.
Esilio
Se lo shock per la morte prematura di quella bella signora può aver fatto sì che egli si innamorasse di lei retroattivamente nella sua memoria, questo non è stato l'unico fattore che lo ha spinto a sceglierla come figura chiave di questa epopea dell'aldilà. Sappiamo che nel 1302 Dante dovette andare in esilio da Firenze. Si era recato a Roma come ambasciatore della sua città e, durante la sua assenza, i Guelfi Neri si erano impadroniti del potere e non lo avrebbero lasciato tornare.
Si recò prima a Verona, più a nord della penisola italiana, poi in varie città vicine, prima di finire a Ravenna, dove morì. L'inizio della stesura del Divina CommediaNel 1304 era già in esilio fuori Firenze. Gli si spezzò il cuore per non poter tornare nella sua amata patria, come per la morte prematura di Beatrice.
Dante ha un cuore nobile e nostalgico: ama, ma ciò che ama gli viene sempre definitivamente tolto; ama, e rimane fedele a quell'amore, qualunque cosa accada. In questo senso, la città di Firenze è per lui come una nuova musa ispiratrice, una terza "Beatrice", lontano dalla quale si ispira per creare l'opera forse più sublime della letteratura occidentale. Ecco perché il libro fonde così strettamente il suo amore patriottico (per Firenze), il suo amore umano (per Beatrice) e il suo amore divino (per Dio).
Il titolo
Finalmente siamo arrivati al libro in questione. Scusate la lunga introduzione, ma mi sembrava necessaria. Perché "divino" e perché "comico"? Dante l'aveva intitolata semplicemente "Commedia", non perché suscitasse il riso alla lettura, ma perché, a differenza delle tragedie, il viaggio narrativo era dall'inferno al paradiso, cioè finiva bene, aveva un lieto fine.
Si ha l'impressione che l'intero lungo poema abbia esaurito la creatività di Dante e che non gli sia rimasto nulla per il titolo dell'opera, per cui ha messo solo quello. Ma Giovanni Boccaccio (1313-1375), commentando l'opera nella chiesa di Santo Stefano di Badia a Firenze, la definì per qualche motivo "divina", e così rimase ai posteri. È così semplice: "Divina Commedia".
Le parti dell'opera
Dopo la copertina, passiamo alla sostanza. Il libro è diviso in tre cantici chiamati inferno, purgatorio e paradiso, cioè i novissimos, secondo la dottrina della Chiesa. Il primo ha 34 cantici (1 introduttivo e 33 cantici del corpo) e gli altri due ne hanno 33 ciascuno, per un totale di 100 cantici. Il simbolismo dei numeri indica la relazione con la Santissima Trinità: un Dio e tre persone divine. Letteralmente, si inserisce nella tradizione dei cosiddetti Dolce stil nuovo (Sweet New Style), con accenti di sincerità, intimità, nobiltà e amore cortese. Come ha spiegato in De vulgari eloquentia (1305), Dante vedeva anche nella lingua volgare (che è qualcosa di simile a quello che oggi chiamiamo "italiano") "uno strumento per fare cultura e produrre bellezza, e non solo per essere usato per scambi commerciali". Per questo motivo ha preferito scrivere il suo poema nella lingua che parlava: un misto di italiano e latino, insomma.
Se si può notare un certo pragmatismo in questa scelta, l'opposto si può notare nell'argomento delle canzoni. Qui troviamo temi letterari, politici, scientifici, ecclesiastici, filosofici, teologici, spirituali e amorosi. Poiché ci troviamo nel secolo successivo all'inizio delle prime università europee, il cui scopo era quello di raggiungere la profonda unità e universalità del sapere (da qui la parola "..."), possiamo ritrovare nelle canzoni i temi delle prime università europee.universitas"(dal latino), cerca di racchiudere tutto nel suo lavoro. Guardando ai prossimi due secoli, servirà come preparazione per la umanesimo e il Rinascimento, il cui centro si trovava proprio nella penisola italiana.
Versi
Quando si inizia a leggerlo, si nota che tutte le righe hanno più o meno la stessa dimensione. Sono endecabillabi, cioè hanno undici sillabe poetiche, quando l'ultima sillaba non è sottolineata (quando lo è, il verso ha solo dieci sillabe, per preservare la musicalità del verso; se lo leggete ad alta voce a mezza voce ve ne accorgerete). A loro volta, le strofe sono collegate tra loro in un modo che è stato chiamato "a". terzina dantescaIn altre parole, la fine del primo verso fa rima con la fine del terzo, e il secondo fa rima con il quarto e il sesto, e il quinto con il settimo e il nono... beh, è un po' difficile da spiegare senza disegnare, ma lo schema è questo: ABA BCB CDC e così via.
Se volete capirlo in dettaglio, è molto più facile cercarlo su Internet. Vi stupirete ancora di più dell'ingegno che ci vuole per seguire rigorosamente questo schema per gli oltre 14.000 versetti che compongono la Divina Commedia.
Basta con la forma, passiamo ora al contenuto. Il viaggio dantesco nell'"altro mondo" dura una settimana (dal 7 al 13 aprile 1300) ed è in prima persona. Questo tratto biografico si nota già nella prima strofa: "Nel mezzo del camin di nostra vita"(Nel mezzo del cammin di nostra vita), cioè parte quando ha 35 anni. All'inizio si trova in un vicolo cieco, circondato da tre bestie e viene salvato da Virgilio, il suo poeta preferito, che gli propone di guidarlo nei regni dell'oltretomba.
L'inferno
Iniziano con l'inferno, sul cui architrave si raccomanda quanto segue: "Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate"(Abbandonate ogni speranza, voi che entrate). Non è il luogo dove sperare in qualcosa di buono, ma un profondo precipizio che arriva fino al centro della terra, dove è imprigionato Lucifero stesso. Questo precipizio è sorto con la caduta di Lucifero dal cielo, così tremenda da creare un enorme buco, un vuoto, un nulla, come se alludesse al male stesso, che non è una creatura di Dio, non ha essenza, è solo la privazione del bene, come il freddo non è altro che la privazione del calore, o come le tenebre non sono altro che la privazione della luce. Infatti, Lucifero è lì in un luogo buio e ghiacciato (sì, in mezzo al ghiaccio, anche se il fuoco era in altre parti dell'inferno). Ha scelto di non essere nulla, invece di essere fedele al Bene, e così soffre indicibilmente, lui e coloro che lo hanno seguito, angeli e umani.
Tutto l'inferno, così come il purgatorio e il paradiso, sono ordinati per zone, come prescriveva la mentalità scolastica in voga (date un'occhiata all'indice della Summa Theologica, di San Tommaso d'Aquino, per avere un'idea degli estremi a cui può arrivare la virtù dell'ordine). L'inferno è a forma di imbuto e diviso in nove cerchi, ognuno sempre più basso fino a raggiungere quello luciferiano, diviso per gruppi di peccatori secondo i livelli di gravità del peccato.
Peccati
Il livello più basso è quello del tradimento, il peccato più grave secondo l'autore, ed è per questo che nella bocca di Lucifero ci sono Giuda Iscariota (quello che ha tradito Gesù), Bruto e Cassio (quelli che hanno tradito Giulio Cesare). Nel canto XIV, versetto 51, un condannato dice: "Qual io fui vivo, tal son mortoCome ero vivo, così sono morto", cioè il reprobo rimane tale anche dopo la morte, per cui le pene dell'inferno sono direttamente collegate ai suoi peccati sulla terra. Le conseguenze indicano le loro cause.
Per esempio, coloro che sulla terra erano schiavi del loro stomaco (buongustai) ora si ritrovano continuamente con la bocca nel pantano. Vi si trovano politici, ecclesiastici (persino papi), nobili, mercanti, persone di ogni tipo. In mezzo a tutto questo, Dante è molto angosciato e chiede a Virgilio cosa non capisce. Si sente pesante all'inferno, soffre per la sofferenza degli altri. Vuole uscire da lì.
Purgatorio
Dopo aver raggiunto Lucifero, i due attraversano un passaggio e sbucano dall'altra parte del globo (sì, sapevano che la terra era sferica, anche se pensavano ancora che fosse il centro dell'universo), e lì vedono la montagna del purgatorio. La terribile caduta di Lucifero sull'altro lato del pianeta aveva spostato la massa terrestre, creando, sul lato opposto, una montagna. Nella Bibbia, la montagna è il luogo del dialogo con Dio, della preghiera, accessibile alle capacità umane, anche se richiede sforzo e provoca fatica. C'è chi soffre in modo agrodolce, purificandosi delle proprie imperfezioni in attesa del paradiso prima o poi, già nella speranza. Sette terrazze dividono il purgatorio, secondo i sette peccati capitali, ma ora l'ordine è invertito: in cima alla montagna si trovano i peccati più gravi, che sono i più lontani dal paradiso.
A differenza dell'inferno e del paradiso, nel purgatorio non ci sono angeli, ma solo uomini. I segni lasciati su queste persone dai loro peccati sono iscritti sulla loro fronte, non possono più essere nascosti a nessuno e vengono gradualmente cancellati man mano che procedono nella loro purificazione.
Il cielo
In cima alla montagna raggiungono il paradiso terrestre, dove si trovavano Adamo ed Eva e da cui Dante entra nel paradiso celeste. E lì Virgilio è impossibilitato a guidare ulteriormente Dante. Come poeta pagano, non è adatto a salire in cielo, semplicemente non può. Tuttavia, a questo punto del viaggio, il suo discepolo è già sufficientemente compunto e riparato per varcare la soglia del paradiso.
Nel canto XXX del Purgatorio Dante vede una donna coronata di rami d'ulivo e vestita con i colori delle tre virtù teologali: la fede (il velo bianco che le copre il volto), la speranza (il mantello verde) e la carità (la veste rossa). Dante non la distingue a prima vista e quando va a chiedere a Virgilio chi sia questa donna, si accorge che Virgilio è scomparso, non è più con lui. Dante piange, intanto Beatrice gli si avvicina, lo chiama per nome e lo rimprovera per la sua cattiva vita fino a quel momento. È la sua ultima conversione prima di entrare nel regno dei giusti.
Mano nella mano con Beatrice, il cui nome significa "colei che rende beati, felici", il nostro protagonista entra in paradiso. Il viaggio ora non sarà più fatto a passi, con fatica. La natura naturale dell'uomo è insufficiente ed egli deve rivolgersi al soprannaturale, alla forza divina, per poter volare attraverso le nove sfere celesti rimanenti e raggiungere la contemplazione di Dio. Lì non soffre più per ciò che vede, sente o prova. Tutto è gioia, carità, fraternità. I beati accolgono bene Dante e la sua guida, sono cordiali, leggeri nel peso, rapidi nei movimenti.
I Santi
A un certo punto, incontrano San Tommaso d'Aquino che, essendo domenicano, loda San Francesco d'Assisi davanti al francescano San Bonaventura da Bagnoregio, il quale, a sua volta, ricambia subito lodando San Domenico di Guzman davanti al domenicano d'Aquino. Tra gli altri santi, Dante trova in paradiso il suo trisavolo Cacciaguida, morto in Terra Santa nel 1147 durante una battaglia crociata. Nel canto XXIV, Beatrice invita San Pietro a esaminare la fede di Dante. Utilizzando un ragionamento rigoroso e distinzioni scolastiche, il nostro "turista dell'oltretomba" afferma che la fede è il principio su cui poggia la speranza nella vita futura e la premessa da cui dobbiamo partire per spiegare ciò che non vediamo. Il principe degli apostoli lo approva con entusiasmo e i due vanno avanti. Poi sarà esaminato nella speranza da Giacomo il Maggiore e nell'amore da San Giovanni.
Addio
Superate le nove sfere celesti, Dante deve affrontare un altro addio. Beatrice non può più guidarlo nell'Empireo, dove si trova propriamente la rosa dei beati, l'anfiteatro più alto dove si trovano la Beata Vergine Maria e i massimi santi.
Nel canto XXXI del Paradiso, San Bernardo di Chiaravalle riprende la guida finale di Dante, già alle porte della contemplazione dell'Eterno. È nell'ultimo canto dell'opera, il canto XXXIII, che si legge: "...".Vergine Maria, figlia del tuo figlio"(Vergine Maria, figlia del tuo figlio), e così inizia una delle più belle lodi della Madre di Dio. Guardando direttamente nella luce divina, trova in essa tutto ciò che sperava, tutto ciò che lo soddisfa. In quella luce distingue i contorni di una figura umana e non trova parole per descrivere Dio. Tutto ciò che può dire è che ora la sua volontà è mossa da "...".l'amore che muove il sole e le altre stelle"(l'amore che muove il sole e le altre stelle).
Contemplazione
Si conclude così la Divina CommediaCon un'ineffabile contemplazione dell'essenza divina sotto forma di luce. Attraverso l'arte e la ragione, rappresentate da Virgilio, Dante si rende conto dei suoi errori; attraverso l'amore umano, rappresentato da Beatrice, si prepara alla presenza diretta di Dio; e attraverso l'amicizia con i santi, rappresentata da San Bernardo di Chiaravalle, riesce a raggiungere la beatitudine senza fine. Nell'inferno la fede di Dante viene confermata, poiché vede la veridicità di tante cose in cui credeva; nel purgatorio condivide la speranza degli abitanti del luogo per il paradiso; infine nel paradiso può unirsi con amore al Creatore e alle sue sante creature. Durante il passaggio attraverso l'inferno e il purgatorio, le altre creature lo toccavano interiormente solo attraverso i sensi, perché non era in vera comunione con l'ambiente circostante. Ma una volta in paradiso, gli angeli e gli uomini che incontra sono disposti ad aiutarlo, e così Dante si apre e accoglie questi doni. Tutti vincono, perché esiste una fonte inesauribile di bene, che è il Bene stesso.
Dante è stato meravigliosamente capace di cogliere e trasmettere il vero, il bello e il buono della realtà, nonostante tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare nella sua vita. La morte precoce di Beatrice e l'esilio definitivo da Firenze potrebbero aver lasciato un tratto tragico nel suo carattere. Tuttavia, con la forza della sua fede, ha imparato che il tragico nella vita - quando c'è - è solo il primo capitolo. I prossimi capitoli devono ancora arrivare. Non disperate. Aspettate, seguite il cammino della bellezza con pazienza, abbracciate i vostri veri amori. Sarete aiutati, dovrete pentirvi molte volte, ma, con la grazia di Dio, arriverete presto dove le vostre stesse azioni vi hanno condotto.