Papa Francesco ha ripreso il catechesi sullo zelo apostolico. Questa volta ha incentrato la sua predicazione sulla figura di Gesù e sul suo cuore pastorale, "modello insuperabile di annuncio". Cristo, che è la Parola di Dio, "è sempre in relazione, sempre in uscita". Essendo il Verbo, è la Parola, che "esiste per essere trasmessa, comunicata". In breve, Gesù è la "Parola eterna del Padre che viene a noi". Cristo non solo ha parole di vita, ma fa della sua vita una "parola di vita". ParolaVive sempre rivolto al Padre e a noi".
L'inizio
Il Papa invita a guardare ai viaggi di Gesù, nei quali "vediamo che al primo posto c'è l'intimità con il Padre, l'intimità con il Padre, l'intimità con il Padre, l'intimità con il Padre, l'intimità con il Padre, l'intimità con il Padre, l'intimità con il Padre, l'intimità con il Padre. preghieraGesù si alza presto, quando è ancora buio, e va in luoghi deserti a pregare". È lì, "in questa relazione, nella preghiera che lo unisce al Padre nello Spirito, che Gesù scopre il senso del suo essere uomo, della sua esistenza nel mondo come missione per noi".
Per approfondire questo aspetto, Francesco analizza la prima apparizione pubblica di Cristo: "Gesù non compie un grande miracolo, non lancia un messaggio ad effetto, ma si mescola alla gente che stava per essere battezzata da Giovanni. In questo modo ci offre la chiave della sua azione nel mondo: consumarsi per i peccatori, in solidarietà con noi senza distanza, nella condivisione totale della vita".
In questo modo, dice il Santo Padre, possiamo vedere che "ogni giorno, dopo la preghiera, Gesù dedica tutta la sua giornata all'annuncio del Regno di Dio e agli uomini, soprattutto ai più poveri e deboli, ai peccatori e ai malati".
Il il cuore pastorale di Gesù
È facile identificare Gesù con un'immagine concreta. Il Papa sottolinea che "Gesù stesso ce la offre, parlando di sé come del Buon Pastore, colui che - dice - 'dà la vita per le pecore'. Infatti, fare il pastore non era solo un lavoro, che richiedeva tempo e molto impegno; era un vero e proprio stile di vita: ventiquattro ore al giorno, vivendo con il gregge, accompagnandolo al pascolo, dormendo tra le pecore, curando quelle più deboli. In altre parole, Gesù non fa qualcosa per noi, ma dà la sua vita per noi. Il suo è un cuore pastorale.
La cura pastorale della Chiesa
Francesco sottolinea il confronto tra la missione di Gesù e l'azione della Chiesa, che viene spesso descritta come "pastorale". Nel valutare questa attività, "dobbiamo confrontarci con il modello, Gesù il Buon Pastore. Innanzitutto, possiamo chiederci: lo imitiamo bevendo alle sorgenti della preghiera, in modo che il nostro cuore sia in sintonia con il suo?".
Il Papa ci invita a tenere a mente il capitolo 15 della Vangelo di Lucadove troviamo la parabola della pecora smarrita. In questo possiamo vedere il cuore pastorale che "soffre e rischia". Soffre: sì, Dio soffre per colui che se ne va e, mentre noi lo piangiamo, lo amiamo ancora di più. Il Signore soffre quando ci allontaniamo dal suo cuore. Egli soffre per coloro che non conoscono la bellezza del suo amore e il calore del suo abbraccio. Ma, in risposta a questa sofferenza, non si chiude, ma rischia: lascia le novantanove pecore che sono al sicuro e si avventura verso l'unica smarrita, facendo qualcosa di rischioso e anche irrazionale, ma in linea con il suo cuore pastorale, che ha nostalgia di chi se n'è andato; non rabbia o risentimento, ma un'irriducibile nostalgia di noi. È lo zelo di Dio.
Con questo, Papa Francesco conclude: "Abbiamo sentimenti simili? Forse vediamo coloro che hanno lasciato il gregge come avversari o nemici. Incontrarli a scuola, al lavoro, per le strade della città, perché non pensare piuttosto che abbiamo una bella opportunità di testimoniare loro la gioia di un Padre che li ama e non li ha mai dimenticati? C'è una parola buona per loro e noi abbiamo l'onore e l'onere di portarla. Forse seguiamo e amiamo Gesù da molto tempo e non ci siamo mai chiesti se condividiamo i suoi sentimenti, se soffriamo e rischiamo in sintonia con il suo cuore pastorale! Non si tratta di fare proselitismo perché gli altri siano "nostri", ma di amare perché siano felici figli di Dio".