Cultura

Memorie di Ernestina de Champourcin (1905-1999)

Se c'è una voce poetica femminile nella Generazione dei 27 anni che non ha mai avuto bisogno di essere rivendicata, è quella di Ernestina de Champourcin, capace di distinguersi sia nella Spagna del XX secolo, quando la poesia di altissima qualità era scritta da uomini, sia fino ad oggi.

Carmelo Guillén-24 maggio 2021-Tempo di lettura: 4 minuti
Ernestina de Champourcin (1905-1999)

Oltre ad essere stata una delle due donne (l'altra era Josefina de la Torre) incluse dalla Gerardo Diegonel 1934, nella seconda edizione del suo Poesia spagnola contemporanea -esempio di un'antologia premonitrice che ha stabilito, in larga misura, l'elenco degli autori ufficiali della sua generazione, quella dei 27 anni, e discepola prediletta del premio Nobel Juan Ramón Jiménez, sono molti i meriti che rendono attuale l'opera di Ernestina de Champourcin. 

È stata in grado di trasformare la propria vita in una convinta sostenitrice della femminilità, prima come membro dell'associazione Lyceum ClubHa collaborato come segretaria della sezione Letteratura dell'associazione dal 1926, anno di inizio dell'attività in Spagna, fino al 1936, e poi, dal suo esilio messicano (dal 1939 al 1972, quando è tornata in Spagna), dopo aver scoperto nel 1952 la sua vocazione per la Opus DeiIn questo modo rafforzò la sua convinzione nella fondamentale e radicale uguaglianza di natura e di diritti tra i due sessi, che il suo fondatore aveva sempre predicato, e che lei difese con tanta fermezza nel campo che conosceva meglio, quello della poesia: "Non sono mai riuscita a pensare", disse una volta, "alla poesia come a qualcosa di esclusivamente maschile o femminile". 

Per questo motivo, nella prefazione della sua compilazione per il BAC, ha affermato che Dio nella poesia contemporaneaMi rendo conto che il numero di voci femminili che ho scelto è molto elevato rispetto a quello inserito da altri antologi [...]. In contrasto con questa sobrietà o penuria, ho osato scegliere le poesie di quindici donne, che diventeranno sedici se i miei editori continueranno a insistere per includere l'antologa stessa".

Dio come fondamento

Per i suoi meriti, la sua inclusione nella propria antologia era logica e, per di più, con cinque poesie. Soprattutto quando non potrebbe essere altrimenti: Dio stesso costituisce il fondamento su cui si basa la sua produzione letteraria, del tutto autobiografica, segnata forse all'inizio da una presenza nel buio della divinità: 

Che dono divino
è questa la vita al buio
vivere amando,

ma che cresce dal suo esilio messicano, con una "approfondimento". -La "crescita", aggiungiamo noi, "nella loro fede e le conseguenze nella loro vita quotidiana", e la stabilizzazione "nell'abisso senza fondo del Dio che è in me". 

Infatti, in una lettera indirizzata all'età di 84 anni all'amica Rosario Camargo, esprime la linea evolutiva della sua vita interiore: "Ora posso pregare e pregare e scrivere solo quando Dio vuole e non come vuoi tu. Ho sempre fatto così e mi diverte che lei si infastidisca tanto quando si tocca questo argomento. Non sa che Dio e la poesia sono inseparabili? Sempre consapevole che il suo orientamento poetico "è una vocazione: scrivo quando Dio lo vuole", arrivò a dire che non bisognava vederla come una vera e propria "mistica", alla maniera sanjuanista, né come una poetessa con un calendario prestabilito per la composizione dei versi, ma come una donna sensibile, spirituale, con una vita molto ricca di sé, che sapeva scoprire Dio come il suo grande valore e, dopo la morte del marito, come il suo grande e sconvolgente Amore. 

Circostanze storiche e letterarie

Non appena si entra in una qualsiasi delle sue raccolte di poesie, la sua porta l'impronta indelebile di una poesia autentica, intensa e penetrante, logicamente immersa in specifiche circostanze storiche e letterarie, in cui l'avanguardia aveva un enorme potere, A questo si aggiungevano sia l'insegnamento di Juan Ramón Jiménez e dei suoi precedenti romantico-simbolisti, sia quello dei grandi mistici di Avila, che conosceva fin dall'adolescenza, e, in buona misura - anche se è stato poco studiato - la conoscenza e la meditazione del Salterio, nonché l'insegnamento di Escrivá de Balaguer attraverso i suoi scritti e il suo messaggio evangelizzatore. 

Tuttavia, nonostante (o grazie a) questo bagaglio culturale, la si trova radicata in un mondo personale con una scrittura lirica inconfondibile, a volte retorica, che rivela la sua celebrata religiosità - c'è più peso esistenziale che letterario nella sua poesia -, con abbondanti incursioni nella propria interiorità.

Così, in una delle sue numerose poesie oratorie scrive: "Insegnami [Signore] ad essere veramente silenzioso, dentro di me / a guardare fuori nel vuoto dove posso sentirti". [Insegnami nell'oscurità, nell'arcigno deserto / dove ti hanno cercato coloro che sanno come trovarti". 

Il grido e la fiducia che gli provengono dal profondo della fede e che, come abbiamo notato in precedenza, richiamano la sua permeabilità ad assimilare i salmi: 

Non posso fare nulla senza di Te. Con Te non temo nulla.
Sii il mio scudo, o Signore, il mio bastone e la mia torcia.
In Te posso fare ogni cosa e dimenticare le mie debolezze
se il tuo braccio mi guida e il tuo amore mi sostiene".

Per Ernestina, la poesia era il modo più evidente di comprendere la sua amicizia o, piuttosto, la sua relazione d'amore con Dio: un luogo di insediamento intimo che le portava la consapevolezza di essere viva, in un vero atteggiamento contemplativo, come riflette la decima seguente: 

Non c'è fiore che non profumi di me
al tuo profumo, Signore,
né gioia né tremore,
sembra cercare il suo nido
nella tua dimora segreta;
e i miei occhi non vedono nulla
dove non sei nascosto". 

In questo suo processo testimoniale, immerso in continui alti e bassi, con maggiori o minori risultati poetici, la sua sete e i suoi rapporti con Dio diventano finalmente compatibili con una poesia celebrativa della vita ordinaria, sui cui pilastri si basano soprattutto molti dei suoi hai-kais spirituali, in cui si apre alla poesia laconica, frutto di quello che potremmo definire il caleidoscopio delle sue attività di routine: "il quotidiano", come lo chiama lei, in dialogo perseverante con "il Gioco della Grazia", nel quale non ha mai smesso di coinvolgersi fino a quando, infine, "ha chiuso gli occhi per aprirli un giorno... [...] / immutabile ed eterno".

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