Libia: la sua storia, la sua cultura
Prima parte: un paese frammentato
Un'antica canzone patriottica italiana, "Tripoli, bel suol d'amore", composta nel 1911 durante la guerra italo-turca, elogia la città di TripoliLa capitale della Libia, come terra di bellezza e passione, celebra ovviamente l'eroica impresa nazionale della conquista della prima colonia nella storia dell'Italia appena unificata.
Il presente, tuttavia, ci mostra una Tripoli, con il Paese cui appartiene, come una terra che vive l’inferno di una guerra civile che l’ha duramente provata e le cui conseguenze tutto il popolo libico sta ancora pagando.
La Libia, sia in epoca coloniale che post-coloniale, è stata una sorta di specchio per l'Italia in termini di debolezze ma anche di punti di forza: dalla crudele repressione dell'opposizione locale al regime coloniale alle grandi imprese di costruzione di strade e infrastrutture; dall'esodo forzato dei coloni italiani e degli ebrei libici espulsi da Gheddafi (e affluiti a Roma e in Italia soprattutto negli anni Settanta) ai fasti di una partnership non sempre trasparente con lo stesso Gheddafi e che ha lasciato molti punti oscuri (tra cui la famigerata strage di Ustica).
Un paese mai del tutto unito
Nominalmente, la Libia è un unico, grande Paese dell’Africa settentrionale (ha una superficie di circa 1,76 milioni di km²), bagnato dal Mediterraneo a nord e confinante con Egitto a est, con il Sudan e il Ciad a sud-est, con il Niger a sud-ovest, e con l’Algeria e la Tunisia a ovest. Nonostante il vastissimo territorio, la sua popolazione è di soli 7 milioni di abitanti (secondo stime del 2023).
Tuttavia, la guerra civile iniziata con la Primavera araba nel 2011 e il successivo rovesciamento del dittatore Gheddafi hanno rivelato al mondo il suo carattere frammentato, sia geograficamente che culturalmente.
Da un lato si trova la capitale, Tripoli, una città di oltre 3 milioni di abitanti. Fondata originariamente dai Fenici con il nome di Oyat, fu poi ribattezzata Oea dai Greci. Questa città è erede della Tripoli di epoca romana, che consisteva in una confederazione di tre città: Oea, Sabrata e Leptis Magna. Situata nel nord-ovest del Paese, Tripoli dà il nome a una regione più ampia nota come Tripolitania, che copre il nord-ovest della Libia e si è affermata come un importante polo economico e culturale della nazione.
Dall'altra, o meglio, dalle altre, troviamo: La Cirenaica, a est, con la sua capitale Bengasi (circa 630.000 abitanti nel 2011), una regione con forti connotazioni tribali, legate anche a una visione più conservatrice dell'Islam, che ha sempre chiesto una maggiore autonomia, se non addirittura un'autonomia.000 abitanti nel 2011), una regione con forti connotazioni tribali, legata anche a una visione più conservatrice dell'Islam, che ha sempre rivendicato una maggiore autonomia, se non indipendenza, dal potere centrale, anche in virtù delle ricche riserve di petrolio e gas naturale che vi si trovano; il Fezzan, a sud, regione prevalentemente desertica e scarsamente popolata (piccoli insediamenti e oasi), con una marcata presenza di gruppi etnici come i Tuareg e i Tebu, e culturalmente molto più vicina all'Africa subsahariana che al Maghreb, dove si concentra il famigerato traffico di esseri umani verso l'Europa.
Da un punto di vista religioso, invece, la popolazione appare più compatta, con un 97% di libici che si professano musulmani (in prevalenza sunniti, ma con minoranze ibadite e sufi).
Un po’ di storia
Il territorio dell'attuale Libia è stata abitata fin dal Neolitico da popolazioni indigene, antenate degli attuali popoli berberi, che praticavano l'allevamento e la coltivazione dei cereali. Alcuni di questi popoli (in particolare i Libu, da cui il nome della regione) entrarono nell'orbita egiziana e divennero tributari dei faraoni.
A partire dal VII secolo a.C., i Fenici di Tiro fondarono colonie sulla costa della Tripolitania, in particolare i porti di Leptis, Oea (Tripoli vera e propria) e Sabrata. Queste città si unirono in una sorta di alleanza (poi nota come Tripoli) e successivamente caddero sotto l'egida di Cartagine (altra colonia fenicia, nel territorio dell'attuale Tunisia). A est, invece, nell'attuale Cirenaica, si insediarono i Greci, fondando Cirene, Arsinoe, Berenice, Apollonia e Barce, che andarono a formare la cosiddetta Pentapoli cirenaica. Nell'interno della regione (più precisamente nel Fezzan), invece, si sviluppò il regno dei Garamanti, una popolazione di lingua berbera.
Quando, nel 332-331 a.C., Alessandro Magno conquistò l’Egitto, assoggettò pure la confederazione di città greche della Cirenaica, che fu poi governata dai Tolomei d’Egitto, i quali vi fondarono una nuova città: Tolemaide.
Venne poi il turno dei Romani, che s’impadronirono prima della Tripolitania, nel 146 a.C. (dopo la distruzione di Cartagine,) e poi della Cirenaica nel 96 a.C., in seguito a un conflitto con i Garamanti del Fezzan. Anche in questo caso si mantenne, tuttavia, la netta distinzione tra Tripolitania e Cirenaica. Difatti, i territori conquistati dai Romani furono poi divisi tra la provincia di Africa (da Augusto in poi Africa Proconsularis, con il toponimo Africa che proviene verosimilmente dal nome della tribù berbera degli Afri, e che comprendeva, oltre alla Tripolitania, anche le zone costiere di Tunisia e Algeria orientale) e quella di Creta e Cirene (con la Cirenaica).
Leptis Magna, di cui rimangono oggi le imponenti rovine e che è inserita nella lista dei patrimoni dell’UNESCO (considerata in pericolo dal 2016) divenne quindi una delle tre maggiori città di tutto il Nordafrica, dando i natali alla dinastia dei Severi (a Roma è possibile ammirare nel Foro Romano, in perfetto stato di conservazione, l’arco dedicato all’imperatore Settimio Severo, originario appunto di Leptis Magna).
L’avvento dell’islam e la conquista ottomana
Nel 430 i territori dell'attuale Libia furono conquistati dai Vandali (ariani) di Genserico, che portarono al declino della regione.
Nel 533, tuttavia, il territorio passò sotto l'Impero bizantino sotto Giustiniano, riacquistando l'antica prosperità, ma fu conquistato dalle truppe arabo-islamiche tra il 640 e il 698 ed entrò a far parte prima del califfato omayyade e poi di quello abbaside, prima di finire sotto gli Aghlabidi (la prima dinastia islamica autonoma sotto il califfato abbaside) a partire dal IX secolo.
Diverse stirpi si alternarono fino alla conquista ottomana (1517-1551). Nel XVIII secolo, la dinastia del pascià Karamanli governò "de facto" la Tripolitania, la Cirenaica e parte del Fezzan (nominalmente ancora parte dell'Impero Ottomano) incoraggiando la pirateria e il commercio degli schiavi, fino a quando la Porta intervenne direttamente nel 1835 per ripristinare la sovranità.
Nel frattempo, la confraternita sufi ("tarīqa") dei Senussi (le correnti sufi nordafricane sono un fenomeno tardivo del sufismo, una forma di misticismo islamico, che nell'area era più favorevole al sincretismo religioso, anche santificando alcune figure locali note come marabutti), fondata da Muḥammad al-Sanūsī nel 1843, si diffuse tra i beduini della Cirenaica, con la sua austera disciplina in ambito religioso ma i suoi valori più concilianti con i costumi eterodossi che con l'Islam. Questa "tarīqa" si sviluppò nel XX secolo in un movimento di resistenza contro i francesi e gli italiani, guidato da figure come Omar al-Mukhtār. Nonostante la resistenza, la Libia fu infine occupata (1912) dagli italiani, che riuscirono a pacificare le tribù ostili solo negli anni Trenta.
Il colonialismo italiano e la successiva indipendenza
Nel corso della campagna di conquista italiana (1911-1912), parte della Guerra italo-turca, vi furono violente repressioni e massacri nei confronti della popolazione locale. La resistenza libica guidata dai Senussi, tuttavia, proseguì fino al 1931, quando Omar al-Mukhtār fu catturato e giustiziato dagli italiani.
Durante il dominio coloniale fascista, il regime promosse, specialmente grazie al celebre condottiero/aviatore, nonché governatore della Libia coloniale, Italo Balbo (la cui popolarità e le cui capacità crearono una vera e propria rivalità con lo stesso Mussolini, tanto che Balbo morì, in circostanze sospette, per l’abbattimento del suo aereo in Libia da parte della contraerea italiana) favorì l’insediamento di decine di migliaia di coloni italiani, promuovendo l’agricoltura (nella fascia costiera) e la costruzione di una massiccia rete di infrastrutture (tra cui la via Balbia, una strada litoranea di 1842 km che collega ancora oggi Tripoli a Cirene). Balbo si spese anche per tentare di risolvere i conflitti con la popolazione locale, chiudendo, contro il volere di Mussolini, alcuni dei campi di concentramento ove veniva deportate centinaia di persone anche solo sospettate di opporre resistenza alla potenza coloniale.
Sempre Balbo fondò, nel 1939, dieci villaggi per gli arabi e i berberi libici, ognuno con la propria moschea, scuola, centro sociale (con ginnasio e cinema) e un piccolo ospedale, il che costituiva una novità assoluta per il mondo arabo nordafricano.
L’immigrazione italiana in Libia cessò dopo il 1941, con l’entrata in guerra dell’Italia, e il Paese fu poi occupato dagli Alleati nel 1943. Gli italiani e gli ebrei locali, inizialmente una comunità numerosa e divenuti poi alcuni cittadini italiani, furono oggetto di pogrom e violenze post-belliche, che culminarono nella fuga di massa dell’intera millenaria comunità ebraica.
Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale e del colonialismo italiano, e in seguito a un periodo di amministrazione mandataria dell’ONU, la Libia divenne indipendente come monarchia nel 1951, sotto la dinastia dei Senussiti (re Idris I). Il Paese rimase sostanzialmente sottosviluppato fino alla scoperta del petrolio, nel 1959, che lo rese uno dei Paesi più ricchi dell’Africa (divenne il primo Paese africano esportatore di petrolio e membro dell’OPEC). La forma di governo era federale fino al 1963, quando il potere si accentrò nuovamente intorno a Tripoli.
Da Gheddafi alla guerra civile
Nel 1969, un colpo di stato guidato dal colonnello Muammar Gheddafi rovesciare il re Idris. Gheddafi ha fondato il nuovo Stato libico su un modello basato sul socialismo islamico e sul nazionalismo panarabo e panafricano, come espresso nel suo "Libro verde", pubblicato nel 1975.
L'opera è divisa in tre parti: la prima è dedicata alla democrazia diretta, con il rifiuto dei partiti e la proposta di un governo delle masse attraverso comitati popolari; la seconda all'economia, basata su una terza via (terzomondismo) tra capitalismo e comunismo, con la proprietà diretta dei lavoratori; la terza a un modello sociale che pone l'accento sulla famiglia, sulla tribù e sui valori islamici come pilastri della comunità. Nel testo, Gheddafi chiama questo nuovo Stato "Jamahiriya".
Di fatto il tanto decantato modello di democrazia diretta si rivelò sin da subito l’ennesima dittatura. Gheddafi, infatti, pur portando indiscutibili vantaggi economici al Paese (e a se stesso) nazionalizzando le risorse petrolifere e adottando politiche severe contro l’imperialismo occidentale e le decine di migliaia di italiani e di ebrei ancora presenti nel Paese (nazionalizzò tutti i loro beni e li espulse in massa dal Paese), chiudendo poi tutte le basi straniere e sostenendo movimenti rivoluzionari e terroristici come l’OLP.
Le tensioni con l’Occidente culminarono nell’embargo ONU dopo l’attentato di Lockerbie (1988). Negli anni 2000, Gheddafi cercò di normalizzare le relazioni internazionali rinunciando ai programmi finalizzati allo sviluppo di armi di distruzione di massa e stringendo accordi di collaborazione con diversi governi occidentali, soprattutto con l’Italia dell’allora premier Silvio Berlusconi.
Nel 2011, però, la Libia è stata travolta dalle rivolte della Primavera araba, che hanno portato alla caduta del regime di Gheddafi in seguito a un intervento militare della NATO (su forte pressione della Francia, che aveva l'ignobile intenzione di sostituirsi all'Italia nello sfruttamento dei vasti giacimenti di idrocarburi del Paese) e all'assassinio dello stesso Gheddafi. Tuttavia, la caduta del dittatore ha inaugurato una fase di profonda instabilità.
La Libia, come la Siria, si è mostrata in tutta la sua complessità: si sono accentuate le divisioni tribali, le fazioni interne e i conflitti mai del tutto sopiti, e il Paese è diventato teatro di una guerra civile tra diversi gruppi: il Governo di Unità Nazionale (GNU) di Tripoli, sostenuto da ONU, Italia e Turchia, e l'Esercito Nazionale Libico (LNA) di Khalifa Haftar, appoggiato all'epoca da Francia, Russia ed Egitto. Tutto ciò è aggravato dal coinvolgimento di milizie locali e gruppi jihadisti (tra cui l'ISIS), il che significa che una soluzione alla drammatica situazione libica e la riconciliazione nazionale sono ancora lontane.
Scrittore, storico ed esperto di storia, politica e cultura del Medio Oriente.